LAVINIO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

Vedi LAVINIO dell'anno: 1961 - 1973 - 1995

LAVINIO (v. vol. IV, p. 510 e S 1970, p. 405)

M. Fenelli

Indagini sistematiche sono state avviate in varî settori dell'area urbana. Di particolare interesse per la vita e lo sviluppo del centro nell'Età del Ferro è stata l'esplorazione del lobo nord-orientale del pianoro (1), dove sono state riportate alla luce numerose capanne di forma ovale e rettangolare, distribuite in un arco cronologico compreso fra la fase laziale II Β e la IV A, e tombe a fossa di individui di entrambi i sessi, in età prepuberale, disposte immediatamente all'esterno delle porte d'accesso.

La presenza di consistenti livelli di Vili sec. a.C. riscontrata in altre zone e la diffusione di materiale in superficie sono indizî di un'occupazione diffusa del pianoro, all'esterno del quale, a O, si estendeva la necropoli (7), la cui continuità d'uso dal X al VII sec. a.C. è ben documentata dai corredi delle oltre settanta tombe scavate, incinerazioni in pozzetto, fosse, mentre la presenza di tombe di IV sec. a.C. è attestata solo da materiali di superficie.

Alla fine del VII sec. a.C., sempre nel lobo NE del pianoro, ad alcune capanne si sovrappose un edificio con vani rettangolari e tetto di tegole, distrutto in concomitanza con la realizzazione, poco prima della metà del VI sec. a.C., della cinta di mura in opera quadrata di cappellaccio. Due depositi votivi, uno ascrivibile all'Orientalizzante Recente, l'altro a età medio-repubblicana, caratterizzati dalla massiccia e quasi esclusiva presenza di vasi miniaturistici d'impasto riproducenti la grande olla biansata da liquidi, testimoniano l'esistenza di un culto urbano, al quale è connesso questo tipo peculiare di offerta, ma che sulla base dei dati disponibili non è identificabile con alcuno di quelli ricordati dalle fonti letterarie.

Nel settore periferico NO (2) le strutture rimesse in luce, dalla fase arcaica alla piena età imperiale, appaiono disposte secondo uno schema regolare e un orientamento costante. La regolarità d'impianto, ma secondo assi divergenti, riscontrata in altre aree (3,4) in cui sono stati scoperti anche resti di strade lastricate, fa ritenere che già in età arcaica la città si fosse sviluppata secondo uno schema urbanistico regolare, zonale, orientato su assi preesistenti condizionati dalla geomorfologia.

Caratteristica del quartiere NO la presenza di fornaci, diverse per struttura, tipo ed epoca (VIII, IV e III sec. a.C.), e di apprestamenti per la lavorazione dell'argilla, disattivati e abbandonati intorno alla metà del III sec. a.C. Di rilievo, ai fini della cronologia e tipologia della ceramica da fuoco, la fornace del IV sec. a.C., crollata in cottura. Da segnalare la presenza di anfore puniche in strati di III sec. a.C. Impossibile, allo stato attuale, stabilire se si tratti di un «ceramico», o più probabilmente di impianti circoscritti, inseriti nel tessuto urbano, come sembrerebbe suggerire la dislocazione di numerose fornaci, individuate o scavate, in altri settori della città e nell'immediato suburbio.

Gli impianti produttivi, l'esistenza accertata di botteghe di coroplasti, l'ampia disponibilità in loco di ottima argilla inducono a ritenere che la fabbricazione di oggetti di terracotta, soprattutto in età medio-repubblicana, abbia costituito un elemento rilevante nell'economia della città.

L'esplorazione del settore centrale della città (5) ha portato all'individuazione della piazza del foro, la cui presenza nell'area era stata prospettata dal Lanciani. Sul lato O si trova un tempio in opera incerta, a tre celle, o ad ali, e podio con cornici di peperino rivestite di intonaco e stucco; scarsissime le tracce dell'alzato. I dati di scavo non consentono ancora di precisare la data di costruzione; è ascrivibile forse a età augustea la realizzazione di due avancorpi ai lati della scalinata, mentre a un edificio di culto precedente potrebbero essere pertinenti le strutture in opera quadrata inglobate nelle fondazioni in cementizio. Ancora indefinibile la funzione di un secondo edificio, conservato solo a livello del basamento in opera quadrata e relativo terrapieno.

Lungo il lato S della piazza lo scavo ha riportato alla luce ambienti aperti su un portico. Un vano, identificabile con l'Augusteo, ha restituito statue frammentarie di marmo maschili, una femminile e le teste di Augusto, Tiberio e Claudio. Sono probabilmente pertinenti a una fase decorativa del portico le lastre Campana di diversi tipi (nìkai tauroctone, ciclo dionisiaco, motivi vegetali), rinvenute in frammenti in strati di riempimento.

Alle spalle delle strutture di età imperiale, parzialmente tagliati da queste ultime, vi sono due complessi di età arcaica, di cui uno, di carattere pubblico, dotato di portico, costruito nel VI sec. e ampliato nel V, fu distrutto intorno alla fine del IV o inizî del III sec. a.C. e non più ricostruito. Qui, come altrove a L., le strutture, dal VI fino almeno al III sec. a.C., sono realizzate con zoccolo di blocchi o scheggioni di tufo giallo o cappellaccio, alzato a intelaiatura lignea e tamponature di bozze di cappellaccio o tufo; largo impiego negli zoccoli e negli alzati hanno le tegole, utilizzate anche per i pavimenti; per questi ultimi è attestato l'uso, certo nel IV sec. a.C., di schegge di tufo giallo accuratamente accostate e livellate.

Di rilievo è la scoperta, in questo settore, di tredici tombe a incinerazione in pozzetto, ascrivibili al Bronzo Finale, da collegare con l'indicazione del Lanciani della presenza di «sepulcro, antiquissima».

Contiguo all'area forense, lungo il margine O del pianoro (6), si estendeva un vasto complesso termale di età imperiale avanzata, articolato su due piani, che dopo l'abbandono, prima dei crolli delle coperture e delle volte, ha subito una totale opera di spoglio.

Fuori del perimetro urbano, due fornaci e un portico (8), di dubbia cronologia, sono stati rimessi in luce a Ν del complesso delle Tredici Are (9), mentre non sono stati ancora individuati i limiti del santuario di cui potrebbe verosimilmente far parte la tomba a tumulo orientalizzante, trasformata nella seconda metà del IV sec. a.C. in heròon (10). L'identificazione di quest'ultimo con il monumento descritto da Dionigi di Alicarnasso (1, 64, 4-5; Sommella, 1971-72), che ha trovato larghi consensi, ma anche perplessità e radicate opposizioni, ha riacceso l'interesse - il dibattito è ancora aperto - su problemi concernenti origine, significato, epoca di formazione della leggenda troiana, culto di Enea nel territorio lavinate, anche in rapporto al discusso cippo di Tor Tignosa.

Da segnalare saggi di scavo nel rilievo artificiale a SO delle Tredici Are, che hanno evidenziato la presenza di una grande villa con impianto termale, di età imperiale (11). Non ha trovato elementi di conferma nei sondaggi (1979) l'identificazione (Patitucci, 1969) della limitrofa chiesetta di S. Maria delle Vigne (Madonnella) (12) con la basilica Sanctae Mariae in via Laurentina, edificata da Papa Gelasio I (Liber Pontificalis, 1, 255 Duchesne).

Sicuramente dedicato a Minerva il santuario orientale (13), dove l'esplorazione sistematica, intrapresa nel 1977, ha portato alla luce il deposito votivo che testimonia, con le sue due fasi, continuità di culto dall'Orientalizzante Recente ai primi decenni del III sec. a.C., momento in cui il santuario avrebbe cessato d'esistere. Nella fase più antica del deposito, fine VII-prima metà VI sec. a.C., che non si differenzia per tipi e percentuali dei materiali dai depositi coevi noti a Roma e nel Lazio, è da segnalare la presenza di abbondante ceramica d'imitazione corinzia che qui, come altrove a L., dato significativo per la cronologia della classe, non è mai associata con ceramica attica.

L'imponente scarico di materiale votivo, ceramiche e terrecotte, seconda fase del deposito, copre l'arco cronologico compreso tra la seconda metà del VI sec. e i primi decenni del III a.C.

Testimonia la valenza «kourotrophica» del culto la presenza di numerose statuette di bambini in fasce, statuine di madri allattanti, ex voto anatomici quali uteri e mammelle, mentre è irrilevante la presenza di arti. Elementi caratterizzanti appaiono inoltre i pesi da telaio e i thymiatèria, presenti con alte percentuali di esemplari. Oltre cento le statue di offerenti di ambo i sessi, ma in prevalenza femminili, molte a grandezza naturale che offrono melegrane, conigli, colombe, giocattoli (trottole, astragali, palle), atto che potrebbe essere finalizzato al momento delle nozze quale fondamentale transizione di status.

Abbondantissima la ceramica, sia fine - per lo più vernice nera sovradipinta, ma non mancano frammenti di attica a figure nere e rosse - che d'impasto (olle, coperchi, bacili), pochi i bronzetti di fabbricazione laziale (kouroi e korai) e di tipo umbro-sabellico.

Tra le statue della dea presenti nel deposito, diverse per epoca e dimensioni, è di particolare interesse l'esemplare alto quasi due metri (forse la statua di culto) rappresentante la dea terribilmente armata, affiancata da un Tritone che sorregge lo scudo. Alla base della singolare iconografia, che ha suggerito l'accostamento al verso virgiliano «armipotens praeses belli Tritonia virgo» (Verg., Aen., 11, 483), possibile ricordo dell'esistenza del culto e del tempio della dea a L. (per il quale v. anche Aen., XI, 477), sarebbe un modello greco connesso con il mito beotico della nascita di Atena presso il fiume Tritone, non lontano da Alalcomene in Beozia, sede di un antichissimo e famoso santuario della dea (Castagnoli, 1979). Per altri studiosi (Pugliese Carratelli, 1980 e 1983; Giuliano, 1982; Torelli, 1984) nella statua si dovrebbe vedere l’Athena Iliàs ricordata da Strabone (VI, 1,14), e il santuario sarebbe quello di Atena ricordato da Licofrone (Alex., 1261-62); i due passi potrebbero tuttavia alludere piuttosto al Palladio, conservato nel Tempio dei Penati a L. (Castagnoli, 1985 e 1986). Una rappresentazione di quest'ultimo è forse da riconoscere in un'altra statua del deposito. Da segnalare ancora una rappresentazione a grandezza quasi naturale della dea armata di spada con a fianco un'oca sorreggente lo scudo.

L'esistenza, agli inizî del V sec. a.C., dell'edificio di culto è al momento provata solo da antefisse a testa di Sileno e di Iuno Sospita.

Consente, infine, di localizzare la necropoli di età arcaica la scoperta (1993), fuori della porta SE, all'incrocio della via per Ardea con quella mare-Colli Albani, di una tomba, probabilmente a tumulo, con due camere assiali (14). Nella prima vi sono quattro sarcofagi, di cui due violati. Il più antico, di cappellaccio, a cassa con zampe leonine e coperchio a doppio spiovente, conteneva i resti di un incinerato. Il corredo è databile nella prima metà del VI sec. a.C., e si compone di un'anfora tirrenica con amazzonomachia di Eracle, un'anfora nicostenica di bucchero con iscrizione mini muluvanice mamarce: a puniie (cfr. TLE, 34 da Veio, Portonaccio), una placca di bronzo con pantere monocefale. Le altre deposizioni sono databili rispettivamente alla prima metà del V sec. a.C. (stàmnos attico a figure rosse, forse attribuibile al Pittore dell’Hephaistèion), all'ultimo quarto del V sec. a.C. (kỳlix attica a figure rosse), alla seconda metà del IV sec. a.C.

I dati derivanti dalle indagini topografiche e di scavo confermano la fioritura del centro nel VI-IV sec. a.C. e l'apertura verso il mondo greco in cui un ruolo importante aveva certamente il porto che sfruttava la laguna costiera. L'abbandono dei santuari extra-urbani, la disattivazione di alcuni impianti produttivi, la rarefazione dei materiali di superficie indicano che già nella prima metà del III sec. a.C. ha inizio un processo di recessione che porta alla progressiva contrazione del centro urbano, ridotto in età imperiale alla sola area centrale e a impianti isolati nella zona urbana e nel suburbio.

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