LAMPADA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

LAMPADA (XX, p. 437)

Gino PAROLINI

Generalità. - Negli ultimi dieci anni si è largamente diffuso l'impiego delle lampade ad elettroluminescenza, le cui caratteristiche, grazie ai recenti perfezionamenti, sono migliorate sia per quanto riguarda l'efficienza specifica ed il colore della luce emessa, sia per la semplicità di realizzazione e di funzionamento. Sono costituite da un tubo di vetro o quarzo contenente un gas ed ai cui estremi sono posti due elettrodi, tra cui è mantenuta una differenza di potenziale, continua o alternata.

Quando si verificano opportune condizioni, legate alle dimensioni del tubo, al tipo di elettrodi ed alle loro dimensioni e distanze, alla qualità del gas introdotto ed alla sua pressione e temperatura, ecc., una scarica ha luogo nel tubo, e può verificarsi il fatto che il gas emetta anche radiazioni comprese entro lo spettro visibile. Nel caso di un tubo riempito con neon o con mercurio a pressioni dell'ordine del millimetro di mercurio si possono distinguere, nella luminosità dovuta alla scarica lungo il tubo, diverse zone luminescenti separate da zone oscure. Si hanno così (fig. 1): lo spazio oscuro di Crookes (6); la luminosità catodica o negativa (5); lo spazio oscuro di Faraday (4); la luminosità positiva (3). La luminosità prevalentemente sfruttata per l'elettroluminescenza a bassa pressione, è quella positiva.

Per un'ulteriore analisi dei fenomeni che causano questa emissione di energia raggiante o che ad essa si accompagnano, v. atomo; quantistica, meccanica; ionizzazione, in questa App.

Nelle lampade a luminescenza positiva la pressione interna è regolata in modo che gli elettroni provenienti dal catodo raggiungano la velocità adatta per l'eccitazione desiderata degli atomi del gas, considerato nella zona corrispondente alla colonna positiva. Nei pressi del catodo invece, tenuto conto del forte gradiente di potenziale, gli elettroni raggiungono velocità sufficienti per la ionizzazione del gas.

La pressione del gas nell'interno del tubo determina il valore del libero percorso medio degli elettroni provenienti dal catodo, tra due urti consecutivi contro gli atomi del gas da eccitare: libero percorso che è tanto più breve, quanto più forte è la pressione del gas. Perché la scarica possa avvenire come indicato in fig.1, occorre che la pressione sia sufficientemente bassa perché gli elettroni raggiungano la zona della luminosità positiva con la velocità desiderata. Diminuendo ulteriormente la pressione, molti elettroni passano dal catodo all'anodo senza incontrare gli atomi del gas in modo da eccitarli. Anche nelle condizioni ottime di pressione, un certo numero di elettroni attraversa la zona della luminosità positiva senza provocare eccitazione; ad evitare tale fatto, che porta ad una perdita di energia, si può introdurre entro il tubo anche un altro gas (gas di fondo), di peso atomico alto, per la cui eccitazione occorra una quantità di energia molto superiore a quella occorrente al primo. Gli urti tra gli elettroni e gli atomi di questo gas nella colonna positiva sono in tal caso di carattere elastico e senza trasferimenti di energia. Ogni elettrone però, in conseguenza degli urti contro il gas di fondo, aumenta la sua permanenza nella zona della colonna positiva, sempre mantenendo l'energia cinetica necessaria per provocare l'eccitazione degli atomi del gas che deve emettere luce. Aumentano così le probabilità che ogni elettrone incontri l'atomo che può eccitare.

Altra causa di perdite è la caduta catodica di potenziale, con la quale si provoca l'estrazione degli elettroni dal catodo e si fornisce ad essi la necessaria energia cinetica. A ciò si può in parte ovviare sia adoperando speciali sostanze per la costruzione dei catodi (ossidi di metalli alcalini), sia riscaldando artificialmente i catodi, ottenendo cioè l'emissione di elettroni anche per effetto termoionico.

Risulta, dalle sommarie considerazioni precedenti, che gli elettroni attraversanti il tubo sono in parte dovuti alla ionizzazione del gas nelle adiacenze del catodo, ed in parte emessi dal catodo stesso. Tale processo è facilitato, nei tipi recenti di lampade, adottando catodi a basso potenziale di estrazione. Gli elettroni emessi tendono ad aumentare la ionizzazione, e quindi la conducibilità del tubo. La lampada si comporta come se offrisse una resistenza negativa, e la corrente tende ad aumentare indefinitamente. Per rendere stabile il funzionamento della lampada occorre pertanto aggiungere una impedenza in serie, che può essere sia una resistenza ohmica (lampade a luce mista in cui la resistenza è costituita dal filamento che emette per temperatura) sia, più spesso, una reattanza induttiva o una reattanza induttiva e capacitiva.

Per le lampade in cui è necessaria una tensione di alimentazione di molto superiore a quella di linea (lampade al neon o al vapore di sodio), occorre impiegare un trasformatore che funziona, in generale, anche da reattanza induttiva stabilizzatrice.

Le lampade attualmente in commercio si possono classificare, in base ai gas di cui sono riempite, in: lampade al neon (comprendendo anche quelle contenenti altri gas rari), lampade a vapore di sodio, lampade a vapore di mercurio. Saranno considerate a parte le lampade a fluorescenza che, pur essendo riempite con vapori di mercurio o con neon, funzionano secondo principî diversi.

Lampade al neon. - La figura 2 mostra lo spettro di emissione del neon nella zona corrispondente allo spettro visibile; per quanto vi siano anche righe di emissione nell'estremo ultravioletto, tra cui particolarmente importanti quelle corrispondenti alle frequenze di risonanza (736 Å, 743 Å), è da notare che la più gran parte delle righe di emissione e le più intense (6402 Å, 6383 Å, ecc.) si trovano nelle regioni del rosso e dell'arancione. Ciò è causa del colore rossastro della luce emessa.

Le lampade al neon possono suddividersi nei seguenti tipi:

a) Lampade a scarica luminosa a catodo freddo. - Sono lampade adoperate per segnalazioni, hanno una bassa efficienza specifica in quanto in conseguenza della vicinanza degli elettrodi adoperano soltanto la luminosità negativa. La pressione di esercizio varia tra 10 e 40 mm. di mercurio. La lampada ha incorporata una resistenza stabilizzatrice e per l'avviamento basta una normale tensione in linea di 220 V; dopo l'innesco la lampada funziona anche con una tensione di 60 V, tensione provocata quasi esclusivamente dalla caduta catodica nello spazio oscuro di Crookes.

b) Lampade a colonna positiva a catodo freddo. - Per tali tipi di lampada possono adoperarsi diversi gas che abbiano, per quanto riguarda l'energia emessa nel campo dello spettro visibile, le righe di emissione energeticamente più importanti nelle zone di lunghezze d'onda delimitanti il colore desiderato. Così oltre al neon che dà un colore rossastro, si possono adoperare: l'elio (colore giallo), l'argon (colore bleu). Il cripton e lo xenon che darebbero rispettivamente colori bianco-azzurro e azzurro-cielo, non sono in generale adoperati da soli, dato il loro costo elevato. Si può cercare di ottenere colori diversi con mescolanze di più gas; in generale uno dei costituenti di tali miscele è il vapore di mercurio. In tal caso però (miscele argon - neon - mercurio), la funzione dell'argon e del neon è solo quella di avviare la scarica finché il mercurio non sia evaporato e la sua caratteristica emissione non si sia sostituita a quella di altri gas.

Unendo più gas occorre infatti tener presente che, poiché l'emissione desiderata per ciascuno di essi impone condizioni elettriche e di pressione diverse al funzionamento della lampada, tali condizioni finiscono per essere adatte solo per uno dei componenti, con conseguente scarsa influenza degli altri. Ad esempio, nel caso di lampade che adoperano la luminosità della colonna positiva, il gas che ha il più basso potenziale di eccitazione tende a mascherare gli altri. Nelle vicinanze del catodo accade invece l'inverso.

Le lampade di questo tipo sono molto sviluppate in lunghezza, per poter allungare quanto più è possibile la colonna luminosa positiva.

I perfezionamenti che si sono ottenuti per queste lampade, sono dovuti al riconoscimento delle varie cause che provocano spese di energia non strettamente indispensabili dal punto di vista dell'assolvimento della funzione caratteristica della lampada. Così si è osservato che per diminuire l'energia spesa nella caduta catodica di potenziale conviene adoperare elettrodi, nei cui confronti occorra fornire minor lavoro per l'emissione degli elettroni. Adoperando ossidi di terre rare tali cadute possono essere ulteriormente ridotte. Per opporsi alla disintegrazione del catodo ed al conseguente deposito di particelle assorbenti sulle pareti della lampada, si cerca di aumentare la superficie emittente in modo da diminuire la densità della corrente, oppure di ricoprire il catodo con uno strato particolarmente resistente.

L'efficienza specifica che si ottiene con tali tipi di lampade è di circa 10 ÷ 15 lumen/watt, la tensione può essere spinta al massimo fino a 15.000 V e l'intensità della corrente sino a 50 mA. Tenuto conto che il fattore di potenza è di circa 0,50 ÷ 0,55, le lampade di maggior potenza consumano circa 400 W, cioè forniscono al massimo circa 4000 lumen. Ciò accade a seconda dei gas impiegati con tubi la cui lunghezza varia da 8 a 10 m. L'emissione per cm. di lunghezza è di circa 40 lumen; le lampade sono quindi a bassa luminosità e non provocano fenomeni di abbagliamento.

c) Lampade a colonna positiva a catodo caldo. - Volendo mantenere alta la potenza, diminuire la tensione applicata in modo da permettere l'alimentazione delle lampade con la tensione di linea e diminuire la lunghezza del tubo, occorre aumentare la corrente, cioè il numero degli elettroni emessi nell'unità di tempo. Ciò si può ottenere costringendo il catodo ad emettere elettroni oltre che per effetto del potenziale applicato, anche per effetto termoionico. Adoperando perciò catodi riscaldati, costituiti da materiale a basso potenziale di estrazione, si può aumentare grandemente l'emissione elettronica, senza provocare gravi aumenti dell'effetto di disintegrazione catodica.

Lampade a vapori di sodio. - Il sodio è l'unico vapore di tipo monoatomico che abbia la frequenza di risonanza nello spettro visibile (5890 Å e 5896 Å - linee D1 e D2) e che offra la possibilità di sfruttare tale frequenza per l'emissione di luce. L'energia emessa in corrispondenza di tali linee con l'aggiunta di tre linee nell'ultrarosso 8200 Å, 11.400 Å e 22.000 Å, rappresenta il qsoó dell'energia totale emessa dai vapori di sodio (1% per il verde e 1% per il blu-verde).

Poiché la sensibilità dell'occhio è massima per circa 5550 Å, ne risulta che la luce gialla del vapore di sodio 5890 Å è quella che offre, a parità di energia spesa, la maggiore efficienza specifica e le migliori condizioni di acuità visuale. Per tutti gli altri gas o vapori, la frequenza di risonanza può essere utilizzata solo quando si trovi nell'ultravioletto, in modo che le radiazioni emesse possano essere trasformate in luce mediante fenomeni di fluorescenza (mercurio e neon). Nel caso dei vapori di sodio il flusso luminoso emesso è funzione della temperatura e quindi della pressione (v. diagramma di fig. 3).

Alla temperatura di 220°C, a cui corrisponde il massimo di emissione, corrisponde anche una pressione molto bassa (0,0009 mm. di mercurio); in conseguenza dell'alta temperatura (220 ÷ 270°C) che deve essere mantenuta quanto più costante possibile, le lampade debbono essere isolate termicamente, il che si ottiene disponendo la lampada vera e propria nell'interno di un vaso di tipo Dewar, da cui sia stata estratta l'aria.

Poiché il vapore di sodio attacca il vetro normale ed il quarzo rendendoli rapidamente opachi, il tubo in cui avviene la scarica è rivestito, nella superficie interna, di un sottile strato di vetro inattaccabile dai vapori di sodio.

Il sodio alla temperatura ambiente è solido e perché la scarica abbia inizio occorre che nel tubo vi sia un altro gas che è in generale neon, alla pressione di circa 2 mm. di mercurio. Pertanto all'avviamento la scarica è dovuta al neon e le lampade funzionano come quelle al neon con catodo caldo. A mano a mano che si eleva la temperatura, il sodio evapora e poiché il potenziale di eccitazione del sodio è più basso di quello del neon, nella colonna positiva prevale l'eccitazione degli atomi di sodio con emissione di luce gialla, mentre gli atomi di neon, non più eccitati altro che in piccola percentuale (solo l'i % degli elettroni ha energia cinetica sufficiente per eccitare gli atomi di neon), assolvono la funzione di mantenere più a lungo gli elettroni nelcampo della colonna positiva, in cui trovansi in condizioni di velocità ottime per eccitare il sodio (il neon funziona da gas di fondo).

Viceversa nelle vicinanze del catodo, tenuto conto del forte gradiente di potenziale dovuto alla caduta catodica, gli elettroni hanno sufficiente energia cinetica non solo per eccitare gli atomi di neon (luminosità rossastra nelle adiacenze del catodo), ma anche per provocarne la ionizzazione, con conseguente emissione di elettroni; ciò permette di mantenere la scarica e la corrente nei limiti voluti.

Esistono due tipi principali di lampada a vapore di sodio:

a) a debole intensità di corrente, che utilizza soprattutto la luminosità della colonna positiva. La lunghezza della lampada è grande rispetto al diametro (circa 30 volte). In conseguenza di ciò e della necessità di isolare termicamente la lampada, il tubo è ripiegato ad U. Si hanno lampade di potenza da 45 a 140 W, con rendimenti di 50 ÷ 70 lumen/W; le tensioni di esercizio variano con la potenza da 80 a 160 V.

La quantità di sodio richiesta, di solito inferiore ad 1 gr., è distribuita sulle superficie interna della lampada. Se durante l'esercizio si spegne una lampada, la quale funzioni in posizione verticale, il sodio tende a condensarsi nel punto più lontano dagli elettrodi. In tal caso la lampada si riaccende difficilmente; anzi, se il sodio non raggiunge la temperatura sufficiente, non evapora affatto e la lampada funziona soltanto al neon. Per tale ragione le lampade al sodio funzionano in generale in posizione orizzontale o con un'inclinazione massima di circa 20° rispetto all'orizzontale, soprattutto per quelle di maggiore potenza. Per l'avviamento la lampada è corredata di un autotrasformatore, che fornisce la tensione necessaria. Generalmente gli elettrodi non sono riscaldati elettricamente, essendo sufficiente il riscaldamento dovuto alla scarica;

b) a forte intensità di corrente: in esse la scarica ha le caratteristiche di un arco elettrico e circa la metà della tensione applicata alla lampada è utilizzata nella caduta catodica dovuta all'arco. Però la lampada non è del tipo ad elettrodi ravvicinati, come quelle utilizzanti solo la caduta catodica negativa, ma la distanza tra gli elettrodi è sufficiente perché venga adoperata anche la luminosità della colonna positiva. La lampada funziona a corrente costante ed è stata particolarmente studiata negli S. U. per illuminazione stradale, con il sistema di distribuzione basato su circuiti a corrente costante e lampade disposte in serie. Per ottenere una forte intensità di corrente è necessario riscaldare artificialmente il catodo, provocando la emissione di elettroni anche per effetto termoionico. Il tipo di lampada adottato negli S. U. ha le caratteristiche indicate in fig. 5; i catodi sono filamenti di tungsteno ricoperti con ossido di bario, gli anodi sono anelli ellittici di molibdeno.

Lampade a vapore di mercurio. - La fig. 2 mostra lo spettro di emissione del vapore di mercurio a temperatura ambiente e bassa pressione. In tali condizioni mancano quasi completamente radiazioni ultrarosse, mentre la parte più grande dell'energia emessa ha lunghezza d'onda corrispondente all'ultravioletto (circa il 66% corrisponde alla lunghezza di onda 2537 Å, che è la lunghezza d'onda di risonanza del vapore di mercurio); solo l'1,5% dell'energia emessa è compresa entro lo spettro visibile.

Il colore della luce emessa è blu, l'efficienza specifica per le lampade funzionanti a bassa pressione è bassa. Vi sono tuttavia tre modi per aumentare tale efficienza e correggere il colore della luce:

1) aumentare la pressione del vapore di mercurio, poiché ad alta pressione l'emissione si modifica, nel senso che avviene per lunghezze d'onda maggiori;

2) adoperare la lampada a mercurio assieme con un radiatore per temperatura (filamento metallico od altro) che supplisca alle deficienze di radiazioni rosse della lampada stessa. Oppure accoppiarla con altre lampade ad elettroluminescenza, che emettano radiazioni rosse (lampade al neon);

3) adoperare materiali fluorescenti che convertano l'energia emessa dal mercurio nell'ultravioletto (in particolare a 2537 Å), in energia emessa nello spettro visibile.

I risultati raggiunti con tali accorgimenti permettono alle lampade a vapore di mercurio di adeguarsi alle più disparate condizioni di esercizio, tanto che esse sono ora le più diffuse dopo quelle ad incandescenza. I tipi più impiegati sono:

a) a bassa pressione: in tale tipo di lampada, come nelle corrispondenti al neon, è sfruttata soprattutto la luminosità della colonna positiva. Il colore della luce è blu e può essere parzialmente modificato mediante l'uso di filtri. L'involucro della lampada, qualora si voglia impedire il passaggio delle radiazioni ultraviolette, le quali possono essere nocive per l'organismo umano, è costituito da vetro il cui coefficiente di assorbimento per tali radiazioni è molto elevato. L'efficienza specifica è dell'ordine dei 10 lumen/watt e l'impiego di filtri tende ancora a ridurla. La lampada, dato che la quasi totalità dell'energia emessa corrisponde all'ultravioletto, è adoperata per provocare fenomeni di fluorescenza (vedi in seguito).

b) a media pressione: aumentando variamente la pressione nell'interno della lampada sino a raggiungere anche le 10 atmosfere ed oltre, la emissione si modifica come in fig. 4. Le righe si allargano divenendo bande e aumentano d'intensità soprattutto nel campo dello spettro visibile, mentre perdono importanza quelle poste nell'ultravioletto. Con l'aumento della pressione quindi, a parità di lunghezza della lampada, aumenta la potenza consumata, ma aumenta contemporaneamente l'efficienza specifica e il colore si avvicina al bianco. Aumenta però anche la temperatura di funzionamento, tanto che per pressioni elevate si può avere una emissione per temperatura aggiunta a quella per elettroluminescenza. Sono in commercio lampade con pressione di esercizio di circa un terzo di atmosfera, con tensioni di alimentazione di 200 ÷ 250 V, della potenza di 250 e 500 W e con rendimento rispettivamente di 36 e 45 lumen/W.

Sono molto adoperate per illuminazione stradale, in diversi paesi. Per l'avviamento contengono, oltre al mercurio, dell'argon a pressione di circa un centesimo di atmosfera. Gli elettrodi sono di tungsteno con uno strato superficiale di un composto di bario ad alta emissione elettronica. Poiché gli elettrodi non sono riscaldati artificialmente, per dare inizio alla scarica nell'argon ci si serve dell'elettrodo ausiliario A (fig. 6) posto vicino all'elettrodo E1. Iniziata la scarica tra A e E1, quest'ultimo comincia ad emettere elettroni finché non si innesca la scarica a bassa pressione nell'argon tra E1 e E2. Col crescere della temperatura il mercurio comincia ad evaporare, sino a che la temperatura non è giunta a circa 500° C e la pressione ad una atmosfera. Per mantenere tale temperatura, la lampada è racchiusa in un altro involucro di vetro. In serie con gli elettrodi è inserita una impedenza stabilizzatrice. Un inconveniente di tale lampada è che, quando si spegne per interruzione di corrente, perché l'arco possa innescarsi di nuovo, occorre aspettare che il vapore del mercurio si sia condensato e che la pressione sia scesa a quella compatibile con l'inizio della scarica nell'argon. Ciò richiede circa 10 minuti di tempo. Allo scopo di ovviare a tale inconveniente, nella illuminazione stradale si è costretti ad adoperare due lampade per ogni proiettore, facendole funzionare una alla volta. Inoltre la luce emessa manca quasi completamente di radiazioni rosse. Ciò può tuttavia non essere importante per l'illuminazione stradale, generalmente non molto intensa e per la quale non interessa molto l'esatta percezione dell'effetto di contrasto dovuto ai colori. È stato anche costruito un tipo di lampada in cui si sono eliminati gli inconvenienti suesposti aggiungendo, alla lampada a mercurio a media pressione, un filamento ad incandescenza, che funziona anche da resistenza stabilizzatrice, mentre fornisce le radiazioni rosse mancanti al mercurio e si riaccende immediatamente in caso di interruzione. Il filamento è sistemato all'esterno della lampada a mercurio, in una espansione dell'involucro di vetro esterno che serve a diminuire le perdite di calore. La lampada, costruita per potenza di 160, 250, 300 e 500 W, è molto impiegata per illuminazione industriale e stradale;

c) ad alta pressione: tale tipo di lampada ha per principale caratteristica una luminosità molto intensa e concentrata; essa si presta pertanto anche per proiezioni cinematografiche. Per aumentare la potenza assorbita per unità di lunghezza dell'arco e quindi lo splendore, si aumentano la pressione e la temperatura. Ma a circa una atmosfera di pressione e 550° C il vetro perde la sua resistenza: bisogna allora ricorrere ad involucri interni di quarzo, con cui la temperatura può raggiungere i 1000° C e che sono trasparenti alle radiazioni ultraviolette. Per assorbire queste ultime l'involucro esterno è di vetro. Senza raffreddamento artificiale, il massimo splendore che può raggiungersi è di 1000 candele/cmq.; volendo ancora aumentare lo splendore occorre provvedere al raffreddamento della lampada con aria o con acqua. Ad alta temperatura si ha emissione per temperatura oltre che per elettroluminescenza.

Nelle lampade raffreddate ad aria (figg. 7 e 10), gli elettrodi sono disposti in un involucro di quarzo, grande in relazione alla lunghezza dell'arco. Per l'innesco ci si serve di un elettrodo ausiliario, che funziona come per le lampade a media pressione. Tali lampade sono costruite per potenze di 80, 125, 250 e 500 W. Gli elettrodi sono in tungsteno e la pressione è dell'ordine di 5 ÷ 10 atmosfere per le lampade di minor potenza, e di 30 atmosfere per le lampade di maggior potenza. L'efficienza è di 40 ÷ 45 lumen per W. Lo splendore per il tipo da 250 W è di 10.000 candele/cmq. e per il tipo da 500 W è di 20.000 candele/cmq. Anche per queste lampade sussiste l'inconveniente citato per quelle a media pressione, per cui appena spente non possono riavviarsi se non dopo una diecina di minuti. Vengono però anche in questo caso costruite lampade a luce mista con filamento incandescente, che supplisce alla deficienza di radiazione rossa, funziona da resistenza stabilizzatrice e permette alla lampada di riaccendersi immediatamente dopo un'interruzione. Sono costruite per potenze da 160 e 250 W; la tensione di avviamento è di 220 V.

Nelle lampade ad altissima pressione (ve ne sono alcune aventi pressione di esercizio anche di 200 atm.) l'arco scocca nell'interno di un sottile tubo, attorno al quale circola l'acqua di raffreddamento. La lampada in fig. 8 ha una distribuzione spettrale dell'energia emessa, risultante dalla fig. 11.

Lampade a fluorescenza. - Gran parte delle radiazioni emesse dalle lampade ad elettroluminescenza cade nella zona dell'ultravioletto. L'energia corrispondente è completamente perduta dal punto di vista della produzione di luce. Utilizzando fenomeni di fluorescenza (v. fluorescenza, XV, p. 569; fosforescenza, XV, p. 768) è stato recentemente possibile adoperare le radiazioni ultraviolette delle lampade al mercurio o di quelle al neon, non solo per provocare a mezzo di esse una successiva emissione nel campo dello spettro visibile, ma anche per correggere il colore della luce emessa in modo da renderlo simile a quello della luce solare.

Si hanno fenomeni di fluorescenza quando una sostanza, investita da radiazioni ultraviolette, emette nello spettro visibile e l'emissione dura fino a che dura l'eccitazione. Se invece l'emissione si protrae oltre l'eccitazione (anche parecchi mesi), i fenomeni sono detti di fosforescenza.

Le principali caratteristiche sperimentali della fluorescenza sono le seguenti: l'energia incidente è assorbita con produzione di fluorescenza solo se la sua lunghezza d'onda è compresa entro una o più bande ben definite; le radiazioni emesse sono comprese entro una o più bande di lunghezza d'onda superiore a quelle dell'energia incidente; il colore della luce emessa nelle bande di emissione è indipendente dalla lunghezza d'onda incidente, purché questa sia compresa entro una stessa banda di eccitazione; restando costante la lunghezza d'onda dell'energia incidente, l'energia emessa è proporzionale alla quantità di energia assorbita.

I fenomeni di fluorescenza si verificano per corpi solidi, liquidi e gassosi, ma particolare importanza dal punto di vista della produzione della luce rivestono quelli che si verificano in alcune sostanze inorganiche come ossisolfuri, tungstati e silicati. Tale fenomeno è associato con la presenza, nella sostanza inorganica, di particelle di metalli pesanti come manganese, bismuto, rame, antimonio: impurità che prendono il nome di attivatori; dalla natura dell'attivatore dipende il colore della luce.

Anche la temperatura influisce notevolmente, nel senso che in generale l'effetto di fluorescenza diminuisce al crescere di essa. La fig. 9 dà l'andamento della efficienza di emissione relativa in rapporto a quella massima per una lampada a fluorescenza, in funzione della temperatura dell'involucro della lampada stessa. L'emissione è massima verso i 40°C. Tale temperatura coincide con quella ottima dei tubi a vapori di mercurio a bassa pressione con catodo freddo. In tale caso la sostanza fluorescente può quindi essere disposta nelle pareti interne del tubo. Diminuendo la temperatura al di sotto dei 15° C, l'emissione diminuisce rapidamente. Per i tubi funzionanti a temperature elevate (a media pressione), le sostanze fluorescenti debbono in generale essere disposte al di fuori delle lampade, sulla parete interna dell'involucro di protezione termica. L'involucro della lampada è in tal caso di quarzo, per permettere il passaggio delle radiazioni ultraviolette destinate ad eccitare la sostanza fluorescente.

Le lampade attualmente in uso, in cui sono sfruttati fenomeni di fluorescenza, sono dei seguenti tipi: a) lampade a vapore di mercurio fluorescenti ad alta pressione. - Con l'aumento della pressione si è già visto come per i vapori di mercurio vada diminuendo la quantità e la qualità di energia emessa nell'ultravioletto, in quanto assumono maggiore importanza le righe prossime allo spettro visibile (3654 Å), mentre ne perde quella corrispondente alla frequenza di risonanza (2536 Å).

Sostanze adatte, fluorescenti per tale lunghezza d'onda, sono i solfuri, che vengono disposti sulla superficie interna dell'involucro esterno. Tale involucro, costruito in vetro, è piuttosto grande rispetto all'ampolla di quarzo interna che racchiude la lampada allo scopo di mantenere bassa la temperatura dei solfuri per le ragioni suesposte. La tensione di alimentazione è 200-250 V, la pressione di esercizio 5 ÷ 10 atm. per potenze da 80 ÷ 125 W ed 1 atm. per potenze di 400 W; si realizzano rendimenti luminosi di 38-40 lumen/W.

Il colore della luce emessa è bianco, per quanto leggermente deficiente di rosso rispetto alla luce del giorno (5% invece del 12% del flusso totale emesso); b) lampade a vapore di mercurio fluorescenti a bassa pressione. - Sono queste le lampade più perfezionate dal punto di vista della produzione della luce con colore simile a quella diurna e con buona efficienza specifica. Il tipo di lampada adoperato è quello a vapore di mercurio a bassa pressione, con catodo freddo e luminosità positiva. I materiali fluorescenti, disposti sulla superficie interna della lampada, sono costituiti da una miscela di varie sostanze in modo da ottenere il colore desiderato; lo spettro di emissione, che è continuo, può avvicinarsi molto a quello della luce solare (fig. 12). Con le lampade a fluorescenza l'inconveniente di fluttuazione del flusso luminoso, proprio delle lampade ad elettroluminescenza alimentate a corrente alternata, è in gran parte eliminato, qualora le sostanze adoperate seguitino ad emettere luce ancora per un breve intervallo di tempo l'eccitazione, siano cioè anche un poco fosforescenti, in modo che l'emissione per fosforescenza riempia, per così dire, l'intervallo di tempo in cui non vi è emissione per elettroluminescenza né per fluorescenza. Ciò si ottiene con l'aggiunta di sostanze fosforescenti allo strato fluorescente ma con scapito del colore della luce. Volendo mantenere il colore della luce diurna ed eliminare gli effetti stroboscopici si possono montare le lampade a coppie, in modo però che le tensioni di alimentazione siano derivate da due diverse fasi della distribuzione d'energia elettrica. Si hanno lampade da 25, 40, 80 W con efficienza luminosa di 30-35 lumen/W; la durata è di 3000 ore. Per fornire la tensione necessaria all'accensione della lampada si hanno interruttori automatici che possono essere di due tipi: termici o a scarica.

Bibl.: W. Uyterhoeven, Die elektrischen Gasentladungslampen, Berlino 1938; H. Miller, Luminous Tube Lighting, Londra 1945; H. Cotton, Electric discharge lamps, ivi 1946; H. K. Bourne, Discharge lamps, ivi 1948.

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Differenza di potenziale

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Elettrodo ausiliario

Effetto termoionico

Energia raggiante