LATERIZÎ

Enciclopedia Italiana (1933)

LATERIZÎ (dal lat. later "mattone"; fr. briques; sp. ladrillos; ted. Ziegeln; ingl. bricks)

Luigi SANTARELLA
Giuseppe LUGLI
Gustavo GIOVANNONI

Prodotti di varie forme e dimensioni, che si ottengono mediante indurimento per cottura di argilla opportunamente preparata e modellata. Sono materiali da costruzione di notevole importanza e molto diffusi, specie nelle zone di pianura, dove abbondano convenienti ed estesi giacimenti di ottime argille, facilmente lavorabili.

Data l'importanza grandissima che hanno acquistato questi materiali, la tecnologia della preparazione e lavorazione delle argille, della formazione degli elementi, del loro essiccamento e successiva cottura, si è venuta a mano a mano sviluppando secondo metodi meccanici e razionali, atti a dare un prodotto resistente e altamente idoneo ai diversi impieghi tecnici.

Fabbricazione. - Partendo dalla materia prima, l'argilla, il diagramma di fabbricazione dei laterizî comprende le seguenti operazioni: preparazione dell'argilla, modellazione ed essiccamento dell'impasto, cottura.

Preparazione dell'argilla. - L'argilla (v.) destinata alla fabbricazione dei laterizî è molto comune in natura, in strati e banchi siti, di solito, a poca profondità, sotto uno strato di terreno vegetale. È costituita, in prevalenza, della cosiddetta sostanza argillosa, silicato di alluminio idrato, colloide, frammista a diverse impurità quali la sabbia (detriti di quarzo), gli ossidi e solfuri di ferro, la pirite, la calce, il gesso, ecc. La composizione dell'argilla ha influenza sulle sue proprietà e le sue applicazioni (v. ceramica).

Così ha importanza il rapporto fra contenuto in sostanza argillosa e contenuto in sabbia. Questa, specie se è in granuli grossi, va eliminata; l'eliminazione però non sarà mai perfetta e, d'altra parte, una certa quantità di elementi sabbiosi è sempre utile alla lavorazione. Ora, secondo che l'argilla abbia maggior o minor contenuto di sostanza argillosa in confronto al contenuto in sabbia, essa sarà più o meno grassa; e a parità di contenuto sabbioso, sarà tanto più grassa quanto più fini sono gli elementi sabbiosi. Ugualmente secondo che il contenuto di sostanza argillosa sia più o meno grande, essa sarà più o meno plastica, cioè più o meno idonea ad assorbire acqua e a prestarsi alla modellatura. Al disseccamento, però, l'argilla più grassa presenta contrazioni maggiori e quindi maggiori pericoli di deformazioni o screpolature; e con cottura superiore a 120° quasi tutte le argille perdono senz'altro la proprietà di assorbire acqua. Questa diversa influenza del contenuto in sostanza argillosa o in sabbia, rende opportuno, qualche volta, delle correzioni di composizione, così da ottenere l'impasto tecnicamente migliore (v. ceramica).

Sulla proprietà dell'argilla ha anche importanza il contenuto in altre sostanze. L'ossido di ferro non è in generale dannoso; esso impartisce alla massa cruda colore giallo o bruno e durante la cottura una colorazione più o meno rossa; rende però la massa più fusibile, e va perciò eliminato se si vogliono ottenere materiali refrattarî. Il carbonato di calcio non nuoce se è in quantità minore del 20% circa e disseminato nella massa in pulviscolo; se è in granuli grossi è necessario eliminarlo o sminuzzarlo, poiché diversamente dopo cottura darebbe origine, dentro gli elementi, a granuli di calce viva, che idratandosi possono macchiarli o produrne addirittura il disgregamento. L'ossido di ferro e la calce, sotto forma di carbonato, dànno al laterizio con la cottura una colorazione giallognola; ciò non si verifica se nella combustione si producono dei gas solforosi capaci di trasformare il carbonato in solfato. La magnesia non nuoce se la massa contiene anche pirite o se i gas della combustione sono solforosi. Il gesso, la pirite, il vanadio devono essere eliminati. Così pure i composti di sodio e potassio solubili in acqua, perché producono delle emorescenze, e tutte le impurità di natura organica: foglie, radici, e anche sostanze animali, conchiglie, ecc. I composti di sodio e di potassio, se allo stato di feldspato, sono da eliminare solo quando l'argilla deve servire per materiali refrattarî, ma costituiscono dei componenti essenziali, insieme con le miche, quando si desidera una fusione della massa per renderla impermeabile, come per le porcellane e i grès ceramici.

La preparazione dell'argilla ha luogo attraverso una serie di operazioni che vanno dall'ibernazione allo sminuzzamento, all'affinazione e all'impasto.

L'ibernazione consiste nel lasciare l'argilla scavata all'aria, in cumuli di circa 1 metro di altezza, per tutta la stagione invernale, per modo che gli agenti atmosferici, e principalmente il gelo ed il successivo disgelo, possano operare il disgregamento delle zolle; l'operazione può essere favorita di tanto in tanto anche con un'aspersione d'acqua. L'epoca in cui ha inizio l'ibernazione è l'autunno, ma siccome ciò non è sempre possibile, specie nei grandi impianti in cui l'estrazione procede quasi in modo continuo, si supplisce all'ibernazione con l'estivazione, operazione analoga, che trae profitto dalle alternanze di pioggia e di sole in estate. La frantumazione ha lo scopo di ridurre i granuli in polvere estremamente fina: si pratica mediante le molazze, i cilindri laminatoi, le tagliatrici se l'argilla è umida, i molini a palle o i disintegratori, se l'argilla è asciutta (v. ceramica). La depurazione può precedere o seguire le operazioni descritte o non rendersi affatto necessaria, secondo le qualità dell'argilla e lo scopo cui deve servire: quando l'argilla deve servire per mattoni comuni o altri prodotti grossolani, l'epurazione viene eseguita facendo passare la massa attraverso stacci, nei quali dispositivi speciali asportano i granuli più grossi che non sono riusciti a passare attraverso i fori; se l'argilla deve servire per pezzi ornamentali è più opportuno spappolare la massa in grandi vasche, disintegrandola con agitatori, quindi, dopo averla fatta riposare per un tempo sufficiente a permettere il deposito delle impurità, immetterla in un'altra vasca attraverso stacci, preferibilmente contenuti in sfioratori regolabili in altezza, per lasciarla di nuovo riposare fino a deposito dell'argilla. Se la depurazione è praticata a secco, segue la bagnatura e il riposo dell'argilla. Si passa quindi a un'ulteriore raffinazione mediante serie di cilindri laminatoi rigati sempre più finemente; e finalmente all'impasto. L'impasto ha luogo mediante macchine costituite in generale (v. ceramica) da cilindri verticali od orizzontali, nel cui interno ruota un albero centrale provvisto di lame ad elica che hanno lo scopo di impastare la massa, spingendola contemporaneamente verso l'estremità opposta a quella di entrata. Alla bocca d'uscita dell'impastatrice sono attaccate quasi sempre le macchine a filiera, nelle quali passa direttamente l'argilla per esservi modellata.

Modellatura ed essiccamento. - La modellatura o formatura serve a dare alla pasta la forma e le dimensioni volute. Anticamente veniva eseguita a mano, costipando fortemente il pastone entro forme senza fondo adagiate sopra un piano cosparso di sabbia per modo da evitare l'adesione dell'argilla al banco (per quest'ultimo scopo era necessario insabbiare anche la forma) e ancora oggi essa è così eseguita per particolari applicazioni e per mattoni pieni. Nella maggior parte dei casi e negl'impianti di una certa importanza, l'operazione però viene eseguita a macchina, con pasta quasi asciutta o umida (fig. 1).

La formazione in pasta quasi asciutta si fa con macchine a revolver che comprimono fortemente il materiale entro gli stampi.

La modellazione della pasta molle si eseguisce con macchine a filiera. In queste propulsori elicoidali spingono il pastone e lo obbligano a passare attraverso la filiera. Se i pezzi sono forati si dispongono entro la filiera dei nuclei, che generano i fori, sostenuti da staffe. Queste ultime tagliano la pasta, ma siccome la sezione della filiera diminuisce verso l'estremità, il taglio si rinsalda nuovamente. Dalle filiere la pasta esce in modo continuo e scorre su piani costituiti da rulli. Fili di ferro o asticine, opportunamente distanziati e collocati, tagliano automaticamente il prisma indefinito di pasta uscente dalla filiera in elementi di lunghezza determinata. Eseguito il taglio ciascun pezzo o elemento viene preso opportunamente e adagiato sopra telai speciali per modo che non abbia a deformarsi durante l'essiccamento.

Le tegole ed altri pezzi speciali che non è possibile ottenere con macchine a filiera, si ottengono con stampi speciali comprimendo in essi opportunamente la massa di argilla lavorata.

Nello stabilire le dimensioni delle forme è necessario tenere conto del ritiro che subiranno i pezzi con l'essiccazione e con la cottura.

L'essiccazione è l'operazione durante la quale si fa perdere agli elementi parte dell'acqua d'impasto. Una tale operazione non è necessaria per gli elementi preparati con l'argilla quasi asciutta, i quali possono essere esposti senz'altro alla cottura. Agli elementi molto bagnati è necessario invece fare subire un'essiccazione graduale, lenta prima e poi sempre più rapida, man mano che diventano più asciutti.

I sistemi di essiccamento variano secondo il tipo di materiale. I mattoni comuni, ad esempio, sono essiccati su aie cosparse di sabbia e successivamente in muriccioli costruiti in gambetta per modo che l'aria possa circolare fra i pezzi. Le tegole si dispongono invece a gruppi e sopra graticci. Disposizioni razionali vengono prese per altri elementi. Durante il periodo di essiccazione i pezzi debbono venire sempre protetti, con mezzi adeguati, dalla pioggia e dalle azioni del sole e del vento, le quali ultime possono produrre rapidi essiccamenti.

Negl'impianti moderni si costruiscono dei locali speciali, chiamati essiccatoi, nei quali è possibile utilizzare i prodotti gassosi della combustione nella fornace (fig. 2).

Cottura. - La cottura si può fare all'aperto in cataste oppure in fornaci intermittenti e, meglio, in fornaci a fuoco continuo. La cottura in cataste serve per mattoni ordinarî e nei casi di produzione saltuaria. I mattoni vengono disposti in gambetta su muriccioli pure in gambetta di mattoni già cotti e fra i quali si brucia il combustibile costituito spesso da fascine. Fra i mattoni da cuocere si interpongono spesso mattoni già cotti e carbone in polvere. Alla catasta si dà la forma tronco-piramidale o conica e per evitare lo sperdimento di calore le superficie vengono spalmate di argilla. La cottura richiede 2 0 4 settimane. Il prodotto riesce sempre grossolano e in parte troppo cotto.

Meglio riesce una cottura nelle fornaci intermittenti, analoghe a quelle usate per la calce. Ma anche con questo metodo non si realizza una cottura uniforme. Una maggiore uniformità si ottiene invece con le fornaci a fuoco continuo tipo Hoffmann.

Sono costituite (fig. 3) da una galleria G, qualche volta a pianta circolare, ma più spesso a pianta rettangolare con raccordi semicircolari agli estremi, divisa in camere mediante lesene leggermente sporgenti. La galleria, larga 2-4 m., alta 2-3 m., è generalmente coperta da vòlta. Il numero delle camere è sempre superiore a 12. Nella fornace della fig. 3 sono indicate 16 camere; in quella schematicamente rappresentata nella fig. 4, ne sono indicate 20. Ciascuna camera comunica con l'esterno a mezzo di porte p, che possono essere chiuse da murature provvisorie di mattoni crudi, e con il canale del fumo f a mezzo di condotti i quali possono essere chiusi a piacere con valvole apposite. L'introduzione del combustibile, costituito da carbone triturato, ha luogo attraverso canaletti nel cielo della vòlta, i quali possono essere chiusi con coperchi di ghisa.

Il funzionamento della fornace è il seguente (fig. 4): le porte comunicanti con l'esterno delle camere 5, 6, 7, 8 sono aperte e permettono il passaggio dell'aria necessaria alla combustione. Nelle camere 5 e 6 si esegue la carica dei materiali crudi attraverso le porte esterne; le camere 7 e 8 vengono invece vuotate del materiale già cotto e raffreddato. Nelle camere 9, 10, 11, 12 è già passato il fuoco, in esse si trova materiale cotto e in periodo di raffreddamento, che viene facilitato dall'aria che entra dalle prime 4 porte aperte. Nelle camere 13, 14, 15 e 16 avviene la cottura ed è alimentato il fuoco dall'alto. In tutte le altre camere, il materiale crudo va man mano riscaldandosi per il calore ceduto dai prodotti gassosi della combustione, che dalle camere di cottura 13-16 debbono uscire dagli unici condotti del fumo aperti, quelle delle camere 2 e 3. La camera 4 è l'ultima nella quale è stato disposto il materiale crudo. È chiusa la comunicazione fra la camera 4 e la 5 con un semplice schermo di carta, sufficiente a impedire il passaggio dei gas della combustione. Caricata la camera 5, viene chiusa questa porta e la comunicazione con la camera 6, viene anche chiuso il condotto del fumo della camera 2, mentre viene aperta la 9 e il condotto del fumo della camera 4, in modo che i prodotti caldi della combustione possono bruciare facilmente lo schermo di carta fra le camere 4 e 5. Contemporaneamente, per quel che riguarda i canaletti d'immissione del carbone posti nel cielo della vòlta, si aprono quelli della camera 17 e vi si introduce il combustibile, mentre se ne sospende l'introduzione nella camera 13, per cui mentre in quest'ultima il fuoco va gradatamente spegnendosi, comincia ad ardere nella camera 17. I canaletti possono essere chiusi o aperti dall'esterno con coperchi di ghisa. In tal modo la cottura e tutte le operazioni si sono spostate di una camera, e così di seguito. Il lavoro generalmente viene disposto in modo tale da poter essere spostato ogni 24 ore di una camera.

Tipi di laterizî. - Le forme, dimensioni e caratteristiche dei laterizî variano notevolmente secondo l'uso cui gli stessi sono destinati e le consuetudini dei luoghi di fabbricazione e consumo. Si accennerà qui di seguito soltanto ai tipi comuni in uso nella tecnica costruttiva italiana.

I mattoni comuni per muri portanti hanno forma parallelepipeda rettangolare, con dimensioni medie di cm. 25 × 12 × 6. Si distinguono in albasi, mezzani o forti e ferrioli. I primi sono quelli che, per cottura imperfetta, riescono friabili, poco coerenti, gelivi, porosissimi, di tinta pallida. I secondi sono quelli a giusta cottura resistenti, giustamente porosi: percossi dànno un suono chiaro. I ferrioli sono mattoni che hanno subito una cottura più energica, fino a un principio di vetrificazione, e si presentano durissimi o pochissimo porosi. Il peso di volume varia da 1600 kg/mc. per mattoni comuni, a 1800 kg/mc. per quelli compressi e per i ferrioli. La resistenza alla compressione è di circa 100 kg/cmq. per i mattoni albasi, da 150 kg/cmq. fino a 900 kg/cmq. circa per i mezzani e i ferrioli. Speciali mattoni gresificati analoghi a quelli comuni, ma più resistenti, fabbricati con argilla ad alto contenuto di calce in polvere e ossido di ferro e cotti fino al principio di fusione, si usano per le costruzioni idrauliche, i rivestimenti di fognature, le pavimentazioni di cortili e spesso di strade. Analoghi ai mattoni comuni sono quelli di paramento, spesso forati, adoperati per le superficie esterne in vista dei muri: la fabbricazione di questi mattoni è più accurata e la resistenza alla compressione più elevata: devono risultare di colore uniforme e presentare superficie tale da poter essere riuniti con uno strato di malta molto sottile, di circa 1 mm. di spessore verso l'esterno e di 5-10 mm. verso l'interno. Mattoni forati di spessore variabile, con superficie striate per facilitare l'aderenza delle malte (fig. 5) si costruiscono per muri divisorî e tramezze. Il loro peso è di 1000-1200 kg/mc. e la resistenza è in generale superiore a 25 kg/cmq. su tutta la superficie, vuota e piena, mentre è superiore a 150 kg/cmq. sulla superficie resistente.

Laterizî forati di dimensioni e forme diverse, adattabili a qualsiasi spessore di pavimento si fabbricano per i solai misti di calcestruzzo e laterizî. Tavelle e tavelloni forati longitudinalmente (fig. 5) piani e curvi, di dimensioni diverse, che s'impostano sulle travi sono in uso per solai con camera d'aria. Le tavelle piane si adottano anche per la formazione di piani sottotegole, e per la formazione di muri non portanti con camera d'aria. Molto comuni sono anche, per questi tipi di solai, le volterrane (fig. 5) consistenti in conci forati per la formazione di voltine impostate sulle travi. Per questi elementi di solai, oltre ai requisiti dei mattoni forati, si richiede in genere che essi possano poter reggere, nelle condizioni di posa in opera, un peso concentrato, lungo la mezzaria, sufficientemente superiore al carico permanente e accidentale che potrà gravare sulla corrispondente striscia.

Le terrecotte si fabbricano con argille grasse e consistono in elementi ornamentali di forme diverse e spesso forati per evitare un eccessivo inutile peso. Le pianelle sono speciali elementi rettangolari o quadrati, con spessore di cm. 1,5-2, che si usano per pavimento. Debbono presentare speciali requisiti di resistenza alla rottura per flessione e urto, e all'usura.

Per copertura si fabbricano elementi di forme e dimensioni diverse: tegole piane, comunemente chiamate tegole marsigliesi (fig. 5), tegole curve (fig. 5), colmi (fig. 5), abbaini, comignoli, ecc.

Tubi di laterizî vengono costruiti per condotte di acqua, di fumo, di ventilazione, per comignoli, ecc. Essi debbono presentare spessori uniformi e speciali requisiti d'impermeabilità e di resistenza, specie quelli per condotte d'acqua. Per le condotte di fognature si adottano tubi di gres ceramico fabbricati con argilla povera di ferro e di calce e cotti ad altissima temperatura. Sono più resistenti e compatti dei laterizî comuni (v. gres).

I laterizî comuni, quando debbono servire per rivestimenti di stufe e di pareti, vengono vetrificati. Per rivestimenti di pareti servono però meglio le piastrelle dî maiolica smaltate o verniciate. Per rivestimenti di forni e stufe, servono i mattoni refrattarî, fabbricati con argille refrattarie contenenti quantità inferiori al 2% di ossido di ferro e cotte ad altissime temperature. In queste argille scarsa deve essere anche la presenza della sabbia e del quarzo. Speciali mattoni refrattarî di bauxite, detti anche mattoni alluminosi, si fabbricano per forni siderurgici. I dinas, formati essenzialmente di silice, servono per i forni Martin-Siemens e in generale per tutti quelli in cui non si hanno produzioni di scorie o sostanze basiche; dove invece vi sono di queste produzioni si adottano i refrattarî basici formati di magnesite o di cromite. I dinas possono sopportare temperature fino a 1700°, i refrattarî basici di magnesite, temperature fino a 2000°. Un eccellente materiale refrattario è fornito anche da un miscuglio di grafite e argilla. Questo materiale, di grande conducibilità termica, serve per far crogioli per la fusione dell'acciaio.

A molti altri usi servono i laterizî ma non li enumereremo per non dilungarci troppo. La plasmabilità della pasta dà del resto una vasta idea del suo diffuso impiego. Per i requisiti necessarî, ci si riferisce generalmente alle prescrizioni normali per l'accettazione dei materiali delle Ferrovie dello Stato. Fra i principali sono quelli di resistenza alle varie sollecitazioni a cui possono essere sottoposte in opera e di cui abbiamo dato un cenno, e la resistenza agli attacchi degli agenti atmosferici, specie al gelo e disgelo. Questa resistenza, che ne caratterizza la durevolezza, viene comunemente determinata con la prova di Bard, consistente nel sottoporre alcuni campioni degli elementi allo stato di imbibimento, ad alternanze di temperatura da −15° e +35° e all'azione della cristallizzazione del solfato sodico. Essi dovranno poter resistere per almeno 40 esperienze, senza dar luogo a disgregazione o ad alterazioni.

L'industria in Italia. - Nel 1928 si calcolava che esistessero in Italia 3176 ditte producenti laterizî di ogni tipo, nonché piastrelle e lavori in cemento, con 76.727 addetti. La maggiore concentrazione dell'industria si notava in Lombardia con 359 ditte e 15.410 addetti, nell'Emilia con 238 ditte e 12.069 addetti, in Piemonte con 346 ditte e 10.661 addetti, nel Veneto con 277 ditte e 9349 addetti. L'industria, che ha introdotto le macchine verso il 1880, produce ogni tipo di laterizio, dai mattoni comuni ai mattoni forati, alle volterrane, tavelloni, ecc. Specialmente importante è la produzione dei mattoni forati, di cui si fa anche esportazione per qualche milione di lire, e di tavelloni, questi ultimi concentrati in poche zone e particolarmente nella Valle del Po e nella Toscana.

Bibl.: E. Bourry, Traité des industries céramiques, Parigi 1897; A. Granger, La céramique industrielle, Parigi 1905; A. Carena, L'industria dei laterizi, Torino 1911; E. Artini, Mineralogia e materiali da costruzione, Milano 1920.

L'opera laterizia.

L'uso dei laterizî, e in particolare dei mattoni, che sono laterizî di speciale forma parallelepipeda da cui deriva ai muri una regolarità di conformazione e di struttura (vedi muro), è antichissimo per le costruzioni murarie sia nel tipo delle formelle d'argilla cruda sia in quello di veri e proprî mattoni cotti; ed è caratteristico delle regioni vallive, come la pietra lo è delle regioni collinose o montane, sicché nei regimi localistici è quasi limitato a quelle (ad esempio nell'architettura medievale dell'Emilia e della bassa Lombardia). In particolare è stato caratteristico nella remota antichità delle costruzioni della Mesopotamia nel periodo caldaico e in quello assiro.

L'uso di costruire le pareti con materiale laterizio cotto in fornace comincia presso i Romani soltanto nell'età di Augusto. È strano che, mentre fin dall'età del ferro era nota l'arte di cuocere la creta entro forni appositamente fabbricati, solamente molti secoli dopo si giunse a usare questa materia, così dura e resistente alle intemperie, anche nella struttura esterna dei muri, in luogo del rivestimento di pietra (v. incerta, opera; reticolata, opera). Qualche esempio sporadico si trova già prima di Augusto, ma si tratta di casi particolari, cioè di pareti soggette a un'umidità accentuata, come le celle di alcuni sepolcri (cfr. le tombe di Cecilia Metella e di Caio Cestio); in tal caso l'opera laterizia non è formata di veri mattoni, bensì di tegole spezzate e regolarizzate ad arte.

Le pareti non venivano costruite con mattoni interi, ma solo il paramento, o cortina, era di mattoni, mentre il nucleo interno era di opera a sacco, formata di scaglie di pietra miste con malta (v. cementizia, opera); per fare meglio aderire le due materie, i mattoni si segavano a triangolo, o, più frequentemente, si spezzavano, in modo da mettere la base in facciata e il vertice nell'interno del muro, incastrato nella massa cementizia.

Alcune norme di spessore e di cottura regolano l'opera laterizia durante l'impero, e ci permettono di dare una datazione abbastanza esatta ai monumenti costruiti con essa. Nei primi due secoli dell'impero l'opera laterizia fu usata o sola o frammista col reticolato di tufo (opus mixtum); nel sec. II fu usata quasi sempre sola e dalla fine del III in poi si preferì di alternarla con blocchetti parallelepipedi di tufo, disposti in piano (opus listatum). Tale sistema prosegue per tutto il Medioevo con proporzioni sempre più ridotte di mattoni, finché questi scompaiono del tutto e restano i soli tufelli a scaglie piuttosto irregolari.

Spesso l'opera laterizia ebbe speciale valore decorativo quando costituì paramento apparente delle murature e fu allora talvolta ornata di speciali elementi appositamente tagliati o di vere e proprie terrecotte, ovvero trasse dal vario colore il suo effetto.

Nel periodo romano le regolari cortine di tanti monumenti, i laterizî intagliati in cornici, capitelli, edicole a Pompei, Ostia, Roma, le decorazioni policrome rinvenute nelle terme di Villa Adriana o nelle tombe della Via Appia o della Latina, ce ne mostrano esempî numerosissimi, specialmente dei secoli I e II.

Il periodo prebizantino e bizantino accentua questo tipo architettonico, ad esempio nella tomba di Galla Placidia e in S. Vitale di Ravenna e nelle chiese di Salonicco e di Costantinopoli, poi nelle derivazioni venete e calabresi, e introduce spesso ornati geometrici a mensoline e denti di sega, o a speciali formelle; e i campanili e le chiese di Roma dal sec. IX al XII, le chiese di Torcello e di Murano ecc. ne mostrano tardi ma interessanti esempî. Nello stile lombardo e nel gotico italiano la costruzione apparente in mattoni è caratteristica di quasi tutta l'Italia settentrionale (esempî: S. Ambrogio di Milano, interno della cattedrale di Modena, chiese di Cremona, di Crema, di Chiaravalle della Colomba, torri di Bologna ecc.); talvolta è resa più varia, come nei monumenti veronesi, da una stratificazione alterna con corsi di pietra; talvolta si abbellisce, come nella chiesa del S. Sepolcro di Bologna, di formelle e d'intrecci di complesso disegno, finché nei secoli XIV e XV diviene normale nell'Italia settentrionale e nelle Marche e in parte della Toscana, l'uso delle terrecotte ornamentali, di ricchi disegni ad arcatelle, a scacchiera, a volute, nelle cornici e negli archivolti (esempî: S. Maria della Strada di Monza, Loggia della Mercanzia e palazzo comunale di Bologna, S. Maria Addolorata e chiesa dei Frari di Venezia, finestre in S. Gimignano, archi in Ancona, chiostri della Certosa di Pavia, ecc.). La stessa tendenza ad accentuare la decorazione laterizia, ma frastagliandola in sottili ricami geometrici, partiva dalle arti musulmane, e trovava in Spagna le più caratteristiche espressioni nel cosiddetto stile mudejar; anche derivavano dalla stessa fonte le tante applicazioni architettoniche della maiolica all'interno e all'esterno degli edifici.

Nel pieno Rinascimento italiano e nel periodo successivo l'opera laterizia abbandona l'ornato sottile per dare frequente conformazione organica alla cortina di mattoni, o semplice o a disegno nelle facciate dei palazzi o delle chiese (ad es. nel palazzo Farnese a Roma, nei cortili del palazzo di Urbino, nel castello di Caprarola) ovvero, specialmente nell'Emilia e più tardi nel Piemonte, dà conformazione architettonica di paraste e cornici intagliate, di mostre sagomate e di nicchie, a interi prospetti (es. palazzo degli Strazzaroli a Bologna, casa dell'Ariosto e belvederi del Castello a Ferrara S. Pietro di Modena, opere bramantesche a Milano, il Collegio romano a Roma, l'Annunziata di Parma, il palazzo Carignano di Torino, le cupole e le torri del Borromini e del Guarini ecc.).

Nel tempo moderno le applicazioni architettoniche dell'opera laterizia son tornate, e sempre più tornano, ad avere importanza e diffusione grandissime, prevalentemente secondo il tipo di conformazione di superficie che è il più consono alle tendenze attuali verso la nuda semplicità e la mancanza di risalti e di ornati. In Italia invero le opere di questo tipo non sono le più frequenti (esempî: chiesa del Corpus Domini in Bologna, villino Salandra e chiesa di S. Teresa in Roma, Università cattolica in Milano, ecc.); frequentissime invece nella nuova architettura dell'Olanda e della Germania (es.: Colombarium a Westerweld, scuola di Hilversum, edifici industriali Siemens a Berlino, Planetario di Norimberga, ecc.), pur essendo spesso sostituite da speciali intonachi o da rivestimenti di lastre sottili di pietra vera o artificiale.

V. tavv. LXXI-LXXIV.

Bibl.: A. Nibby, Del Foro Romano, della Via Sacra, ecc., Roma 1828; Introduzione; L. Gruner, Terra-Cotta Architecture of North Italy, Londra 1867; G. E. Street, Brick and Marble in the Middle Ages, Londra 1874; P. Chabat, La brique et la terricuite, Parigi 1881-90; O. Runge, Beiträge zur Kenntniss der Backsteinarchitektur in Italien, Lipsia 1884; J. Lacroux e C. Detain, Constructions en briques, Parigi 1882-84; H. Strack, Ziegelbauwerke des Mittelalters A. und der Ren. in Italien, Berlino 1889; L. Archinti, Gli stili dell'Architettura, Milano 1895; E. Van Deman, Methods of determining the date of Roman concrete Monuments, in Journal of archaeological Institute of America, 1912; C. Roccatelli e E. Verdozzi, Brickwork in Italy, Chicago 1925; M. Piacentini, Architettura d'oggi, Roma 1930; C. Formenti, La pratica del fabbricare, 2ª ed., Milano 1933.

Bolli laterizî.

Si trovano di frequente nelle tegole e nei mattoni romani, per indicare sia il proprietario dell'officina (figlina) dove i mattoni erano fabbricati sia il nome dell'appaltatore o del servo che li aveva fabbricati, alcune volte sui bolli si trova scritto anche il nome del proprietario del fondo donde era stata tratta l'argilla, e questo non di rado è lo stesso imperatore, o l'imperatrice o un altro membro della famiglia imperiale. I bolli più antichi sono impressi sulle tegole, in quanto i mattoni per paramento dei muri compaiono soltanto sotto il regno di Tiberio: sono rettangolari, a una sola riga, con lettere rilevate o più raramente cave; quindi diventano semicircolari, lasciando un tondino nel mezzo (orbiculus), poi di forma lunata e infine di forma rotonda. I mattoni marcati sono rari fino all'età dei Flavî; divengono poi, comuni nel sec. II d. C.; cessano da Caracalla a Diocleziano e quindi riprendono fino a Teodorico che ne ha lasciato un gran numero. Le date consolari non si trovano prima del 110 e cessano del tutto col 164. L'anno più frequente inciso sui bolli è il 123 che ricorda forse una concessione speciale fatta da Adriano ai fabbricanti di laterizî.

Le matrici erano di legno duro, di quercia o di bosso, con lettere incise a mano e non con caratteri mobili come qualcuno ha pensato; una figlina poteva possedere più tipi differenti di bolli, ed è probabile anzi che in ogni nuova emissione di laterizî si cambiasse il simbolo di fabbrica che poteva essere una pigna, un ramo di palma, una statuetta di divinità o di animale, ispirato talvolta al nome del fabbricante.

Bibl.: H. Dressel, in Corpus Inscr. lat., XV, parte 1ª, Introduzione.