La trasmissione nel rituale costantinopolitano

Enciclopedia Costantiniana (2013)

La trasmissione nel rituale costantinopolitano

Béatrice Caseau

Costantino ha giocato un ruolo fondamentale in qualità di primo imperatore cristiano e di fondatore di Costantinopoli, città in cui è stato associato a numerosi rituali e celebrazioni. Molti imperatori scelsero il suo nome per il figlio che si auguravano diventasse il loro successore1; egli appariva nelle genealogie fittizie degli imperatori usurpatori che, come Basilio il Macedone, volevano dare lustro al loro blasone2; le sue gesta erano richiamate a ogni concilio, in ricordo di quello di Nicea, il primo, da lui convocato3. La sua conversione, come anche le misure prese in favore del cristianesimo, gli valsero un posto importante nelle storie ecclesiastiche, mentre gli scrittori di cronache, come Teofane, registrarono tanto il suo contributo alla storia religiosa quanto le sue vittorie, le sue costruzioni e molti altri eventi accaduti sotto di lui. Il suo regno è considerato il punto di partenza dell’Impero romano d’Oriente, chiamato Impero bizantino dagli storici occidentali a partire dal Rinascimento. La sua statura fu tale che tanto in Oriente quanto in Occidente gli si attribuì la costruzione di edifici, come Santa Sofia, che non risalivano al suo regno. Il Costantino bizantino, dunque, ha una identità particolare, che è fatta di tutto ciò che si riteneva risalisse agli anni del suo governo e di tutto ciò che gli è stato attribuito nel tempo.

In questo saggio ci si concentrerà sui luoghi che ricordano Costantino nella città che egli ha fondato e sui rituali ai quali è stato associato nel Medioevo. Certamente la città stessa è un intero luogo di memoria, poiché l’imperatore aveva fatto di Costantinopoli una città eponima, imitando Alessandro e altri imperatori romani4. Lo storico della fine dell’XI secolo Giovanni Scilitze parla spesso di Costantinopoli come della «città di Costantino»5. I suoi lavori di ampliamento e abbellimento della piccola Bisanzio hanno lasciato una impronta sulla città; essi si ritrovano menzionati sia nelle fonti della tarda antichità sia in quelle patriografiche del Medioevo. Costantino fece allargare il perimetro urbano e racchiudere il nuovo spazio entro delle mura che esistevano ancora nel Medioevo e che portavano il suo nome6; fece costruire delle piazze pubbliche e dei monumenti, autocelebrativi, anch’essi recanti il suo nome: in particolare il foro circolare, al centro del quale una statua di lui medesimo sovrasta una colonna monumentale, un palazzo e un mausoleo all’interno delle mura. Costantino non dimenticò di onorare la sua famiglia, dedicando una piazza a sua madre ed erigendo statue ai suoi parenti, come il famoso gruppo statuario dei suoi figli, più tardi identificati con i tetrarchi. La sua presenza all’interno della città medievale fu dunque grande grazie a questa mole di investimenti in monumenti e ornamenti urbani ai quali il suo nome è associato. Le immagini di Costantino, scolpite, dipinte o ritratte nei mosaici, erano numerose: chiunque fosse passato nel foro lo avrebbe visto, in cima alla sua colonna; la sua immagine, inoltre, era presente in Santa Sofia accanto a Giustiniano in un mosaico risalente all’epoca medio-bizantina (del 944) e recante l’iscrizione: Konstantinos O En Agiois Megas Basileus, «Costantino il grande imperatore tra i santi»7.

Destinati a durare più degli edifici e delle sculture erano i rituali in onore dell’imperatore fondatore. Essi hanno permesso al mito costantiniano di evolversi e di mantenersi, adattandosi ai cambiamenti culturali. Alcuni risalgono a Costantino stesso, altri sono stati creati dopo la sua morte. Non stupisce affatto che egli, cosciente della propria grandezza, abbia creato delle cerimonie per ricordare alle generazioni future il suo posto nella storia e rendere immortale la memoria del suo regno. Costantinopoli era, naturalmente, il luogo privilegiato di alcune di esse. Egli scelse in particolare l’ippodromo, il luogo tradizionale dei trionfi e uno degli spazi adibiti alle acclamazioni imperiali, per celebrare il nome dato alla città e il suo ruolo di fondatore. Sul cammino tra la Porta d’Oro e l’ippodromo, Costantino fece costruire una magnifica piazza, al centro della quale si ergeva una colonna trionfale, simile a quelle fatte erigere a Roma; questo spazio era destinato a ospitare delle cerimonie ufficiali, come le grandi processioni trionfali o religiose. Costantino aveva potuto considerare l’idea di una cerimonia di apoteosi, che egli, come molti imperatori romani, ebbe l’onore di ricevere8 , ma non poteva prevedere la propria canonizzazione e trasformazione in un santo bizantino, avvenute nel Medioevo. Egli fornì, tuttavia, il quadro di questa evoluzione ordinando la costruzione di uno splendido mausoleo all’interno della cinta muraria recentemente innalzata e facendo collocare la sua tomba al centro dei cenotafi degli apostoli. Questo mausoleo, trasformato in chiesa, divenne nel Medioevo uno spazio commemorativo, luogo di celebrazioni liturgiche. Il mausoleo fu utilizzato come luogo di sepoltura dalla gran parte degli imperatori, fino a Costantino VIII, e divenne, per un breve periodo, la chiesa cattedrale, dopo la requisizione di Santa Sofia da parte di Mehmet II9. Prima ancora che le immagini della coppia madre-figlio – Elena e Costantino – venissero ad abbellire le chiese bizantine, si è formata intorno alla memoria di Costantino una serie di rituali liturgici di cui è possibile sottolineare l’importanza tanto per il concetto di santità imperiale quanto per il mito costantiniano. Volgiamo dunque la nostra attenzione ai riti che avevano luogo nei principali luoghi della celebrazione della memoria dell’imperatore, vale a dire l’ippodromo, la colonna monumentale nel foro e il mausoleo di Costantino. È opportuno aggiungere qualche riferimento ai rituali liturgici celebrati a Costantinopoli e in altre regioni dell’Impero, per commemorare l’imperatore passato alla storia con il nome di Costantino il Grande.

L’ippodromo

Anche se Costantino era associato a numerosi edifici ancora nel Medioevo – a cominciare dalla muraglia che era ancora visibile e dal Grande Palazzo, molti edifici del quale risalivano al suo regno –, il principale e il più antico luogo di celebrazione ritualizzata in memoria dell’imperatore fu l’ippodromo. Se si fa affidamento sulla testimonianza di Giovanni Malalas, Costantino stesso avrebbe messo a punto un cerimoniale che consentì di fissare nei secoli successivi il suo ruolo di fondatore eponimo:

Durante il regno [di Costantino], sotto il consolato di Gallicano e di Simmaco, la Bisanzio di un tempo fu rinnovata. Lo stesso imperatore Costantino fece una lunga processione da Roma a Bisanzio. Ristrutturò anche le mura di un tempo, quelle di Byzas, ampliandole con l’erezione di mura nuove, congiungendole insieme e ordinando poi che alla città fosse dato il nome di Costantinopoli. Egli portò a termine anche la costruzione dell’ippodromo, lo ornò con opere d’arte di bronzo e di ogni altro tipo, vi costruì un kathisma, simile a quello di Roma, da dove l’imperatore potesse assistere [alle corse]. […] Quando ebbe tutto completato, celebrò una corsa a cui fu il primo ad assistere. Per l’occasione, egli portò per la prima volta sulla sua testa un diadema di perle e pietre preziose, volendo realizzare la profezia che diceva «tu hai portato sulla testa una corona di pietre preziose»10. In effetti, nessun imperatore prima di lui aveva portato qualcosa di simile. Egli celebrò una grande festa l’11 del mese di maggio e Artemisio nell’anno 378, seguendo l’era antiochena, e ordinò con divino editto che in quello stesso giorno fosse celebrato l’anniversario della città e che si aprisse il bagno pubblico di Zeusippo, nei pressi dell’ippodromo, del palazzo e della reggia. Fece lui stesso un’altra statua in legno dorato che porta nella mano destra la Fortuna della città, anch’essa d’oro, che egli chiamò Anthousa; egli ordinò che il giorno stesso della corsa, nel giorno della celebrazione della dedicazione, la statua entrasse [nell’ippodromo] scortata da soldati vestiti con clamidi e kampagia, tutti portando dei ceri, e ordinò che il carro seguisse la curva superiore e andasse fino allo stama, di fronte al trono imperiale, e che l’imperatore a quel punto si levasse in piedi e si inginocchiasse per guardare l’immagine di Costantino e della Fortuna. Questa usanza si è mantenuta fino a oggi11.

Questo estratto dalla Cronografia, che mostra ciò che, due secoli dopo la sua morte, si ricordava del regno di Costantino, data gli avvenimenti all’era di Antiochia12. Nato intorno al 490 e morto verso il 578, Giovanni Malalas era, in effetti, originario di Antiochia, ma visse a Costantinopoli a partire dal 530. Egli poté, dunque, assistere più di una volta alla cerimonia della dedicazione nell’ippodromo, e per questo resta un testimone importante del cerimoniale intorno alla statua dorata di Costantino nel VI secolo: secondo questo rituale, Costantino avrebbe obbligato i suoi successori a onorarlo, inginocchiandosi davanti alla sua statua, nel momento stesso in cui rendevano omaggio alla Tyche della città. Quanto tempo sopravvisse tale cerimonia? Le corse, numerose in epoca antica, andarono via via diminuendo. È possibile che ci sia stata un’eclissi completa durante i tempi più bui del Medioevo e una ripresa delle corse organizzate dall’imperatore nel IX e nel X secolo13. Nel Medioevo le corse erano chiaramente sotto il controllo imperiale14. La festa della dedicazione sopravvisse, mentre la processione e l’adorazione della statua dorata di Costantino, descritte da Malalas, non trovano riscontro nel Libro delle cerimonie – opera sui rituali della corte bizantina composta intorno al 945, ma costituita da diversi strati più antichi. Uno dei capitoli del II libro si intitola «nel mese di maggio, l’11, la corsa ippica in onore dell’anniversario di questa città imperiale protetta da Dio e capitale dell’Impero ha luogo così». La descrizione che segue menziona dei cavalli magnificamente ornati di belle gualdrappe, parla di canti, di mimi, ma non di una processione della statua di Costantino. L’imperatore è acclamato «ἑτ βόνος [per multos annos et bonos]», ma non lo si vede inginocchiarsi davanti al fondatore della città di cui si celebra, nondimeno, la dedicazione. La festa descritta è animata non soltanto dalle corse dei cavalli, ma anche da distribuzioni alimentari e danze:

Quando le acclamazioni hanno fine, l’imperatore invia agli aurighi vittoriosi delle corone tramite l’actuarios e il secondo […]. La fazione chiede il permesso di uscire [dall’ippodromo] e di danzare sulla piazza e, dopo aver ricevuto il permesso dell’imperatore, se ne va sulla Mese. L’imperatore, dunque, si alza, e appena lo fa la folla del popolo scende e si impossessa di verdure e leccornie disposte a mucchi. Nello stesso tempo, si porta una barca, caricata su un carro e riempita di pesce, pesce che viene gettato sul terreno dell’ippodromo e la folla si impadronisce anche di questo15.

Le corse hanno preso il nome di «corse delle verdure» in ragione di queste distribuzioni alimentari16. Le ultime hanno avuto luogo nel 1200; l’ippodromo fu in seguito incendiato e lasciato in un pessimo stato. A seguito della quarta crociata, il saccheggio delle statue che Costantino, e poi i suoi successori, avevano fatto arrivare cancellò un poco, in questo luogo, il ricordo dell’imperatore. È altrove che la memoria di Costantino fu più durevolmente conservata: nel foro e soprattutto sulla colonna che un tempo sorreggeva la sua statua.

Il foro di Costantino e la colonna trionfale

All’epoca dell’ampliamento di Bisanzio promosso da Costantino, si determinò, in città, uno spostamento del centro di gravità, da nord verso sud. Il nuovo centro nevralgico era ormai costituito dal Grande Palazzo, adiacente all’ippodromo, dai bagni e da una arteria monumentale dotata di portici e orientata in direzione est-ovest, la Mese17. Su questo asse fu costruito un grande foro ellittico. Esso era fiancheggiato da portici, e due archi monumentali segnavano l’entrata e l’uscita dalla piazza18. Al centro di questa grande piazza, fu eretta una colonna monumentale in porfido19, in cima alla quale fu collocata una monumentale statua di Costantino con le sembianze di Apollo. Non poteva sfuggire ai visitatori l’aspetto solare, poiché la testa della statua era provvista di raggi. La colonna divenne rapidamente un punto di riferimento spaziale e il centro delle cerimonie, a cominciare da quella della dedicazione. Giovanni Malalas ricorda i lavori operati da Costantino e alcune delle cerimonie svoltesi per celebrare la dedicazione:

Egli costruì, inoltre, un grande e bel palazzo simile a quello di Roma, vicino all’ippodromo, con un passaggio diretto dal Palazzo al kathisma dell’ippodromo, detto Kochlias; egli costruì anche un grande e bel foro, al centro del quale eresse una colonna meravigliosa, tutta in porfido, e in cima una statua di sé stesso con sette raggi sulla testa, opera di bronzo che egli aveva fatto pervenire allorché si trovava a Ilion, città della Frigia. Il medesimo Costantino portò segretamente da Roma una statua di legno chiamata Palladion e la collocò sul foro che egli aveva fatto costruire sotto la colonna della sua statua, poiché alcuni abitanti di Bisanzio affermano che essa si trova lì. Egli fece alla divinità un sacrificio non cruento e chiamò Anthousa la Fortuna della città da lui rinnovata e costruita a suo nome20.

Giovanni Malalas trasmette una visione di Costantino diversa da quella che fornisce Eusebio di Cesarea. Lungi dal farne il modello dell’imperatore cristiano come l’autore della Vita Constantini, egli consegna ai posteri una figura più ambigua, una figura che fa arrivare una statua magica, il Palladion, e che offre un sacrificio il quale, per quanto non cruento, non è meno condannabile dalle autorità cristiane come pratica idolatra. Si sa da Filostorgio (morto verso il 430) che ai suoi tempi la statua di Costantino ubicata sulla colonna di porfido riceveva omaggi molto vicini a quelli associati al culto imperiale: offerte di lumi e incenso. Queste sono interpretate come sacrifici da Filostorgio, un autore ariano il quale poteva serbare rancore nei confronti di Costantino per aver promulgato i canoni del concilio di Nicea, scomunicando Ario e anatematizzando la sua dottrina. Tuttavia Costantino non si era opposto a certe forme di culto imperiale, come dimostra il rescritto di Spello21. Egli aborriva i sacrifici cruenti, ma non le offerte di lumi e incenso. È dunque probabile che Filostorgio abbia ragione e che la statua di Costantino ricevesse, attraverso questi gesti di venerazione, gli elementi tradizionali del culto imperiale. L’aspetto deliberatamente ambiguo della statua, o piuttosto la sua interpretazione pagana, non sfuggiva ai costantinopolitani, i quali, durante il Medioevo, ne furono messi in difficoltà22. Nei Patria23, per attenuare questo elemento poco accettabile della figura di Costantino, un testo spiega che i raggi sarebbero stati fatti con i chiodi utilizzati in occasione della crocifissione di Gesù24. Nella letteratura patriografica anche la piccola riproduzione in legno dorato, utilizzata nell’ippodromo durante le corse dell’11 maggio, fu oggetto di una simile cristianizzazione: secondo Malalas, essa portava la Tyche della città e, secondo i Patria, una croce che l’imperatore Giuliano avrebbe gettato a terra25. Inoltre, ai tempi di Anna Comnena, ci si ricordava dell’ambiguità della statua del foro di Costantino:

Al centro del foro di Costantino c’era una statua di bronzo che guardava verso oriente e che si ergeva su una colonna di porfido rimarchevole; essa teneva uno scettro nella mano destra, e nella sinistra una sfera fusa in bronzo. Si diceva che fosse una statua di Apollo, ma gli abitanti di Costantinopoli credo che la chiamassero Antelio. A questo nome il re Costantino il Grande, padre e signore della città, sostituì il proprio e chiamò [tale monumento] la statua dell’autocrator Costantino. Tuttavia la prima denominazione prevalse e tutti continuarono a chiamarla statua di Anelio o Antelio. All’improvviso una violentissima bufera soffiò dall’Africa e gettò a terra la statua, quando il sole era nel segno del Toro. Molti interpretarono ciò come un cattivo presagio26.

La cristianizzazione della statua, dunque, non fu mai completa fino alla sua caduta nel 110527, dopo la quale fu rimpiazzata con una croce28. Come accade spesso nelle fonti bizantine medievali, la caduta della statua fu interpretata come theosemeia, vale a dire come un presagio, un segno inviato da Dio e da interpretare, ciò che invece rifiutò di fare l’imperatore Alessio Comneno secondo la testimonianza di sua figlia. Per cristianizzare pienamente il foro e cancellare o almeno attenuare le tracce del passato pagano di Costantino, era necessario uno sforzo maggiore, che si tradusse nella costruzione di una cappella alla base della colonna e nell’apporto di reliquie. Stando alla testimonianza dei pellegrini, la colonna era divenuta un reliquiario. Mentre in epoca antica si pensava che essa ospitasse il Palladio segretamente sottratto a Roma, nel Medioevo si credeva che le dodici ceste, utilizzate dal Cristo e dai suoi discepoli per la moltiplicazione dei pani, fossero conservate nel basamento della colonna. L’ascia con cui Noè costruì l’arca, le croci dei due ladroni, il vaso di profumo che servì a ungere i piedi del Cristo facevano parte di una lista di reliquie preziose che i pellegrini supponevano fossero state poste nella colonna. Come spesso accade con le reliquie, la loro bilocazione è attestata nelle fonti, ma il ricordo della loro presenza era sufficiente. Così la letteratura patriografica era riuscita ad associare la statua con i chiodi della crocifissione e anche dopo la caduta del monumento la leggenda persistette, malgrado la dispersione dei chiodi in diversi luoghi della città. Un pellegrino russo del XV secolo pensava ancora che uno di quelli fosse stato fissato in cima alla colonna29.

A una data posteriore al IV secolo e anteriore al regno di Leone VI (886-912), ma di difficile precisazione, una cappella conosciuta con il nome di Cappella di Costantino fu costruita per far da cornice alle cerimonie ormai cristianizzate e forse anche ad alcuni reliquiari. Secondo Cyril Mango essa risalirebbe al periodo iconoclasta e sarebbe stata costruita sui gradini circondanti la colonna, per custodire le reliquie30. Sembra essere stata molto piccola perché durante le cerimonie soltanto il patriarca e qualcuno dei diaconi e dei cantori vi entravano, mentre l’imperatore restava in cima agli scalini, vicino alla porta d’ingresso31. Dal Libro delle cerimonie si apprende che l’imperatore si recava alla cappella di S. Costantino con il patriarca e il clero per le seguenti feste: la natività di Maria32, il Lunedì di Pasqua33, il giorno dell’Annunciazione34, o in occasione della celebrazione di un trionfo nel foro (ad esempio di un trionfo sui saraceni35). La processione imperiale, indipendente da quella del clero, la precedeva in ciascuna delle tappe o soste previste.

La piazza del foro sulla Mese faceva della colonna e della sua cappella una stazione liturgica praticamente obbligatoria in occasione delle processioni organizzate in direzione dell’una o dell’altra delle chiese della capitale in cui la liturgia doveva essere celebrata. La liturgia stazionale era praticata a Costantinopoli; ciò significa che per numerose feste la cerimonia religiosa cominciava in Santa Sofia e terminava in un’altra chiesa della città, dopo una processione di chierici e di fedeli (almeno di alcuni fedeli: gli altri partecipavano lungo il cammino della processione), che si fermavano regolarmente per le preghiere e incensazioni36. L’imperatore partecipava ad alcune di queste cerimonie, ma non a tutte37. Il Libro delle cerimonie, del X secolo, come il Trattato degli uffici dello Pseudo-Codino del XIV secolo, include dei passaggi sulla presenza dell’imperatore e del patriarca a diverse feste che hanno luogo presso la colonna di Costantino. Si apprende così dallo Pseudo-Codino che: «il primo settembre il patriarca si reca in processione con le sante immagini presso la colonna di porfido sulla quale si erge una croce, luogo questo che viene anche chiamato foro: l’imperatore vi si reca e assiste alla cerimonia che vi è celebrata secondo l’usanza»38. Sarebbe bello saperne di più su questa ‘usanza’, ma il Typicon della Grande Chiesa, documento del X secolo che riporta giorno dopo giorno i luoghi di celebrazione delle diverse festività, non segnala alcuna processione per il 1° settembre che avesse come meta la colonna; ciò fa pensare che si tratti di un rituale posteriore.

Due feste importanti legate a Costantino comportavano una processione dell’imperatore e del clero fino al foro: la festività della dedicazione della città e la festa di san Costantino ed Elena. L’11 maggio, «dies natalis di questa città imperiale e protetta da Dio», la cerimonia cominciava a Santa Sofia, si spostava fino al foro, dove una funzione di canti e letture aveva luogo dentro e intorno alla cappella di S. Costantino, e terminava con la liturgia eucaristica che si svolgeva in Santa Sofia39. Il legame tra la città e il suo fondatore era nuovamente affermato il 21 maggio, giorno della celebrazione della «memoria dei nostri primi imperatori Costantino ed Elena». La preghiera successiva era rivolta al Cristo: «avendo visto nel cielo l’immagine della tua croce, e avendo ricevuto, come Paolo, un richiamo non umano, il tuo apostolo in mezzo agli imperatori, Signore, ha posto nelle tue mani la città imperiale: conservala sempre nella pace attraverso le preghiere della Theotokos, e abbi pietà di noi». Questa preghiera ricorda che Costantino si era fatto seppellire tra gli apostoli, considerandosi come uno degli apostoli di Cristo. Nel X secolo, la celebrazione della sua festa cominciava a Santa Sofia e si recava ai Santi Apostoli, poi al suo santuario vicino alla cisterna di Bonus, una chiesa risalente al regno di Leone VI, la cui fondazione è attribuita alla sua prima sposa, Teofano40. Poiché si trattava di una festa solenne, sia l’imperatore che il Senato vi partecipavano e la processione imperiale precedeva quella ecclesiastica. Questo valeva ancora ai tempi dello Pseudo-Codino: «per la festa di Costantino il Grande, l’imperatore si reca nella chiesa dei Santi Apostoli, in cui riposano le sue spoglie»41. Quest’ultimo luogo di memoria che fu il mausoleo di Costantino è tanto più importante poiché ha contribuito alla metamorfosi di Costantino imperatore in san Costantino.

Il mausoleo di Costantino e la chiesa dei Santi Apostoli

L’origine dell’edificio risale a Costantino stesso, il quale, come Galerio e altri imperatori prima di lui, ordinò la costruzione di un mausoleo, probabilmente circolare, per stabilirvi la propria tomba. Ma se il modello architettonico era già conosciuto in diversi esemplari, il progetto costantiniano non aveva precedenti: secondo Eusebio, egli decise di edificare dei cenotafi per i dodici apostoli e di collocarsi in mezzo a loro. Si fece dunque creare un luogo di sepoltura originale, all’altezza dell’immagine che egli aveva di sé stesso, come isapostolos («uguale agli apostoli»). Ancora più sorprendentemente, si fece erigere un altare, trasformando in questo modo il mausoleo in chiesa «per beneficiare delle preghiere che saranno offerte in questo luogo in onore degli apostoli»42. Al momento della sua morte non c’erano che cenotafi intorno alla sua tomba, collocata in fondo all’edificio, di fronte all’ingresso. I suoi successori – in particolare Costanzo, al quale una tradizione attribuisce la costruzione dei Santi Apostoli – eseguirono dei lavori importanti legati al terremoto del 359, che aveva danneggiato la struttura. È possibile accordare le due tradizioni contrastanti, che attribuiscono i Santi Apostoli l’una a Costantino, l’altra a suo figlio, accettando il patrocinio del primo per il mausoleo e quello del secondo per la chiesa, che fu aggiunta al mausoleo circolare. Secondo Mango, il modo in cui Costantino aveva scelto di collocarsi tra gli apostoli ne faceva non tanto un isapostolo quanto un pari di Cristo43. Separando il mausoleo e la chiesa, e ponendo sotto l’altare del nuovo edificio le reliquie di alcuni apostoli – quelle di Timoteo, quelle di Luca e di Andrea nel 356 e 35744 –, Costanzo e soprattutto il vescovo Macedonio riorganizzavano lo spazio, separando l’area delle tombe imperiali, con Costantino al centro, da quella della sacralità eucaristica e delle reliquie: una maniera, questa, di ristabilire una gerarchia della santità più accettabile di quella che sembrava subordinare gli apostoli di Cristo all’imperatore defunto. Accanto al sarcofago di Costantino furono, in seguito, collocati quelli di Costanzo II, di Teodosio I, di Marciano e Pulcheria, di Leone I, Zenone e Anastasio I. Il mausoleo fu allora pieno di sarcofagi, e un secondo mausoleo dovette essere costruito da Giustiniano per accogliere la sua tomba e quella dei suoi successori. Questi fece anche ricostruire la chiesa, creando un monumento ammirato per la sua bellezza: una sontuosa basilica a cupole, i cui mosaici brillavano ancora agli occhi di Costantino Rodio, il quale scrisse un poema sul monumento nel X secolo45. È nel contesto del mausoleo di Costantino, nel complesso dei Santi Apostoli, che si sviluppò un culto di san Costantino.

Una prima testimonianza di una forma di venerazione presso la tomba di Costantino è fornita da Teodoreto di Ciro, nella sua Historia46; la sua testimonianza fa riferimento sia alla tomba sia alla statua di Costantino, dunque al tempo stesso al foro e ai Santi Apostoli. La venerazione al foro assumeva tratti propri del culto imperiale e non aveva niente di specificamente cristiano. Ugualmente, portare lumi e incenso su una tomba era, nell’antichità romana, un gesto consueto per onorare i morti. Questi richiedevano per le loro tombe, nei loro testamenti, lampade e profumi. Per i viventi, venire con incenso e luci voleva dire proteggersi dall’odore e dalle tenebre della morte. Una cristianizzazione di queste offerte si produsse tra il V e il VI secolo, nel corso dei quali l’incenso e i lumi erano presentati come elementi del Paradiso, in cui i santi godevano della luce divina e degli squisiti profumi del giardino dell’Eden. Nell’ambito del culto dei santi portare incenso e lumi su una tomba posta in una chiesa significava riconoscere il defunto come accolto in Paradiso presentandogli al tempo stesso un’offerta accettabile. Le offerte di luci avevano anche la funzione simbolica di mantenere la preghiera al di là della presenza stessa del fedele, venuto a venerare una tomba. Le offerte di incenso portavano le preghiere del fedele fino al cielo. Il defunto imperatore beneficiò di questo passaggio culturale e religioso. Privato delle manifestazioni del culto imperiale quale era stato praticato nei secoli precedenti il suo regno, egli fu assimilato ai santi ai quali i fedeli affidavano le proprie preghiere. L’imperatore, come in vita aveva ricevuto delle suppliche, così una volta in Paradiso riceveva le richieste dei fedeli. Non è facile rintracciare con precisione la cronologia di questa trasformazione di elementi del culto imperiale in rituali propri del culto dei santi, ma l’evoluzione che trasforma Costantino il Grande in san Costantino è chiara.

Sarebbe importante possedere maggiori informazioni sulle visite che facevano gli abitanti di Costantinopoli e gli stranieri sulla tomba di Costantino47. La testimonianza dei pellegrini russi del periodo paleologo prova che la chiesa e i mausolei imperiali erano ancora visitati alla fine del Medioevo48. Stefano di Novgorod commenta il fatto che i pellegrini, fra cui egli si annovera, baciavano le tombe degli imperatori nel mausoleo di Costantino quand’anche essi non fossero santi. Il trasferimento di numerose reliquie in Occidente, a partire dal 1204, non aveva leso i sarcofagi imperiali, che non furono profanati che dai turchi musulmani, i quali distrussero la chiesa nel 1461. Anche se aveva già perso il suo lustro nel XIV secolo, la chiesa custodiva ancora dei tesori e lasciava trasparire il suo splendore passato. La chiesa conobbe il suo momento di gloria sotto la dinastia macedone. Basilio I, infatti, intraprese lavori di restauro e di abbellimento dei Santi Apostoli, di cui il culto di Costantino beneficiò. Il mausoleo fu nuovamente aperto nell’886 per accogliere le salme degli imperatori della nuova dinastia. Nuove cerimonie, che includevano la tomba di Costantino, furono organizzate, in particolare sotto Costantino VII. Ad esempio, il lunedì di Pasqua l’imperatore si recava prima al foro e alla cappella, alla base della colonna, poi ai Santi Apostoli:

Avendo pregato sulla tomba di nostro padre Crisostomo e di san Gregorio il Teologo, e avendo acceso dei ceri, l’imperatore e il patriarca escono entrambi dal lato destro del santuario e vanno verso il sarcofago di Costantino e lì, avendo pregato e acceso dei ceri, escono e vanno alle tombe dei santissimi patriarchi Niceforo e Metodio49.

La tomba di Costantino I era così oggetto di venerazione durante i rituali quotidiani organizzati dal clero appartenente alla chiesa, e in particolar modo veniva incensata in occasione delle grandi feste che riunivano gli imperatori, la corte e il clero di Santa Sofia alla chiesa dei Santi Apostoli. Servita da un importante numero di chierici, tra i quali i cantori per cantare gli uffici della liturgia, la chiesa dei Santi Apostoli era il luogo di feste liturgiche splendide in quest’epoca. L’attenzione del Libro delle cerimonie per i rituali che si svolgevano in questo santuario è probabilmente legata al fatto che molti di questi furono modificati o amplificati al tempo dei primi Macedoni. Basilio I avrebbe desiderato far canonizzare il suo figlio primogenito, Costantino, morto brutalmente nell’879, fatto che aveva profondamente addolorato il padre, il quale avrebbe in seguito orchestrato un rilancio del culto di Costantino I, approfittando dell’omonimia50. Ai Santi Apostoli Leone VI fece seppellire la sua prima moglie Teofano, con la quale non andava d’accordo e che egli fece canonizzare51. Per lei una cappella fu costruita da Leone VI, poi portata a termine o ristrutturata da Costantino VII: Teofano, pur non avendo dato un erede maschio alla dinastia, le aveva non di meno fornito un elemento di santità molto apprezzato a quest’epoca52. Tale cappella, chiamata chiesa di Tutti i Santi, era accessibile dal bema della chiesa principale: i sovrani vi si raccoglievano un momento prima della lettura del Vangelo in occasione della festa di Tutti i Santi, secondo un passaggio del Libro delle cerimonie che prende in considerazione un rituale che era stato da poco messo a punto53. Questo santuario dei Santi Apostoli aveva la particolarità di ospitare non soltanto la tomba di Costantino, ma anche quella di numerosi imperatori fino a Costantino VIII, con qualche eccezione, come quella di Romano Lecapeno, che preferì essere inumato nel monastero del Myrelaion che egli stesso aveva fondato. Molti membri della famiglia di Costantino VII sono sepolti ai Santi Apostoli: il nonno, Basilio I, e il padre, Leone VI. Il Libro delle cerimonie conserva un rituale per i funerali di un imperatore nel quale egli, defunto, era ‘invitato’ a uscire dal palazzo e a entrare ai Santi Apostoli dove un sarcofago era stato preparato per lui. Tutti questi annunci di uscita ed entrata erano fatti in nome di Cristo, re dei re e signore dei signori, che chiama l’imperatore defunto presso la corte celeste54. Ci si aspettava che gli imperatori costruissero la loro tomba in questa chiesa. Qui si sarebbero trovati in eccellente compagnia poiché vi erano sepolti alcuni vescovi di Costantinopoli, come san Giovanni Crisostomo (i cui resti furono riportati nel 438), e dei patriarchi canonizzati come Niceforo e Metodio. Il santuario aveva visto arrivare nel 946, dunque molto recentemente rispetto alla data del Libro delle cerimonie, le reliquie di un altro vescovo di Costantinopoli, conosciuto per la sua ortodossia e per i suoi scritti: san Gregorio di Nazianzo55. Come ha mostrato Bernard Flusin, in questo cerimoniale ai Santi Apostoli l’imperatore e il patriarca avevano ognuno dei diritti sullo spazio. Poiché era una chiesa, l’imperatore doveva ritirarsi dal santuario per la liturgia eucaristica, ma, trattandosi del mausoleo imperiale e avendo egli (durante la dinastia macedone) alcuni membri della sua famiglia sepolti in quel luogo, l’imperatore nutriva anche la sensazione di trovarsi in uno spazio privilegiato, nel quale egli era il grande organizzatore del culto dei santi e degli omaggi resi, senza dubbio attraverso l’incensazione, ai suoi predecessori. In un simile contesto, la visita alla tomba di san Costantino rappresentava un point d’orgue. Egli fu, allo stesso tempo, il fondatore della città, il primo imperatore dell’impero cristiano, ma anche un lontano membro della parentela, secondo la fittizia genealogia che faceva discendere da lui Basilio I. Questa parentela sosteneva la legittimità della dinastia macedone, che nacque nel sangue con l’assassinio di Michele III e che continuò a conoscere delle difficoltà con la crisi della tetragamia e con la nascita illegittima di Costantino VII. Costantino il Grande era all’intersezione di due gruppi, quello dei santi e quello degli imperatori, e dunque occupava un posto doppiamente essenziale nel rituale.

Nel X secolo, durante il lunedì di Pasqua, Costantino era commemorato in due luoghi: una doppia processione, prima imperiale, e poi clericale, partiva da Santa Sofia, si fermava in primo luogo presso la cappella di S. Costantino sul foro, e si recava, infine, alla chiesa dei Santi Apostoli, in cui Costantino era onorato soprattutto nel momento in cui l’imperatore regnante si raccoglieva sulla sua tomba. In seguito la festa fu semplificata: l’imperatore si recava a cavallo ai Santi Apostoli, senza fermarsi sul foro o passare per Santa Sofia.

Per la festa di san Costantino il Grande, a cui il Libro delle cerimonie dedica un capitolo, gli imperatori si recavano direttamente ai Santi Apostoli: attraversavano il bema, andavano a incensare l’altare, poi le tombe dei diversi defunti, onorando così la memoria di Leone VI, Teofano, Basilio I, poi finalmente quella di Costantino56. Il troparium, che era cantato, faceva allusione alla visione di Costantino prima della battaglia del ponte Milvio: «avendo visto in cielo il segno della tua croce». La festa combinava così una celebrazione di Costantino, lontano antenato della dinastia macedone, e dei predecessori immediati di Costantino VII sul trono: suo padre e suo nonno. La festa di Costantino divenne, così, una celebrazione della dinastia macedone e della santità imperiale. Santa Teofano è integrata in questo rituale in due maniere: tramite l’incensazione della sua tomba ai Santi Apostoli57 e la prosecuzione della festa nel palazzo di Bonus, situato non lontano dai Santi Apostoli, e che Teofano aveva fatto trasformare in monastero58. Nelle fonti più tarde esso è chiamato convento di S. Costantino59. È in questo luogo che terminava la festa di san Costantino, che era anche la festa per «la dedicazione delle preziose croci erette nel nuovo palazzo di Bonus». Secondo i Patria le due croci risalirebbero all’epoca dell’imperatore Giustino60. I due santi, Costantino ed Elena, erano venerati nella chiesa dove si trovavano due bemata, in nome l’uno di santa Elena e l’altro di san Costantino. Il bema dedicato a quest’ultimo era sormontato da un ciborio in argento. La loro festa era sempre legata al culto della croce, di cui essi erano i protagonisti.

Dalla leggenda al culto: da Costantino imperatore a san Costantino

Il Costantino di cui parlano le fonti bizantine è l’imperatore che ebbe una visione della croce, che convocò il concilio di Nicea e che fondò Costantinopoli61. È a partire dai due primi elementi, e soprattutto dalla visione della croce, che si stabilisce il culto di san Costantino. Prima di assumere una certa autonomia, legata al culto della sua tomba ai Santi Apostoli, il culto di Costantino era connesso con quello di Elena poiché era sostanzialmente un culto della croce.

La trasformazione di Costantino in un santo non venne da sé, e non fu affatto semplice. Nelle cronache protobizantine egli è qualificato come grande o divino, ma non come santo. Malalas e il Chronicon Paschale utilizzano per definirlo l’aggettivo theiotatos, che non è l’equivalente di hagios, santo. Certi elementi della sua biografia, come le sue imprese militari e più ancora la sua vita privata – la condanna a morte del figlio Crispo e l’assassinio della moglie Fausta –, erano ben noti e poco favorevoli a una canonizzazione. Questi episodi tragici sono citati nella letteratura patriografica62. Le attività militari e gli spargimenti di sangue erano incompatibili con la santità quale era concepita tanto dai vescovi dell’antichità quanto da quelli del periodo medio-bizantino, come dimostra il fallimento del culto di Niceforo Foca63. Se le leggende intorno a Costantino ed Elena si svilupparono dalla fine del IV e dagli inizi del V secolo, l’elaborazione di un culto organizzato dalla Chiesa di Costantinopoli non intervenne che successivamente, agli inizi del Medioevo.

Costantino e più ancora sua madre furono associati all’inventio della croce e alla sua venerazione, anche se i testi che trattano questa correlazione, nel caso di Elena, non sono anteriori al IV secolo64.

Nel V secolo, a Gerusalemme, si svolgeva una festa in onore di Costantino, legata a quella della dedicazione del martyrium, la basilica che egli aveva fondato65, insieme a una cappella costruita presso la tomba del Cristo66. Tale celebrazione è citata nei libri liturgici georgiani e armeni di Gerusalemme, alla data del 22 maggio, giorno della morte di Costantino, sopravvenuta la domenica di Pentecoste del 33767. Il culto si sarebbe, dunque, sviluppato in Palestina prima di giungere a Costantinopoli nel periodo di esaltazione che seguì il rientro della vera croce a opera dell’imperatore Eraclio. Marlia Mundell Mango segnala l’immagine di san Costantino su un incensiere in argento, proveniente dalla Siria o dal Libano e datato al VII secolo. L’iscrizione non lascia alcun dubbio e qualifica Costantino come santo. L’imperatore è in vesti militari, armato non di una lancia, ma di una croce (portata nel medesimo posto in cui si portava la lancia). Questa sarebbe la prima testimonianza iconografica di un culto di san Costantino68. Il Racconto della presa di Gerusalemme, nella sua versione georgiana, utilizzava anche il titolo di san Costantino69.

A Costantinopoli, il culto di Costantino conobbe un importante slancio tra il VII e il X secolo, favorito, a più riprese, dagli imperatori: gli Eraclidi per via del rientro della croce; gli Isaurici perché la loro dinastia si ricollegava alle vittorie militari e incoraggiava il culto della croce a svantaggio di quello delle immagini figurate dei santi, della Vergine o di Cristo; i Macedoni perché Basilio I sosteneva di discendere da Costantino e coltivava la nozione di santità imperiale per legittimare il proprio potere70. Ma lo sviluppo di un culto richiede ben più di un sostegno imperiale. Esso si appoggia sulla redazione delle Vite dei santi, e comporta l’inserimento di una festa liturgica nel calendario della Chiesa. Nel momento in cui la croce risorse come simbolo della vittoria degli imperatori bizantini, il ricordo di Costantino e di Elena, e il loro ruolo nella nascita del culto della croce, si riaccese. La letteratura patriografica segnala le immagini, presenti nella città, che illustravano il legame tra Costantino, Elena e la croce. Sul foro, le Parastaseis, alla metà dell’VIII secolo, informano di due statue, una di Costantino e l’altra di Elena, a sinistra e a destra degli angeli, e di diverse croci, di cui una reca la parola hagios all’intersezione dei bracci71. Secondo i Patria, anche sul Milion si trovavano delle immagini72 di Costantino e di Elena da una parte e dall’altra della croce73. Qui si ritrova un modello iconografico che sarà, in seguito, ripreso nelle icone o nelle pitture e nei mosaici che rappresentavano Elena e Costantino portanti la croce74. Molte Vite di San Costantino furono scritte tra il VII e il IX secolo, e non si ispirarono alla Vita Constantini di Eusebio75. Esse permisero di plasmare un san Costantino secondo i modelli dei santi medio-bizantini. Samuel Lieu ha censito le differenti Vite di San Costantino e le loro specificità nell’assorbire o meno alcuni degli aspetti della leggenda costantiniana come la guarigione miracolosa e il luogo del battesimo76. I menologi e i sinassari si appoggiavano sulle vite dei santi più lunghe per creare la loro versione breve a uso liturgico. Nelle versioni più antiche del sinassario di Costantinopoli, la pagina su Costantino non presenta la leggenda del battesimo a Roma, sebbene Teofane e, dopo di lui, la gran parte dei cronachisti affermassero che Costantino fu battezzato a Roma, dopo essere stato colpito dalla lebbra, da cui il battesimo amministrato da Silvestro lo avrebbe guarito. Nella versione risalente al regno di Costantino VII77, e in quelle successive, la leggenda del battesimo a Roma è chiaramente esposta78.

A Costantinopoli, Costantino era celebrato durante le feste della croce, ma disponeva anche di una festa condivisa con Sant’Elena il 21 maggio. La mancanza di fonti liturgiche per l’epoca antica rende difficile datare con precisione il momento in cui essa fu introdotta nel calendario liturgico di Santa Sofia, ma si sa che l’influenza delle pratiche liturgiche di Gerusalemme si fece sentire a partire dal VII secolo79. La più antica testimonianza liturgica di una festa comune a Costantino ed Elena risale all’VIII secolo e si trova in un manoscritto contenente dei testi agiografici utilizzati per le commemorazioni liturgiche delle feste tra il 9 maggio e l’8 giugno. Si apprende, in questo modo, che a quest’epoca Costantino ed Elena condividevano ancora la loro celebrazione con una martire80. Ci si può domandare perché Costantino fosse onorato insieme a sua madre e non da solo. Andrea Luzzi vi vede la preoccupazione delle autorità ecclesiastiche di non dare, nel culto, troppa importanza all’imperatore. Di fatto, in diversi typika, Costantino ed Elena condividevano la loro festa insieme ad altri santi, come Marco ed Eraclio nel Typicon di Patmos. Ma l’associazione dei due santi è, più che la loro festa, un’altra celebrazione della croce. Costantino ed Elena furono introdotti nel sinassario di Costantinopoli, di cui una prima recensione fu redatta da Evaristo su impulso di Costantino VII81. Il redattore si basò sulle Vite di san Costantino (BHG 363 e 366) per compilare la propria personale sintesi82.

San Costantino e la croce: una figura e un simbolo divisi tra l’imperatore e il patriarca

La Chiesa, dunque, aveva canonizzato Costantino e gli aveva conferito un giorno di festa in associazione con sua madre Elena, pur restando egli l’imperatore vittorioso che aveva ristabilito sotto il suo potere l’unità dell’Impero, una figura prestigiosa della sua storia politica e militare. La figura di Costantino come conquistatore faceva dunque concorrenza a quella di primo imperatore cristiano, che operava per il bene della Chiesa. Tanto l’imperatore quanto il patriarca potevano riferirsi a Costantino come a una figura tutelare e protettrice, e sfruttare il prestigio della leggenda costantiniana. Il patriarca poteva evocarlo come modello per il suo ruolo di protettore dei cristiani e soprattutto di benefattore della Chiesa. A ogni concilio, era ricordata la convocazione di quello di Nicea, come un gesto fondatore. L’imperatore, dal canto suo, poteva anche sottolineare questo ruolo di primo imperatore cristiano negli affari della Chiesa e la sua partecipazione alla creazione di culti come quello della vera croce83. Egli poteva, naturalmente, sfruttare l’eredità politica di Costantino e collocarsi nel suo solco, nella continuità del potere imperiale. In questo modo l’imperatore vittorioso andava a celebrare le sue prodezze militari presso la colonna di Costantino.

Vi era, dunque, una ‘competizione’ per l’utilizzo della figura di Costantino tra la Chiesa e il potere civile, tra il patriarca e l’imperatore. Se ne trova traccia nel Libro delle cerimonie. È possibile seguire alcuni aspetti di tale concorrenza nelle trasformazioni che subisce, nel foro, lo spazio intorno alla colonna di Costantino. In cima a essa, la sua statua voleva essere un simbolo di potere: essa teneva una lancia, rimpiazzata poi da uno scettro, quando la lancia cadde. Si trattava, in entrambi i casi, di insegne militari o di potere. Tuttavia, dopo la caduta della statua, essa fu rimpiazzata da una croce, simbolo imperiale ma anche religioso. La si può interpretare come un’evoluzione naturale in un’epoca in cui la fabbricazione di statue di bronzo a tutto tondo cessò, ma essa è sintomatica della sostituzione di una immagine politica con un simbolo religioso o politico-religioso. Lo spazio del foro era in primo luogo uno spazio civico, molto poco marcato, nella tradizione romana, dal cristianesimo degli inizi, ma esso divenne cristiano attraverso l’aggiunta della cappella e delle reliquie sui gradini, alla base della colonna. In siffatta cristianizzazione dello spazio, erano gli imperatori ad avere, tuttavia, l’autorità: erano loro, infatti, ad avere i mezzi per costruire le chiese e far giungere le reliquie. Non si sa chi abbia fatto costruire la cappella di S. Costantino nel foro, ma, tenuto conto di ciò che si è detto sopra sull’importanza di Costantino per la dinastia macedone, e considerato che non si sente molto parlare di questo luogo prima del IX secolo, sembra possibile attribuirne la costruzione all’uno o all’altro dei due imperatori macedoni. In questa dinastia, un imperatore in particolare, Costantino VII, ebbe a cuore la valorizzazione dei rituali intorno a Costantino I, suo prestigioso omonimo. Andreas Schminck parla anche di una liturgia imperiale che imita e che mette in risalto quella ecclesiastica, sottolineando il legame diretto tra il Cristo, l’imperatore e la santità imperiale84.

Il patriarca aveva mano libera sulla liturgia nelle chiese, tanto nella cappella di S. Costantino nel foro quanto ai Santi Apostoli, ma l’imperatore manteneva un ruolo privilegiato durante le cerimonie che vi si svolgevano85. Questo ruolo era particolarmente chiaro nelle incensazioni che gli erano affidate nel santuario in Santa Sofia, dove incensava in particolare una croce e le tombe o i reliquiari nel santuario dei Santi Apostoli. In tutti questi casi, tuttavia, era il clero a porgergli l’incensiere. Nondimeno l’imperatore aveva una relativa indipendenza durante quelle cerimonie. È già stato osservato come egli organizzasse la sua processione per recarsi sui luoghi della celebrazione senza seguire quella allestita dal patriarca. L’imperatore disponeva anche di insegne religiose prestigiose, tra le quali è opportuno segnalare la croce di Costantino e la reliquia della santa croce, custodita nel palazzo imperiale.

L’imperatore e la croce di Costantino

La croce di Costantino era conservata con altre insegne del potere imperiale nella cappella del Palazzo, intitolata a santo Stefano86. L’imperatore andava a venerarla quando usciva dal Palazzo per recarsi a una cerimonia. Egli la portava con sé quando andava a celebrare la liturgia a Santa Sofia. Portata da un preposto, la croce di Costantino era collocata sul lato destro del santuario, in cui rimaneva per tutta la liturgia, fino alla partenza dell’imperatore. Si trattava di un oggetto di prestigio, che associava l’imperatore regnante alla figura tutelare di Costantino. Gli storici dell’arte discutono per capire se questo oggetto avesse un legame con la crux gemmata, una croce tempestata di gioielli, contenente una reliquia della vera croce, associata a Costantino da Teodoro Anagnoste, il quale affermava, nel VI secolo, che tale oggetto prezioso era portato nelle processioni degli imperatori87. Sfortunatamente il Libro delle cerimonie accenna al ruolo della croce di Costantino, ma non lo descrive, cosa che non consente di identificare i due oggetti e di stabilire una continuità temporale (ad ogni modo essa non risalirebbe all’epoca di Costantino88). Che l’oggetto sia stato o meno lo stesso importa poco, se la gente al tempo del Libro delle cerimonie pensava che si trattasse della croce di Costantino. Prima di divenire un simbolo ecclesiastico, la croce era stata un simbolo imperiale: nella Notitia Dignitatum, nel V secolo (421), si legge che una croce processionale era un privilegio imperiale. Nel momento di un adventus, ma anche delle uscite solenni, gli imperatori erano preceduti da una siffatta croce, in oro, a volte incastonata di pietre preziose, il cui uso è descritto da Eusebio di Cesarea nella Vita Constantini89. Certamente nel periodo medio-bizantino vi era una competizione tra le diverse croci: l’imperatore venerava non meno di sette croci lungo il suo tragitto fino alla cattedrale, compresa la croce portata dal patriarca, ma nessuna di quelle poteva vantare una associazione diretta con Costantino. La sua croce funzionava, infatti, come un’insegna imperiale e come un segno di vittoria90, quella ottenuta dagli imperatori sui nemici dell’Impero e quella ottenuta da Cristo sulla morte. Essa permetteva all’imperatore di conservare il controllo sull’immagine polimorfa di Costantino e di trarne legittimità e prestigio. Ciascuna dinastia seppe valorizzare alcuni degli aspetti di questa immagine: il fondatore della città per l’epoca proto-bizantina; il fondatore dei luoghi santi, che mandò sua madre a Gerusalemme dove fu rinvenuta la vera croce, a partire da Eraclio, nel VII secolo; l’imperatore vittorioso all’epoca isaurica, quando la croce giocò un ruolo maggiore come simbolo di vittoria; l’imperatore santo al tempo della dinastia macedone; l’imperatore protettore dei cristiani in epoca paleologa. Gli imperatori potevano concertare queste diverse immagini e, a turno, esaltarle. Attraverso la partecipazione ai rituali urbani, essi infusero vita nel mito costantiniano, che sembra aver conosciuto raramente dei momenti di eclissi. Durante il periodo latino, l’imperatore Baldovino riprese i rituali bizantini per la sua incoronazione, che ebbe luogo il 16 maggio 1204, e si installò al Grande Palazzo, sul trono di Costantino91, per ricevervi la proskynesis: «quando si fu seduto sulla cattedra di Costantino, tutti lo considerarono imperatore, e i greci che erano lì lo adorarono come santo»92. Al di là dei rituali urbani che contribuirono a mantenere in vita il ricordo del fondatore, l’ombra di Costantino ha aleggiato su tutta la storia dell’Impero. L’ultimo imperatore non assunse infatti il nome di Costantino, come già dieci dei suoi predecessori?

1 New Constantines: the Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, Papers from the Twenty-Sixth Spring Symposium of Byzantine Studies (St. Andrews March 1992), ed. by P. Magdalino, Aldershot 1994; cfr. la recensione di J.-C. Cheynet a H. Ditten, Ethnische Verschiebungen zwischen der Balkanhalbinsel und Kleinasien vom Ende des 6. bis zur zweiten Hälfte des 9. Jahrhunderts, in Revue des études byzantines, 53 (1995), pp. 372-373. Qui Jean-Claude Chaynet sottolinea come furono gli imperatori usurpatori a fare appello, per i loro figli, all’immagine tutelare di Costantino più di quanto non facessero gli imperatori sicuri della fedeltà alla propria dinastia, come i Comneni.

2 A. Markopoulos, Constantine the Great in Macedonia Historiography: Models and Approaches, in New Constantines, cit., pp. 159-170.

3 C. Walter, L’iconographie des conciles dans la tradition byzantine, Paris 1970; K. Corrigan, Visual Polemics in the Ninth-Century Byzantine Psalters, Cambridge 1992, p. 115.

4 G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1974.

5 Georgius Cedrenos Ioannis Scilitzae, Synopsis Historiarum, rec. I. Thurn, Berlin 1973, p. 239; trad. fr. B. Flusin in Jean Skylitzès, Empereurs de Constantinople, éd. par J.-C. Cheynet, Paris 2004, p. 202.

6 R. Janin, Constantinople byzantine. Développement urbain et répertoire topographique, Paris 19642, pp. 26-31.

7 Hagia Sophia from the Age of Justinian to the Present, ed. by R. Mark, A.S. Cakmak, Cambridge 1992; R. Cormack, The Emperor at Santa-Sophia, in Byzance et les images. Cycle de conférences organisé au Musée du Louvre, éd. par A. Guillou, J. Durand, Paris 1994, pp. 223-253.

8 G. Fowden, The Last Days of Constantine: Oppositional Versions and Their Influence, in Journal of Roman Studies, 84 (1994), pp. 146-170; S. Price, From Noble Funerals to Divine Cult: the Consecration of Roman Emperors, in Rituals of Royalty. Power and Ceremonial in Traditional Societies, ed. by D. Cannadine, S. Price, Cambridge 1987, pp. 56-107.

9 P. Grierson, Tombs and Obits of the Byzantine Emperors (337-1042), in Dumbarton Oaks Papers, 16 (1962), pp. 1-63.

10 Sal 20(21),4.

11 Malal., Chron. XIII, pp. 245-247, ed. Thurn.

12 R. Scott, The Image of Constantine in Malalas and Theophanes, in New Constantines, cit., pp. 55-71.

13 C. Mango, A History of the Hippodrome of Constantinople, in Hippodrome-Atmeydani. A stage for Istanbul’s History, ed. by B. Pitakaris, Istanbul 2010, pp. 36-43.

14 G. Dagron, A. Binggeli, M. Featherstone, B. Flusin, L’organisation et le déroulement des courses d’après le Livres de cérémonies, in Travaux et Mémoires, 13 (2000), pp. 1-200.

15 Constantin Porphyrogénète, Livres des Cérémonies, éd. par A. Vogt, Paris 1967, II 79, p. 147.

16 G. Dagron, L’hippodrome de Constantinople. Jeux, peuple et politique, Paris 2011, pp. 123-124.

17 A. Berger, Streets and Public Places in Constantinople, in Dumbarton Oaks Papers, 54 (2000), pp. 161-172.

18 R. Janin, Constantinople byzantine, cit., p. 63; S. Bassett, The Urban Image of Late Antique Constantinople, Cambridge 2004, pp. 29-31.

19 G. Fowden, Constantine’s Porphyry Column. The Earliest Literary Allusion, in Journal of Roman Studies, 81 (1991), pp. 119-131.

20 Malal., Chron. XIII 7, p. 246, ed. Thurn.

21 G. Gascou, Le rescrit d’Hispellum, in Mélanges de l’École Française de Rome, 79 (1967), pp. 600-659.

22 Su questo aspetto si veda la discussione in J. Bardill, Constantine, Divine Emperor of the Christian Golden Age, Cambridge 2012, p. 109.

23 G. Dagron, Constantinople imaginaire. Études sur le recueil des «patria», Paris 1984.

24 T. Preger, Scriptores originum constantinopolitanarum, Leipzig 1901-1907, II 45, p. 174.

25 Ivi, II 42, p. 173.

26 Anne Comnène, Alexiade, éd. par B. Leib, III, Paris 1989, XII IV 5, p. 66.

27 Michael Glycas, Annales, a cura di I. Bekker, Bonn 1836, p. 617.

28 Pseudo-Kodinos, Traité des offices, éd. par J. Verpeaux, Paris 19762, p. 242.

29 G. Majeska, Russian Travelers to Constantinople in the Fourteenth and Fifteenth Centuries, Washington 1984, pp. 144-145.

30 C. Mango, Studies on Constantinople, Aldershot 1993: Id., Constantine’s Column, ivi, pp. 1-6; Id. Constantine’s Porphyry Column and the Chapel of Saint Constantine, ivi, pp. 103-110.

31 Constantin VII Porphyrogénète, Le Livre des Cérémonies, cit., I 37, p. 74 ; J. Ebersolt, Les anciens sanctuaires de Constantinople, in Id., Constantinople. Recueil d’études d’archéologie et d’histoire, Paris 1951, pp. 71-72.

32 Le Livre des Cérémonies, cit., I 1, pp. 22-24.

33 Ivi, I 10, pp. 67-68.

34 Ivi, I 39(30), p. 153.

35 Constantini Porphyrogeniti imperatoris De Cerimoniis aulae Byzantinae, rec. I. Reiske, Bonn 1829, II 19, pp. 609-611.

36 J.F. Baldovin, The Urban Character of Christian Worship: the Origins, Development, and Meaning of Stational Liturgy, Rome 1987; Le Typicon de la Grande Église, Ms. Sainte-Croix no. 40, Xe siècle, éd. par J. Mateos, Rome 1962.

37 J. Baldovin, Worship in Urban Life. The Example of Medieval Constantinople, in Id., Worship. City, Church and Renewal, Washington 1991, pp. 18-20: ogni anno si svolgevano circa 68 processioni religiose: l’imperatore e il suo seguito partecipavano a 26 di queste, 17 delle quali lo conducevano verso chiese diverse da quella di Santa Sofia.

38 Pseudo-Kodinos, Traité des offices, éd. par J. Varpeaux, Paris 1976, p. 242.

39 Le Typicon de la Grande Église, cit., p. 289.

40 Ivi, p. 297.

41 Pseudo-Kodinos, Traité, cit., p. 244.

42 Eus., v.C. IV 60, ed. F. Winkelmann (Über das Kaisers Konstantins, Berlin 1975), p. 144.

43 C. Mango, Constantine’s Mausoleum and the Translation of Relics, in Byzantinische Zeitschrift, 83 (1990), pp. 51-61.

44 R. Janin, La géographie ecclésiastique de l’empire byzantin, Ière partie, Le siège de Constantinople et le patriarcat œcumenique, III, Les églises et les monastères, Paris 19692, p. 42.

45 L. James, Constantine of Rhodes. On Constantinople and the Church of the Apostles, Farnham 2012.

46 Thdt., h.e. I 34,3 ed. L. Parmentier, hrsg. von G.C. Hansen, Berlin 1998, p. 90.

47 J.P.A. van der Vin, Travellers to Greece and Constantinople. Ancient Monuments and Old Traditions in Medieval Travellers’ Tales, 2 voll., Leiden 1980.

48 G.P. Majeska, Russian Travelers, cit., pp. 299-306.

49 Livres des cérémonies, cit., I 10, p. 69.

50 G. Dagron, Théophanô, les Saints-Apôtres et l’église de Tous-les-Saints, in Symmeikta, 9 (1994), pp. 201-218, in partic. 210-211.

51 Vie anonyme de Sainte Théophanô (BHG 1974, pp. 23-24), ed. E. Kurtz, Zwei griechische Texte über die Hl. Theophano die Gemahlin Kaisers Leo VI, in Mémoires de l’Académie impériale des Sciences de Saint Petersburg, 3,2 (1898), pp. 1-24.

52 G. Dagron, Empereur et prêtre. Étude sur le ‘césaropapisme’ byzantin, Paris 1996, pp. 209-210; E. Patlagean, Sainteté et pouvoir, in The Byzantine saint, Fourteenth Spring Symposium of Byzantine Studies (Birmigham 1980), ed. by S. Hackel, London 1981, pp. 88-105, ora in Id., Figures du pouvoir à Byzance (IXe-XIIe siècle), Spoleto 2001, pp. 173-195.

53 Livres des cérémonies, cit., II 7, pp. 535-538.

54 Sui funerali imperiali si vedano P. Karlin-Hayter, L’adieu à l’empereur, in Byzantion, 61 (1991), pp. 112-155; J.-P. Sodini, Rites funéraires et tombeaux impériaux, in La mort du souverain entre Antiquité et Haut Moyen âge, éd. par B. Boissavit-Camus, F. Chausson, H. Inglebert, Paris 2006, pp. 167-182.

55 B. Flusin, L’empereur et le Théologien: à propos de la translation des reliques de Grégoire de Nazianze (BHG 728), in Aétos. Studies in honour of Cyril Mango, presented to him on April 14, 1998, ed. by I. Ševčenko, I. Hutter, Stuttgart-Leipzig 1998, pp. 137-153; Id., Constantin Porphyrogénète. Discours sur la translation des reliques de saint Grégoire de Nazianze (BHG 728), in Revue des études byzantines, 57 (1999), pp. 5-97.

56 Livres des Cérémonies, cit., II 6, p. 533.

57 Una discussione sulla configurazione dei luoghi si trova in G. Dagron, Théophanô, les Saints-Apôtres, cit., pp. 201-218, in partic. 208-209 e 213.

58 Nel monastero saranno trasferite le reliquie di Teofano, cfr. G. Majeska, The Body of St. Theophano the Empress and the Convent of St. Constantine, in Byzantinoslavica, 38 (1977), pp. 14-21.

59 G. Majeska, Russian Travelers, cit., pp. 296-298; Raymond Janin, nel suo catalogo dei santuari, stabilisce due entrate, ma propone di avvicinare la chiesa di S. Costantino, citata nel Libro delle cerimonie, al palazzo di Bonus e il convento di S. Costantino alla cisterna di Bonus, citata nel libro dei viaggiatori e dello Pseudo-Codino, cfr. R. Janin, La géographie ecclésiastique de l’empire byzantin, I, Le siège de Constantinople et le patriarcat œcuménique, III, Les églises et le monastères, Paris 19692, pp. 295-297.

60 Patria Const. II, in T. Preger, Scriptores originum, cit., p. 267. Su Giustino II e la croce si veda H.A. Klein, Constantine, Helena, and the Cult of the True Cross in Constantinople, in Byzance et les reliques du Christ, éd. par J. Durand, B. Flusin, Paris 2004, pp. 31-59, in partic. 39-41.

61 A. Kazhdan, ‘Constantin imaginaire’. Byzantine Legends of the Ninth century about Constantine the Great, in Byzantion, 67 (1987), pp. 196-250, in partic. 250.

62 Constantinople in the Early Eighth Century. The Parastaseis syntomoi chronikai, ed. by Av. Cameron, J. Herrin, Leiden 1984.

63 B. Caseau, J.-C. Cheynet, La communion du soldat et le rites religieux sur le champ de bataille, in Pèlerinage et lieux saints dans l’Antiquité et le Moyen Age. Mélanges offerts à Pierre Maraval, éd. par B. Caseau, J.-C. Cheynet, V. Déroche, Paris 2006, pp. 101-119.

64 J.W. Drijvers, Helena Augusta. The Mother of Constantine the Great and the Legend of her Finding of the True Cross, Leiden 1992.

65 P. Maraval, Lieux saints et pèlerinages d’Orient. Histoire et géographie. Des origines à la conquête arabe, Paris 20042, pp. 252-257.

66 G. Shurgaia, Santo imperatore. Costantino il Grande nella tradizione liturgica di Gerusalemme, in Costantino il Grande nell’età bizantina, Atti del Convegno internazionale di studio (Ravenna 5-8 aprile 2001), a cura di G. Bonamente, A. Carile, Spoleto 2003.

67 G. Garitte, Le calendrier palestino-géorgien du Sinaiticus 34 (Xe siècle), Bruxelles 1958, p. 230; A. Renoux, Un manuscrit du lectionnaire arménien de Jérusalem (cod. Jérus. Arm. 121), in Le Muséon, 74 (1961), pp. 361-385.

68 M. Mundell Mango, Imperial Art in the Seventh Century, in New Constantines, cit., pp. 109-138, in partic. 135 e 137 fig.

69 La prise de Jérusalem par les Perses en 614, éd. par G. Garitte, Louvain 1960, p. 12: «tum ascendit totus populus ad Catholicam, quae est Sanctus Constantinus, ubi inventum est lignum venerandae Crucis».

70 L. Brubacker, To Legitimize an Emperor: Constantine and Visual Authority in the Eighth and Ninth Centuries, in New Constantines, cit., pp. 139-158, in partic. 142.

71 Constantinople in the Early Eighth Century, cit., pp. 78-80.

72 Il termine = può indicare un bassorilievo piuttosto che delle statue.

73 Patria Const. II 29, in T. Preger, Scriptores, cit., p. 166.

74 N. Teteriatnikov, The True Cross Flanked by Constantine and Helena. A Study in the Light of the Post-Iconoclastic Re-evaluation of the Cross, in Deltivon. Η Χριστιανική Αρχαιολογική Εταιρεία, 18 (1995), pp. 169-188; L. Hadermann-Misguich, Kurbinovo. Les fresques de Saint-Georges et la peinture byzantine du XIIe siècle, 2 voll., Bruxelles 1975, pp. 245-251 (il quale sottolinea che l’iconografia dei due santi resta ancora da studiare). Si ringrazia S. Brodbeck per questa segnalazione; C.L. Connor, Women of Byzantium, New Haven 2004, pp. 190-198.

75 F. Winkelmann, Das hagiographische Bild Konstantins I. im mittelbyzantinischer Zeit, in Beiträge zur byzantinischen Geschichte im 9.-11. Jahrhundert, hrsg. von V. Vavfinek, Praha 1978, pp. 179-208.

76 S.N.C. Lieu, Constantine in Legendary Literature, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, Cambridge 2006, pp. 298-321.

77 A. Luzzi, Note sulla recensione del Sinassario di Costantinopoli patrocinata da Costantino VII Porfirogenito, in Rivista di Studi bizantini e neoellenici, n.s., 26 (1989), pp. 139-186.

78 Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae e codice Sirmondiano nunc Berolinensi adiectis synaxariis selectis opera et studio, ed. H. Delehaye, Bruxelles 1902, pp. 698-699.

79 M. Arranz, Les grandes étapes de la liturgie byzantine: Palestine, Byzance, Russie. Essai d’aperçu historique, in Liturgie de l’Église particulière et liturgie de l’Eglise universelle, XXIIe Semaine d’études liturgiques (Paris 30 juin-3 juillet 1975), Roma 1976, pp. 43-72; R. Taft, Le rite byzantin. Bref historique, Paris 1996.

80 Palinsesto del ms. Add. 4489 dell’Università di Cambridge, datato alla fine dell’VIII secolo, cfr. A. Luzzi, Il Dies Festus di Costantino il grande e di sua madre Elena nei libri liturgici della Chiesa Greca, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, II, Macerata 1993, pp. 585-643.

81 A. Luzzi, Studi sul Sinassario di Costantinopoli, Roma 1995, pp. 5-7: la recensione del sinassario, risalente a Costantino VII, è nota da due manoscritti, lo Hierosolimitanus Sanctae Crucis 40 (H) (ed. H. Delehaye) del X-XI secolo e il Sinaiticus 548 del’XI secolo; A. Luzzi, Precisazioni sull’epoca di formazione del Sinassario di Costantinopoli, in Rivista di studi bizantini e neoellenici, n.s., 36 (1999), pp. 75-91.

82 A. Luzzi, Studi sul Sinassario, cit., pp. 84-85.

83 G. Dagron, Empereur et prêtre, cit.

84 A. Schminck, ‘In hoc signo vinces’. Aspects du ‘césaropapisme’ à l’époque de Constantin VII Porphyrogénète, in Constantine VII Porphyrogenitus and His Age, Second International Byzantine Conference (Delphi 22-26 July 1987), ed. by A. Markopoulos, Athen 1989, pp. 103-116, in partic. 107: Costantino VII avrebbe «introdotto una ‘liturgia imperiale’ che imita ed esalta la liturgia ecclesiastica, facendo risplendere la santità dell’imperatore senza mai lasciar trapelare alcun dubbio sul fatto che il sovrano, nelle cerimonie religiose, ne sia il protagonista, mentre il patriarca, anche in Santa Sofia, non è padrone a casa sua, tutt’al più è un pari dell’imperatore».

85 A. Luzzi, L’ideologia costantiniana nella liturgia dell’età di Costantino VII Porfirogenito, in Rivista di Studi bizantini e neoellenici, n.s., 28 (1991), pp. 113-124.

86 Livres des Cérémonies, cit., II 40, p. 640. Una croce di Costantino VII Porfirogenito è segnalata, nello stesso capitolo, all’interno della chiesa della Theotokos del Faro, nel Grande Palazzo.

87 Theodoros Anagnostes, Kirchengeschichte, ed. G.C. Hansen, Berlin 1971, p. 13.

88 Per un tentativo di identificazione dell’oggetto si veda J. Koder, ῾Ο Κωνσταντῖνος Πορφυρογέννητος καὶ ἡ σταυροθήκη τοῦ Λίμπουργκ‚ in Constantine VII, cit., pp. 165-184.

89 J.A. Cotsonis, Byzantine Figural Processional Crosses, Washington 1994; K. Sandin, Middle Byzantine Bronze Crosses of Intermediate Size: Form, Use and Meaning, Ann Arbor 1992.

90 J. Gagé, Σταυρὸς νικοποιός. La victoire impériale dans l’empire chrétien, in Revue d’histoire et de philosophie religieuses, 13 (1933), pp. 370-400: Costantino VII ha sponsorizzato una croce nikopoios, «vittoriosa», conservata in una stauroteca a Limbourg. Essa menziona gli imperatori Costantino e Romano, Costantino VII e Romano II, che sono co-imperatori tra il 945 e il 959, oppure Romano I Lecapeno e Costantino VII. Cfr. A. Frolow, La relique de la Vraie Croix. Recherches sur le développement d’un culte, Paris 1961, pp. 233-236; J. Koder, ῾Ο Κωνσταντῖνος Πορφυρογέννητος, cit., pp. 165-184.

91 G. Dagron, Trônes pour un empereur, in Bυζάντιο, κρἀτος και κοινωνία. Μνήμε Νίκου Οικονομίδη / Byzantium State and Society: In Memory of Nikos Oikonomides, ed. by A. Avramea, A. Laiou, E. Chryssos, Athina 2003, pp. 179-203.

92 Robert de Clari, La conquête de Constantinople. Les Classiques Français Du Moyen Age, éd. par P. Lauer, Paris 1974, p. 254; cfr. F. Van Tricht, The Latin Renovatio of Byzantium. The Empire of Constantinople (1204-1228), Leiden 2011.

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