LASER

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

LASER

Alberto Renieri
Alberto Renieri-Giuseppe Dattoli
Paolo Laporta
Carlo Alberto Sacchi

(App. IV, II, p. 301)

Nuovi tipi di laser. - La famiglia delle sorgenti di radiazione coerente nella regione spettrale che va dal lontano infrarosso fino all'ultravioletto comprende oggi un numero molto elevato di differenti dispositivi. Svariati nuovi tipi di l. si sono aggiunti a quelli realizzati nei primi anni di sviluppo di queste sorgenti. Tra questi dispositivi alcuni sono basati su principi di funzionamento completamente nuovi, come i l. a elettroni liberi (v. oltre: Fel) nei quali il mezzo attivo è un fascio di elettroni e non un insieme di atomi o molecole. Tra le nuove sorgenti di tipo tradizionale (che cioè utilizzano l'emissione stimolata da stati legati) alcune si basano sull'estensione a nuovi materiali (e dunque, in particolare, a nuove regioni spettrali) delle tecniche già collaudate (v. App. IV, ii, p. 301). Molti sono infine i tipi di l. che utilizzano schemi di operazione completamente nuovi, come, per es., i l. a eccimeri, i l. a vapori metallici, i l. a pompaggio ottico, i l. a centri di colore. A tali sorgenti vanno aggiunti tutti quei dispositivi che, sfruttando processi non lineari in opportuni materiali, sono in grado di spostare la lunghezza d'onda, accrescendo notevolmente le regioni spettrali coperte dai l. esistenti.

Laser a eccimeri. - Nel l. a eccimeri il mezzo attivo è costituito da molecole che esistono come sistemi legati solo in stati eccitati, in quanto lo stato fondamentale non è legato o lo è molto debolmente. Per tali specie Stevens e Hutton suggerirono il termine ''eccimeri'' (dimeri eccitati) per distinguerli dai normali stati molecolari eccitati. L'opportunità di usare tali sistemi molecolari come mezzo l. discende dal fatto che in essi la differenza di popolazione tra lo stato superiore n2 e quello inferiore n1 è massima, in quanto, non essendo lo stato inferiore legato, si ha sempre n1=0, per cui è massimo il guadagno, che è proporzionale a tale differenza.

Nella fig. 1 sono riportate, come esempio, le curve di energia potenziale, in funzione della distanza interatomica, di una tipica molecola biatomica ''eccimero''. La curva a si riferisce allo stato fondamentale (che non è legato), la b allo stato eccitato elettronico. La frequenza della radiazione prodotta, che è proporzionale alla differenza di energia ΔE tra i due stati, è compresa nella regione spettrale che va dal visibile all'ultravioletto. La prima osservazione sperimentale di emissione l. da eccimeri si è avuta in molecole di gas nobile puro (N.G. Basov e coll.). Con tali sistemi si è prodotta radiazione di lunghezza d'onda molto corta (Xe, 172 nm; Kr, 146 nm; Ar, 126 nm). In seguito si è ottenuta azione l. sia con alogenuri di gas nobile (RGH, Rare Gas Halogen) sia con eccimeri a vapori metallici. Attualmente il maggiore sforzo di ricerca e sviluppo è indirizzato verso questi ultimi due tipi di sistemi, le cui caratteristiche hanno permesso di realizzare sorgenti l. di notevole interesse applicativo (v. oltre: Applicazioni).

I l. a eccimeri RGH utilizzano come mezzo attivo una molecola formata da un gas nobile (Ar, Kr, Xe) e da un alogeno (F, Cl, Br). Tali molecole emettono in una banda molto ampia nella regione ultravioletta, come si può rilevare nella tab. 1, dove sono riportate, per le varie specie molecolari, le lunghezze d'onda della radiazione prodotta. Il meccanismo di formazione dell'eccimero è abbastanza complesso e coinvolge un notevole numero di reazioni a due e tre corpi.

Nello schema più generalmente usato, una piccola quantità di gas nobile e di alogeno vengono mescolati in alcune atmosfere di un gas nobile più leggero (tipicamente He, Ne o Ar). La maggior parte dell'eccitazione elettrica viene utilizzata per eccitare gli atomi della specie più leggera di gas nobile (che è dominante). Questi trasferiscono poi l'eccitazione al gas nobile che dovrà formare l'eccimero, che sarà così in grado di formare, con l'alogeno, la molecola RGH nello stato eccitato (stato b nella fig. 1). L'eccitazione elettronica può essere ottenuta in vari modi, con fascio di elettroni o protoni oppure, più comunemente, con una scarica sostenuta da un fascio di elettroni o autosostenuta dopo ionizzazione mediante radiazione ultravioletta o raggi X. Come esempio è riportato in fig. 2 lo schema di un l. a eccimeri con preionizzazione a raggi X. Le tipiche caratteristiche dei sistemi commerciali sono riportate nella tab. 2 per gli eccimeri RGH più utilizzati. In sistemi sperimentali la massima efficienza totale è stata ottenuta in l. a scarica (fino a 4% con XeCl), mentre la massima energia per impulso è stata prodotta in l. con pompaggio mediante fascio di elettroni (fino a 2500 J in KrF).

Gli eccimeri a vapori metallici, l'altro tipo di eccimero insieme ai RGH attualmente in fase di sviluppo, sono costituiti da molecole biatomiche (AB) in cui la specie A è un atomo di metallo del i, ii o iii gruppo, mentre la specie B è, tipicamente, un gas nobile, un metallo del ii gruppo oppure un alogeno. Grande è la varietà delle specie che possono così essere utilizzate per realizzare l. che operino sia nel visibile che nell'ultravioletto.

Buoni risultati sono stati ottenuti con il sistema operante con HgBr* (l'asterisco indica che la molecola si trova in uno stato eccitato) a scarica autosostenuta con preionizzazione sia a raggi ultravioletti sia a raggi X. La lunghezza d'onda di operazione per tale specie è 502 nm, con energie massime ottenute (per impulso) dell'ordine di 3 J ed efficienza totale pari al 2%.

Laser a vapori metallici. - In questo tipo di l. il mezzo attivo è costituito da atomi metallici neutri, sotto forma di vapore, eccitati da una scarica elettrica. I l. a vapori metallici vanno distinti perciò dai l. a eccimeri a vapori metallici, prima descritti, nei quali il mezzo attivo è costituito da molecole eccitate.

Nella fig. 3 sono riportati, come esempio, i livelli energetici relativi alle due righe (gialla e verde) del l. a vapori di rame. L'eccitazione al livello superiore viene fatta mediante impatto elettronico in un tubo a scarica longitudinale (come nei l. HeNe; v. App. IV, ii, p. 301) in gas inerte (tipicamente qualche centinaio di torr di Ne). Le prime sorgenti di questo tipo furono realizzate fin dai primi anni dello sviluppo della tecnologia l., ma i problemi tecnologici connessi principalmente con l'operazione ad alta temperatura necessaria per la produzione dei vapori metallici ne limitarono fortemente la diffusione (si pensi che nel primo l. di questo tipo realizzato da W.T. Walter nel 1966 occorrevano 5 kW solo per il riscaldamento ed erano necessarie sette ore per raggiungere la temperatura di operazione). Si dovette attendere la fine degli anni Settanta perché venisse realizzato il primo l. a vapori metallici di caratteristiche interessanti, principalmente sotto il profilo dell'efficienza, potenza prodotta e affidabilità. L'innovazione più rilevante fu l'eliminazione del forno per produrre i vapori metallici, che venivano invece generati dal riscaldamento prodotto dalla scarica stessa (da notare che, in generale, tale riscaldamento è un inconveniente per gli altri l. a scarica, per i quali è perciò richiesto un opportuno sistema di raffreddamento). Nella tab. 3 sono state riportate le lunghezze d'onda di operazione dei più comuni l. a vapori metallici. L'efficienza totale di queste sorgenti è ≈1%, la potenza media è dell'ordine di molte decine di watt per i l. a vapori di rame e di qualche watt per gli altri con durata dell'impulso di alcune decine di ns e frequenze di ripetizione di alcune decine di kHz. Infine il tempo di riscaldamento è passato dalle molte ore dei primi esemplari a poche decine di minuti.

Laser a pompaggio ottico. - Laser Molecolari Pompati Otticamente (OPML) permettono attualmente di coprire una regione spettrale di elevato interesse scientifico e applicativo, che va dal vicino al lontano infrarosso (fino alle onde millimetriche). In tali l. la radiazione di pompa porta il mezzo attivo su un livello vibrazionale eccitato (fig. 4), da cui può decadere su un altro livello vibrazionale (in tal caso si genera radiazione nel medio infrarosso), oppure si può avere una transizione tra due livelli rotazionali dello stesso stato eccitato vibrazionale (si produce così radiazione nel lontano infrarosso). Il l. di pompa più usato è quello ad anidride carbonica, sia per l'elevata potenza degli impulsi prodotti (molti MW sulla singola riga), sia per il fatto che numerose molecole presentano bande di assorbimento nella regione di accordabilità di tale l. (9÷11 μm).

Nella tab. 4 sono riportate le caratteristiche più salienti di alcuni tra i più importanti OPML operanti sia nel medio che nel lontano infrarosso. I livelli di potenza ottenibili sono di notevole interesse: alcuni di tali l. forniscono, infatti, svariate centinaia di kW di picco, mentre si riesce a raggiungere alcune centinaia di MW in operazione continua.

Laser a centri di colore. - Nei l. a centri di colore il mezzo attivo è costituito da particolari ''difetti'' (o buche) del reticolo cristallino di cristalli isolanti (vacanze, atomi interstiziali, ecc.), che sono in grado d'intrappolare elettroni. Tali difetti determinano la colorazione del cristallo; per questo sono detti centri di colore o centri F (dal tedesco Farbe, ''colore'').

In fig. 5 è riportato, come esempio, il caso di una ''vacanza'' nel reticolo cubico del cloruro di potassio, cioè la mancanza di uno ione negativo (in questo caso del cloro). Quando un elettrone viene catturato in tale vacanza (al posto dello ione mancante), si forma un centro F. È questo il più semplice tipo di centro di colore (che, però, non è attivo dal punto di vista laser). Se uno degli ioni positivi che circonda la vacanza è sostituito da un diverso tipo di metallo (per es. il litio al posto del potassio nel caso prima riportato [KCl:Li]), il centro viene denominato FA, mentre, se le impurezze sono due, si ha un centro FB. Si possono, infine, avere situazioni più complesse, come un sistema formato da due centri F adiacenti senza impurezze (F2) o con un atomo di metallo alcalino come impurezza ((F2)A) oppure ionizzato una volta (F2+). Un caso a parte è il centro Tl°(l), nel quale un atomo neutro di tallio è perturbato dal campo di una vacanza adiacente. In tale centro la struttura elettronica è più simile a quella di un atomo di tallio che a un centro F perturbato.

Mediante un'opportuna radiazione di pompa è possibile portare il centro di colore così formato a un livello eccitato, dal quale poi decadrà, con una vita media tipicamente dell'ordine di alcune decine di ns, nello stato fondamentale. La frequenza della radiazione emessa non sarà però uguale a quella di eccitazione, in quanto nella nuova configurazione che si viene a formare quando il centro di colore è eccitato cambiano le forze intercristalline, e dunque anche la disposizione geometrica degli ioni intorno al centro di colore, per cui cambiano anche i livelli energetici e conseguentemente la frequenza della radiazione emessa.

Nella fig. 6A sono riportati, come esempio, i livelli energetici configurazionali di un centro di colore nello stato fondamentale e nel primo stato eccitato. Nella fig. 6B è invece riportato lo schema semplificato a quattro livelli. Nella fig. 7, infine, sono riportate le bande di assorbimento e di emissione per la transizione fondamentale del centro F2+ nel cristallo KF. Lo spostamento in frequenza tra le due bande è detto spostamento Stokes, come nel caso del processo Raman. La differenza di energia tra il fotone di eccitazione e quello emesso è assorbita dal riassestamento del reticolo (transizioni indicate come rilassamento in fig. 6B) e cioè vengono prodotte, insieme al fotone emesso, onde fononiche nel cristallo. In tal modo, essendo la riga di emissione separata da quella di assorbimento, è possibile ottenere effetto l., se il riassorbimento da parte del cristallo e le perdite della cavità ottica sono minori del guadagno per emissione stimolata.

Il primo l. a centri di colore fu sviluppato nella prima metà degli anni Sessanta da Fritz e Menke. Per avere però un dispositivo veramente utilizzabile (non a livello di ''curiosità di laboratorio'') si dovette attendere la metà degli anni Settanta, quando Mollenauer e Olson realizzarono il primo l. a centri di colore accordabile (vedremo che questa è una caratteristica peculiare di tali sorgenti) e operante in continua, la cui configurazione è, in pratica, quella attualmente adottata per sorgenti di questo tipo.

Nella tab. 5 sono riportati i più interessanti l. a centri di colore fino a oggi realizzati. Una caratteristica importante di tali l. (che, come si vede nella tab. 5, operano nel vicino infrarosso) è la larghezza di riga, che può arrivare fino a qualche kHz, valore tra i migliori ottenibili con sorgenti l. (per questa ragione tali l. possono avere utilissime applicazioni nella spettroscopia ad alta risoluzione e nel campo delle comunicazioni tramite fibre ottiche). Inoltre, data la notevole larghezza di riga omogenea, sono largamente accordabili (v. tab. 5).

È interessante notare, a questo proposito, le notevoli analogie tra i l. a centri di colore e i l. a colorante organico (v. App. IV, ii, p. 301). Tali analogie non si limitano alla prima citata larghezza omogenea (e dunque alla grande accordabilità) e alla separazione tra gli spettri di assorbimento e di emissione, ma riguardano la tecnologia stessa di costruzione di tali l., molto simile a quella dei l. a colorante, dove, però, un cristallo di spessore dell'ordine del millimetro sostituisce il getto di liquido colorante. L'efficienza di tali l. è notevole, come si può ricavare dalla tab. 5, e può arrivare fino al 50%. In generale il limite in potenza è dato dal calore che è necessario dissipare nel cristallo (dovuto alla creazione di fononi nei processi di rilassamento cui prima si è fatto cenno). Infatti laddove lo spostamento Stokes è più piccolo, maggiori sono le potenze di uscita.

Uno dei problemi più limitanti per l'uso di l. a centri di colore è la necessità di operare alla temperatura dell'azoto liquido (77 K). In realtà, alcuni l. riescono a lavorare a temperatura ambiente, ma a prestazioni molto ridotte. Le ragioni di questo comportamento sono molteplici e vanno dalla creazione, a temperatura ambiente, di specie che assorbono la radiazione l., fino alla fotodistruzione del centro di colore stesso. Riguardo a quest'ultimo punto va segnalata, in generale, una più o meno spiccata ''instabilità'' dei centri di colore, il che contribuisce a rendere tali sorgenti di utilizzo più difficile, giustificato però dalla peculiarità e, in qualche caso, unicità delle loro caratteristiche.

Conversione di lunghezza d'onda. - Vanno infine ricordati i sistemi che utilizzano processi ottici non lineari per la conversione della lunghezza d'onda di radiazione coerente, come la diffusione Raman stimolata, la generazione di armoniche e il mixing ("mescolamento") di più onde (con somma e/o differenza delle frequenze).

Tratteremo qui in dettaglio il processo di diffusione Raman stimolata (SRS, Stimulated Raman Scattering), che è tra i più importanti meccanismi non lineari utilizzati per estendere la banda di operazione di l. di scarsa accordabilità, come il l. ad anidride carbonica, il l. Nd-YAG, i l. a eccimeri. Per quanto riguarda la generazione di armoniche e il mixing a più onde, che sono processi parametrici che non comportano trasferimento di energia tra il mezzo non lineare e la radiazione (come accade invece nei l. Raman), ma semplicemente uno scambio di energia tra le varie onde elettromagnetiche coinvolte nel processo, v. ottica non lineare, App. IV, ii, p. 701.

In fig. 8 è riportato il tipico schema di emissione di un mezzo attivo Raman. Un fotone di frequenza νP (radiazione di pompa) viene assorbito e il sistema (atomico o molecolare) viene portato sul livello eccitato ''virtuale'' (2), per poi decadere immediatamente sul primo livello eccitato (1) emettendo un fotone di frequenza νS (riga Stokes) minore di quella di pompa. Con l'assorbimento di un nuovo fotone di pompa νP seguito da un successivo decadimento nel livello fondamentale si ha l'emissione di un fotone di frequenza νAS (riga Anti-Stokes) maggiore di quella di pompa. In tal modo è possibile generare, a partire da una radiazione di una data frequenza, due nuovi fasci di radiazione con frequenze spostate rispetto a quella di pompa della quantità ±Dν relativa alla distanza in energia tra lo stato fondamentale e il livello eccitato [1] (v. fig. 8). Se il fascio di radiazione incidente è coerente, si avrà, tramite il processo SRS, produzione di radiazione l. a frequenza νS e νAS.

Si può avere inoltre, dai successivi processi SRS in cascata cui va incontro la radiazione Raman prodotta, la produzione di righe Stokes e Anti-Stokes di ordine più elevato. I l. Raman permettono così di spostare in frequenza la radiazione prodotta da altri l. (per es. l. a CO2) andando così a coprire zone dove non esistono sorgenti l. di caratteristiche adeguate. L'effetto Raman stimolato fu osservato per caso la prima volta agli inizi degli anni Sessanta in una cella Kerr a nitrobenzene, utilizzata per il Q-switching di un l. a rubino (v. App. IV, ii, p. 301). Si osservò una perdita non prevista della radiazione l. in tale cella. Un'indagine accurata rivelò la presenza di radiazione a lunghezza d'onda maggiore (nell'infrarosso) di quella del l. a rubino (radiazione rossa). Questo effetto fu correttamente interpretato come SRS nel nitrobenzene. La notevole gamma di materiali attivi Raman ha reso possibile la generazione di radiazione in regioni spettrali prima non raggiungibili, sia nell'infrarosso sia nell'ultravioletto.

Si veda, per es., per l'ultravioletto, la tab. 6, dove sono riportate alcune righe Stokes (S) o Anti-Stokes (AS) ottenute a partire dalla radiazione generata da l. a eccimeri, mentre in tab. 7 sono riportate le righe isolate e in tab. 8 quelle accordabili (per riga) dal vicino al lontano infrarosso (10÷1500 μm), ottenute a partire da l. impulsati a CO2. Da notare infine che, per l'ultravioletto, si sono ottenute efficienze di conversione fino al 50%, con energie per impulso fino al joule.

Una menzione meritano i l. Raman a fibra ottica. Le nonlinearità nei materiali utilizzati per le fibre ottiche (come la silice pura o drogata) sono più di due ordini di grandezza più deboli dei tipici mezzi attivi Raman. Tale svantaggio viene però recuperato dalla lunghezza della zona d'interazione (tipicamente alcune centinaia di metri) e dalla piccolezza della sezione della fibra (qualche μm). In tal modo è possibile osservare SRS anche a bassi livelli di potenza di pompa (fino al watt di potenza di picco). Utilizzando un l. Nd-YAG come pompa (v. fig. 9, dove è riportato lo schema tipico di un l. Raman a fibra ottica) è possibile coprire con continuità un intervallo molto esteso di lunghezze d'onda: da 1,064 μm (Nd-YAG) fino a circa 1,7 μm.

L'amplificazione Raman in una fibra di lunghezza L e sezione S con una potenza di pompa P può essere scritta nella forma

Amplificazione ≈ exp(gPL/S),

dove g è il coefficiente di guadagno che dipende dalla fibra utilizzata e dalla lunghezza d'onda di pompa. Come esempio in fig. 10 è riportato tale parametro in funzione dello spostamento in frequenza per una fibra di silice fusa con lunghezza d'onda di pompa di 1 μm (tale quantità varia con l'inverso della lunghezza d'onda). Altri materiali presentano valori di coefficiente di guadagno notevolmente diversi (per es. con GeO2 puro si ha un aumento di un fattore nove rispetto alla silice). Si deve inoltre tenere conto dell'assorbimento della radiazione di pompa dovuto alle perdite lungo la fibra. Questo fenomeno pone un limite sulle massime lunghezze di fibra che si possono effettivamente utilizzare (per es. con un'attenuazione di 1 dB/km la lungheza ottimale è di circa 4 km). Le efficienze di conversione possono essere molto elevate, in effetti si può arrivare a convertire completamente la radiazione di pompa in quella Raman. Inoltre i fotoni Stokes così generati si comportano, nel propagarsi lungo la fibra, come radiazione di pompa, generando così righe Stokes di ordine più elevato. La corretta progettazione di un l. di questo genere dovrà perciò tenere conto di questo fenomeno. Vedi tav. f.t.

Bibl.: O. Svelto, Principles of lasers, New York 1982; Excimer lasers, a cura di Ch. K. Rhodes, Berlino 19842; Laser handbook, voll. 4-5, a cura di M. Bass e M.L. Stitch, Amsterdam 1985; P. W. Milonni, J. H. Eberly, Lasers, New York 1988; Handbook of solid state lasers, a cura di P. K. Cheo, ivi 1989; P. Das, Lasers, ivi 1991.

Laser a elettroni liberi: FEL. − Sul finire degli anni Settanta lo scenario delle sorgenti l. accordabili si è arricchito di un ulteriore elemento: il l. a elettroni liberi, ovvero FEL, dall'inglese Free Electron Laser. Il meccanismo di generazione di radiazione coerente di questa nuova sorgente è affatto diverso da quello dei sistemi convenzionali, in quanto è basato non sul processo di emissione stimolata da parte di un sistema atomico o molecolare, in cui sia stata realizzata un'inversione di popolazione (v. App. IV, ii, p. 301), bensì sul processo di emissione stimolata da parte di elettroni ultrarelativistici in una struttura magnetica particolare, costituita da una successione di poli nord e sud alternati, che costringono il fascio di elettroni a seguire una traiettoria oscillante, come illustrato in fig. 11. Per questa ragione tale magnete è detto comunemente ''ondulatore'' (UM, Undulator Magnet).

Il notevole interesse suscitato da questo dispositivo è dovuto principalmente al fatto che, non essendo il processo di emissione legato a una particolare transizione quantistica, è possibile, in linea di principio, coprire l'intero spettro elettromagnetico (e.m.), dai raggi X alle microonde, variando con continuità alcuni parametri, come l'energia degli elettroni o l'ampiezza del campo magnetico dell'ondulatore.

Generazione di radiazione coerente da parte di elettroni (cosiddetti) liberi non è sicuramente un fatto nuovo. Il FEL può essere pertanto inquadrato nell'ambito del filone di ricerca relativo ai generatori di microonde, come, per es., i tubi a onda viaggiante (TWT, Travelling Wave Tube) il cui principio di funzionamento è, come vedremo, molto simile a quello del FEL. In un TWT un'onda e.m. TM (campo magnetico trasverso) si propaga in una guida d'onda opportunamente caricata (per es. con iridi) nella stessa direzione e alla stessa velocità di un fascio di elettroni (fig. 12).

Il campo elettrico dell'onda TM è parallelo alla velocità degli elettroni; si ha pertanto una modulazione di energia nel fascio di elettroni, che, durante la propagazione lungo la guida d'onda, si trasforma in modulazione di densità, alla stessa lunghezza d'onda della radiazione ''stimolante''. Si ha così emissione di radiazione coerente da parte di ciascun ''pacchetto'' di elettroni e, di conseguenza, l'amplificazione dell'onda TM d'ingresso. Tali sistemi funzionano nella regione delle onde centimetriche, in quanto, a lunghezze d'onda più brevi, si richiederebbero guide d'onda miniaturizzate, di difficile realizzazione e di dimensioni tali da non permettere il passaggio di fasci di elettroni di adeguata intensità di corrente.

Nel FEL tali problemi si superano imprimendo agli elettroni un moto trasversale mediante l'UM (fig. 11); è così possibile modularne l'energia tramite un'onda e.m. TE (campo elettrico trasverso) propagantesi liberamente o in guida d'onda non caricata (e dunque con velocità di fase maggiore di quella della luce nel vuoto). Anche in questo caso la modulazione di energia si trasforma in modulazione di densità, con conseguente amplificazione dell'onda d'ingresso. Occorre però tener presente che sia il campo elettrico dell'onda TE che la velocità degli elettroni oscillano velocemente nel tempo e nello spazio. Per cui, in generale, il trasferimento di energia risulta essere, in media, nullo, a meno che la lunghezza d'onda della radiazione in ingresso, i parametri dell'UM e l'energia degli elettroni non siano tali da garantire un sufficiente ''sincronismo''.

È facile verificare che ciò si ottiene imponendo che il singolo elettrone compia una completa oscillazione trasversa nel tempo in cui, a causa della differenza di velocità longitudinale tra l'onda TE e l'elettrone stesso, il fascio di radiazione lo abbia sopravanzato di una lunghezza d'onda. La relazione cui devono soddisfare la lunghezza d'onda λ0, il periodo λU e il campo magnetico quadratico medio B dell'UM e l'energia E del fascio di elettroni è la seguente:

λ0= [λU/(2y2)] (1+K2) [1]

γ=fattore relativistico=E/mc2 [2]

K=eBλU/2πmc2=B[kG] λU[cm]/10,7 [3]

(e, m=carica e massa a riposo dell'elettrone; c=velocità della luce nel vuoto).

È importante sottolineare che la lungheza d'onda [1] è proprio quella emessa ''spontaneamente'' (cioè in assenza di campo stimolante) durante il passaggio degli elettroni nell'UM. Ciò può essere facilmente verificato considerando il fatto che l'elettrone si comporta, nel passaggio lungo l'UM, come un dipolo oscillante, il quale, nel sistema di riferimento solidale col suo moto longitudinale, emette radiazione e.m. di frequenza pari a quella di oscillazione. Tenendo conto delle trasformazioni relativistiche dal sistema di laboratorio a quello solidale con l'elettrone, si ottiene che la radiazione vista nel laboratorio ha proprio la lunghezza d'onda data dall'eq. [1].

Il tipico schema di funzionamento di un FEL è riportato in fig. 13. Il fascio di elettroni, fornito da un acceleratore, viene iniettato nell'UM, dove emette radiazione alla lunghezza d'onda [1], e viene poi mandato in un pozzo di spegnimento. La radiazione prodotta è confinata in una cavità ottica (come nei l. convenzionali) e può così interagire nuovamente con gli elettroni che successivamente continuano a essere iniettati nell'UM. In tal modo, soddisfatta la condizione di sincronismo, la radiazione viene amplificata e, se il guadagno supera le perdite della cavità, si ha la crescita del segnale laser, fino alla saturazione del processo di guadagno. Tale saturazione è legata, essenzialmente, alla perdita di energia degli elettroni, il che determina una violazione della condizione di sincronismo [1].

L'analisi del processo di emissione stimolata richiede una trattazione piuttosto laboriosa da un punto di vista matematico. In questo ambito ci limiteremo a una trattazione intuitiva, da un punto di vista fisico, ma sostanzialmente corretta da un punto di vista matematico, valida nel caso di piccolo guadagno (〈 50% per passaggio lungo l'UM). L'UM viene visto, nel sistema di riferimento solidale con gli elettroni, come un'onda elettromagnetica. Difatti, a causa delle trasformazioni di Lorentz, il campo acquista anche una componente elettrica oscillante e perpendicolare a quella magnetica. La densità di fotoni associata a questo campo è molto alta (tipicamente due o tre ordini di grandezza rispetto a quello delle sorgenti convenzionali).

Il processo, detto ''di emissione spontanea'', può essere pertanto visto come una diffusione Compton, mentre quello di emissione stimolata, come una diffusione Compton stimolata (fig. 14). Possiamo distinguere due processi: a) l'elettrone diffonde in avanti un ''fotone'' dell'UM, cosicché il campo stimolante viene incrementato (fig. 14A); b) l'elettrone diffonde all'indietro un fotone del campo stimolante, che pertanto viene depauperato (fig. 14B). Il bilancio tra questi due processi, pressoché equiprobabili, determina il guadagno FEL. Ciò che distingue a) da b) è l'energia di rinculo dell'elettrone, persa nel caso a) e acquistata in quello b). Ciò fa sì che le probabilità dei due processi siano proporzionali allo spettro di emissione spontanea f(ω), dove ω è la frequenza della radiazione elettromagnetica, e abbiano i massimi spostati percentualmente di una quantità pari al rapporto ε tra l'energia di rinculo e quella totale degli elettroni. Il guadagno risulta proporzionale alla differenza:

G f(ω(1−ε))−f(ω(1+ε)) [4]

che, data la piccolezza di ε (tipicamente ≈ 10-n,13−10-n,15), può essere sviluppata al primo ordine in ε, ottenendo:

G ∝−εdf(ω)/dω [5]

Dalla [5] ricaviamo una delle caratteristiche salienti del FEL: il guadagno è proporzionale alla derivata della curva di emissione spontanea (fig. 15) e non semplicemente alla curva di emissione, come nei l. convenzionali. Tale proprietà, valida nell'approssimazione di piccolo guadagno, è stata verificata sperimentalmente in modo molto accurato.

Come accennato all'inizio, caratteristica peculiare del FEL è l'accordabilità. In effetti sono state realizzate sorgenti operanti nell'ultravioletto, nel visibile, nell'infrarosso e nelle onde millimetriche. Sono inoltre allo studio FEL che potranno operare nella regione dei raggi X. Lo scenario delle sorgenti FEL in operazione o in corso di sviluppo è riportato in tab. 9, dove, insieme ai parametri più significativi, sono indicate le eventuali applicazioni di tali dispositivi. Da tale tabella si ricava che il massimo sforzo è stato fatto nel vicino e medio infrarosso (cioè nella regione che va dal l. Nd-YAG (1,06 μm) al l. CO2 (10,6 μm)). Ciò è dovuto al fatto che in tale regione spettrale mancano sorgenti laser accordabili con continuità, come invece si ha nel visibile, dove i l. a colorante coprono tutto lo spettro dal rosso al violetto. Ai notevolissimi problemi tecnologici connessi con la realizzazione di un FEL (produzione di fasci di elettroni di adeguate caratteristiche, realizzazione di sistemi magnetici e ottici di elevata qualità), si affiancano vari problemi pratici, che rendono più complessa l'operazione FEL, quali: a) radioprotezione: infatti l'uso di un fascio di elettroni di alta energia richiede l'impiego di adeguate schermature, e inoltre l'operazione dev'essere completamente remotizzata; b) dimensioni, tipicamente di vari ordini di grandezza superiori rispetto a quelle dei l. convenzionali.

Bibl.: Laser handbook, vol. 4, a cura di M. Bass e M.L. Stitch, Amsterdam 1985; T.C. Marshall, Free-electron lasers, New York 1985; Laser handbook, vol. 6 (Free-electron lasers), a cura di W. B. Colson, C. Pellegrini e A. Renieri, Amsterdam 1990; P. Luchini, H. Motz, Undulators and free-electron lasers, Oxford 1990.

Applicazioni. - Le particolari proprietà della radiazione emessa, quali la monocromaticità, la coerenza spaziale, la direzionalità e la brillanza, rendono il l. un dispositivo estremamente versatile. Le prime applicazioni, di natura scientifica, sono avvenute in fisica, dove il l. è diventato un prezioso strumento d'indagine e di ricerca. Con l'invenzione di nuovi tipi di l. e i rapidi progressi della tecnologia, i suoi impieghi, sia in campo scientifico sia in campo tecnologico e industriale, si sono moltiplicati e diversificati.

Applicazioni in fisica. − Il l. ha reso possibile un gran numero di esperimenti nei più diversi settori della fisica e della chimica-fisica, dall'ottica alla spettroscopia, dalla meccanica quantistica alla fisica dei plasmi. Alcuni campi di ricerca soprattutto hanno avuto grande sviluppo o sono stati profondamente modificati dall'avvento di questo dispositivo: in particolare l'ottica non lineare e la spettroscopia.

In ottica non lineare, l'elevata brillanza della radiazione generata dai l. ha consentito di evidenziare effetti non lineari della materia prima non osservabili. Tra i principali ricordiamo: 1) la generazione di armoniche e la generazione di frequenze somma e differenza, dipendenti dalla non linearità della polarizzabilità del mezzo in cui la radiazione si propaga (v. ottica non lineare, App. IV, ii, p. 701). In particolare, nel processo di generazione di seconda armonica, che è tra gli effetti non lineari più utilizzati, il fascio di un l. a frequenza ν, interagendo con il mezzo non lineare, produce un fascio coerente a frequenza 2ν: è così possibile, per es., trasformare la radiazione infrarossa, alla lunghezza d'onda di ≈ 1 μm, emessa da un l. a neodimio, in un fascio di radiazione visibile di colore verde, alla lunghezza d'onda di ≈ 0,5 μm; 2) la diffusione stimolata Raman e Brillouin, in cui il fascio l. a frequenza ν interagisce con un fonone o moto vibrazionale del materiale a frequenza νm (rispettivamente ottica e acustica) per generare un'onda coerente a frequenza ν−νm (spostamento Stokes) o ν+νm (spostamento Anti-Stokes). Data l'elevata efficienza di conversione di questi processi non lineari, essi sono spesso usati per generare radiazione coerente a nuove lunghezze d'onda.

Un altro campo d'indagine, in cui i l. hanno migliorato le possibilità già esistenti e introdotto concetti e tecniche di misura completamente nuovi, è quello della spettroscopia.

L'elevato grado di monocromaticità proprio della radiazione l., con larghezze di riga sino a poche decine di hertz, consente, utilizzando particolari tecniche spettroscopiche non lineari, un potere risolutivo fino a 10-11, da 3 a 6 ordini di grandezza superiore a quello ottenibile con la spettroscopia convenzionale. È così possibile risolvere singole righe spettrali all'interno dell'allargamento di riga Doppler. Infine, la capacità del l. di generare impulsi di luce estremamente brevi (fino a qualche femtosecondo, pari a 10-15 s) ha reso possibile la spettroscopia risolta in tempo che, aggiungendo una nuova dimensione a quella convenzionale, consente di studiare transitori di processi anche rapidissimi. Con questa tecnica sono state ottenute importanti informazioni sul comportamento dinamico della materia, dai meccanismi di rilassamento degli elettroni nei semiconduttori allo studio degli eventi primari della fotosintesi clorofilliana e delle reazioni fotochimiche nel processo di visione.

Olografia (v. App. IV, ii, p. 662). − Il l. ha reso possibile la pratica realizzazione di questa particolare tecnica ottica in cui vengono registrate sia l'ampiezza sia la fase del segnale proveniente da un oggetto, consentendo di riprodurne un'immagine tridimensionale. L'olografia come fotografia tridimensionale ha essenzialmente utilizzazioni di carattere grafico-artistico. Tecniche di interferometria olografica sono invece estesamente impiegate in campo tecnico e industriale come metodi per la misura e l'analisi di deformazioni e vibrazioni di oggetti e il rilevamento di difetti strutturali nei materiali.

Allineamento e misure. − A causa della direzionalità del fascio emesso, il l. è un dispositivo ideale per stabilire una linea retta di riferimento. I sistemi di allineamento basati sull'impiego di l. a HeNe di bassa potenza (1÷10 mW), che emette nel rosso a 0,63 μm, hanno sostituito quasi ovunque autocollimatori e telescopi di tipo convenzionale. In campo industriale vengono utilizzati comunemente nella costruzione di gallerie e ponti, per l'allineamento di grosse strutture meccaniche, per il livellamento di estese superfici. La precisione di allineamento a grande distanza è condizionata solamente dalle fluttuazioni dell'indice di rifrazione dell'aria.

I l. vengono frequentemente impiegati per misure di distanza, con risoluzioni superiori a 10−6. Per brevi distanze, fino al centinaio di metri, si utilizzano tecniche interferometriche, con l. a HeNe stabilizzati in frequenza; per distanze maggiori viene impiegata la telemetria a modulazione d'ampiezza con l. a HeNe o l. a GaAs, effettuando la misura di distanza tramite una misura di fase; per distanze superiori al chilometro si misura il tempo di andata e ritorno di impulsi di luce molto brevi (10÷30 ns) inviati sul bersaglio, emessi per lo più da l. a stato solido. Quest'ultima tecnica è soprattutto utilizzata in campo militare nei rangefinder o telemetri a laser.

I l. vengono anche adoperati per misure di velocità di liquidi e oggetti solidi. Di notevole importanza sono le misure di velocità angolare (giroscopi laser). Trattasi di particolari l. con risonatore ad anello costituito per es. da tre specchi: ponendo in rotazione il risonatore, la luce che lo percorre in senso concorde con la rotazione ''vede'' una lunghezza efficace del risonatore maggiore di quella vista dalla luce che si propaga in verso opposto. Sovrapponendo i due fasci di uscita si genera una frequenza di battimento proporzionale alla velocità di rotazione del giroscopio. Gli attuali strumenti misurano velocità di rotazione fino a 10−3 gradi/ora; giroscopi l. sono montati su molti modelli di aerei commerciali e militari, e su sistemi di guida per missili.

Lavorazioni meccaniche. − La coerenza spaziale della radiazione prodotta consente di ottenere elevatissime intensità focalizzando il fascio di un l. di potenza; con un l. a CO2 da 1 kW, per es., è possibile ottenere intensità dell'ordine di 100 MW/cm2. Tali densità di potenza permettono di effettuare lavorazioni meccaniche pesanti e leggere su materiali metallici e non metallici, come taglio, foratura, saldatura, trattamenti superficiali, marcatura.

I principali vantaggi rispetto all'uso di strumenti convenzionali sono: 1) apporto di energia confinata spazialmente con limitato riscaldamento della zona non interessata alla lavorazione; 2) possibilità d'intervento in zone non facilmente accessibili; 3) elevate velocità di lavorazione con possibilità di automazione del processo; 4) assenza di utensile, e quindi di usura e di contaminazioni; 5) possibilità di ottenere nuovi processi metallurgici nella saldatura, nella tempra e nell'alligamento superficiali. L'alto costo di acquisto e di manutenzione, problemi di affidabilità del dispositivo e di sicurezza per gli operatori hanno tuttavia rallentato, in molte applicazioni, il diffondersi di questa tecnologia. I l. utilizzati sono il l. a CO2, con potenze da 100 W a 15 kW e lunghezza d'onda di 10,6 μm, adatto per lavorazioni di materiali metallici e non metallici (plastici, ceramici, vetrosi, ecc.) e il l. a neodimio, con potenze da 50 W a 1 kW, la cui radiazione a 1,06 μm è assorbita essenzialmente da metalli non altamente riflettenti, ma che consente maggiori precisioni di lavorazione. Alcune importanti applicazioni industriali sono la saldatura di parti della scocca e i trattamenti termici di diversi componenti meccanici (alberi a camme, sedi di valvole, ingranaggi) in campo automobilistico; la calibrazione di resistori di precisione a film sottile, l'incisione e la marcatura di wafer di semiconduttore, il rinvenimento di semiconduttori nell'industria elettronica; il taglio e la foratura di plastiche, legno, cuoio, carta, tessuti, materiali ceramici e compositi e la marcatura di oggetti nell'industria manifatturiera.

Controllo ambientale e diagnostica. − I l. sono efficacemente usati per controllare a distanza e determinare la concentrazione e la natura di inquinanti atmosferici. La tecnica di misura consiste nell'inviare il fascio di un l. (a neodimio, a CO2 o a colorante) nella zona di atmosfera da esaminare e nell'analizzare l'intensità o la composizione spettrale della luce retrodiffusa, raccolta con un telescopio.

L'interazione della luce l. con i componenti atmosferici può dar luogo a diversi processi, come diffusione elastica, diffusione Raman, emissione fluorescente, assorbimento. Utilizzando il processo di diffusione della radiazione, il funzionamento è essenzialmente quello di un radar ottico o LIDAR (Light Detection And Ranging), dove l'intensità della radiazione retrodiffusa consente di determinare la concentrazione degli inquinanti; con un'analisi spettrale (Raman, assorbimento, fluorescenza) è anche possibile individuare le specie presenti (per es., SO2, NO, H2S, NH3).

Tecniche basate sulla diffusione Raman, quali la diffusione Raman risonante e la diffusione Raman Anti-Stokes coerente o CARS (Coherent AntiStokes Raman Scattering) sono anche estesamente impiegate come metodi diagnostici per l'analisi di fiamme e di plasmi.

Applicazioni in fotochimica. − Le intrinseche proprietà di monocromaticità e alta intensità possedute dal l. sono particolarmente adatte per controllare le variazioni specifiche di energia che inducono o catalizzano le reazioni chimiche. Da un punto di vista industriale, tuttavia, a causa del costo elevato, la fotochimica con l. è giustificata solo nel caso di prodotti con alto valore aggiunto.

L'applicazione più importante è quella alla separazione isotopica, in particolare per l'uranio (isotopo 235), ma anche per il plutonio (isotopo 239) e potenzialmente per il deuterio. Il processo si basa sull'eccitazione selettiva o ionizzazione selettiva dell'isotopo desiderato, mediante assorbimento di fotoni di lunghezza d'onda opportuna. Nel caso dell'uranio sono possibili due tecniche: la fotoionizzazione selettiva di 235U partendo da uranio metallico in fase di vapore, e la fotodissociazione dell'esafluoruro di uranio gassoso (UF6), con produzione di fluoro atomico e di 235UF5. Gli impianti per la separazione isotopica a l. sono considerevolmente più convenienti di quelli a diffusione gassosa, e si prevede che la tecnologia a l. sarà in futuro l'unica a essere impiegata.

Comunicazioni ottiche. − I potenziali vantaggi dell'uso di un fascio l. come portante per un sistema di comunicazione ottico sono legati all'elevatissima frequenza della radiazione, dell'ordine di 10n,14 Hz, che, a causa della proporzionalità tra frequenza della portante e larghezza della banda di trasmissione, consente, in linea di principio, di ottenere bande di vari ordini di grandezza più larghe di quelle convenzionali (video o microonde) e di trasmettere, di conseguenza, un numero enormemente maggiore di informazioni. Il problema dell'attenuazione atmosferica ha praticamente reso inattuabili le comunicazioni ottiche con propagazione libera del fascio; tuttavia, con la realizzazione nel 1970 del l. a semiconduttore a eterogiunzione, funzionante con elevata efficienza a temperatura ambiente, e l'enorme progresso tecnologico nel campo delle fibre ottiche, che presentano attualmente attenuazioni inferiori a 0,2 dB/km alla lunghezza d'onda di 1,55 μm, i sistemi di telecomunicazione con propagazione guidata in fibra ottica hanno acquistato importanza sempre crescente fino a rappresentare attualmente uno dei principali sistemi trasmissivi.

Un sistema di telecomunicazione a fibra ottica è costituito da una sorgente ottica modulata, generalmente un l. a semiconduttore, che emette nel vicino o medio infrarosso (tipiche lunghezze d'onda sono 0,85, 1,3, o 1,55 μm; quelle più utilizzate sono 1,3 μm e 1,5 μm per minimizzare la dispersione e l'attenuazione del segnale ottico), la cui radiazione è iniettata in una fibra ottica, che ne consente la propagazione guidata per lunghissimi tratti, anche di decine di chilometri. All'uscita della fibra un fotodiodo a elevata sensibilità, di tipo PIN o a valanga, riceve il segnale ottico e lo riconverte in segnale elettrico. Sono già funzionanti sistemi per collegamenti su lunga distanza con frequenze di cifra superiori al Gbit/s, e con spaziatura tra i ripetitori maggiore di 100 km. Si prevede che le telecomunicazioni a fibra ottica si useranno sempre più anche in reti locali e di distribuzione.

Applicazioni nel campo dell'informazione. − I principali impieghi cui si prestano i l. in questo settore sono relativi ai dischi ottici, ai sistemi di riproduzione e stampa, e ai lettori ottici di codici di prodotto (point of sale scanners).

Un disco ottico è costituito da un substrato plastico in cui, mediante un l. ad argo, sono scavate, lungo tracce concentriche o a spirale, una serie di microcavità, di profondità pari a un quarto della lunghezza d'onda del l. utilizzato per la lettura del disco stesso, che nella maggior parte dei casi è un l. a semiconduttore a GaAlAs funzionante a 0,78 μm. In fase di lettura il fascio di radiazione proveniente dal l. percorre la traccia, la cui larghezza, dell'ordine di 1,5 μm, è leggermente inferiore a quella della luce focalizzata. In presenza di una cavit'a, per interferenza distruttiva delle riflessioni provenienti dal fondo e dal bordo, la luce riflessa risulta attenuata, a differenza di quanto accade in assenza della cavit'a, dove la riflessione è massima. È così possibile registrare e riprodurre un canale digitale o analogico opportunamente codificato.

Videodischi e audiodischi a lettura ottica mediante l. sono oggi prodotti commerciali; in particolare i secondi, detti compact disc, hanno avuto una rapida diffusione e stanno progressivamente sostituendo i dischi tradizionali. I dischi ottici, a causa dell'elevatissima densità d'impaccamento, che può arrivare a più di 150 Mbit/cm2, oltre 100 volte superiore a quelle ottenibili con mezzi magnetici, sono utilizzati sempre più anche come memorie di massa per i calcolatori. Si tratta in questo caso di dischi registrabili una sola volta e rileggibili più volte (WORM, Write Once Read Many), in cui sia il processo di registrazione che quello di lettura avvengono mediante l. a semiconduttore. Sono inoltre già stati sviluppati e sono disponibili commercialmente dischi ottici per calcolatori con possibilità di cancellazione e di riscrittura (v. memoria: Elettronica, in questa Appendice).

Nel campo della grafica, i l. sono largamente utilizzati, dalle piccole stampanti per calcolatori con l. a semiconduttore, ai grossi sistemi per la preparazione delle matrici da stampa per giornali, che utilizzano l. ad Ar e CO2. Mediante un sistema di deflessione il fascio del l. è indirizzato sul materiale fotosensibile, modulandone contemporaneamente l'intensità in modo da generare disegni o righe di testo.

Basati sul l. (a HeNe) sono anche i lettori di codice di prodotto, dispositivi optoelettronici che vengono largamente impiegati nelle attività commerciali per la lettura dei codici a barre stampigliati sugli articoli in vendita. Spostando il fascio del l. lungo il codice a barre, un'opportuna elettronica di rilevazione decodifica le informazioni mediante le variazioni d'intensità della luce retrodiffusa dalle zone chiare e scure.

Fusione termonucleare- È tra le applicazioni dei l. più interessanti e ricche di potenziali ricadute in campo civile. In alternativa all'approccio che utilizza il confinamento magnetico (macchine tokamak), il l. è considerato uno dei dispositivi più promettenti nelle tecniche a confinamento inerziale (v. in questa Appendice), in cui cioè il plasma resta confinato per tempi estremamente brevi a causa della sua propria inerzia. L'impulso di radiazione l. è assorbito da una microsfera di deuterio e trizio, portandola a temperature elevatissime e provocandone l'implosione durante la quale si raggiungono le densità richieste (circa 104 volte quelle della fase liquida) per la reazione di fusione nucleare. Nella reazione, deuterio e trizio si fondono per dare 4He, producendo inoltre neutroni, particelle cariche e radiazione elettromagnetica, la cui energia viene convertita in calore per poi essere utilizzata nella maniera tradizionale.

I l. da impiegare per questa applicazione dovrebbero essere in grado di generare impulsi con energia di alcuni MJ, durata dell'ordine del nanosecondo, e potenze medie superiori a qualche MW. Nonostante le enormi difficoltà tecnologiche e ingegneristiche associate allo sviluppo di un dispositivo con tali prestazioni, sono in corso numerosi importanti progetti in diverse nazioni, in particolare in USA, Giappone ed ex URSS. I prototipi finora sviluppati sono tutti costituiti da un oscillatore principale seguito da catene di amplificatori per aumentare l'energia degli impulsi generati. Uno dei sistemi più potenti è il NOVA in USA, basato su un oscillatore a neodimio in YLF e 10 bracci di amplificazione a neodimio in vetro, in grado di produrre impulsi con energia fino a 120 kJ alla lunghezza d'onda di 1,05 μm e fino a 80 kJ in terza armonica (0,355 μm). Un approccio che appare promettente è quello di generare con tali impulsi radiazione X e irraggiare con questa la microsfera di deuterio e trizio per provocarne la fusione. Sistemi della stessa classe sono stati sviluppati in Giappone (Gekko xii) e nell'ex URSS. Anche se si pensa di raggiungere entro il prossimo decennio il bilancio in parità − il cosiddetto breakeven scientifico − in cui l'energia prodotta dalla reazione di fusione è pari a quella fornita al l., sembra improbabile un eventuale impianto per la produzione di energia prima di 20÷30 anni.

Applicazioni militari. - Possono essere suddivise in due gruppi: sistemi elettroottici che utilizzano l. di bassa potenza come componente fondamentale (telemetri, illuminatori, giroscopi) e dispositivi l. ad alta energia da impiegare come armi. Nel primo gruppo la più importante applicazione e la prima a essere stata sviluppata è quella relativa ai telemetri (rangefinder) per misurare la distanza di un bersaglio. Con portate da 300 m a 15 km, hanno i vantaggi di peso, dimensioni e costi di gran lunga inferiori a quelli di un radar, e possono essere portatili o installati a bordo di carri armati, elicotteri, navi.

La ricerca e lo sviluppo di l. ad alta energia hanno ricevuto negli ultimi anni notevole impulso e cospicui finanziamenti, anche a seguito del programma di difesa strategico statunitense iniziato nella seconda metà degli anni Ottanta (SDI, Strategic Defence Initiative). Tali l., tra cui alcuni l. chimici (per es. HF e DF), l. a eccimeri, l. a raggi X e gamma, l. a elettroni liberi, operanti sia da postazioni terrestri che a bordo di aerei o satelliti, dovrebbero essere utilizzati come armi a energia direzionabile (directed energy weapons) in grado di produrre fasci di radiazione d'intensità tale da distruggere i sensori o i sistemi elettronici di guida di missili e satelliti nemici. Difficoltà di vario tipo nello sviluppo di dispositivi di energia adeguata e di opportune ottiche per la deflessione e la focalizzazione del fascio, e l'esistenza di numerose possibili contromisure adottabili, fanno avanzare tuttavia forti perplessità sulle reali potenzialità di questi tipi di arma.

Applicazioni biologiche. − Si basano tutte su particolari aspetti dell'interazione tra la radiazione l. e il campione biologico: diffusione (elastica o anelastica) della luce, assorbimento, emissione fluorescente. In campo biologico prevalgono le applicazioni di tipo diagnostico. Molte hanno carattere scientifico, come per es. l'analisi dell'emissione fluorescente da biomolecole o da cellule irraggiate con brevi impulsi di radiazione l., per caratterizzarne proprietà strutturali o funzionali. Altre costituiscono invece effettive tecniche diagnostiche; tra queste ricordiamo la citometria a flusso e la velocimetria l.-Doppler.

Nella citometria a flusso, cellule in sospensione, preventivamente trattate con marcanti fluorescenti, passano allineate attraverso una speciale camera a flusso, dove sono irraggiate, l'una dopo l'altra, dal fascio focalizzato di un l. ad argo. Dalla misura della luce diffusa dalla cellula e di quella emessa per fluorescenza, si ottengono informazioni sulle dimensioni e sulla quantità dei suoi costituenti (DNA, RNA, proteine), con il notevole vantaggio di eseguire misure su un gran numero di cellule in tempi relativamente brevi (velocità tipiche sono di 5 × 104 cellule/min), ottenendo elevate precisioni statistiche.

La velocimetria l.-Doppler si basa sulla diffusione quasi elastica della luce coerente di un l. da parte di fluidi in movimento, in cui lo spostamento di frequenza per effetto Doppler consente di misurare la velocità del fluido. Con questa tecnica vengono effettuati studi di idrodinamica cellulare, grazie all'elevatissima risoluzione (fino a pochi μm/s), e, in campo medico, si possono studiare flussi sanguigni sia sottocutanei che nei grandi vasi, con cateteri a fibra ottica.

Bibl.: Laser applications, a cura di M. Ross, voll. 5, New York 1971-84; Optical fiber telecommunications, a cura di S.E. Miller, A.G. Chynoweth, ivi 1979; W.W. Duley, Laser processing and analysis of materials, ivi 1982; J.J. Ostrovskij, Olografia e sue applicazioni, Mosca 1982; J.F. Ready, Applicazioni industriali dei laser, Milano 1983; J. Hecht, Beam weapons, New York 1984; Optical fiber telecommunications, ii, a cura di S.E. Miller, I.P. Kaminow, San Diego 1988; Laser applications in medicine and biology, a cura di M.L. Wolbarsht, voll. 5, New York 1971-91.

Applicazioni mediche. - Le applicazioni mediche del l. si basano sulla possibilità di definire con elevata precisione i parametri fisici dell'interazione tra radiazione l. e tessuto corporeo, e di compiere, di conseguenza, interventi chirurgici, terapeutici e diagnostici estremamente precisi e selettivi. Questo dipende tanto dalle proprietà della radiazione emessa dai l. quanto dalle caratteristiche dell'interazione radiazione-tessuto. La radiazione del l. si distingue da quella delle sorgenti convenzionali per la coerenza spaziale e temporale. Ne deriva la possibilità di concentrare l'energia a limiti estremi: su una superficie con dimensioni dell'ordine della lunghezza d'onda o in un fascio di altissima direzionalità; in un impulso di durata estremamente breve (pochi millesimi di miliardesimi di secondo) o in un fascio di grande purezza spettrale. L'intensità d'irraggiamento può quindi risultare particolarmente elevata e l'energia depositata sul campione perfettamente dosata e spazialmente ben definita. Inoltre, la monocromaticità consente una selettività di azione in funzione delle caratteristiche di assorbimento del tessuto.

Le principali applicazioni dei l. in medicina sono state finora di tipo chirurgico o, in generale, terapeutiche. Più recentemente si sono sviluppate applicazioni diagnostiche. Per provocare l'effetto terapeutico desiderato, la radiazione l. dev'essere assorbita dal tessuto e l'energia convertita sotto forma non radiativa (per es. in energia termica). Le applicazioni diagnostiche si basano invece essenzialmente sulla rivelazione dell'emissione di fluorescenza (decadimento radiativo) che segue l'assorbimento di luce di opportuna lunghezza d'onda.

I costituenti tissutali che principalmente influenzano le caratteristiche di assorbimento (coefficiente di assorbimento in valore assoluto e andamento spettrale) sono l'acqua, l'emoglobina e i pigmenti (in particolare la melanina). L'acqua assorbe nell'infrarosso, con spettro relativamente piatto oltre i 7 μm; l'emoglobina assorbe dall'ultravioletto al rosso (fino a circa 0,6 μm), con variazioni, nel visibile, inferiori al 10%; la melanina presenta uno spettro di assorbimento esteso dall'ultravioletto al vicino infrarosso, con andamento decrescente ben approssimato dalla legge λ−4 (dove λ è la lunghezza d'onda della radiazione). Le caratteristiche di assorbimento dei tessuti possono essere alterate per scopi clinici, sia terapeutici sia diagnostici, utilizzando opportuni traccianti esogeni quali la fluoresceina, le porfirine e altri.

Dal punto di vista applicativo, le caratteristiche spaziali del fascio l. ne consentono l'impiego attraverso sistemi ottici ausiliari di focalizzazione e trasporto della radiazione quali manipoli, lenti, microscopi operatori e fibre ottiche (eventualmente inserite in endoscopi), aumentandone così la versatilità. In particolare l'elevata direzionalità propria del fascio l. è essenziale per ottenere un accoppiamento efficiente con le fibre ottiche e quindi disporre di una potenza sufficiente in uscita. L'impiego dei l. in alternativa al bisturi elettrico può inoltre rivelarsi essenziale, grazie all'assenza d'irraggiamento elettromagnetico, nel trattamento chirurgico di pazienti portatori di pacemaker.

A seconda delle indicazioni cliniche legate alle singole applicazioni, possono essere impiegati diversi tipi di laser. Nella scelta del l. occorre valutare la profondità di penetrazione necessaria e di conseguenza la lunghezza d'onda ottimale in funzione delle caratteristiche di assorbimento dell'acqua contenuta nei tessuti e dell'emoglobina contenuta nel sangue in generale, dei pigmenti o dei fluorofori esogeni in casi specifici (per es. i granuli di melanina che rivestono un ruolo essenziale nei trattamenti della retina).

I l. che vengono più comunemente impiegati in clinica sono quelli ad anidride carbonica (CO2) e a neodimio in YAG (Nd-YAG), operanti sia in continua sia a impulsi, e il l. ad argo (Ar), operante generalmente soltanto in continua.

Il l. a CO2 emette radiazione infrarossa (a 10,6 μm) che, fortemente assorbita dall'acqua, la trasforma in calore. La profondità di penetrazione nel tessuto è di circa 10 μm; la potenza utilizzata è compresa fra 10 e 100 W. Ne risultano valori molto elevati di potenza per unità di volume: di conseguenza l'acqua contenuta nel tessuto va in ebollizione e il tessuto vaporizza. Spostato lungo il tessuto, il fascio si comporta come un bisturi, formando un'incisione la cui profondità dipende dall'intensità del fascio stesso e dalla velocità di spostamento. Durante il processo di taglio la temperatura della zona incisa rimane costante (100 °C) e il calore, diffondendosi lateralmente verso i bordi del taglio, provoca un danno termico irreversibile ai tessuti circostanti per uno spessore di circa 200 μm. L'effetto emostatico è scarso, soprattutto quando si utilizza un fascio altamente focalizzato. La cauterizzazione dei vasi può essere migliorata impiegando un fascio meno focalizzato, ma resta limitata a vasi di piccolo diametro (inferiore a 0,5 mm). Il l. a CO2 si presta quindi essenzialmente a un impiego chirurgico, in particolare nelle specialità in cui viene accoppiato al microscopio operatorio (otorinolaringoiatria, ginecologia, urologia, neurochirurgia). L'attuale assenza di fibre ottiche capaci di trasportare la radiazione di questo tipo di l. ne esclude l'uso in endoscopia, che non sia quella a tubi rigidi. Il l. a CO2 ha inoltre un effetto batteriostatico, utile nel trattamento di parti infette e ustionate, e diminuisce il dolore post-operatorio.

Il l. a Nd-YAG emette una radiazione di lunghezza d'onda pari a 1,06 μm (dieci volte minore di quella del l. a CO2) che è assorbita debolmente sia dall'acqua sia dall'emoglobina. La profondità di penetrazione nei tessuti è di circa 1 mm e, poiché la potenza utilizzata è anche in questo caso di 10÷100 W, la potenza per unità di volume nel tessuto irraggiato è molto più bassa. Di conseguenza il potere di taglio è scarso, mentre l'effetto emostatico è buono. Al suo impiego si ricorre prevalentemente per la coagulazione profonda e per la distruzione di tessuti patologici (purché non sia necessario eseguire un esame bioptico degli stessi). L'elevata profondità di penetrazione può causare danni termici alquanto estesi, con rischi di perforazione. L'impiego ideale del l. a Nd-YAG è in endoscopia: infatti sono commercialmente disponibili fibre ottiche, inseribili in endoscopi, in grado di trasportarne la radiazione. Recentemente è entrata nella sperimentazione clinica un l. a Nd-YAG con emissione a 1,32 μm, che, essendo maggiormente assorbita dall'acqua, presenta modalità d'interazione col tessuto più simili a quelle della radiazione del CO2, col vantaggio di essere trasportabile in fibra ottica. La potenza generalmente utilizzata per questa radiazione è di 5÷40 W.

Una menzione a parte merita l'uso dei l. a Nd-YAG in oftalmologia, dove, oltre al tipico impiego fotocoagulativo, vengono utilizzati per effettuare microincisioni (iridectomie, capsulotomie per il trattamento della cataratta secondaria, sinechiotomie): in questo caso si opera con l. in regime di Q-switching, cioè di impulsi giganti. L'elevata potenza di picco associata all'impulso l. provoca effetti non-lineari che causano un'onda d'urto meccanica e, di conseguenza, una resezione nel punto in cui il fascio viene focalizzato. L'azione avviene anche sulle strutture trasparenti dell'occhio. Lo stesso tipo di effetto, oltre che per la microchirurgia oculare, può essere utilizzato anche per il trattamento per via endoscopica di calcoli renali o della colecisti ottenendo la frantumazione degli stessi grazie all'onda d'urto derivante dall'assorbimento dell'impulso laser.

Il l. ad argo emette una radiazione visibile su più righe, di cui quelle principalmente utilizzate sono a 488 e a 514,5 nm, entrambe fortemente assorbite dall'emoglobina. La profondità di penetrazione nel tessuto è di poche centinaia di μm, quindi minore di quella del Nd-YAG. Il suo effetto è prevalentemente la coagulazione superficiale. Viene impiegato in oftalmologia (trattamento delle patologie vascolari della retina, profilassi del distacco di retina, terapia del glaucoma primario ad angolo aperto, ecc.), in endoscopia (disostruzione di cavità occupate da tessuto tumorale, coagulazione di lesioni vascolari, arresto di emorragie), in dermatologia (trattamento di emangiomi piani) e, a livello sperimentale, in angioplastica (disostruzione di arterie occluse da placche ateromatose).

Meritano un accenno anche i l. a eccimeri con emissione nell'ultravioletto, che operano una distruzione non-termica dei tessuti (fotoablazione), consentendo di ottenere tagli estremamente precisi, di dimensioni molto piccole (dell'ordine del μm per impulso laser), senza danno termico ai tessuti circostanti. È in fase di sperimentazione la loro utilizzazione in campo oculistico, ortopedico, ecc.

Alcune applicazioni mediche dei l. sono basate sull'uso combinato di farmaci e luce. Particolare interesse riveste, in questo ambito, la fotochemioterapia dei tumori con ematoporfirina-derivato (HpD). Quest'ultimo è un farmaco fotosensibilizzante che si localizza in modo preferenziale nei tessuti tumorali: irraggiato con luce di lunghezza d'onda opportuna causa una serie di reazioni fotochimiche e fotofisiche che portano alla formazione di prodotti citotossici, e quindi alla morte delle cellule. La massima efficacia di trattamento si ottiene con radiazione a circa 630 nm, dove l'HpD presenta una banda di assorbimento, anche se non si tratta della regione di massimo assorbimento, e la penetrazione della luce nel tessuto è buona. Di conseguenza vengono utilizzati o un l. a colorante (di solito rodamina B) pompato da un l. ad argo o da un l. a vapori di rame, o un l. a vapori d'oro. L'utilizzazione di sistemi a fibre ottiche permette l'uso di questa metodica in endoscopia. Se la massa tumorale da trattare è di spessore notevole, può essere necessario inserire le fibre ottiche in più punti all'interno della massa tumorale utilizzando degli aghi. Va infine osservato che l'HpD, in seguito a illuminazione a circa 400 nm, presenta un'emissione fluorescente nel rosso che, grazie all'affinità che tale farmaco ha per i tessuti tumorali, può essere utilizzata a fini diagnostici e di localizzazione. In questo specifico caso si usa in genere un l. a cripto.

La progressiva estensione delle applicazioni mediche dei l. ha comportato via via l'impiego, nella pratica e nella sperimentazione clinica, di sempre nuovi tipi di l.: il l. a cripto, con numerose righe di emissione dal vicino ultravioletto al vicino infrarosso; i l. a colorante, accordabili in lunghezza d'onda; i l. a diodi, con emissione nel rosso e nell'infrarosso. La disponibilità di una gamma sempre maggiore di lunghezze d'onda consente applicazioni sempre più mirate e selettive. V. anche ottica: Applicazioni laser alla medicina, in questa Appendice.

Bibl.: Lasers in photomedicine and photobiology, a cura di R. Pratesi e C.A. Sacchi, Berlino-Heidelberg-New York 1980 (''Springer Series in Optical Sciences'', vol. 22); The biomedical laser, a cura di L. Goldman, Berlino-New York 1981; Methods in porphyrin photosensitization, a cura di D. Kessel, New York-Londra 1985 (''Advances in experimental medicine and biology'', vol. 193); D.B. Apfelberg, Evaluation and installation of surgical laser systems, Berlino-New York 1986; Endoscopic laser surgery handbook, a cura di S. M. Shapshay, New York-Basilea 1987; Laser applications in medicine and biology, a cura di M.L. Wolbarsht, New York-Londra, vol. 1 (1971), 2 (1974), 3 (1977), 4 (1989) e 5 (1991); M.W. Berns, La chirurgia laser, in Le Scienze, 276 (agosto 1991), pp. 54-62.

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