ZACCHIA, Laudivio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZACCHIA, Laudivio

Giampiero Brunelli

– Nacque nel 1565 a Vezzano, borgo dell’entroterra spezzino, da Gaspare e da Veronica de’ Nobili.

Si laureò in diritto civile e canonico all’Università di Pisa. Sposata Laura Biassa, ne ebbe i figli Marcello (morto in giovane età) e Felice, andata in sposa nel 1610 ad Alessandro Rondinini, nobile romano.

Quando, nel 1593, morì anche la moglie, Laudivio si trasferì a Roma, dove il fratello Paolo Emilio (v. la voce in questo Dizionario) aveva abbracciato la carriera ecclesiastica ed era stato chiamato a importanti responsabilità da papa Clemente VIII, raggiungendo il cardinalato il 3 marzo 1599. Laudivio proseguì sulla stessa traiettoria. Già il 12 marzo 1599 prese il posto del fratello come commissario generale della Camera apostolica. Si trattava di una carica di assoluto rilievo, con estesi poteri di istruzione del contenzioso tributario, di controllo sulla contabilità e perfino sugli archivi del principale dicastero finanziario della Curia romana. In questa veste, fra le altre cause, Laudivio, insieme con Maffeo Barberini (il futuro papa Urbano VIII), intervenne in quella del dicembre 1599 sulle esenzioni fiscali godute dai Farnese, come duchi di Castro, nell’esportazione dei cereali dai loro feudi.

Zacchia fu quindi nominato vicetesoriere generale e poi – il 4 maggio 1601 – protesoriere generale. Non ebbe però mai il titolo ufficiale di tesoriere generale della Camera apostolica, carica venale, quotata diverse decine di migliaia di scudi. Piuttosto, annoverato tra i familiares del pontefice, nel gennaio del 1603 fu creato protonotario apostolico e l’anno successivo anche avvocato concistoriale.

Dopo la morte di Clemente VIII, fu confermato commissario generale della Camera apostolica da Leone XI e da Paolo V. Quindi, morto anche il fratello Paolo Emilio, Laudivio lo sostituì il 17 agosto 1605 come vescovo di Montefiascone, diocesi ricca, con 4000 scudi annui di entrata. Egli promosse due visite pastorali, nel 1608 e nel 1612, in occasione delle quali furono date stringenti raccomandazioni al clero e disposizioni per la tutela dei luoghi sacri. Quindi, a partire dal 1614, fu vicelegato a Viterbo e nella provincia del Patrimonio di S. Pietro (il titolare della carica in quegli anni era il cardinale Odoardo Farnese). Infine, asceso al soglio pontificio Gregorio XV Ludovisi, Zacchia fu nominato nunzio a Venezia. Le istruzioni consegnategli dalla Segreteria pontificia portano la data del 1° giugno 1621.

A quattordici anni dalla fine dell’Interdetto, i rapporti tra Venezia e Roma apparivano ancora molto difficili. A giudizio della corte pontificia, il clero della Serenissima continuava a dare scandalo e la giurisdizione ecclesiastica veniva conculcata dalle magistrature cittadine in diversi modi. Sempre difficile, inoltre, ottenere dal clero veneziano sussidi a vantaggio della Camera apostolica. Ora, defunto papa Borghese e quasi del tutto spenta la fazione del vecchio doge Leonardo Donà, protagonista del duro confronto fra il 1606 e il 1607, sembrava che fosse possibile aprire una nuova pagina.

Zacchia doveva intervenire in tutte le sedi possibili, a tutela del ruolo suo e del prestigio della Sede apostolica. Egli avrebbe dovuto presenziare regolarmente alle sedute del tribunale dell’Inquisizione (al quale il nunzio assisteva insieme all’inquisitore generale, al patriarca di Venezia e ai tre Savi all’eresia), sorvegliare l’anziano servita Paolo Sarpi, ritenuto ancora pericoloso, più in generale cercare di impedire che la continua presenza in città di cristiani di altre confessioni provocasse allontanamenti dall’ortodossia. Zacchia aveva altresì istruzioni di procedere in modo deciso alla riforma dei regolari, limitandosi – quanto al clero secolare – a stimolare gli ordinari diocesani a seguire le indicazioni del Concilio di Trento. Gli si raccomandava infine di spingere per il ritorno dei gesuiti nello Stato veneziano, dal quale erano stati allontanati nel giugno del 1606 (ma in questo ambito ogni suo sforzo doveva riuscire vano).

Un capitolo a sé stante era costituito dalla difesa della giurisdizione ecclesiastica: i poteri in campo temporale del patriarca di Venezia e del vescovo di Ceneda, infatti, facevano sempre sorgere nuove contese. I due Stati, poi, dopo il 1598 erano diventati diretti confinanti: comporre tutti i contrasti esistenti in questa materia avrebbe certo giovato a una normalizzazione dei rapporti tra la Serenissima e la Curia romana. Più in generale, riguardo ai rapporti interstatuali, Zacchia aveva l’incarico di favorire il riavvicinamento di Venezia agli Asburgo d’Austria, che in quel frangente sembravano prevalere contro tutti i loro nemici, e alla Corona di Spagna, scoraggiando invece le relazioni con gli Stati protestanti: Provincie Unite olandesi, Regno d’Inghilterra e Cantoni svizzeri considerati da Roma tout court ‘eretici’. Non erano certo obiettivi alla portata del nunzio, in un momento in cui la questione della Valtellina sembrava dover riaccendere la guerra tra Francia e Spagna. Persino l’ipotesi di un deposito dei forti in mano alle forze armate del papa infastidiva i veneziani, scriveva Zacchia nel marzo del 1623.

Oltre a questi temi di confronto (e scontro), altri si appalesarono nel corso della missione: la nomina dell’inquisitore generale dopo la morte del domenicano Giovanni Domenico Vinucci, le pretese di giuspatronato veneziano sulle chiese dei domini adriatici e di Creta, la collazione delle ricche abbazie del territorio veneto, molto ambite. Il nunzio diede altresì notizia a Roma della scomparsa di Sarpi, il 15 gennaio 1623.

Da quanto aveva potuto apprendere, essa era stata accompagnata dai riti consueti, in un’atmosfera così edificante da apparire decisamente sospetta. Zacchia aveva così proceduto a colloqui con i frati del convento di S. Maria de’ Servi, cui aveva affiancato altre indagini riservate. Poté così scrivere a Roma di essere stato «segretamente avvertito che il Priore ha[veva] formato una scrittura con la quale vuol far credere che [Sarpi] sia morto santamente» e che, se il suo discepolo Fulgenzio Micanzio aveva presentato questa versione in modo ufficiale al Collegio, non mancava in città «maraviglia che, mentre li Calvinisti che sono in questa Città lo piangono, vi sia chi voglia far credere che sia morto da Santo» (Ploncher, 1882, p. 148).

Tornato a Roma, all’inizio di febbraio del 1624, Zacchia fu di nuovo nominato protesoriere generale della Camera apostolica. In marzo, curò l’esecuzione di una riforma della computisteria generale, voluta in prima persona da Urbano VIII, secondo la quale le registrazioni di entrate e uscite dovevano confluire in un più analitico libro mastro generale. Dalla fine dello stesso anno, quindi, egli ebbe l’incarico di prefetto del Sacro Palazzo: sua la responsabilità di ospitare in Vaticano i personaggi di sangue reale giunti a Roma per l’anno santo 1625 (l’arciduca d’Austria Leopoldo d’Asburgo e il principe polacco Ladislao Wasa).

Fu l’ultimo passo prima della creazione cardinalizia, che avvenne il 16 gennaio 1626, accompagnata dal titolo di S. Sisto. Un anno e mezzo più tardi, Zacchia fu nominato prefetto della Congregazione dei Vescovi e regolari. Egli partecipava altresì ai lavori di molte altre congregazioni: Concilio, Propaganda Fide, Esame dei vescovi, Annona e Grascia, Fabbrica di S. Pietro, Inquisizione. In quest’ambito, in particolare come membro della commissione istituita ad hoc, partecipò alla seconda fase del processo a Galileo Galilei. Non firmò la sentenza di condanna del 22 giugno 1633: tuttavia, non vi sono prove che ciò corrispondesse a un suo atteggiamento indulgente nei confronti dello scienziato toscano.

Il 17 settembre 1629 Zacchia aveva mutato titolo cardinalizio, passando a quello di S. Pietro in Vincoli. Aveva rinunciato alla titolarità della diocesi di Montefiascone nel 1630, a vantaggio del nipote Gasparo Cecchinelli (già suo vicario generale). In precedenza, nel 1622 e nel 1628, vi aveva tenuto due altri sinodi, i cui atti uscirono a stampa.

Continuò a partecipare alle sedute dell’Inquisizione fino al 1° luglio 1637. Si ammalò di febbre «terzana doppia», a giudizio del cardinale Ernst Adalbert von Harrach «per il rammarico d’havere inteso che il Papa creda che egli habbi fatto pratiche per diventare Papa, e voglia mortificarlo» (Die Diarien und Tagzettel des Kardinals Ernst Adalbert von Harrach (1598-1667), II, a cura di K. Keller - A. Catalano, 2010, p. 199).

Morì a Roma il 30 agosto 1637 e il corpo fu esposto per le consuete cerimonie nella chiesa di S. Maria sopra Minerva. Dettaglio macabro: «la forma della faccia [...] era tanto alterata, che appena si conosceva più» (ibid., p. 206).

Per lungo tempo è stato identificato in Zacchia il soggetto del busto di cardinale scolpito da Alessandro Algardi e conservato a Berlino, presso gli Staatliche Museen. Attualmente, dopo il confronto imposto dalla riscoperta della scultura in marmo di Domenico Guidi denominata Tre cardinali di casa Zacchia Rondinini, tale attribuzione è negata o almeno messa fortemente in dubbio dalla critica.

Fonti e Bibl.: Die Hauptinstruktionen Gregors XV fur die Nuntien und Gesandten an den europaischen Furstenhofen. 1621-1623, a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; Le istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici. 1605-1621, a cura di S. Giordano, Tübingen 2003, ad ind.; Die Diarien und Tagzettel des Kardinals Ernst Adalbert von Harrach (1598-1667), a cura di K. Keller - A. Catalano, II, Diarium 1629-1646, Wien 2010, pp. 199, 206, 208.

A. Ploncher, Lettere inedite di monsignor Z. nunzio in Venezia al cardinal Lodovisi segretario di Stato ed al cardinal Barberini sulla morte di fra Paolo Sarpi, in Archivio storico italiano, IX (1882), 128, pp. 145-162; A. Zacchia Rondinini, Memorie della famiglia Zacchia Rondinini..., Bologna 1942, pp. 24-39, 119-174, 187 s.; Ch. Weber, Die ältesten päpstlichen Staatshandbücher, Rom-Freiburg-Wien 1991, ad ind.; M.C. Giannini, L’oro e la tiara. La costruzione dello spazio fiscale italiano della Santa Sede. 1560-1620, Bologna 2004, ad ind.; Id., Note sui tesorieri generali della Camera apostolica e sulle loro carriere tra XVI e XVII secolo, in Offices et papauté (XIVe-XVIIe siècle). Charges, hommes, destins, a cura di A. Jamme - O. Poncet, Rome 2005, pp. 873 s., 883; M.G. Barberini - C. Giometti, Domenico Guidi e il monumento funebre per i cardinali Zacchia e Rondinini: un capolavoro ritrovato, in Bollettino d’arte, XCIII (2008), 145, pp. 115-120; G. Breccola, Z., L. (Luigi), in Dizionario storico biografico del Lazio, a cura di S. Franchi - O. Sartori, III, Roma 2009, p. 2008; Th.F. Mayer, The Roman Inquisition. A papal bureaucracy and its laws in the age of Galileo, Philadelphia 2013, ad indicem.

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