LAMINAZIONE

Enciclopedia Italiana (1933)

LAMINAZIONE (fr. laminage; sp. laminación; ted. Walzung; ingl. rolling)

Carlo REPETTI
Lorenzo DAINELLI

S'intende, con questo nome, un particolare processo di lavorazione dei metalli diretto a ottenere pezzi sagomati aventi sezioni trasversali relativamente piccole e lunghezze molto grandi (travi, rotaie, tubi, nastri, ecc.). Si compie col cosiddetto laminatoio, apparecchiatura costituita da almeno due cilindri assai robusti di ghisa o di acciaio, giacenti in senso orizzontale ad assi paralleli contenuti in armature fisse chiamate gabbie, i quali sono fatti ruotare in senso opposto da una motrice. Se nello spazio compreso fra i due cilindri viene immesso materiale relativamente duttile, ad es., ferro allo stato incandescente, esso verrà, per attrito, trascinato e obbligato a prendere la forma dello spazio compreso fra i due cilindri.

Il più antico disegno di laminatoio che ci sia pervenuto è di Leonardo da Vinci (fig. 1), al quale va pertanto attribuito il merito di avere intuito per primo l'importanza di questo mezzo di lavorazione dei metalli: si tratta di un laminatoio per ottenere lastre di stagno partendo da piatti di circa 30 cm. di larghezza, con cilindri di bronzo duro aventi un'anima di ferro. Come risulta dal disegno, fu previsto da Leonardo anche un principio che ha trovato pratica applicazione soltanto negli ultimi anni, quello cioè di laminare con quattro cilindri sovrapposti di cui però soltanto i due centrali sarebbero destinati a far passare il materiale, mentre i due esterni (superiore e inferiore) servirebbero a sopportare lo sforzo.

La prima applicazione pratica dei laminatoi fu fatta per metalli diversi dal ferro, e più specialmente per piombo, stagno, ecc., i quali potevano essere facilmente deformati anche a freddo. Così, un laminatoio fu azionato nel 1615, per ottenere lastre di piombo e stagno (fig. 2). Altri ne seguimno, azionati da forza animale o idraulica (fig. 3 a e b). L'applicazione dei primi rudimentali laminatoi per ferro dovette essere fatta verso il 1683; si ottenevano, dalla lavorazione, lamiere che poi erano ritagliate a mano in tante strisce destinate alle ulteriori lavorazioni. Più tardi anche il lavoro di ritaglio della lamiera venne fatto con uno speciale laminatoio nel quale i cilindri, anziché essere piani, erano costituiti da una serie di dischi sfalsati e incastrati l'uno nell'altro: fra questi dischi veniva infilata la lamiera.

Poco alla volta, i laminatoi vennero perfezionati. Ai cilindri lisci, adatti soltanto per ricavare lamiere, si sostituirono cilindri sagomati, capaci di dare i pezzi delle più diverse forme. L'introduzione di mezzi tecnici più progrediti nella siderurgia (v. ferro) e la produzione di grandi quantitativi di acciaio da ridurre a travi, rotaie, vergella, ecc.. furono fra le principali cause di perfezionamento.

Laminazione di metalli ferrosi.

Laminazione a caldo. - Si compie secondo il procedimento generale suaccennato. I cilindri del laminatoio portano delle scanalature, scavate in senso normale al loro asse longitudinale, riproducenti il profilo che si desidera ottenere. Il lingotto di acciaio riscaldato in appositi forni fino alla temperatura di 1150° ÷ 1220° e immesso nello spazio compreso tra le scanalature e trascinato dai cilindri. Per la pressione che viene a esercitarsi, esso occupa esattamente tutto lo spazio per il quale è costretto a passare, e inoltre si allunga. Dopo ripetuti passaggi e successive trasformazioni di sezione, esso assume la forma definitiva.

Come può notarsi, scopo primo della laminazione di un lingotto è quello di ridurre la sua sezione e di aumentarne nello stesso tempo la lunghezza, in modo da ottenere un determinato profilo più rapidamente e più esattamente di quanto non sarebbe ottenuto per fucinatura (v.) sotto al maglio. Le due operazioni sono infatti simili, ma mentre per la fucinatura la pressione esercitata sulla barra e il suo avanzamento sono intermittenti, per la laminazione pressione e avanzamento sono continui e costanti (fig. 4).

Quanto più è piccola la forma dello stampo che obbliga il ferro nella fucinatura, o il diametro del cilindro nella laminazione, tanto maggiore sarà, con una certa pressione, la deformazione della barra. Quanto più l'utensile del fucinatore ha angolo acuto e quanto più sono piccoli i cilindri, tanto maggiore è la componente orizzontale utilizzabile per l'allungamento della barra nel senso della sua lunghezza e minore la potenza richiesta per le variazioni di sezione. Cilindri piccoli e veloci favoriscono perciò l'allungamento, grossi e con poca velocità l'allargamento. Nella laminazione l'allungamento e l'allargamento ai quali la barra è sottoposta debbono essere opportunamente regolati, perché se l'allungamento è eccessivo il ferro non riempie tutto il canale sagomato, se in difetto tende a provocare delle bave trasversali. Le dimensioni dei cilindri, poiché la loro resistenza a sforzi trasversali varia proporzionalmente al cubo del diametro, debbono essere notevoli perché forti sono gli sforzi ai quali debbono resistere e talvolta maggiori del previsto per il passaggio di un lingotto freddo. Inoltre anche il valore della pressione che si può dare alla barra per la sua deformazione, dipende dalla dimensione dei cilindri e quindi in dipendenza del loro diametro si può raggiungere una maggiore o minore economia nel numero dei passaggi ai quali si deve sottoporre una barra per ottenere un determinato profilo.

Perché due cilindri possano afferrare un lingotto, è necessario che le linee che uniscono i punti di contatto tra il lingotto e il cilindro con i centri dei cilindri formino con la verticale uil angolo non maggiore di 300 (fig. 5). Inoltre quando i due cilindri non sono spostabili nel senso verticale, lo spessore della barra non deve essere maggiore della metà della distanza che corre tra i due centri. Aumentando il diametro dei cilindri aumenta la loro velocità periferica e maggiore è lo sforzo di abrasione esercitato sulla barra. Quanto più il laminato è sottile e lungo tanto maggiore deve essere la sua velocità per evitare un raffreddamento eccessivo. La velocità media, espressa in metri al secondo, per laminatoi non reversibili, varia entro i seguenti limiti in corrispondenza al variare del diametro (in millimetri) dei cilindri:

Nei laminatoi continui e nei laminatoi a vergella automatici le velocità possono essere anche maggiori perché il ferro, nei singoli passaggi, viene guidato automaticamente.

A ogni singolo passaggio nei canali la barra, per effetto delle pressioni trasversali esercitate su di essa, diminuisce di sezione e si allunga, ma questa diminuzione misurata in percentuale della sezione precedente non può oltrepassare un certo limite che oscilla fra 20 ÷ 30% nei primi canali. Nell'ultima gabbia (finitrice) e specialmente nell'ultimo canale questo valore non supera il 15% perché in questo si vuole ottenere l'esattezza del profilo e quindi si cerca di non sciupare troppo i cilindri con pressioni eccessive. È buona norma che la sezione iniziale del lingotto sia almeno 10 volte quella del pezzo laminato finito (in media 20 ÷ 30 volte), affinché il materiale greggio possa essere compresso e lavorato in modo da conferire al laminato le qualità meccaniche richieste. Lo studio delle sagome da dare ai canali dei cilindri nei varî passaggi di una laminazione si chiama studio del tracciato di laminazione e richiede grande pratica. Le sagome ricavate dall'accostamento dei canali scavati nei due cilindri si suddividono in aperte o chiuse: aperte quando i bordi dei due cilindri non si toccano l'uno con l'altro (fig. 6: a, b, c); chiuse quando sono incavate nel cilindro inferiore e limitate lateralmente da bordi ricavati nel cilindro stesso, mentre il cilindro superiore chiude la sagoma e presenta due cavità in cui s'incastrano i due bordi del cilindro inferiore (fig. 6: d, e). Nella fig. 6: f è rappresentata una sagoma parzialmente aperta e parzialmente chiusa. Sono da evitare i canali sagomati come alla fig. 6: g, h, perché i cilindri verrebbero nella laminazione assoggettati a pressioni laterali tendenti a spostarli in direzione assiale.

Nel progettare lo studio di un tracciato per ottenere mediante laminazione un dato profilo è necessario tener conto del ritiro del ferro dovuto al raffreddamento subito dal laminato nel passaggio dalla temperatura di fine laminazione (in genere compresa tra 850° e 950°) a quella ambiente. Perciò si moltiplicano le misure del laminato a temperatura normale (chiamate "a freddo") per il coefficiente di dilatazione del ferro, cioè 1,015. Le nuove quote ottenute si chiamano, per distinguerle dalle precedenti, "a caldo". Lo studio di un tracciato è sempre fatto a ritroso, cioè partendo dalla sezione ultima e risalendo per gradi ad alcune sezioni base (quadro, rettanoolo o piatto) che si prestano per la quasi totalità dei profili.

Quanto allo studio dei tracciati, basterà accennare che il passaggio di forma dalla sezione iniziale alla finale deve essere graduale e che tale passaggio avviene mediante diminuzione della sezione e allungamento della barra per effetto della pressione esercitata dai cilindri durante il passaggio in essi della barra stessa.

Questa pressione e il conseguente allungamento debbono essere mantenuti, per quanto è possibile, uniformi in tutti i punti di una stessa sezione. La sezione base di partenza necessaria alla laminazione di profilati è ottenuta in generale mediante laminazione di grossi lingotti con i cosiddetti treni sbozzatori o blooming: lo sbozzato che se ne ricava, tagliato a pezzi del peso voluto, viene successivamente laminato, previo riscaldo, nei treni a profilati. La fig. 7 indica schematicamente la serie dei passaggi necessarî per ottenere alcuni tipi di laminati (a, b, ferri piatti; c, d, e, ferri tondi; f, travi e ferri a doppio T; g, id. a U; h, i, ferri angolari; l, rotaie).

Forni di riscaldo. - I forni di riscaldo dei lingotti funzionano quasi sempre a gas, più raramente a polvere di carbone o a nafta. Negl'impianti siderurgici che dispongono anche di alti forni e di batterie di forni a coke, i forni di riscaldo sono alimentati da una miscela di gas d'alto forno e di forno a coke. Sono di diverso tipo, ma preferibilmente a suola (a spinta) e a pozzo (pits).

Nei forni a suola (più indicati per il riscaldo di lingotti freddi: fig. 8), il gas e l'aria di combustione e i lingotti procedono in senso inverso. I prodotti della combustione attraversano il forno in un senso e cedono gradualmente il calore ai lingotti freddi che l'attraversano nel senso inverso. Da una delle estremità si scaricano i lingotti, dall'altra i prodotti combusti. Questi dovrebbero andare al camino, ma prima tuttavia sono fatti passare sotto la suola e sopra la vòlta del forno, in canali a esse parallele e contigui a quelli nei quali viene fatta passare l'aria destinata alla combustione, in maniera che possano preventivamente riscaldarla. I forni a suola sono quindi, dal punto di vista del riscaldo, assai razionali: i lingotti assorbono, infatti, il calore gradualmente, mano a mano che avanzano nel forno, e ricevono la massima quantità di calore poco prima dell'uscita. I lingotti avanzano nell'interno del forno per l'effetto della pressione esercitata dalla macchina caricatrice (fig. 9) (perciò il nome di forni a spinta) e scorrono su tubi o guide a circolazione d'acqua. Queste guide hanno il duplice scopo di diminuire l'attrito dei lingotti sulla suola e di tenerli sollevati su questa in modo che una parte della fiamma passi tra i lingotti e la suola scaldandoli il più uniformemente possibile. In altri forni più moderni, ma più complicati, i prodotti della combustione, dopo aver attraversato il forno, e prima di giungere al camino, sono fatti passare alternativamente attraverso l'una o l'altra camera di ricupero nelle quali, a sua volta alternativamente, viene fatta passare l'aria destinata alla combustione (fig. 10). Si ottengono così notevoli economie di carbone. Il consumo di questo dipende dalla costruzione del forno, dalla qualità del combustibile, dalla dimensione dei lingotti scaldati, ecc., e varia da 8-15% con carica fredda.

I forni a pozzo sono formati da tante celle verticali nelle quali sono posti i lingotti. Si studiarono questi forni quando si cominciarono a produrre lingotti grossi del peso di più tonnellate e si tentò di utilizzare, per la laminazione, il calore da essi posseduto all'atto della solidificazione. Si osservò che, avvenendo il raffreddamento dei lingotti dall'esterno all'interno, quando la crosta esterna aveva raggiunto la temperatura di laminazione l'interno era ancora liquido. Occorreva quindi, per laminare utilizzando il calore già posseduto dal lingotto, rendere omogenea la sua temperatura, e a ciò ben si prestarono appunto i forni a pozzo. Questi forni hanno tuttavia il grave inconveniente di rendere molto difficile la laminazione di lingotti freddi provenienti dai depositi e di quelli che per una qualsiasi causa non possono esser laminati subito. La figura 11 rappresenta un forno a pozzo, nel quale i rigeneratori per l'aria e il gas sono posti sotto il livello di officina, e i bruciatori situati alle due estremità. La temperatura di ogni fila costituita da 5 celle può essere singolarmente regolata mediante appositi registri. Il passaggio del gas avviene alternativamente dal basso e dall'alto delle celle. Essendo i forni interrati, le perdite di calore sono minime e il consumo di carbone assai ridotto (2 ÷ 4%).

Recentemente nei forni di riscaldo, specialmente se del tipo a spinta, al riscaldamento a gas è stato sostituito quello con carbone polverizzato. In un primo tempo s' incontrarono molte difficoltà di esercizio per la poca durata dei bruciatori, per deposito di carbone nei condotti, per consumo eccessivo delle macine ecc.; ma esse vennero presto superate. In alcuni tipi di forno la fiamma brucia in una camera, mentre in altri tipi essa brucia liberamente per tutta la lunghezza del forno stesso come avviene nei comuni forni a gas. In origine i bruciatori erano disposti solamente a una estremità del forno ma in seguito, e specialmente in forni di grande produzione, questi vennero muniti di bruciatori sussidiarî posti a circa 1/3 della suola (fig. 12). La polvere di carbone è trascinata nel forno mediante un getto d'aria e quindi la regolazione della fiamma non è molto facile perché variando la quantità d'aria di combustione si viene automaticamente a variare anche la quantità di combustibile iniettato. Il riscaldamento preventivo dell'aria non è applicabile che in casi rarissimi per la difficoltà di mantenere sgombri da ceneri i condotti e i ricuperatori. Qualche volta l'aria viene fatta salire in canali praticati in una doppia parete intorno ai bruciatori ottenendosi così il vantaggio di raffreddare le murature intorno ai bruciatori stessi (fig. 13). Questo genere di combustione s'adatta a ogni tipo di combustibile, dalla torba ai carboni fossili e al coke; il tipo migliore però è dato dal carbone fossile a basso tenore di ceneri, perché queste sono sempre un ostacolo sia per il fatto che si depositano ovunque, sia perché molte volte, secondo la loro composizione chimica, attaccano e danneggiano le murature dei forni. Il carbone destinato alla polverizzazione deve essere secco e in pezzatura regolare per non creare incagli nell'impianto di macinazione che generalmente comprende un gruppo frantumatore, un essiccatore e un mulino. Normalmente tra il mulino e i bruciatori è interposto un deposito di carbone polverizzato che serve da volano in caso di guasti all'impianto di macinazione.

Tutti i forni di riscaldo, di qualunque tipo e qualunque sia il sistema usato per il riscaldamento, sono costruiti in materiale refrattario costituito da silice dinas e magnesite per il laboratorio, di chamotte per le parti meno esposte al calore. I forni, come tutti quelli esposti ad alte temperature, debbono poi essere solidamente armati e ancorati per resistere alle forti dilatazioni.

Laminatoi. - I laminatoi comprendono un motore, una gabbia a pignoni per trasmettere il movimento dal motore ai cilindri, tre o quattro gabbie per la laminazione (fig. 14). Ciascuna delle gabbie può contenere due, tre o quattro cilindri (treno duo, trio o doppio duo: fig. 15).

La fig. 16 rappresenta un cilindm di laminatoio a tavola piana (si chiama tavola la parte del cilindro compresa tra i colli e nella quale sono ricavate le sagomature dei profili). In essa si vedono i colli a che corrispondono alla parte con la quale il cilindro appoggia sui cuscini portati dalle gabbie, e i trefoli b che servono a riunire con appositi manicotti i cilindri di due gabbie contigue, con l'interposizione di pezzi speciali detti allunghe (fig. 17), le quali servono anche per la connessione tra la gabbia a pignoni e le gabbie del treno. Il movimento dal motore viene trasmesso al treno per mezzo della gabbia a pignoni, che consiste in un gruppo d'ingranaggi di solito a dentatura a spina di pesce per diminuire l'attrito ed evitare urti nella trasmissione.

La macchina fornitrice di energia per il movimento del treno, era in passato più frequentemente a vapore, oggi è più comunemente elettrica. Nei treni a due cilindri, dopo che la barra è passata in una direzione, occorre arrestare il treno e invertire il senso di marcia perché la barra possa ripassare in senso inverso e così di seguito. Si ha in tal modo un dispendio enorme di lavoro e perdite di tempo e di produzione. Queste motrici non possono essere fornite di grossi volani e debbono perciò essere molto robuste e quindi costose. I treni duo sono usati quasi esclusivamente per treni sbozzatori. In tutti gli altri casi si usano treni trio nei quali la barra passa una volta in una direzione tra il primo e il secondo cilindro, nella direzione opposta tra il secondo e il terzo. Con questa disposizione il motore gira sempre nello stesso senso e può essere notevolmente aiutato da un volano pesante.

Le barre chiuse strettamente nei canali dei cilindri hanno la tendenza, uscendo dal canale, ad avvolgersi sul cilindro inferiore se il diametro di questo è minore di quello del superiore e viceversa (fig. 18: a e b). Per evitare che ciò avvenga i cilindri sono muniti, dalla parte dalla quale escono le barre, di attrezzature speciali chiamate guardie d'uscita (fig. 19: d); per facilitare poi il distacco della barra dal cilindro superiore, questo viene tenuto con diametro leggermente maggiore dell'altro perché avendo così velocità periferica maggiore sollecita il ferro a distaccarsi. Per evitare poi che la barra imboccando male un canale danneggi il cilindro, il treno è munito di un'altra attrezzatura chiamata guida, la quale, come indica la parola, serve appunto a guidare la barra (fig. 19: c).

Secondo il lavoro cui sono destinati, si distinguono varî tipi di laminatoi: treni sbozzatori o blooming, per la laminazione di grossi lingotti (da 2 tonn. in su); treni a profilati, distinti in genere secondo il diametro dei loro cilindri; treni laminatoi per piccoli profilati, anche questi di diverso tipo. Vi sono poi tipi speciali di laminatoi: i cosiddetti treni lamiere (per la produzione di corazze, lamiere, e lamierini), il treno universale, i treni per tubi, cerchioni, catene, ecc.

I treni sbozzatori o blooming sono usati nei grandi impianti siderurgici. Dal lingotto si ottengono gli sbozzati, i quali, dopo essere stati tagliati nelle lunghezze volute con una cesoia a caldo, vengono passati ai treni più piccoli per la laminazione completa. Il blooming richiede grandi e costose attrezzature. È costituito generalmente da un duo reversibile, cioè dotato di motrice capace d'invertire il senso di rotazione onde permettere il passaggio del lingotto nei due sensi, e ha come caratteristica che il cilindro superiore è mobile in un piano verticale: il diametro dei cilindri varia da 850 a 1200 mm. (fig. 20; tav. LI). Se invece di un duo, si tratta di trio, il diametro dei cilindri varia da 700 a 850 mm. e sono mobili in un piano verticale tanto il primo che il secondo cilindro.

I treni per profilati hanno dimensioni appropriate al peso e alle dimensioni dei pezzi voluti e una serie di scanalature (e quindi di passaggi della barra) tali che la sezione originariamente quadra del lingotto possa trasformarsi, poco a poco, in quella che si vuole ottenere. La fig. 21 rappresenta un treno da 750 mm. trio per travi, rotaie, ecc.

I treni per piccoli profilati hanno cilindri da 600 fino a 250 mm. di diametro e serie di scanalature assai numerose. Questi treni, a impedire che l'acciaio, data la piccola sezione, possa raffreddarsi rapidamente, devono funzionare a grande velocità. Essi sono perciò, ormai, a funzionamento automatico e continuo, cioè tali che il passaggio di una barra da una gabbia all'altra, o da un canale all'altro nella stessa gabbia avvenga a mezzo di guide automatiche. La fig. 22 rappresenta un treno di questo tipo.

I treni per lamiere, dovendo produrre un tipo semplicissimo di laminato, a facce parallele piane molto estese, hanno cilindri a superficie piana. Ma poiché, per la trasformazione del lingotto in lamiera finita (spessore di 5-40 mm. per grosse lamiere, sotto i 5 mm. per lamiere sottili), occorrono moltissimi passaggi, che non potrebbero avvenire nella stessa gabbia se i cilindri non potessero modificare facilmente la distanza fra i loro centri, questi treni hanno cilindri spostabili, elettricamente o idraulicamente, sul piano verticale. Naturalmente diversissimi come funzionamento e come impianti che richiedono sono i treni a corazze (che sono una specie particolare di grosse lamiere) e i treni per la produzione di lamierini di spessore inferiore al millimetro. La fig. 23 rappresenta schematicamente un treno duo reversibile per la laminazione di lamiere grosse da 3 a 33 mm. con cilindri aventi 1067 mm. di diametro e tavola di 3660 mm. di lunghezza. Nella tav. LII è rappresentato in veduta un treno per grosse lamiere. Per i treni lamierini v. alla voce latta.

Il treno universale è un treno lamiere il quale oltre ai due cilindri orizzontali è munito di due cilindri verticali, anch'essi spostabili nel senso della larghezza: serve per la laminazione di pezzi speciali (larghi piatti), particolarmente adatti per costruzioni di navi, ponti, ecc. I larghi piatti sono in sostanza lamiere lunghe e strette, nelle quali anche i bordi laterali sono finiti di laminazione a mezzo dei cilindri verticali. Pure con treni universali speciali si laminano le travi a I ad ali larghe. La fig. 24 rappresenta lo schema di un treno universale: vi si osserva chiaramente il modo di funzionamento dei cilindri verticali.

Il laminatoio per cerchioni, parte da lingotti di forma speciale, ridotti mediante fucinatura al maglio o alla pressa, ad anello: esso dà la sagoma definitiva. La fig. 26 rappresenta lo schema di un tale laminatoio a 4 cilindri.

Fra i laminatoi per tubi, sono importanti quelli del tipo Mannesmann. I tubi sono senza saldatura e si ottengono da un lingotto tondo. La fabbricazione avviene in due periodi: 1. foratura del lingotto; 2. trasformazione del lingotto forato in tubo a parete sottile. Con la prima laminazione i lingotti introdotti sotto due cilindri conici ad assi obliqui vengono fatti ruotare intorno al loro asse longitudinale mentre nello stesso tempo sono spinti in avanti; ne risulta un movimento elicoidale per il quale gli strati esterni di metallo subiscono uno stiramento. Conseguenza di ciò è la formazione di un tubo facilitata dall'applicazione tra i cilindri di una spina fissa coassiale al lingotto, dotata di moto di rotazione (fig. 25; tavola LII). Con la seconda laminazione il lingotto forato viene introdotto nel cosiddetto laminatoio a pellegrino (fig. 27), dove a mezzo di cilindri eccentrici opportunamente sagomati viene martellato attorno a una spina (pellegrino) con un movimento a colpi nel senso longitudinale, e ridotto a pareti sottili. In questa laminazione il tubo, a ogni giro dei cilindri, compie un lungo passo avanti e uno corto indietro. Per ottenere tubi a pareti più sottili, quelli così prodotti vengono ulteriormente laminati a caldo in treni continui e trafilati a freddo. Ultimata la laminazione, i tubi passano alla finitura che comprende la lavorazione d'intestatura, filettatura, zincatura, ecc. Oltre il sistema Mannesmann vi sono diversi altri procedimenti per la fabbricazione di tubi con e senza saldatura: alcuni sono veri e propri procedimenti di laminazione, altri invece sono lavorazioni che si scostano, talora notevolmente, da questi.

Apparecchi accessori dei laminatoi. - Il trasporto dei lingotti dai forni di riscaldo ai treni, e delle barre da una gabbia all'altra, specialmente per lingotti di un certo peso, avviene a mezzo di apparecchi meccanici.

Per il trasporto dei lingotti dal forno alla prima gabbia si fa uso di piani a rulli, cioè di una serie di rulli disposti parallelamente gli uni agli altri, mossi meccanicamente, i quali girando tutti in una stessa direzione fanno avanzare in quella il lingotto posato su di essi (fig. 28). Analoghi piani a rulli sono disposti davanti e dietro a ogni gabbia e hanno una lunghezza pari a quella delle barre più lunghe che possono uscire da quella data gabbia. Davanti alla gabbia dello sbozzatore o davanti alla prima gabbia sbozzatrice di ogni treno, trovasi un apparecchio speciale per poter girare il lingotto di 90° affinché possa essere imboccato nei canali dei cilindri con la voluta sezione verticale. Questi apparecchi possono essere idraulici o elettrici. Quando i lingotti sono scaldati in forni a pozzo essi ne vengono estratti in posizione verticale e debbono poi essere deposti orizzontalmente sul piano a rulli. Occorre avere un apparecchio per rovesciaie i lingotti (fig. 28).

Nel passaggio da una gabbia all'altra le barre sono trasportate a mezzo di trascinatori speciali mossi da catene o funi munite di airesti speciali contro i quali urtano le barre venendo trascinate.

Nei treni a trio quando la barra deve essere imboccata tra il cilindro superiore e quello di mezzo. essa deve essere sollevata a quell'altezza. Questo movimento di alzata è ottenuto facendo mobili, in senso verticale, gli ultimi tratti di piani a rulli.

Allo scopo di diminuire lo sforzo che si dovrebbe compiere per muovere tutte queste masse metalliche assai pesanti, le parti mobili sono accuratamente contrappesate (fig. 29).

Nei treni a doppio duo l'imboccamento della barra da una coppia di cilindri all'altra è fatto con una apparecchiatura del tipo rappresentato alla fig. 30.

Tutti questi meccanismi sono mossi elettricamente. Le barre all'uscire dall'ultima gabbia, ancora incandescenti, sono tagliate alla lunghezza voluta mediante seghe circolari a caldo (a disco), quindi ancora con piano a rulli vengono portate suí piani di raffreddamento, costituiti generalmente da una serie di rotaie sulle quali si adagiano le barre calde per esser raffreddate all'aria che circola tutto intorno a esse. Durante il raffreddamento le barre, molte volte a sezione asimmetrica, si curvano per effetto del diverso raffreddamento nei varî punti della sezione e perciò prima di essere passate in commercio debbono essere raddrizzate (raddiizzatrici a rulli e a colpi). Per alcuni tipi speciali di laminati occorre ancora provvedere a lavorazioni ulteriori. Per es.: la lavorazione delle rotaie e dell'armamento ferroviario in genere richiede l'impianto di frese, trapani, presse, ecc, per la lavorazione meccanica; la fabbricazione di traversine metalliche richiede presse per la stampatura delle estremità e per la foratura, da eseguirsi a caldo, apparecchi per la catramatura, ecc. Finalmente i laminati vengono raccolti nel magazzino e poi spediti.

Laminazione a freddo. - Negli ultimi anni ha preso sviluppo la laminazione a freddo di nastri e lamierini utilizzando il principio Lauth (fig. 31), secondo il quale la laminazione avviene in gabbie con tre o più cilindri: nel primo caso il cilindro di mezzo ha un diametro pari a 2/3 del diametro dei cilindri superiore e inferiore e il laminato passa una volta tra il cilindro superiore e il centrale, un'altra tra questo e il cilindro inferiore. I due cilindri più grossi servono di appoggio a quello centrale più piccolo. Questa disposizione è stata adottata in seguito al vantaggio del maggior allungamento che si ottiene nella laminazione con cilindri di piccolo diametro in confronto a quella con cilindri a forte diametro. Il principio Lauth è stato poi generalizzato e perfezionato e oggi si costruiscono laminatoi per laminare a freddo lamiere e nastri fino alla larghezza di mm. 1500 (fig. 32): in tal modo si viene a modificare radicalmente la tecnica sin qui usata per la fabbricazione dei lamierini sottili.

Laminazione dei metalli non ferrosi.

Rame e sue leghe. - La laminazione del rame può esser fatta sia a freddo sia a caldo. Il rame però, sotto l'azione di un trattamento meccanico qualsiasi (laminazione, martellamento, trafilatura, ecc.), incrudisce con grande facilità, aumenta cioè di durezza e resistenza divenendo, in pari tempo, molto meno duttile e più fragile. La laminazione a freddo dovrebbe essere quindi interrotta da frequenti ricotture al calor rosso nascente (circa 600°), al fine di restituire al metallo la sua plasticità iniziale. Si preferisce perciò, onde rendere più agevole e spedito il lavoro di laminazione, effettuare il maggior lavoro di sbozzatura a caldo, ché allora la ricottura compensa l'incrudimento prodotto dalla lavorazione, ed eventalmente fare a freddo soltanto gli ultimi passaggi di finitura.

La produzione di lamiere di rame ha luogo partendo da pani fusi di forma schiacciata o placche. di dimensioni varie a seconda delle necessità di produzione (spessore più comune 75-100 mm.). Riscaldati a 750-800°, questi pani vengono assoggettati a successivi graduali passaggi fino a raggiungere lo spessore di circa 8 mm. Generalmente a questo punto la lamiera che si ottiene viene ricotta, decapata a freddo in soluzione di acido solforico a circa 50 Bé., riscíacquata e laminata a freddo, fino a ottenere le dimensioni desiderate, con ricotture intermedie se necessario.

La produzione di fili ha luogo partendo da lingotti a base quadrata di circa 10 cm. di lato e m. 1,20 di altezza (peso circa 100 kg.). Questi lingotti vengono usualmente laminati a caldu con successivi passaggi fino a ottenere dei tondi del diametro di 6 mm. circa. I tondi, dopo ricottura e decapaggio, sono passati ai banchi di trafileria ove vengono stirati in fili con successivi passaggi a freddo, alternati da ricotture e decapaggi intermedî (v. trafilatura). Il filo viene poi posto in opera crudo (fili per trolley o per linee telefoniche) o più o meno addolcito per ricottura a seconda degli usi cui va destinato.

La fabbricazione di tubi senza saldatura secondo il processo Mannesmann ha luogo partendo da una billetta cilindrica. Questa, alla temperatura di circa 850°, vien portata al laminatoio per tubi, e quivi laminata in maniera del tutto simile ai lingotti di acciaio. Il tubo che ne risulta, dopo raffreddamento in acqua, può poi essere ancora ridotto e finito con operazioni di stiramento a freddo su un mandrino.

Come già si è accennato, la lavorazione a freddo modifica profondamente le proprietà meccaniche del rame ricotto. Nella tab. 1 sono riportati il carico di rottura (R), il limite elastico (T), l'allungamento (A) e la durezza Brinell (Δ) di lamiere, barre, e fili di rame allo stato crudo e allo stato ricotto, e nella fig. 33 sono espresse le variazioni di R e di A di una piattina di rame ricotto di 0,3 mm. di spessore in funzione delle successive riduzioni percentuali di sezione per laminazione.

Fra le leghe del rame laminabili ha primaria importanza l'ottone, lega costituita da rame e zinco e, eventualmente, da altri costituenti speciali. Sotto forma di lamiere, o tubi, fili o barre variamente sagomate, l'ottone ha un'infinità di applicazioni nelle costruzioni meccaniche, elettrotecniche e navali, negl'impianti idraulici, nella meccanica fine, ottica e costruzione in genere di apparecchi scientifici, strumenti geodetici, musicali, ecc. Oltre a ciò l'ottone laminato ha moltissimi altri usi minori, quali la fabbricazione di giocattoli, di gioiellerie d'imitazione, di tessuti metallici per la costruzione di setacci di grande finezza, ecc.

I lingotti d'ottone da trasformare in prodotti semilavorati vengono colati in forme di terra se di piccole dimensioni (fino a 30 kg. circa), in forme metalliche se di dimensioni maggiori (fino a 400 kg.). Ottime placche, esenti da porosità, cavità di ritiro o soffiature, si ottengono per centrifugazione. Vi sono essenzialmente due grandi categorie di ottoni da laminazione: quelli che si laminano a freddo e quelli che si laminano a caldo. I primi si colano in barre lunghe e di piccolo diametro, i secondi in lingotti di diametro relativamente forte rispetto all'altezza. Generalmente si laminano a caldo gli ottoni a tenore di rame compreso fra 63 e 54%; si laminano a freddo gli ottoni con più del 63% di rame.

Un ottone la cui composizione rientri nei limiti suddetti, osservato al microscopio si presenta formato da 2 costituenti (v. leghe): l'uno, bianco (soluzione solida α), è duttile, relativamente poco resistente, malleabile A fieddo ma non a caldo; l'altro, nero (costituente β), è duro, resistente, sufficientemente plastico a caldo ma non a freddo. Gli ottoni con i più bassi tenori di zinco fino alla lega di composizione Cu 63%-Zn 37% sono costituiti integralmente da soluzione α; invece l'ottone con 54% di rame e 46% di zinco presenta esclusivamente il costituente β. Negli ottoni di composizione intermedia sono presenti tutti e due i costituenti α e β in proporzioni scalari. Ora, solamente gli ottoni in cui sia presente il costituente β sono suscettibili di essere trattati meccanicamente a caldo. L'operazione è delicata per tenori di rame compresi fra 63 e 61%; diventa facilissima per tenori di rame del 60-59%. Esiste dunque soltanto un assai piccolo intervallo di composizione in cui gli ottoni possono agevolmente laminarsi a caldo e trafilarsi a freddo. Le migliori composizioni sono comprese fra 58,5 e 61% di rame. Le temperature di laminazione a caldo degli ottoni compresi fra 57 e 63% di rame sono definite dal grafico riportato alla fig. 34. Si nota da questo diagramma che l'intervallo delle temperature in cui la laminazione a caldo è possibile diventa tanto più piccolo quanto maggiore è il contenuto di rame. Ciò spiega il perché della delicatezza della laminazione a caldo degli ottoni a tenore di rame compresi fra 61 e 63%. Superfluo è dire qui dei vantaggi che la laminazione a caldo presenta su quella a freddo nella fabbricazione in serie di grandi quantità di ottone, giacché l'ottone incrudisce più facilmente del rame e la sua laminazione a freddo necessita perciò di assai frequenti ricotture e decapaggi. La laminazione a caldo o a freddo degli ottoni α + β non esercita influenza sensibile sulle proprietà meccaniche degli ottoni in definitiva ricotti. Ciò è dimostrato dai valori raccolti nella tab. 2 in cui riportìamo anche il valore della resilienza (ρ).

Per la fabbricazione di lamiere si ricorre per lo più alle due composizioni: 67% di rame e 33% di zinco o 60% di rame e 40% di zinco. Le prime s'impiegano specialmente per la fabbricazione di cartucce, le seconde per le costruzioni navali. Per queste ultime, analogamente a quanto vien fatto per le lamiere di rame, le placche vengono laminate a caldo fino a pochi millimetri di spessore, indi passate ai treni finitori a freddo (fig. 35). Se si vuol conferir loro la maggiore duttilità possibile, a questo punto si ricuociono a 700° circa e poi si temprano. Le lamiere, comunque finite, crude o ricotte, sono di color nero, in gran parte: causa della formazione di una pellicola superficiale di ossido ramico. Un decapaggio in acido solforico al 10% seguito da accurato lavaggio in acqua restituisce alle lamiere il color giallo caratteristico.

Per la fabbricazione di fili si ricorre usualmente alla composizione 62-65% di rame e 38-35% di zinco. Si parte da lingottini quadri di 3-4 centimetri di lato che si trasformano al laminatoio in filo grosso 8-10 mm. Questo in circa 15 passaggi, inframezzati da frequenti ricotture e decapaggi, si trafila a 1 mm. circa.

Infine per la fabbricazione dei tubi non saldati lavorati a freddo si fa uso in Europa di un ottone avente la composizione: 65% di rame, 35% di zinco, mentre in America i tubi non saldati si fabbricano per lo più con ottoni da lavorarsi a caldo (processo Mannesmann). Alla fig. 36 è riportato il diagramma delle variazioni del carico di rottura (R) e dell'allungamento (A) in funzione delle successive riduzioni percentuali di sezione per laminazione dell'ottone comune.

Il similoro è ottone all'83-85% di rame con 17-15% di zinco. Si lamina in barre e trova il suo maggiore impiego nella gioielleria d'imitazione. Pure in barre tonde o sagomate si lamina l'ottone della composizione rame 58-59%, zinco 40%, piombo 1-2% molto in uso per lavorazioni in grande serie al tornio automatico.

Delle leghe rame-stagno o bronzi vengono normalmente laminate o trafilate soltanto quelle col 6-10% di stagno e disossidate durante il processo fusorio con piccole quantità (0,02-0,05%) di fosforo (bronzi fosforosi). Molta importanza sembra avere, ai fini del conseguimento delle più elevate qualità meccaniche del laminato, il rapido raffreddamento del lingotto e della placca dopo la fusione. I bronzi fosforosi vengono laminati soltanto a freddo.

Fra le leghe del rame complesse da laminare vanno citate specialmente quelle rame-silicio e rame-silicio-manganese, e quelle rame-alluminio (bronzi d'alluminio). Delle prime, quelle contenenti fino al 3% di silicio sono laminabili a freddo; quelle col 3-5% di silicio sono laminabili a caldo. Fra le leghe rame-silicio-manganese è la lega americana Everdur col 3-6% di silicio e 1-5% di manganese che può essere laminata in lamiere, nastri, piattine, anche di sottilissimo spessore, e che è dotata di particolare resistenza alle corrosioni in genere.

Dei bronzi d'alluminio, quelli che hanno maggiore importanza industriale (Al 9-11%) si laminano a caldo con grande facilità ed entro un largo intervallo di temperatura (650-900°); quelli col 6-9% d'alluminio sono invece delicati a laminarsi a caldo, e possono anche laminarsi a freddo. Il bronzo d'alluminio normale (al 10% Al) è una lega assai interessante giacché possiede dopo la laminazione delle proprietà meccaniche veramente rimarchevoli. È inoltre trattabile termicamente con aumento del carico di rottura e del limite elastico. È inossidabile, resistente a molti agenti chimici, e presenta inoltre buona resistenza all'usura. Trova applicazione nelle fabbricazioni di pompe, valvole e rubinetterie, armi per la marina, ecc.

Nella tabella 3 sono raccolte le caratteristiche meccaniche delle principali leghe del rame da laminazione di cui abbiamo man mano trattato.

Alluminio e sue leghe. - L'alluminio è, per sua natura, un metallo malleabilissimo e duttile. Esso è quindi particolarmente atto a subire, sia a caldo sia a freddo, lavorazioni meccaniche di vario genere, quali la laminazione, l'estrusione o trafilatura a caldo alla pressa, lo stampaggio, ecc. Si parte sempre, in ogni caso, da lingotti fusi in conchiglia di forme e dimensioni convenienti. Ordinariamente una placca per laminatoio normale ha le dimensioni di 300 × 500 × 120 mm. e pesa circa 50 kg. Non mancano però esempî di laminatoi giganteschi, specialmente per la produzione di profilati varî, ove si parte da lingotti le cui dimensioni arrivano a 500 × 550 × 1800 mm. e che pesano circa 1500 kg. Di tali installazioni abbiamo esempî specialmente in America, a Massena (N. Y.), dov'è il più grande impianto di laminazione di profilati del mondo (capacità di produzione giornaliera 500 tonn. di semi-lavorati).

Le leghe d'alluminio ad alta resistenza, che contengono anche rame, silicio, magnesio, manganese, si laminano di solito a temperatura un po' inferiore a quella in uso per l'alluminio puro, e hanno inoltre un intervallo di laminazione più limitato. Le difficoltà di laminazione di queste leghe sono accresciute anche dalla minore facilità con cui possono ottenersi lingotti sani. Queste leghe laminate, termicamente trattate, hanno proprietà meccaniche paragonabili a quelle dell'acciaio dolce (tab. 4).

La fabbricazione delle lamiere di alluminio ha luogo laminando in un primo tempo a caldo (fig. 37) a temperature normalmente comprese fra 510° e 315°. Una placca normale dello spessore di circa 120 mm. subisce una riduzione di sezione del 30% durante ciascuno dei primi due passaggi: lo spessore iniziale di 120 mm. si riduce a 12 mm. in sette passaggi. Normalmente, la laminazione a caldo dà sbozzati di 6-12 mm. di spessore. Questi sbozzati sono ulteriormente ridotti per laminazione a freddo. La fabbricazione di lamiere sottili (di spessore inferiore al millimetro) ha luogo laminando a freddo pacchi di due o più lamierini. Si può produrre lamierino d'alluminio di pochi centesimi di mm. di spessore, nonché fili trafilati a freddo, dello stesso diametro, partendo da tondini di 6-9 mm. di diametro laminati o pressati a caldo.

La fabbricazione di tubi d'alluminio ha luogo partendo in generale da un lingotto cavo o da una billetta perforata laminata a caldo. Si passa poi ai banchi di trafilatura. Per fare i tubi v'è anche un metodo per imbutitura. Si lamina una placca fino a circa 15 mm. di spessore e si ricava dalla lamiera così ottenuta un disco di circa 1 metro di diametro. Questo disco viene disposto su di una matrice cilindrica e imbutito per effetto di un punzone che penetra nella matrice azionato da una potente pressa. Lo spessore del disco non viene ridotto con l'imbutitura perché il giuoco esistente fra matrice e punzone è uguale allo spessore iniziale del disco. Con una prima imbutitura si ottiene una specie di tazza. Con imbutiture successive, fatte con stampi e punzoni di dimensioni minori, si riduce ulteriormente il diametro e si aumenta la profondità della tazza. Si arriva così per successivi gradi a produrte il tubo del diametro e della lunghezza volute. Ordinariamente gli ultimi passaggi sui tubi, come già sulle lamiere, vengono fatti a freddo.

La lavorazione a freddo incrudisce il metallo, aumentandone la resistenza e riducendone la duttilità. L'addolcimento completo del materiale può ottenersi con una ricottura a 300-400° che industrialmente, p. es. nel caso delle lamiere, viene effettuata in forni di grandi dimensioni, preferibilmente elettrici, ove vengono introdotte le lamiere, poste l'una sull'altra e caricate su vagonetti. La carica di questi forni varia da 500 a 5000 kg. e una ricottura dura in media da 3 a 8 ore. Alla fig. 38 sono riportate le variazioni del carico di rottura dell'alluminio laminato per ricotture prolungate per tempi crescenti alle temperature di 250° e 300°.

V. tavv. LI e LII.

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