Latitudinarismo

Dizionario di filosofia (2009)

latitudinarismo


Corrente teologica della Chiesa anglicana, nata come filiazione ideale dell’arminianesimo anglicano dei primi decenni del sec. 17°. I latitudinari miravano a una discriminazione tra fondamentale e accessorio nel corpo delle credenze cristiane, una discriminazione tra quello che è ‘verità’ e quello che è ‘opinione’: il loro nome intendeva essere un chiaro riferimento a un’ampia estensione del campo della ‘opinione’, tale cioè da abbracciare il maggior numero possibile di cristiani. Sorto come reazione all’intransigenza puritana, con J. Hales e W. Chillingworth, il l. assunse carattere di mediatore tra questa e la teologia compromissoria di quel gruppo di teologi anglicani, quali L. Andrews, W. Land, Hooker, J. Taylor, che vengono riuniti sotto la comune denominazione di teologi carolini, anche se non tutti fiorirono sotto il regno di Carlo I (1625-41). Sotto la spinta del razionalismo, il l. diventò presto la filosofia religiosa, a carattere etico e antidogmatico, del centro moderato: se ne fecero portatori consapevoli i platonici di Cambridge (Cudworth, More, Benjamin Whichcote e A. Bury, già oscillanti tra l. e deismo). Con Eduard Stillingfleet e gli arcivescovi J. Tillotson e Th. Tenison, esso impronta la teologia ufficiale dell’anglicanesimo per tutta la prima metà del secolo: il moderato razionalismo, la fiducia nella tradizione, l’istanza mediatrice, che il l. rappresenta in una società che aspira profondamente alla concordia politica e religiosa dopo la rivoluzione del 1688-89, spiegano le ragioni del suo largo successo, la vittoria finale sul deismo, e la finale costituzione in Broad Church («Chiesa lata») all’interno della Chiesa anglicana. In questa funzione, il l. ha permesso alla Chiesa anglicana di esercitare un’influenza determinante sulla cultura del Settecento inglese. Il termine è anche usato, in senso più generico, per indicare un atteggiamento non rigoristico in materia religiosa.

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