LAMBACH

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1996)

LAMBACH

N. Wibiral

Città dell'Austria Superiore, nel distretto di Wels-Land, sulla riva sinistra del fiume Traun.Già nel 1035, sulla striscia collinosa tra il Traun e il torrente Schwaig esisteva un castello, nel quale risiedevano i conti di L.-Wels, attestati documentariamente a partire dal 992. Dopo la distruzione del castello, avvenuta nel 1050 ca., il conte Arnoldo II (m. nel 1055-1056) fece erigere, in corrispondenza del ricetto, una fondazione di Canonici che suo figlio, il vescovo Adalberone di Würzburg (1045-1090) trasformò tra il 1056 e il 1089 in un monastero benedettino occupato da monaci provenienti da Münsterschwarzach (Baviera), che aderivano alla 'nuova riforma di Gorze'. Intenzione di Adalberone era probabilmente quella di creare un monastero cui affidare la cura dei defunti della propria famiglia, ma la stirpe dei fondatori si estinse già con Adalberone nel 1090.L'edificio del sec. 11°, della cui consacrazione si narra nella Vita Adalberonis (MGH. SS, XII, 1856, pp. 128-147) del 1200 ca., venne radicalmente trasformato nei secc. 15° e 17°, ma di esso si sono conservati resti significativi della parte occidentale e, grazie alle fonti, è stato possibile individuare la sua struttura d'insieme. La chiesa, con un impianto a doppio coro, aveva l'altare maggiore - consacrato da Altmann di Passau alla Vergine e a s. Chiliano - nel coro occidentale, mentre in quello orientale era situato l'altare dedicato a s. Giovanni, consacrato dallo stesso vescovo Adalberone. Il corpo longitudinale era a tre navate, come testimoniano le tre arcate di ampiezza differente che si aprono verso E, nonché le colonne e i frammenti di colonne trovati nel monastero, probabilmente appartenenti a queste arcate; al di sotto del corpo occidentale si estendeva una cripta, già chiusa nel sec. 15° e più tardi livellata.La parte occidentale, ancora sostanzialmente conservata, presenta un coro a terminazione rettilinea un tempo aggettante rispetto alle torri - di cui resta in alzato solo il lato meridionale - con copertura a botte o a crociera e un transetto con volte a crociera cupoliformi sui cui bracci, separati dall'incrocio da sottarchi, si innalzano torri gemelle che fino al livello delle finestre delle campane conservano la muratura originaria. Non è stato chiarito se l'altare dedicato alla Vergine si trovasse all'interno del quadrato del coro o se fosse invece situato all'incrocio, sotto l'immagine della Theotókos della cupola centrale. Le due porte sui bracci del transetto, che si aprivano verso E, conducevano probabilmente ad ambienti annessi al coro, forse con funzioni di pastofori, o a un ambulacro o piuttosto a un doppio ingresso nel chorus psallentium.La cripta, dedicata a s. Stefano, era costituita da due bracci intersecantisi e il suo perimetro coincideva a O con quello della chiesa, mentre il braccio orientale - alla cui estremità si apriva una nicchia per le reliquie, con pavimento a lastre di spoglio provenienti da un'ara romana - si estendeva verso la navata centrale. Durante gli scavi del 1959 si sono riscontrati in alcuni punti gli attacchi delle cinque volte a crociera. Essendo la cripta sopraelevata rispetto al livello del pavimento della chiesa, essa costituiva una sorta di podio per l'altare (chorus superior). La sopraelevazione dell'edificio in questa zona, avvenuta nel 1639, determinò ancora in epoca barocca un ispessimento del muro di cm. 60 ca., che, fino al 1957, nascose tutte le pitture sulle pareti; la sua rimozione, che ebbe come conseguenza problemi di carattere sia statico sia conservativo, non venne ultimata che nel 1967.L'importanza della chiesa di L. è dovuta all'estesa decorazione pittorica che ancora si conserva. La cripta, consacrata presumibilmente già prima del 1089, doveva originariamente essere per gran parte rivestita di pitture, delle quali sono stati recuperati quattro frammenti: due, identificati come pertinenti a una Strage degli innocenti, appartengono allo strato più antico; gli altri sono clipei a secco con raffigurazioni di vescovi a mezza figura, attribuibili a uno strato più recente del 12° secolo. Un ulteriore frammento con una mezza figura maschile - forse appartenente a un ciclo dedicato a s. Stefano - non poté essere asportato e dopo il consolidamento venne di nuovo interrato. Estese su una superficie di m2 200 ca., le pitture del sovrastante coro sono realizzate a fresco con ritocchi a secco su un intonaco costituito da uno strato di calce e sabbia steso direttamente sul commesso murario di tufo calcareo con giunti di malta. Per il tracciato, oltre alle incisioni nella malta, venne usata la corda battuta imbevuta di rosso e per la composizione delle teste e dei nimbi il compasso a corda. La resa cromatica è ottenuta tramite sovrapposizione di strati di colori; come pigmenti furono impiegati il bianco (calcare palustre), il giallo (ocra naturale), il rosso (ossido di ferro), l'azzurro (lapislazzuli), il verde (terra verde e tracce di verderame), così come una lacca vegetale non chiaramente analizzabile. Sopra uno zoccolo non dipinto corre un fregio a meandro 'prospettico' a forma di T; le membrature sono sottolineate da motivi ornamentali tratti dal repertorio geometrico, fitomorfo e zoomorfo, così come da quello architettonico e dell'incrostazione parietale.Poiché manca la terminazione del coro, la sua decorazione originaria - della quale sono conservati in situ solo due frammenti - non è conosciuta per intero e può essere ricostruita solo graficamente.Una parte ragguardevole della superficie pittorica delle pareti, scoperta nel 1957, è ancora in situ: si tratta di un programma dedicato principalmente al Nuovo Testamento, composto da ventitré scene conservate per intero e da altre pervenute in stato frammentario. Sulle lesene della campata di incrocio sono raffigurati, stanti, quattro personaggi dell'Antico Testamento, forse patriarchi o profeti, che recano rotuli, in parte danneggiati. A quanto attestano i frammenti conservati, in quest'area dell'edificio furono rappresentate, nel registro superiore, la Nascita e l'Infanzia di Cristo precedute dagli eventi dell'Antico Testamento, in quello inferiore scene della Vita pubblica di Cristo, mentre nella volta sicuramente si trovava una raffigurazione di Teofania. Nel transetto il ciclo cristologico - che doveva continuare nel corpo longitudinale e nel coro orientale - prosegue con scene relative alla storia dei Magi, dell'Infanzia e della Vita pubblica di Cristo, fino alla rappresentazione di alcuni miracoli. Tra le scene cristologiche ne sono inoltre inserite tre derivate dagli Atti degli Apostoli e da Giuseppe Flavio, nelle quali può essere individuato un riferimento allegorico alla riforma gregoriana.Le raffigurazioni si basano sui vangeli canonici e apocrifi, nonché su un componimento latino dedicato ai Magi che rielabora un testo del sec. 11°, conservatosi frammentario, verosimilmente proveniente da Münsterschwarzach. Sorprendente dal punto di vista iconografico è il concentrarsi delle raffigurazioni sulle storie dei Magi e di Erode, sul Battesimo, sulle Tentazioni di Cristo, a cui è anteposta un'immagine singolare del Buon Pastore, così come sul ciclo dei Miracoli.Le pitture delle volte, note già nel 1869, erano state messe in rapporto (Sacken, 1869) con gli affreschi di Nonnberg (Baviera) e, insieme a questi, datate al sec. 12°, anche se per la concezione e la disposizione delle scene, nonché per le vesti dei personaggi, le raffigurazioni di L. mostrano caratteri risalenti almeno all'11° secolo. Nella sua monumentale opera sulla pittura salisburghese, Swarzenski (1908-1913) dedicò al ciclo solo una fugace annotazione: esso avrebbe unicamente qualche punto di contatto con la pittura e la miniatura dell'area austriaco-bavarese del 12° secolo. Nel suo studio sulle pitture murali di Nonnberg, Buberl (1909), al quale si deve la prima documentazione fotografica della cupola sud e di quella mediana di L., datava per primo il ciclo all'11° secolo. Nonostante i tentativi di posticipare nuovamente la datazione al sec. 12° e di porre queste pitture in relazione con quelle dell'abbazia di Prüfening in Baviera (Swoboda, 1927), la tendenza attuale - che si giova della scoperta delle parti un tempo occultate - è quella di datare gli affreschi all'ultimo terzo del sec. 11°, anche se per quest'epoca non si conserva in Austria un'opera cui possano essere avvicinati dal punto di vista stilistico.Le pitture più arcaizzanti, quelle delle volte, dalle lunghe figure con i dorsi arrotondati, si inseriscono nel solco della tradizione ottoniana e sono stilisticamente affini al più antico Evangeliario di Salisburgo, della prima metà del sec. 11° (New York, Pierp. Morgan Lib., M.781). Contraddistinte di regola dalla scomposizione dei corpi in singoli segmenti, caratteristica dell'Alto Medioevo, le pitture di L. presentano inoltre una tecnica di modellato propria dell'arte bizantina dei secc. 10°-11°, secondo cui membra e panneggi isolati sono racchiusi da linee insistite e da ombre marginali, mentre il disegno interno delle singole parcelle è realizzato da inquiete lumeggiature.Questo bizantinismo si manifesta anche nella scelta di determinate tipologie di figure e di volti - caratterizzate principalmente da severa ieraticità - e di particolari schemi compositivi, nonché nel trattamento dell'incarnato a più strati di colore trasparente. Ciò corrisponde, in area bizantina, a un tardo e forse provinciale sviluppo della rinascenza macedone (Demus, 1984) - rappresentata da opere come l'Evangeliario di San Pietroburgo, della seconda metà del sec. 10° (Saltykov-Ščedrin, gr. 21), il Salterio di Basilio II, del 1020 ca. (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. Z. 17), e la decorazione a mosaico del katholikón di Hosios Lukas e della Santa Sofia a Kiev, ambedue della prima metà del sec. 11° - mediata dagli sviluppi artistici che tra i secc. 10° e 11° si ebbero nell'Italia settentrionale.In seguito al rinvenimento delle pitture sulle pareti è stato possibile istituire rapporti più circostanziati con l'area norditaliana (Brusin, Zovatto, 1960; Wibiral, 1967-1968; 1975; 1989; Demus, 1968; 1970; 1974; 1984; Damigella, 1969), in particolare per ciò che riguarda il bizantinismo lombardo, come negli affreschi di S. Pietro al Monte a Civate, della fine del sec. 11°, e in quelli da essi dipendenti di S. Ambrogio (od. S. Carlo) a Prugiasco in Negrentino (Ticino svizzero), del 1100 circa. Tuttavia sono evidenti soprattutto relazioni con l'ambito veneziano: i mosaici nell'abside centrale della cattedrale di Torcello, della metà del sec. 11° (apostoli più tardi in parte alterati), le nicchie fiancheggianti il portale centrale di S. Marco a Venezia, dell'ultimo terzo del sec. 11° (apostoli), infine le pitture murali nel battistero di Concordia Sagittaria, della fine dell'11° secolo. Un confronto è stato effettuato con le pitture del sacello di Summaga, la cui datazione è stata posta da Lorenzoni (Dalla Barba Brusin, Lorenzoni, 1968) tra la fine del sec. 11° e la prima metà del 12°; lo studioso ha inoltre individuato come ulteriore riferimento stilistico per L. gli affreschi nella cripta di Hosios Lukas.Va tuttavia considerato come il gruppo di pitture murali e mosaici di area italiana citati sia, con l'eccezione degli apostoli a Torcello, coevo o più tardo rispetto a L., sicché risulta difficile - anche per la scarsità del patrimonio conservato e per la non omogeneità di tali opere - tracciare una linea evolutiva che conduca a Lambach. A ciò si aggiunge il fatto che esiste un gruppo di codici, realizzati nel corso del sec. 11° a Ratisbona e a Salisburgo, in cui è possibile individuare una fonte stilistica per Lambach. Tra questi un ruolo fondamentale è rivestito dalle miniature del maestro principale del Sacramentario di Enrico II, commissionato dal re a Ratisbona tra il 1002 e il 1014 (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4456), caratterizzate da un Byzantinismus praecox (Swarzenski, 1908-1913). Rispetto alle opere italiane i manoscritti dell'area di Saliburgo e Ratisbona presentano maggiori contatti con L. per la stilizzazione del panneggio, per la tipologia delle teste e per il trattamento dell'incarnato, con diverse gradazioni di verde oliva e lumeggiature.Si deve inoltre sottolineare come Salisburgo fosse stata un centro propulsore dell'arte bizantina in Europa, in particolare con gli arcivescovi Hartwig (991-1023) e Gebhard (1060-1088). Quest'ultimo, che portò con sé codici dall'Oriente e dall'Italia, va considerato un potenziale tramite di modelli sia bizantini sia italiani; poiché partecipò anche direttamente alle lotte per le investiture con degli scritti, è assai verosimile che, accanto agli artisti di Salisburgo, anch'egli abbia avuto parte nell'elaborazione del programma iconografico, in particolare nella creazione delle immagini polemiche, nel coro dei monaci della chiesa di L. (Wibiral, 1989, pp. 175-178; 1991, p. 91 ss.). All'interno del sec. 11° sono del resto datati anche i manoscritti bizantineggianti del Custos Bertold, realizzati nel monastero di St. Peter a Salisburgo, del quale dal 1077 al 1090 fu abate Thieno, poi successore di Gebhard (Vita Gebehardi, 10, MGH. SS, XI, 1854, p. 40; Swarzenski, 1908-1913, II, p. 58s.).

Bibl.:

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