CHIAZZESE, Lauro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CHIAZZESE, Lauro

Fabrizio Fabbrini

Nato a Mazzarino (Caltanissetta) il 6 ag. 1903 da Tommaso e Irma Mattino, si indirizzò agli studi giuridici per sua inclinazione e per tradizione familiare (il padre era magistrato di Cassazione). Laureatosi a Palermo in istituzioni di diritto romano con S. Riccobono nel 1924 (su cui la memoria del C., L'opera scientifica di S. Riccobono, in Annali del Sem. giur. dell'Università di Palermo, XVIII[1935]), ne divenne subito assistente e fu poi incaricato dell'insegnamento di istituzioni di diritto romano nell'università di Genova dal 1930 al 1933. Libero docente nel 1931, vinse il concorso a cattedra nel 1933: straordinario a Messina nel 1936 passò a Palermo come ordinario di diritto romano.

Dopo la guerra ricoprì importanti incarichi sia accademici sia civili e politici: fu preside della facoltà di giurisprudenza palermitana dal 1947 al 1950, rettore di quella università dal 1950 alla morte, membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione dal 1946 al 1948, fu insignito della medaglia d'oro dei benemeriti della Pubblica Istruzione nel 1957. Inoltre, fu membro della Consulta nazionale e segretario regionale della Democrazia cristiana, presidente della Cassa di risparmio "Vittorio Emanuele" dal 1946 e quindi presidente dell'Ente siciliano di elettricità (in quest'ultima carica realizzò, tra l'altro, l'importante elettrodotto che congiunge la Sicilia alla penisola).

La sua carriera fu rapida e senza contrasti, e questa estrema facilità del suo curriculum spiega l'esiguità della produzione scientifica, unicamente in rapporto con gli appuntamenti concorsuali: incaricato a Genova senza aver ancora pubblicato nulla, il primo articolo è scritto l'anno stesso della docenza, l'opera esegetica l'anno della cattedra, l'unica opera monografica l'anno dell'ordinariato. E tutti i suoi lavori sono incompleti. L'intera sua opera si pone così tra il 1931 e il 1937, se si esclude un discorso del 1938 e altri due del 1942 e 1943.

Il contributo del C. alla scienza romanistica può compendiarsi nella apologia del metodo e dei principî del Riccobono, nell'aver collaborato cioè alla definitiva vittoria di quella che veniva intesa allora come una crociata e che fu davvero la più appassionante battaglia scientifica della romanistica del nostro secolo: la revisione del metodo interpolazionistico, contro gli epigoni della scuola pandettistica.

Sull'Archivio giuridico del 1930 il C. pubblicò il suo primo articolo, dal titolo Nuovi orientamenti nella storia del diritto romano. Rassegna di letteratura romanistica: una lucida e sostanziosa puntualizzazione della problematica di fondo della scienza romanistica, che muove dal celebre discorso del Mitteis su "Storia del diritto antico e studio del diritto romano" e da studi dei Collinet, Levy, Riccobono, Stroux, Wenger.

Già da questo saggio appaiono chiari i due obiettivi sui quali egli intende impostare il discorso di difesa delle tesi riccoboniane: da una parte un organico ripensamento dell'evoluzione del diritto romano, sulla base delle nuove prospettive aperte dal Riccobono, dall'altra un ampio lavoro esegetico dal quale emerga con evidenza la scarsità degli interventi interpolatori di Giustiniano e che dimostri la necessità di ridurre alquanto l'importanza del problema interpolazionistico. Questi due obiettivi egli persegue congiuntamente e realizza puntualmente nelle due opere maggiori: l'Introduzione allo studio del diritto romano privato e i Confronti testuali:opera sintetica, e panoramica l'una, analitica ed esegetica l'altra.

L'Introduzione allo studio del diritto romano privato, edita la prima volta a Roma nel 1931 (2 ed. 1944; 3 ed. 1948; 4 ed. 1952), è un manuale di storia del diritto romano redatto per gli studenti e - come il C. stesso avverte - con "fine esclusivamente didattico". Si articola in undici capitoli: dopo due brevi cenni introduttivi, i capitoli III-VIII delineano quindi lo svolgimento dello Stato romano e del suo diritto, che viene distinto in quattro fasi (del diritto quiritario, del suo rinnovamento durante l'età dell'espansione mediterranea e poi durante il principato; dello sviluppo del diritto in età postclassica). Gli ultimi tre capitoli riguardano l'attività giurisprudenziale e legislativa nell'età postclassica, la compilazione di Giustiniano, le fonti giuridiche bizantine. Nella terza edizione era preannunziato un lungo capitolo XII sulle vicende delle fonti romane in Occidente: avrebbe dovuto costituire, assieme a una appendice sul problema delle interpolazioni e agli indici generali, un secondo volume dell'opera, ma non venne mai pubblicato (se ne rinvenne traccia nelle sue carte).

Il Riccobono stesso si riconobbe pienamente in quell'opera, affermando poi (sono parole del 1936, in risposta al discorso celebrativo del C.) che il discepolo aveva "posto le mie dottrine forse in miglior risalto di quanto io stesso non abbia fatto nelle mie opere".

A tale volume si è rimproverato (Orestano): a)una eccessiva separazione tra storia e dommatica; b) la trattazione del diritto pubblico come semplice cornice del diritto privato; c) il conchiudere in "forme definite e definitive" lo svolgimento del diritto romano, fino a farne una "storia pandettizzata".

Assai più nota è l'opera esegetica Confronti testuali. Contributi alla dottrina delle interpolazioni giustinianee, apparsa nel volume XVI degli Annali del Seminario giuridico dell'Università di Palermo (1933).

Si tratta di una vasta ricerca (già annunciata nel primo articolo) che fornisce la dimostrazione dell'assunto riccoboniano secondo cui Giustiniano non stravolge i testi classici per creare un nuovo sistema giuridico, bensì interpreta, concludendola, la parabola dell'evoluzione interna del diritto romano. Dall'esame di circa 1.500 testi che dalle fonti di cognizione si presentano come "geminati" e dei quali una redazione si trova nel Corpus iuris, il C. rileva come la maggior parte delle interpolazioni giustinianee in quei testi ha valore puramente formale e comunque non innova rispetto a testi di età severiana.

Di tale opera è stato edito soltanto il primo volume: ne era previsto un secondo, quale parte speciale, un indispensabile completamento, che però non vide mai la luce (una prima sommaria stesura è stata rinvenuta nelle sue carte). Del 1936-37 è l'unica opera monografica del C., anch'essa rimasta incompleta (si arresta bruscamente a pagina 312 con un periodo in sospeso): lo Iusiurandum in litem (Milano 1937, ma non divulgato). Con finezza esegetica il C. tende a dimostrare come nel periodo classico, data la stretta correlazione tra iusiurandum e restituere, l'istituto si applicasse a quelle sole azioni che contenevano la "clausola restitutoria"; come nella cognitio extra ordinem fosse esteso anche ad azioni sfornite di quella clausola (tale lo iudicium tutelae); come infine nel periodo post-classico l'ampiezza della sua applicazione travalicasse anche il nesso iusiurandum-restituere.

Nei successivi vent'anni di vita il C. non produsse più nulla, ancorché avesse in mente uno studio sul crimine di adulterio e uno sullo spinoso problema delle Quinquaginta decisiones (qualcosa su quest'ultimo tema si è rinvenuto nelle sue carte). Quale specchio delle sue idee generali sul diritto romano, sembra comunque utile segnalare i due discorsi (entrambi apparsi nel numero 51-52 del Bullettino dell'Istituto di diritto romano V. Scialoja, del 1948).

Cristianesimo e diritto (pp. 186-221) - che riproduce una conferenza tenuta a Palermo nel febbraio 1942 per l'inaugurazione dei corsi della Federazione universitaria cattolica italiana (F.U.C.I.) - riprende un tema caro alla scuola palermitana e che il Riccobono aveva impostato nei termini essenziali fin dal 1908, sostenendo, contro il Bonfante e la communis opinio, la forza preponderante del cristianesimo nell'ultima fase evolutiva del diritto romano; che negli ultimi secoli riuscì a determinare una svolta in quel diritto, infondendovi i suoi ideali etici, con innovazioni soprattutto nel diritto di famiglia (con la protezione dell'infanzia), nei diritti della persona (con il favor libertatis), nei diritti reali (con la funzione sociale attribuita alla proprietà).

Diritto romano e civiltà moderna (pp. 228-237), pronunciato del 1938 (sullo stesso tema il C. tornerà nel 1943 con una conferenza - di cui però ignota è la pubblicazione - su "Tradizione romana e tradizione germanica nel diritto moderno"), è una rapida sintesi sulla recezione del diritto romano nell'Europa occidentale. Di tale fortunata recezione vengono individuate le ragioni nel carattere di "universalità" del diritto romano e nella particolarità del processo storico della sua formazione: per aver saputo evolversi da diritto di una civitas al diritto universale rimanendo però sempre e lo stesso diritto nazionale romano", accresciutosi "per spontaneo sviluppo", sì che "nell'accogliere il nuovo, lo ha reso intimamente suo". Tra le sue maggiori conquiste: il riconoscimento della personalità giuridica a ogni uomo libero e il principio della prevalenza della volontà sulla forma nei negozi giuridici. Il C. insiste soprattutto sul concetto romano di libertà, tanto diverso da quello greco, il quale era "concezione formalistica ed esteriore".Il C. morì il 14 dic. 1957 a Palermo.

Bibl.: R. Orestano, L. C., in Studia et docum. historiae et iuris, XXIII (1957), pp. 574-586; C. Sanfilippo, L. C., in Iura, IX (1958), pp. 134-137.

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