La scienza in Cina: i Ming. La Cina e le zone limitrofe

Storia della Scienza (2001)

La scienza in Cina: i Ming. La Cina e le zone limitrofe

Annick Horiuchi
Park Seong-Rae
Han Qi

La Cina e le zone limitrofe

Il Giappone

di Annick Horiuchi

Gli inizi della storia delle relazioni tra la Cina e il Giappone si confondono con quelli della storia del Giappone stesso; non vi è un solo campo della cultura giapponese, dalla religione alla poesia, dall'organizzazione degli studi alla pittura e all'architettura, che non abbia subito, in questo o quel periodo della sua storia, l'influenza della cultura continentale. Alcuni di questi campi del sapere, come quelli delle tradizioni scientifiche, iniziarono a svilupparsi proprio grazie a questi contatti. Tutte le tradizioni scientifiche giapponesi, infatti, ebbero origine da quelle continentali da cui derivarono i loro criteri d'impostazione del lavoro, vale a dire, la terminologia, le problematiche, gli strumenti e così via.

In questo processo di trasmissione delle conoscenze che durò molti secoli, i libri svolsero sin dall'inizio un ruolo di primo piano; i contatti con i testi cinesi, infatti, non s'interruppero mai, neppure nel periodo in cui si giunse alla rottura delle relazioni diplomatiche tra il Giappone e la Cina. La forte attrazione esercitata dai libri cinesi, provenienti dalla Cina o dalla Corea, si spiega in parte con il rapporto privilegiato che ben presto s'instaurò tra la lingua giapponese e la lingua cinese attraverso la scrittura. In effetti, benché il giapponese sia radicalmente diverso dal cinese dal punto di vista del lessico, della sintassi e della morfologia, il suo sistema di scrittura, di tarda formazione, si è foggiato attraverso la pratica della scrittura logografica cinese. L'articolazione in logogrammi ha consentito al giapponese d'incorporare progressivamente nel suo vocabolario il vasto insieme dei termini tecnici coniati nel corso dei secoli dalle tradizioni erudite del continente. Questo legame, che facilitò l'accesso alla lingua cinese soprattutto ai Giapponesi che desideravano scoprire nuove conoscenze, s'invertirà nel XX sec., quando i Cinesi tenteranno a loro volta di trarre vantaggio dalle 'acquisizioni' giapponesi nel campo della conoscenza delle scienze occidentali.

Nel corso di tutto il periodo medievale e premoderno, la lettura e la pratica del cinese rimasero appannaggio dell'élite intellettuale giapponese. Soltanto in alcuni casi, estremamente rari, i Giapponesi furono in grado di comunicare in cinese con gli studiosi continentali e il numero di coloro che leggevano il cinese classico, senza ricorrere ai segni diacritici che permettevano di riordinare i segmenti delle frasi cinesi conformemente alla sintassi giapponese, non era elevato. Non bisogna quindi sorprendersi nel veder emergere due tendenze divergenti nella storia del Giappone: una fedele all'utilizzazione del cinese come lingua colta e l'altra favorevole all'impiego del giapponese. Un approccio diacronico, imperniato sulle diverse ondate della trasmissione delle conoscenze cinesi in Giappone e sull'influenza da queste esercitata per la produzione scientifica giapponese, permette di descrivere di volta in volta il contesto politico, economico e culturale nel quale esse s'iscrissero.

Il periodo antico

Benché, come dimostra un certo numero di testi e iscrizioni, i contatti tra l'Impero cinese e alcune unità territoriali giapponesi risalgano all'inizio della nostra era, è soltanto nel IV sec., con la costituzione dello Stato di Yamato, embrione del futuro Stato giapponese, che s'instaurarono tra i due paesi relazioni stabili in cui la trasmissione delle conoscenze e delle tecniche assunse una certa rilevanza. Grazie all'aiuto dei regni della Corea, lo Stato di Yamato richiamò personale qualificato non soltanto nel campo delle arti e, in particolare, nei settori della fabbricazione della carta, della ceramica e della tessitura, ma anche in quello dell'amministrazione, assumendo letterati-funzionari in grado di leggere e scrivere il cinese. Questi ultimi assicurarono la trasmissione delle componenti fondamentali della cultura cinese dell'epoca, vale a dire delle dottrine buddhiste, delle conoscenze mediche e farmacologiche, dell'utilizzazione del calendario lunisolare, e così via. Questi contatti s'intensificarono con le missioni diplomatiche organizzate dal Giappone a partire dal VII sec.; è in questo contesto che s'iscrive la grande riforma introdotta dalla corte imperiale per instaurare il cosiddetto regime dello 'Stato retto dai Codici', volto a riprodurre, con qualche leggera modifica, il regime politico ed economico della Cina dei Tang (618-907), attraverso il ricorso a un corpo di funzionari reclutati in base a un sistema di esami. Grazie soprattutto ai Codici Yōrō (718), il più antico testo legislativo sopravvissuto, si può tracciare la prima mappa delle discipline scientifiche insegnate in Giappone: la medicina, la farmacopea, la scienza dei calendari, l'astronomia, la divinazione e la matematica, per le quali i Codici prevedevano la nomina di dottori incaricati della formazione degli studenti. Benché rimangano molte incertezze sulla realizzazione di queste disposizioni, in generale si ritiene che nell'VIII sec. queste discipline fossero insegnate sulla base di una scelta di Classici cinesi e trattati coreani, di cui oggi conosciamo soltanto i nomi.

L'epoca Heian (794-1185)

Con il declino del regime dei Codici, iniziato a partire dall'epoca Heian, si affermò la tendenza a considerare le cariche amministrative e in particolare quelle che richiedevano competenze tecniche, un privilegio di poche famiglie. I Giapponesi, che del resto nel IX sec. avevano raccolto nelle loro biblioteche un quarto delle opere censite in Cina, nel X sec., in seguito alla rottura delle relazioni diplomatiche, non poterono più avere accesso alle informazioni provenienti da questo paese. Per illustrare la relativa indifferenza con cui in questo periodo erano espletati gli incarichi di carattere tecnico basterà ricordare un esempio. Le due famiglie che a quel tempo si dividevano i compiti, previsti dai Codici, di preparazione dell'almanacco annuale, osservazione del cielo e divinazione, si basarono, tra l'862 e il 1684, sulle tavole del Calendario Xuanming (Xuanming li) dei Tang, che in quello stesso periodo era stato sostituito nel continente da altri calendari più affidabili, tanto che nel XVII sec. in Giappone si registrò una sfasatura di due giorni tra i fenomeni osservati e quelli descritti negli almanacchi.

In questo contesto di scarso impegno si distinsero soltanto i medici, grazie al loro elevato livello culturale, fondamentalmente basato sulle opere delle epoche Sui (581-617) e Tang. Attraverso il loro meditato approccio a questa disciplina, essi poterono infatti operare, all'interno del corpus cinese, tagli e ricomposizioni che rispondevano a inclinazioni e riserve personali. Le Prescrizioni fondamentali della medicina (Ishinpō, 984), per esempio, una compilazione in 30 capitoli di Tanba no Yasuyori (912-995) che raccoglie citazioni tratte da quasi trecento trattati, rivelano non soltanto la vastità delle conoscenze dell'autore, ma anche il suo sforzo di adattamento della scienza continentale, in questo caso volto a ridurre lo spazio concesso alla teoria dei meridiani e all'esame del polso.

L'identificazione degli ingredienti utilizzati nella composizione dei rimedi, vale a dire l'individuazione delle corrispondenze tra i nomi cinesi e i loro equivalenti giapponesi, fu in breve considerato un obiettivo molto importante dai medici e dagli specialisti del bencao ('farmacopea'), come dimostra il grande lessico sino-giapponese dei prodotti farmaceutici di Fukane no Sukehito, i Nomi giapponesi della materia medica (Honzō wamyō) redatto all'inizio del X sec., in cui sono censite 1025 specie citate nella Nuova revisione della farmacopea (Xinxiu bencao), un testo di riferimento che era, a sua volta, una versione rielaborata di un'opera precedente, la Raccolta dei commentari sulla farmacopea (Bencao jizhu), composta nel 659. Queste produzioni, tutt'altro che rare in questo periodo, prefigurano il ruolo pilota svolto in seguito dalla medicina.

Il Medioevo (1185-1573)

Il Medioevo giapponese corrisponde a un periodo di grandi cambiamenti sociali e politici; la classe dei guerrieri che diresse il paese a partire dal 1185 lasciò intatto ciò che restava dell'antico ordine, vale a dire il sistema delle nomine dei funzionari basato sul regime dei Codici e la raffinata cultura della corte imperiale di Kyoto. Una volta stabilitisi a Kamakura, nell'Est del paese, i guerrieri favorirono la diffusione del buddhismo, che conobbe in questo periodo un nuovo sviluppo. A differenza delle sette buddhiste di Kyoto, le nuove sette di Kamakura si distinsero per gli stretti legami che le univano al buddhismo continentale contemporaneo. In questo periodo, infatti, molti monaci giapponesi intrapresero viaggi in Cina; essi furono la punta di diamante del rinnovamento culturale dell'epoca Kamakura (1185-1333) che si basò sulle conoscenze elaborate nel periodo Song (960-1279).

Nel campo delle scienze, soltanto la medicina sembrò trarre beneficio da questo cambiamento. Questa circostanza fu determinata da un lato dalla sopravvivenza dei 'medici funzionari', che ormai si guadagnavano da vivere grazie agli onorari ed erano i depositari del sapere antico e, dall'altro lato, dall'affermarsi dei monaci medici, che tentarono di operare una sintesi tra la medicina dei Song e le idee della medicina indiana veicolate dal buddhismo.

Tra i cinquanta testi medici inventariati, il Compendio medico per l'applicazione immediata (Ton'ishō, 1304) e il Libro delle prescrizioni affidabili (Man'anpō, 1327), entrambi redatti da Kajiwara no Shōzen (1265-1337), sono quelli che illustrano meglio le tendenze che emersero in questo periodo. Il Compendio medico per l'applicazione immediata, primo esempio di trattato medico redatto in giapponese, si segnala soprattutto per il capitolo dedicato alla descrizione dei cinque visceri (zang) e dei sei ricettacoli (fu) e per le riproduzioni dei disegni anatomici, derivati dalla tradizione dell'Illustrazione dei cinque visceri di Ou Xifan (Ou Xifan wuzang tu). Queste tavole erano state disegnate durante le dissezioni dei corpi di cinquantasei criminali, uno dei quali si chiamava Ou Xifan, e in seguito erano state più volte riprodotte nei trattati dell'epoca Song. Le opere Song esercitarono una profonda influenza anche sulle interpretazioni delle malattie basate sui 'cinque cicli e sei qi' (wuyun liuqi). Come dimostrano le osservazioni personali che costellano l'opera di Shōzen, i trattati medici in questa fase si discostano dal modello della semplice compilazione per dar spazio a una serie d'interrogativi le cui risposte, tuttavia, sono ricercate negli insegnamenti della medicina Sui, Tang e Song, così come in quella buddhista.

Tra il XIV e il XVI sec., il Giappone attraversò uno dei periodi più inquieti della sua storia; le dinastie guerriere che si erano succedute a Kamakura caddero in seguito a una ribellione fomentata dalla corte imperiale. La pace fu provvisoriamente ristabilita dal clan guerriero degli Ashikaga che stabilì la sede del suo governo (bakufu) nell'Ovest del paese, nel quartiere Muromachi di Kyoto. Questo periodo di tregua, tuttavia, non durò a lungo, poiché la guerra scoppiò di nuovo a Kyoto verso la metà del XV sec., riducendo la capitale in cenere. I disordini si estesero a tutto il paese e il Giappone sprofondò in un'era di guerre civili che si prolungò sino alla fine del XVI secolo. In questo contesto travagliato, caratterizzato dalla spinta emancipatrice delle classi sociali inferiori, il mondo medico assunse un profilo più composito. Esso conservò legami con l'Impero Ming, attraverso la mediazione dei monaci medici che continuavano a visitare la Cina. Tuttavia, le grandi famiglie dei medici funzionari, che detenevano il monopolio delle conoscenze della medicina antica, scomparvero progressivamente, cedendo il passo a una pratica medica più libera, meno erudita e quindi più pragmatica e più interessata ai risultati. Senza entrare nei dettagli della produzione medica dell'epoca, molto varia e integrata da elementi della medicina Ming, a sua volta decisamente sincretica, ci limiteremo a sottolineare l'influenza esercitata sui medici dalla Raccolta delle prescrizioni di Stato dei Song (Heji jufang), così come, nel campo dell'eziologia, dal Trattato sulle tre cause (Sanyin fang). Un altro effetto dell'influenza continentale è individuabile nella specializzazione della medicina in ginecologia, oftalmologia, pediatria e medicina esterna, che si occupava della cura delle ferite da arma da taglio, discipline che tendevano a configurarsi come aree d'indagine indipendenti. La diffusione del sapere medico tra strati sociali più ampi suscitò la brusca reazione dei letterati che, nel 1508, diede luogo alla prima compilazione giapponese delle prescrizioni menzionate nel Trattato sulle disfunzioni causate dal freddo (Shanghan lun), in cui furono inseriti alcuni chiarimenti relativi all'esame del polso. Il grande sviluppo della scienza medica giapponese nel corso del XVI sec. è indissociabile dalla dialettica che s'instaurò tra i medici professionali, che si distinguevano per il loro approccio pragmatico, e i 'medici monaci' (sōi) che raccolsero nelle loro opere la 'parte migliore' e più accessibile dei testi antichi e recenti della tradizione cinese.

L'epoca premoderna (1573-1868)

È in questo periodo, definito dagli storici 'premoderno', che ebbe luogo il grande sviluppo della medicina e, più in generale, delle scienze giapponesi. Nel 1573, in seguito alla scomparsa dell'ultimo shōgun Ashikaga, i signori della guerra iniziarono a esercitare il loro dominio su vasti territori, di cui sfruttarono in modo intensivo le risorse, utilizzando tutte le tecniche e le energie a loro disposizione. Allo stesso tempo, il commercio interno, così come quello esterno, in cui i Portoghesi svolsero un ruolo di mediazione, favorì la nascita dei centri urbani e di una cultura commerciale specifica.

Nel 1600 Tokugawa Ieyasu pose fine alle guerre civili e instaurò un sistema di potere che sopravvisse sino alla rivoluzione del periodo Meiji. Il lungo periodo di stabilità politica e di grande sviluppo economico che va dal 1600 al 1868 sarà chiamato 'periodo Edo' dal nome della capitale del paese (l'attuale Tokyo) scelta dai nuovi dirigenti. In questa fase, la vita intellettuale fu profondamente condizionata dalla politica di chiusura delle frontiere del paese, adottata dai Tokugawa. Il Giappone limitò, infatti, i suoi contatti esterni ai regni di Corea e di Ryūkyū, i quali inviarono a loro volta missioni diplomatiche ufficiali, e ai commercianti olandesi e cinesi, isolati e strettamente sorvegliati nelle loro rispettive residenze di Nagasaki. Anche la circolazione dei libri subì le conseguenze di queste restrizioni; le opere che si richiamavano, anche in modo indiretto, alla religione cristiana furono vietate, tanto che l'intera produzione dei gesuiti fu messa al bando. Queste misure censorie continuarono a essere applicate in maniera costante e rigorosa alle opere dottrinali, ma furono abolite a partire dal 1720 per le opere di carattere scientifico. Tuttavia, nel corso dei due secoli e mezzo del dominio dei Tokugawa, Nagasaki fu un grande crocevia culturale, attraverso il quale transitarono tutte le ultime pubblicazioni cinesi, così come le opere olandesi che, a partire dal XVIII sec., suscitarono interesse e furono molto ricercate dagli studiosi giapponesi.

Il regno dei Tokugawa si distinse inoltre per la diffusione senza precedenti degli studi neoconfuciani. Gli uomini di scienza che nel corso del XVII e del XVIII sec. lavorarono alla costituzione delle tradizioni scientifiche erano, nella maggior parte dei casi, studiosi formatisi sulla base del razionalismo neoconfuciano, ben informati sulle produzioni continentali, antiche e recenti, che avevano quindi deciso di adottare un approccio sincretico o critico nei confronti di queste conoscenze, sfruttando il distacco determinato dalla distanza geografica e temporale dalle opere studiate. Da questo punto di vista, le scienze seguirono l'evoluzione degli stessi studi neoconfuciani, la cui assimilazione assunse spesso la forma di una combinazione con le credenze ufficiali, di una critica feroce o di una riproduzione esatta.

Medicina e farmacopea

Nel processo di assimilazione delle tradizioni scientifiche cinesi iniziato nel XVII sec., la medicina occupa un posto prioritario rispetto alle altre discipline; in questo campo, infatti, la ricerca non si era esaurita nel corso del Medioevo. L'intensa attività medica dei secoli precedenti aveva creato le premesse necessarie alla creazione di una grande opera e all'emergere di una personalità senza precedenti, quella di Manase Dōsan (1507-1594) che operò una sintesi delle teorie mediche Jin (1115-1234) e Yuan (1279-1368), sfruttando al meglio, al tempo stesso, le sue acquisizioni cliniche e le sue vaste conoscenze nel campo della farmacopea. Manase, che aveva indossato l'abito di monaco buddhista, era un erudito, aveva studiato i testi confuciani e taoisti presso la scuola di Ashikaga, un grande centro di cultura medievale, e la medicina sotto la guida di Tashiro Sanki (1465-1537), monaco medico e autore di alcune opere originali ispirate alla medicina Jin e Yuan. La notorietà di Manase e la sua influenza postuma derivano non soltanto dall'originalità della sua opera, ma anche dalla reputazione della sua scuola, il Keiteki in, fondata nel 1546 a Kyoto. Grazie agli ottocento discepoli che egli formò in questa scuola, in base ai principî definiti da Li Gao (1180-1251) e Zhu Zhenheng (1281-1358), e al suo figlio adottivo, Manase Gensaku (1549-1631), che proseguì la sua attività didattica orientandola a un maggiore sincretismo, il pensiero medico di Manase conobbe una lunga discendenza, definita goseiha o 'scuola dei successori'. La Raccolta di istruzioni (Keiteki shū), una delle sue opere più importanti, rappresenta la sintesi più compiuta delle scelte operate dai medici giapponesi sin dall'epoca antica, vale a dire una teorizzazione moderata e prudente, sostenuta da una buona dose di pragmatismo e da un profondo interesse per il perfezionamento delle terapie.

Mentre, sino a questo periodo, i medici giapponesi si erano comportati molto liberamente nei confronti della medicina cinese, operando sintesi di tecniche elaborate in periodi diversi e ricorrendo frequentemente a rimedi e osservazioni raccolti sul campo, con la scuola dei 'classici' (kohōha), che si sviluppò sotto la guida di Nagoya Gen'i (1628-1696) e di Gotō Kon'zan (1659-1733), s'iniziò a rimettere radicalmente in discussione le teorie cinesi e a intraprendere i primi tentativi di elaborazione delle teorie originali. Il ritorno all'insegnamento del Trattato sulle disfunzioni causate dal freddo auspicato da questi medici riecheggia le analoghe ricerche condotte nel corso del XVII sec. dagli esperti confuciani che desideravano riscoprire l'autentico significato dei Classici al di là dei commentari del periodo Song. Nella figura di Gotō Kon'zan troviamo una perfetta illustrazione della maturità raggiunta dalla scienza medica dell'epoca Edo. Pur auspicando il ritorno al Canone interno dell'Imperatore Giallo (Huangdi neijing), opera cinese del I sec. a.C. e al Trattato sulle disfunzioni causate dal freddo, Gotō presentò un'interpretazione originale della medicina in termini di 'stasi dell'energia primordiale' (ikki ryūtai).

La scuola dei Classici, che si sviluppò in direzione di un sempre più accentuato empirismo, raggiunse il suo apogeo con il Resoconto di dissezione (Zōshi) pubblicato nel 1759 da Yamawaki Tōyō (1705-1762), per descrivere la dissezione del corpo di un criminale eseguita con il consenso delle autorità. Con la pubblicazione di questo testo si aprì una nuova pagina della storia della medicina giapponese. La diffusione del Resoconto di dissezione, infatti, innescò un processo che condurrà al progressivo abbandono dei fondamenti della patologia e della fisiologia cinesi, come pure all'assimilazione della scienza occidentale attraverso la mediazione delle traduzioni dei trattati olandesi.

In Giappone, la scienza della farmacopea o bencao conobbe un'evoluzione parallela a quella della medicina. A partire dal XVIII sec., l'attenzione degli studiosi si rivolse alle opere occidentali, anche se non si registra nessuna rottura con i metodi cinesi prima dell'inizio del secolo seguente. Anche in questo caso, una tale evoluzione si spiega chiaramente soltanto alla luce del lavoro critico preliminare condotto su alcuni testi cinesi fondamentali di bencao e, in particolare, sulla Classificazione ragionata della farmacopea (Bencao gangmu) di Li Shizhen, opera che, come dimostrano le sei edizioni realizzate tra il 1627 e il 1714, ebbe una grande eco tra i confuciani giapponesi. La conoscenza di questo testo si diffuse inizialmente grazie a Hayashi Razan (1583-1657), un letterato confuciano al servizio dei Tokugawa, che elaborò un lessico sino-giapponese delle specie inventariate. In seguito, questo compito fu rilevato dai suoi colleghi che si occuparono del lavoro di raffronto tra queste conoscenze e le specie giapponesi, d'individuazione delle corrispondenti designazioni giapponesi e di compilazione delle informazioni relative a tutte le specie vegetali e animali giapponesi e cinesi. Sulla scia dell'interesse suscitato dalla Classificazione ragionata della farmacopea si colloca il progetto del Repertorio delle miriadi di cose (Shobutsu ruisan, 1054 fascicoli) di Nakamura Tekisai (1629-1702), un'immensa compilazione di commentari sulle piante e gli animali tratti da opere cinesi del passato, che verrà condotto a termine soltanto molto tempo dopo la morte del suo autore.

Uno dei principali intenti da parte dei ricercatori fu quello di adattare queste farmacopee o enciclopedie agli usi popolari. In questo campo, opera fondamentale fu la Farmacopea del Giappone (Yamato honzō, 1707) di Kaibara Ekiken (1630-1714). Basandosi su una solida erudizione, sulla scrupolosa applicazione della metodologia di Li Shizhen e sulla sua spiccata inclinazione per l'osservazione e i viaggi, Kaibara introdusse significative innovazioni sia dal punto di vista dello stile sia da quello degli argomenti trattati. Privando deliberatamente il bencao della sua dimensione libresca e recidendo i suoi legami con la medicina, egli lo trasformò in una scienza della Natura, una Natura, tuttavia, che per motivi di rigore metodologico non poteva che essere giapponese. Kaibara si dedicò a questo compito ricorrendo a un lingua chiara e accessibile, rendendo la Farmacopea del Giappone una sorta di guida sulla Natura giapponese, utile anche al grande pubblico. Questa transizione del bencao verso la storia naturale ebbe luogo nel corso del XVIII sec., ma non provocò alcuna rottura con la tradizione cinese sino al XIX secolo. Nel 1806, infatti, Ono Ranzan (1729-1810) realizzò la sua Introduzione alla 'Farmacopea classificata' (Honzō kōmoku keimō), in cui riunì una serie di conoscenze inedite sulla fauna e sulla flora giapponesi, conservando, allo stesso tempo, la cornice del commentario al grande classico, così come quella delle classificazioni.

Le matematiche

Nel campo delle matematiche, le prime opere che attestano l'esistenza di un'attività specializzata nell'arcipelago risalgono agli anni Venti del XVII secolo. Basando le analisi sull'omogeneità del loro contenuto, del loro vocabolario e dello stile impiegato nell'uso della lingua giapponese, gli storici ritengono che questi testi dimostrino l'esistenza di una tradizione 'popolare' nata uno o due secoli prima. Frequentemente designate con il termine sanyōki, che significa sia 'manuale di matematica' sia 'libro dei conti', queste opere rivelano le preoccupazioni di una popolazione urbana che doveva far fronte a esigenze ben definite: calcoli commerciali, calcoli degli interessi, problemi relativi alla conversione delle monete, misurazioni di volumi e distanze, stime di materiali da costruzione e così via. Fu nel momento in cui questa tradizione popolare iniziò ad aspirare a un riconoscimento sociale che si fece ricorso alla tradizione cinese.

L'attenzione di coloro che si occupavano di questo tema si rivolse naturalmente ai trattati cinesi contemporanei e, in particolare, alle Origini generali dei metodi matematici (Suanfa tongzong). Inizialmente, la penetrazione delle conoscenze cinesi avvenne per gradi, attraverso, per esempio, l'uso dell'abaco, le regole delle operazioni e in alcuni casi, più rari, attraverso i problemi. Il caso del Trattato inalterabile (Jinküki, 1627), opera fondamentale dell'epoca, rivela che la formulazione di problemi sempre più complessi, da un'edizione all'altra, non fu accompagnata da consistenti modifiche del linguaggio e del profilo generale dei problemi, e che il radicamento nella vita economica dell'epoca rimase molto profondo. Tuttavia, altri autori decisero di schierarsi a favore di un rinnovamento più radicale. È il caso, per esempio, di Imamura Tomoaki che, nel suo Trattato di Shuhai (Jugairoku, 1639), ruppe con la matematica 'popolare', redigendo l'opera in cinese e mostrando un interesse per l'astrazione e per la classificazione d'ispirazione cinese.

Gli studi matematici subirono un'accelerazione nella seconda metà del secolo, grazie al concorso di molti fattori, e il numero sempre maggiore di guerrieri che si dedicavano allo studio e rivestivano cariche amministrative fece sì che la matematica fosse elevata al rango di attività erudita. È in questo contesto che l'attenzione di chi coltivava questi temi si rivolse alle opere matematiche più antiche, risalenti all'epoca dei Song e degli Yuan, ormai andate perdute in Cina, ma ristampate in Corea nel XV secolo. I Metodi matematici di Yang Hui (Yang Hui suanfa) e l'Introduzione allo studio della matematica (Suanxue qimeng) furono studiati in modo scrupoloso da Seki Takakazu (m. 1708), che s'ispirò a queste opere per realizzare una vera e propria rivoluzione della pratica matematica. È proprio nel prolungamento rigoroso delle produzioni di questa età dell'oro, che Seki iscrisse la sua opera, interamente redatta in cinese e degna di nota per la sua concisione, la sua capacità di astrazione e il suo carattere di generalità. Le tecniche algebriche dell''incognita celeste' (tianyuan), scoperte nell'Introduzione allo studio della matematica, diedero origine in questo caso a una riscrittura dei problemi e dei metodi di risoluzione, modificando profondamente la fisionomia delle matematiche e dando un durevole impulso alla ricerca. Va inoltre segnalato il ruolo svolto da un discepolo di Seki, Takebe Katahiro (1664-1739), nel progetto che, secondo il maestro, avrebbe condotto alla realizzazione di una sintesi delle conoscenze matematiche cinesi e giapponesi, antiche e moderne, sintesi cui sarà attribuito il titolo di Classico completo di matematica (Taisei sankei). Tanto dal punto di vista della scrittura (in cinese) quanto da quello della concezione (classificazione in capitoli), questo 'classico' può essere considerato un simbolo degli stretti legami che univano la produzione giapponese di questo periodo alla tradizione cinese, relazioni, è necessario precisarlo, assenti nel panorama matematico cinese di quel tempo, dominato dall'irruzione delle scienze gesuite.

L'astronomia

La ripresa degli studi sull'astronomia, a lungo considerata una pratica di routine, ebbe luogo a partire dagli anni Quaranta del XVII sec. nell'ambiente dei matematici. Fu a questi ultimi, infatti, che spettò il compito di riflettere sui metodi con cui rinnovare il Calendario Xuanming (Xuanming li), le cui insufficienze erano ormai divenute di dominio pubblico. La svolta decisiva ebbe luogo nel 1673, anno in cui in Giappone furono ripubblicati i principî del Calendario Shoushi (Shoushi li), enunciati in due capitoli della Storia della dinastia Yuan (Yuanshi). Elaborato sotto la dinastia mongola degli Yuan da un'équipe di studiosi cinesi, questo calendario era stato utilizzato in Cina a partire dal 1281 e, con alcuni lievi ritocchi, sino al 1644, anno in cui si verificò la caduta dei Ming. In Giappone, il Calendario Shoushi diede origine a numerosissime ricerche che proseguirono sino alla metà del XVIII secolo. La prima conseguenza di queste ricerche fu la riforma del calendario realizzata nel 1684 su iniziativa di Shibukawa Harumi (1639-1715). Questa riforma, che si basava essenzialmente sui principî del Calendario Shoushi e che, al tempo stesso, teneva conto per la prima volta delle caratteristiche geografiche del Giappone, valse al suo autore la nomina alla carica di Astronomo ufficiale, in seguito occupata dai suoi discendenti sino alla rivoluzione del periodo Meiji. Il Calendario Shoushi continuò a ispirare la ricerca anche nel periodo successivo e rimase al centro dell'interesse degli studiosi sino agli anni Venti del XVIII sec., quando, dovendo far fronte all'emergere di nuove insufficienze del calendario, lo shōgun Yoshimune affidò a Takebe Katahiro e a Nakane Genkei (1662-1733) il compito di elaborare una nuova riforma del calendario. Questa iniziativa diede luogo a un'intensa attività di ricerca che condusse, da un lato, a un vasto commentario dei principî, dei parametri e delle procedure del Calendario Shoushi, redatto da Takebe Katahiro, e dall'altro, al riconoscimento del fatto che in questo campo non era possibile compiere alcun progresso senza rimuovere l'interdizione che pesava sui trattati di astronomia calendaristica composti dai missionari gesuiti. Con l'opera di Takebe si chiude il periodo d'intensa assimilazione delle grandi realizzazioni delle epoche Song e Yuan nel campo dell'astronomia.

L'uscita del Giappone dalla sfera d'influenza cinese è dunque un fenomeno relativamente recente, che risale agli ultimi anni del XIX secolo. L'interesse per le scienze occidentali, che si accentuò a partire dal XVIII sec. e che si rivelò nelle traduzioni dall'olandese di opere di medicina, di astronomia e di botanica, non determinò immediatamente l'abbandono dell'eredità cinese. Il processo di transizione si svolse gradualmente, fu più rapido e radicale nel campo della medicina e delle scienze naturali, in cui l'approccio giapponese era stato sin dall'inizio caratterizzato da un certo pragmatismo e più lento nel campo della matematica, che aveva subito uno sviluppo autonomo e in cui le opere occidentali non avevano esercitato un'attrazione così forte. Osserveremo, in conclusione, che lo stile di pensiero proprio della tradizione scientifica cinese non scomparve subito dopo la decisione del governo del periodo Meiji di optare per le conoscenze occidentali; esso, infatti, sopravvisse anche nel periodo successivo ed è ancora riconoscibile nei termini scelti dagli studiosi moderni per rendere la terminologia scientifica occidentale nella lingua giapponese, termini nei quali ritroviamo numerose parole composte cinesi.

La Corea

di Park Seong-Rae

La Corea ha sviluppato, nel corso della sua lunga storia, una propria tradizione scientifica e tecnologica che è stata, però, spesso trascurata dalla storiografia locale, la quale ha invece messo in luce l'influenza della cultura cinese. Certamente, infatti, la Cina ha profondamente influenzato, nel corso dei secoli, l'evoluzione culturale coreana; aspetto fondamentale di questo influsso è stata l'adozione in Corea, fin dall'epoca Han (206 a.C-220 d.C.), del sistema di scrittura cinese. L'alfabeto coreano, infatti, fu creato solamente nel 1446, durante il regno di Sejong (1418-1450), ma anche in seguito il cinese rimase la lingua utilizzata sia nelle opere dotte sia per le comunicazioni della classe colta. L'uso della scrittura logografica cinese rese la cultura coreana molto permeabile agli influssi della cultura cinese e i Classici canonici, in particolare i testi confuciani, furono naturalmente trasmessi dalla Cina alla Corea, insieme a modelli sociali e di organizzazione statale. La riscoperta delle tradizioni prettamente coreane in campo scientifico è iniziata, in particolare da parte della storiografia locale, soltanto quando, alla fine del XIX sec., si è valutata a pieno l'importanza che la scienza e la tecnologia avevano assunto in Occidente.

Scienza e tecnologia antiche

Le scoperte archeologiche hanno rivelato i progressi tecnici delle antiche tribù coreane nel Paleolitico; uno dei maggiori esempi di tale sviluppo è costituito, a partire dall'Età del bronzo, dalla particolare varietà del bronzo coreano. I reperti ritrovati negli ultimi anni mostrano delle peculiarità che distinguono questa lega sia da quella cinese sia da quella giapponese; per queste sue caratteristiche, il bronzo coreano sembra aver giocato un ruolo notevole sia nell'evoluzione della manifattura di pugnali, lance e altri utensili, sia nei suoi impieghi successivi, contribuendo all'importante sviluppo della stampa a caratteri mobili, d'invenzione coreana. Tale materiale fu ampiamente utilizzato anche nella produzione di campane in stile coreano per i templi buddhisti, nonché per ogni genere di orologi e per le campane usate per annunciare le ore.

I caratteri mobili di metallo furono usati per la prima volta nella storia della stampa in Corea, durante la dinastia Koryŏ (918-1392). Del primo libro pubblicato servendosi di questi caratteri, edito nel 1234, non ci rimane che il titolo, mentre un altro libro, un testo buddhista stampato nel 1377 con la stessa tecnica, fu ritrovato nel 1972 nella biblioteca del Collège de France a Parigi. Allo sviluppo della tecnica di stampa a caratteri mobili contribuì non soltanto il perfezionamento dell'antica tecnologia di lavorazione del bronzo, ma anche il perdurare dell'uso di matrici di legno. È molto probabile che l'apice nello sviluppo di tale procedimento sia stato raggiunto in Corea durante il regno di Silla successivo all'unificazione (metà del VII sec. d.C.). Attualmente, in una delle collezioni del Museo nazionale coreano, si trova la matrice lignea di un testo buddhista che risale all'inizio dell'VIII sec., il rotolo del Dhāraṇīsūtra, considerato una delle più importanti testimonianze dell'avanzata tecnologia di stampa coreana con cliché di legno. Molti studiosi coreani ritengono che questa solida tradizione abbia contribuito molto al successo finale nella riproduzione dell'edizione coreana del Tripiṭaka, ottenuta da circa ottantamila matrici incise tra il 1236 e il 1251 e oggi conservate nel tempio Hae-in.

La Corea, grazie agli avanzati metodi di lavorazione del bronzo, ebbe un ruolo fondamentale nell'introduzione della scienza e della tecnologia in Giappone, avvenuta intorno al VI secolo. Nella storiografia di entrambi i paesi troviamo, tuttavia, rarissimi cenni a questo fenomeno; soltanto nella Storia del Giappone (Nihon shoki), un testo di storia compilato in Giappone all'inizio dell'VIII sec., si trovano invece molti materiali al riguardo. Secondo i documenti giapponesi, il sapere cinese, inclusi gli ideogrammi e i Classici, come i Dialoghi (Lunyu) di Confucio, divenne noto in Giappone grazie agli studiosi coreani che vi si erano recati in visita. Tale influenza si manifestò anche in altre occasioni; nel 554 il regno di Paekche (uno dei tre regni in cui era diviso il paese tra IV e VII sec.) inviò in Giappone dottori, conoscitori di erbe, esperti nella compilazione di calendari e indovini esperti dell'arte divinatoria, mentre nel 602 vi fece pervenire libri di astronomia, calendaristica, geografia e divinazione attraverso un monaco, Kwallŭk, che vi si stabilì come insegnante. Testimonianze del genere sono così numerose che non è possibile qui ricordarle tutte; si deve infatti ai Coreani quasi ogni nuova acquisizione tecnica introdotta in Giappone nel periodo Nara (710-784) e all'inizio del periodo Heian (794-1185), dal mulino all'uso della carta e dell'inchiostro. A tecnici e studiosi buddhisti coreani si deve inoltre la trasmissione del patrimonio tecnico che permise la costruzione di templi, di campane e di pagode, e che divenne particolarmente importante con il diffondersi del buddhismo in Giappone.

Aspetti della cultura scientifica coreana fino all'epoca Koryŏ

Una delle più note testimonianze della cultura scientifica coreana è la torre per l'osservazione stellare (Ch'ŏmsŏngdae, lett. 'Piattaforma della reverente osservazione delle stelle') costruita a Kyŏngju, capitale della dinastia Silla, nel 633; la sua funzione precisa rimane però ancora sconosciuta a causa dell'estrema scarsità di documenti in proposito. Si può soltanto ipotizzare che tale installazione fosse destinata a essere una sorta di osservatorio astronomico, anche se non è certo che il suo uso consistesse nell'osservazione dei cieli dalla sommità della torre. Questa opera architettonica, qualunque fosse la sua precisa finalità, sembra mostrare una grande quantità di significati simbolici, rintracciabili nel numero delle pietre e degli strati in cui esse sono disposte; è costituita, infatti, da 360 blocchi di pietra ordinati su 27 strati. Sicuramente il numero dei blocchi di pietra è stato scelto con l'intenzione di rappresentare i giorni dell'anno e si può supporre che il numero degli strati indichi il posto occupato nell'ordine di successione durante la dinastia Silla (668-936) dalla regina Sŏndŏk (632-647), che fece erigere la torre. Questa costruzione è alta nove metri e ha una base di cinque metri di diametro; sulla sommità è posta una pietra rettangolare che rende la forma dell'intera struttura simile a quella di un corpo tondeggiante con una testa quadrata, probabilmente per simboleggiare l'Universo, tradizionalmente descritto come 'cielo circolare e terra quadrata'. Misteriosa rimane invece la funzione di una finestra di forma quadrata orientata verso sud e posta a metà dell'altezza della torre, mentre i dodici strati di pietre che si trovano al di sopra e al di sotto di questa finestra probabilmente simboleggiano i dodici mesi dell'anno. Come già detto, non è possibile stabilire con certezza se nel periodo Silla strumenti astronomici fossero sistemati sulla sommità della torre.

L'aura fortemente simbolica di questo monumento ha motivato l'interpretazione secondo la quale nel profilo della torre si celerebbe la forma del Monte Sumeru, montagna mitica del buddhismo. La maggior parte degli studiosi sostiene un'interpretazione più ampia, che identifica la località dove era edificata la torre con il luogo dove si celebrava il culto delle stelle, che aveva la funzione di garantire buoni raccolti. Secondo tale interpretazione, questa zona doveva essere il centro delle attività che, durante la dinastia Silla, ruotavano intorno all'astronomia e alla compilazione di calendari. Molti documenti risalenti al periodo dei Tre Regni (IV-VII sec.), del resto, registrano insoliti fenomeni celesti, quali comete ed eclissi solari, testimoniando una grande attenzione per l'osservazione della Natura in generale e per l'astronomia in particolare. Questo interesse per la Natura ha caratterizzato anche le epoche successive della storia coreana; negli Annali del periodo dei Tre Regni (Samguk sagi), storia ufficiale redatta dallo studioso Kim Pusik nel 1145, sono registrati circa un migliaio di fenomeni naturali come parte integrante della narrazione di eventi storici. Nella seconda fonte più importante per la storia coreana, la Storia del periodo Koryŏ (Koryŏ-sa), sono depositate circa 6500 registrazioni simili. Nei primi cento anni della dinastia Chosŏn (1392-1910) sono state registrate circa 8000 annotazioni di questo tipo, come appare dagli Annali (Sillok), compilati nel tardo periodo Chosŏn. In questa lista sono inclusi eventi di varia natura, anche se i più importanti sono quelli astronomici o 'celesti'; la grande cura con cui si eseguivano tali registrazioni era motivata dal tradizionale sistema di credenze che vedeva nel cielo una sorta di specchio della politica e dell'amministrazione terrene. Alcuni fenomeni, come le eclissi solari e le stelle che in pieno giorno disturbavano la luminosità del Sole, erano osservati con timore perché ritenuti presagi di pericolo per il trono; si riteneva, infatti, che tali 'prodigi' riflettessero le vicende politiche umane.

Lo studio degli elementi terrestri non ebbe certo un'importanza inferiore rispetto a quello delle cose celesti; durante il periodo dinastico, in Corea fu particolarmente coltivata la geomanzia, al fine di mettere in relazione la vita di tutti i giorni e quella oltremondana attraverso l'indagine dei connotati geografici dei luoghi dove si trovavano le abitazioni e dove erano sepolti gli antenati. Secondo una leggenda, il fondatore della geomanzia coreana fu un monaco buddhista di nome Tosŏn (827-898) che visse verso la fine del periodo dell'unificazione di Silla e profetizzò l'avvento della dinastia Koryŏ sotto la guida di Wang Kŏn. Tuttavia, diversamente da come narra la leggenda, la geomanzia si sviluppò molto prima del periodo dei Tre Regni, centinaia di anni, quindi, prima di Tosŏn. In ogni caso, a partire dalla dinastia Koryŏ, la geomanzia giocò un ruolo dominante nella vita quotidiana del popolo e nelle vicende politiche; durante questo periodo furono molte le occasioni di discussione sulla possibilità di trasferimento della capitale, la maggior parte delle quali motivata non soltanto da lotte politiche, ma anche da interpretazioni geomantiche, come si vede nel caso delle ribellioni guidate dal monaco Myoch'ŏng nel XII secolo. La pratica della geomanzia è stata spesso unita a forme tradizionali di divinazione (in coreano, toch'am); quest'ultima può essere frammista in alcuni casi a elementi di superstizione, mentre le concezioni tradizionali della Natura concernenti fenomeni celesti ed elementi del paesaggio terrestre si possono intendere come dottrine protoscientifiche.

Astronomia, tecnologia e medicina durante il periodo Chosŏn

Il personaggio di gran lunga più noto della tradizione culturale coreana fu il re Sejong (1418-1450), quarto monarca della dinastia Chosŏn, sotto il cui regno furono realizzate numerose conquiste scientifiche e tecnologiche. In questo periodo, tra i numerosi strumenti di astronomia e orologeria, furono inventati diversi tipi di meridiana e una clessidra ad acqua che non era però il primo esemplare nel suo genere; dagli Annali del periodo dei Tre Regni sappiamo, infatti, che all'inizio dell'VIII sec. era stato formalmente istituito un ufficio governativo per gli orologi ad acqua. Non abbiamo però notizie concrete sulla forma effettiva delle clessidre ad acqua usate dai Coreani nel periodo che va dai Tre Regni alla dinastia Koryŏ.

La dinastia Chosŏn, succeduta a quella Koryŏ nel 1392, trasferì la capitale del regno nell'odierna Seoul e vi promosse la fabbricazione di un nuovo tipo di clessidra; il primo esemplare fu realizzato nel 1398, durante il regno di T'aejo, primo re della nuova dinastia. Non esistono molte notizie su questo orologio, a parte il fatto che fu costruito insieme a una campana, probabilmente nello stesso luogo in cui questa era collocata; l'unione dei due elementi era importante, poiché il coprifuoco veniva annunciato con 28 rintocchi dopo il tramonto e l'inizio di un nuovo giorno con 33 rintocchi all'alba. Nel 1434 il re Sejong fece costruire un orologio ad acqua che, a differenza di tutti quelli precedenti, era dotato di un dispositivo per battere le ore senza ausilio esterno. Chang Yongsil, l'ingegnere che lo progettò, fu molto attivo sotto il regno di Sejong; egli ideò, infatti, modelli ancora più complicati che prevedevano al proprio interno alcuni congegni astronomici.

Scarse tuttavia sono le informazioni su di lui; probabilmente a causa dell'appartenenza a un ceto sociale basso, non ne rimane alcuna traccia nei documenti del periodo dinastico. L'orologio del 1434 non sopravvisse a lungo ai suoi costruttori; per questo motivo nel 1536, sotto la direzione del re Chungjong, ne fu costruito uno simile, del quale sono ormai perduti il dispositivo che segnava le ore e gli elementi che producevano il suono, mentre sono tuttora conservati i cinque vasi più grandi. Durante il suo regno Sejong fece edificare un Osservatorio reale all'interno del proprio palazzo a Seoul; nel Palazzo Kyŏngbok, nelle vicinanze del lago Kyŏnghoe-ru, fece invece installare l'orologio di Chang Yongsil come pure una serie di apparecchiature per le osservazioni astronomiche e per la misurazione del tempo; tra queste, per menzionarne soltanto alcune, vi sono una sfera armillare semplificata, un 'orologio di giada' e uno gnomone di bronzo alto circa 12 m, che serviva a misurare con esattezza l'elevazione del Sole.

Sempre a questo periodo (precisamente al 1441) risale l'importante invenzione del pluviometro (ch'ŭgu-gi) grazie al quale, per la prima volta nella storia, fu possibile misurare con esattezza la quantità di pioggia caduta; questo strumento di forma cilindrica, largo 15 cm e alto 32 cm, era montato su un supporto di pietra e misurava la piovosità tramite un apposito bastoncino di rilevamento; ne furono distribuiti diversi esemplari in varie parti del paese e i magistrati avevano l'incarico di riferire i risultati delle misurazioni al governo centrale. Gli storici della scienza hanno dibattuto a lungo sull'effettiva terra di origine del pluviometro; sulla base dell'iscrizione incisa su un pluviometro del 1770 conservato in Corea, che indicava la data di fabbricazione usando il nome del periodo di regno dell'imperatore cinese Qianlong (1736-1795), diversi studiosi cinesi hanno attribuito alla Cina la paternità dello strumento. Tale attribuzione però è molto probabilmente errata, in quanto durante il periodo dinastico, in Corea, si usavano i nomi dei periodi di regno cinesi per indicare le date e, soprattutto, esisteva nella penisola coreana una lunga tradizione, risalente al XV sec., legata a questo particolare strumento, come testimoniano i numerosi documenti scritti sull'argomento.

Come si è già detto, anche le tecniche di misurazione del tempo ebbero un notevole sviluppo sotto il dominio di Sejong; furono infatti inventate almeno quattro meridiane, la più bella delle quali, dalla caratteristica forma a ciotola, era chiamata Angbu ilgu. Sebbene nessuna di queste meridiane sia giunta a noi, sono però rimaste molte copie settecentesche e di epoche più tarde. Successivamente furono fabbricate meridiane di tutti i tipi, costruite con differenti materiali (bronzo, pietra, avorio) e di diverse dimensioni, che variano da 2,5 a 30 cm ca. di diametro.

Questo tipo di meridiana e diversi modelli di clessidre furono inventati nel 1437, nel diciannovesimo anno del regno di Sejong; la meridiana Angbu ilgu, realizzata dai Giapponesi soltanto più tardi e mai imitata dai Cinesi, rimase un prodotto esclusivamente coreano. All'interno del recipiente a forma semisferica sono tracciate le linee orarie e 13 linee, a queste perpendicolari, che indicano i 24 periodi quindicinali in un anno. L'ago, esattamente orientato verso il Polo Nord, proietta un'ombra che termina in un punto dal quale si può leggere l'ora precisa e, con un margine di errore minimo, il giorno dell'anno che corrisponde al calendario solare. Oltre alle invenzioni appena illustrate, durante il regno di Sejong, ve ne furono molte altre in campo sia scientifico sia tecnologico; fu infatti inventato l'alfabeto coreano, mentre la farmacopea venne adattata alla flora locale; furono inoltre raggiunti importanti risultati concernenti la tecnica di stampa e la polvere pirica.

Nel 1442 si raggiunse il punto più alto nello sviluppo delle scienze astronomiche grazie alla compilazione dell'opera intitolata Sul calcolo dei sette astri (Ch'iljongsan), che rappresenta l'interpretazione coreana della calendaristica tradizionale cinese; consultando questo libro, i Coreani del periodo Chosŏn potevano calcolare e predire con precisione tutti i più importanti fenomeni celesti, come le eclissi solari e altri movimenti stellari.

Durante i primi secoli della dinastia Chosŏn, la Corea rimase un importante luogo di trasmissione di conoscenze scientifiche verso il Giappone. Il primo calendario nipponico, realizzato da Shibukawa Harumi (1639-1715) ed entrato in uso nel 1683, fu influenzato da quello coreano ideato all'epoca di Sejong; ne è prova il fatto che Okanoi, maestro di Shibukawa, riconobbe il proprio debito verso Pak An'gi, inviato a Tokyo nel 1643 in qualità di membro dell'ambasciata coreana. Anche nella realizzazione di almeno una delle mappe stellari da lui tracciate, Shibukawa fu influenzato certamente da un modello coreano, e in particolare dal 'Planisfero celeste' (Ch'ŏnsang yŏlcha punya-ji-do), la prima mappa astronomica su pietra realizzata in Corea, incisa nel 1395 e tuttora conservata.

In base alle notizie che appaiono nell'iscrizione apposta sulla mappa stellare e che erano state fornite da Kwŏn Kŭn, uno degli astronomi che contribuirono alla sua realizzazione, un antico modello del planisfero, in uso nel regno di Koguryŏ (IV-VII sec.) e custodito a Pyŏngyang, era stato perduto in un fiume durante una guerra. Il planisfero del 1395, largo un metro e alto due, fu realizzato per ordine reale tre anni dopo la fondazione della nuova dinastia Chosŏn; evidentemente, il fondatore della dinastia voleva provare in tal modo l'origine celeste della propria successione. Nel settantaseiesimo circolo del planisfero sono rappresentate 1464 stelle, disposte secondo l'ordine delle dodici suddivisioni celesti di appartenenza, e le 28 case lunari. Sebbene non ancora definitivamente dimostrata, si può ipotizzare una qualche parentela tra questo planisfero e quello cinese costruito nel 1247, oggi custodito a Suzhou. Il numero di stelle incise sulle lastre di pietra sembra essere lo stesso, mentre i rispettivi disegni differiscono in lieve misura; l'iscrizione sul planisfero coreano, comunque, afferma che la rappresentazione era il risultato di prolungate osservazioni dirette. Questo tipo di mappa astronomica si sarebbe poi molto diffuso sia nel periodo Chosŏn sia nel passato più recente; sarebbe diventato infatti il prototipo di molte carte celesti, alcune delle quali sono ancora oggi conservate, e di una copia su pietra eseguita nel 1687.

Uno degli esempi più illustri che testimoniano l'avanzato livello tecnologico raggiunto in Corea è quello dell'imbarcazione da guerra kobukson, 'nave-tartaruga', usata durante il periodo delle spedizioni di Hideyoshi (1592-1598, organizzate dal Giappone nel tentativo d'invadere la Corea, con l'obiettivo di conquistare l'Impero cinese). Questo modello rappresentava un momento di forte progresso delle conoscenze nel campo dell'ingegneria navale del periodo Chosŏn e consentiva di proteggere più efficacemente i marinai a bordo. Sul rivestimento esterno della nave erano, infatti, fissati alcuni speroni di ferro a scopo di difesa da eventuali sbarchi nemici, mentre dalla bocca del dragone che decorava la prua usciva un denso fumo per creare uno schermo visivo. I marinai, ben protetti all'interno, potevano così remare o sparare contro i nemici senza altre preoccupazioni. Non è stato ancora chiarito se la nave fosse interamente rivestita di ferro o meno, anche se alcuni documenti giapponesi contemporanei registrano con enfasi tale caratteristica.

Agli inizi del XVII sec. si registrarono importanti progressi anche in ambito medico; Hŏ Chun (1564-1615) ultimò proprio in questo periodo il suo capolavoro, il Pregiato specchio della medicina coreana (Tongui pogam), pubblicato per la prima volta nel 1613. Lo sforzo di assimilare alla propria cultura la medicina cinese era iniziato nel tardo periodo Koryŏ, con la pubblicazione di una serie di libri sulla medicina coreana, ed era continuato sino all'inizio della dinastia Chosŏn; il Compendio di farmacopea coreana (Hyangyak chipsŏngbang), pubblicato nel 1433, è forse il testo più illustre tra quelli stampati in questo periodo. Hŏ s'inserì con pieno successo in questa tradizione, e il suo libro, molto celebre in patria, è stato pubblicato più volte, sino ai nostri giorni, anche in Giappone e in Cina.

L'incontro con la scienza occidentale

L'introduzione della scienza occidentale in Corea ebbe modalità molto diverse rispetto al Giappone e alla Cina; la penisola coreana, non costituendo un punto di passaggio negli itinerari degli Occidentali, ebbe con essi scarsi contatti, in particolare prima del 1876, anno dell''apertura' del paese. Le notizie che si avevano sull'Occidente, tra il XVII e il XX sec., furono quindi frutto di contatti indiretti, mediati da Cina e Giappone, che avevano l'opportunità di venire a conoscenza della cultura europea direttamente dai missionari-scienziati che si erano fermati a lungo in questi paesi. In seguito a naufragi, alcuni Occidentali erano in realtà arrivati sulle coste coreane, per esempio Jan Weltevree (1595-1657) nel 1628 e Hendrik Hamel (1630-1692) nel 1653; a differenza dei numerosi missionari recatisi in Cina e in Giappone, i pochi Europei che arrivavano in Corea erano di solito marinai olandesi che difficilmente avrebbero potuto esercitare un'influenza intellettuale. Il ritorno dalla Cina dell'ambasciatore Chŏng Tuwŏn, avvenuto nel 1630, è da molti considerato il primo contatto significativo con l'Occidente; questi, in seguito alla pur breve frequentazione con il gesuita portoghese João Rodriguez (1561-1633), aveva infatti portato dalla Cina alcuni libri occidentali di astronomia, calendaristica e geografia insieme a vari strumenti, tra i quali un telescopio e un orologio.

Un'altra occasione di contatto fu offerta dal principe della corona Sohyŏn (1612-1645), che a Pechino aveva stretto una forte amicizia con Adam Schall von Bell (1592-1666) e al suo ritorno aveva portato con sé molti oggetti occidentali. In tal modo alcuni studiosi coreani ottennero, anche se soltanto in modo approssimativo, le prime informazioni sulla cultura europea in generale e in particolare sulla scienza e la tecnologia. Lo studioso Yi Ik (1682-1764), per esempio, ammise la superiorità dell'Occidente in questo campo, tanto da affermare che lo stesso Confucio si sarebbe interessato alla scienza europea, se ne avesse avuto cognizione; nei libri occidentali trovò inoltre una conferma alla sua ipotesi sulla sfericità della Terra. Nel 1766 un altro dotto, Hong Taeyong (1731-1783), noto per la sua teoria sulla rotazione terrestre, visitò, in qualità di membro dell'ambasciata coreana, la Cina; nel corso del suo soggiorno a Pechino incontrò per tre volte i missionari tedeschi August von Hallerstein (1703-1774) e Anton Gogeisl (1701-1771), rispettivamente direttore e vicedirettore dell'Ufficio astronomico imperiale. Le sue note di viaggio riassumono molto sinteticamente gli scambi intellettuali con i missionari, mentre noi sappiamo che egli fu influenzato notevolmente dalle loro conoscenze scientifiche. Qualche tempo dopo questo viaggio, Hong Taeyong scrisse un lungo saggio di filosofia naturale, intitolato Uisan Mundap, che tocca molti argomenti ed è profondamente influenzato sia dalla cultura scientifica occidentale sia dalla concezione taoista della Natura; in questo libro, infatti, l'autore non soltanto sostiene la teoria della rotazione terrestre, ma avanza anche l'ipotesi di un Universo infinito, di cui la Terra occupi soltanto una porzione insignificante. Hong Taeyong si preoccupava, inoltre, che le sue misurazioni fossero il più possibile esatte e, per soddisfare questa sua esigenza, mise a punto una serie di orologi e strumenti astronomici. Nell'attività di questo studioso della tarda dinastia Chosŏn si manifesta pienamente la sensibilità di uno scienziato moderno. In generale, l'interesse verso la scienza europea si diffuse molto rapidamente tra gli eruditi coreani, tanto da costituire, già agli inizi del XIX sec., una parte fondamentale delle loro ricerche, come testimonia la vastissima opera di Ch'oe Han'gi (1803-1877).

Una delle invenzioni europee che ebbe più successo in Corea fu l'orologio meccanico, che fu importato nel XVII sec. sia dalla Cina sia dal Giappone. Molti scienziati tentarono di migliorare gli orologi tradizionali sfruttando il nuovo congegno; un esempio di tali tentativi è l'orologio armillare realizzato nel 1699 dall'astronomo di corte Song Iyong, tuttora conservato. Questo orologio, azionato da un sistema di pesi e con una sfera armillare all'esterno, è un vero e proprio capolavoro; sebbene la sua struttura complessiva e il suo meccanismo siano tradizionali, la parte che serviva a misurare il tempo, e in particolare il sistema di pesi, era stata meticolosamente modificata sulla base del modello occidentale sempre più imitato. Si ha notizia documentata di un altro orologio dalla struttura quasi uguale, azionato dal classico congegno ad acqua, che fu costruito all'incirca nello stesso periodo. La sfera armillare di Song Iyong si muoveva automaticamente insieme all'orologio per mostrare la posizione occupata in un dato momento dal Sole, dalla Luna e dai pianeti principali.

Come si è detto, prima del 1876 i Coreani ebbero rapporti molto sporadici e indiretti con l'Occidente; i missionari europei giunsero in Corea soltanto nel 1830, mentre in Cina e in Giappone già da molto tempo sacerdoti e viaggiatori non soltanto avevano diffuso il messaggio cristiano insieme alla propria cultura scientifica, ma avevano anche scritto e tradotto numerosi libri, cosa che invece non avvenne in Corea. La ragione di tale ritardo è in primo luogo di natura geografica; la penisola coreana si trovava infatti a nord delle vie percorse dai navigatori europei per arrivare in Cina, della quale era considerata una semplice regione, fatto che costituiva un ulteriore motivo di disinteresse per gli Occidentali. La lentezza con la quale la Corea si accostò alla scienza e alla tecnologia europee fu la causa principale del lungo periodo di debolezza del paese che perdurò fino alla metà del XX secolo.

Il Vietnam

di Han Qi

La stretta vicinanza geografica e più di un millennio di occupazione hanno determinato nel Vietnam una profonda influenza della cultura cinese. Nel 111 a.C. il paese divenne parte della Cina e rimase sotto la sua dominazione sino al 968 d.C., quando acquistò l'indipendenza; nel 1407 fu di nuovo conquistato dalla Cina, sotto il cui controllo rimase sino al 1428; dal 1428 sino alla fine del XIX sec. ha pagato il proprio tributo all'Impero Ming e a quello Qing (in questo periodo gli studenti vietnamiti erano inviati a Pechino per ricevere un'educazione). Nel Vietnam la lingua ufficiale, scientifica, letteraria e religiosa era il cinese, fattore che determinò una profonda influenza e trasmissione della cultura e della scienza cinesi in questo paese.

I calendari cinesi, quali simboli di potere, erano inviati in Vietnam e usati come calendari ufficiali sin da tempi remoti. Durante la dinastia Yuan (1279-1368) e la dinastia Ming (1368-1644), per esempio, i Vietnamiti hanno usato calendari cinesi quali lo Shoushi e il Datong. Nel corso del XVII e del XVIII sec. l'astronomia europea fu introdotta in Cina e sulla base del nuovo sistema venne compilato il Calendario Shixian, usato presso la corte imperiale e in seguito adottato anche in Vietnam. Nel 1752 un messo vietnamita fu inviato a Pechino e questa circostanza gli offrì la possibilità di leggere libri scientifici occidentali; forse alcune opere cinesi di astronomia (inclusa la traduzione in cinese di libri occidentali) furono in seguito trasmesse in Vietnam. Tuttavia, all'inizio del XIX sec., i Vietnamiti non riuscivano a prevedere con esattezza le eclissi solari e lunari, salvo ricevere resoconti astronomici dalla dinastia Qing.

Ancora a metà del XIX sec., presso il Consiglio imperiale per l'astronomia (qintianjian) vietnamita, erano in uso molti libri cinesi di astronomia e matematica per svolgere operazioni di calcolo. Nel 1810 un messo vietnamita, inviato a Pechino, riportò con sé il Compendio di astronomia matematica e di osservazione (Lixiang kaocheng, un classico di questo argomento, usato in Cina nel XVIII e XIX sec.) e ne fece regalo all'imperatore, suggerendone lo studio agli addetti del Consiglio imperiale per l'astronomia al fine di prevedere con precisione i fenomeni astronomici. Nel XVII e nel XVIII sec., alcuni gesuiti arrivarono in Vietnam e vi portarono strumenti scientifici occidentali; ad alcuni imperatori vietnamiti erano particolarmente graditi i gesuiti studiosi delle scienze e grazie a loro ‒ e all'introduzione di molti strumenti astronomici europei all'interno del Consiglio imperiale per l'astronomia ‒ le conoscenze dei Vietnamiti progredirono. Soltanto per ricordare alcuni nomi, padre de Arnedo e padre de Lima furono al servizio della corte di Mihn-vuong (1691-1725), mentre padre Jean Siebert, padre Slamenski, padre Jan Koffler, padre de Monteiro e padre Neugebauer operarono presso Vo-vuong (1738-1765).

La tradizione cinese di registrare il verificarsi di fenomeni naturali nelle storie dinastiche ufficiali si diffuse nei paesi vicini dell'Asia orientale, come la Corea, il Giappone e l'Annam (Vietnam). Nell'anno 1272, le Memorie storiche del grande Vietnam (Dai-Viet Su'-ky), che coprono il periodo dal 208 a.C. al 1224 d.C., furono completate e offerte in dono al trono. Negli anni 1443-1459 fu affidato a Phan Phu-tien il compito di ampliare le Memorie sino a coprire il periodo che arrivava al 1368 d.C. Il testo oggi a nostra disposizione ha per titolo Volumi completi delle memorie storiche del grande Vietnam (Dai-Viet Su'-ky Toan-thu') e comprende diverse opere redatte sino al 1697. I fenomeni naturali registrati in questo libro sono comete, meteore, movimenti planetari, eclissi lunari e solari, aloni solari e pareli, macchie solari, terremoti ed eventi di vario genere.

In Vietnam fu adottato inoltre il sistema educativo cinese: tutti i funzionari erano scelti per mezzo di concorsi basati sul sapere tradizionale cinese. Il governo prestava molta attenzione alla conoscenza della matematica negli esami di concorso e, almeno a partire dal 1179, quest'ultima fu impiegata come materia per valutare le capacità di calcolo degli studenti. Nel XV sec. si affermò un importante matematico vietnamita di nome Luong The Vinh, il quale scrisse un libro basato sui Nove capitoli (Jiujuan), opera considerata un classico della matematica cinese. Per quello che sappiamo, sono all'incirca dieci i libri vietnamiti di matematica ancora esistenti, la maggior parte dei quali fu compilata nel corso del XVIII e XIX secolo. Basandosi su questi libri, è possibile affermare che la matematica vietnamita fu influenzata da quella cinese e ne conservò il tradizionale sistema dei Nove capitoli. Il metodo cinese per contare fu introdotto nel Vietnam, dove intorno al XVII sec. era in uso anche l'abaco cinese. Inoltre, le Origini generali dei metodi matematici (Suanfa tongzong) scritte da Cheng Dawei (1533-1606), matematico della dinastia Ming, sono state utilizzate nel Vietnam sino al principio del XIX secolo. Come i matematici cinesi, anche quelli vietnamiti scrissero, a partire dal XV sec., molte poesie per aiutare le persone a ricordare le regole di calcolo e i problemi posti da questi matematici, quali il calcolo dell'area e del volume di cose diverse, si dimostrarono utili nella vita quotidiana. All'inizio del XIX sec. gli studiosi vietnamiti conobbero anche la matematica europea attraverso i testi cinesi.

Il Vietnam aveva due tradizioni mediche: quella meridionale, che consisteva in una raccolta di rimedi tradizionali, esclusivamente vietnamiti, tramandati oralmente, e quella settentrionale, basata su testi cinesi. La medicina era insegnata da singoli medici non appartenenti a istituzioni, molti dei quali si offrivano come istruttori anche in discipline quali la letteratura e la filosofia. Altra fonte di erudizione erano i libri, soprattutto per quegli studenti che avevano vinto una competizione letteraria e avevano quindi accesso diretto ai Classici di medicina cinese. Tra le opere cinesi che ebbero maggiore influenza sulla medicina vietnamita vi sono il Canone interno dell'Imperatore Giallo (Huangdi neijing), il Canone delle difficoltà (Nanjing), il Canone della diagnostica del polso (Maijing) e il Trattato sulle disfunzioni causate dal freddo (Shanghan lun). Tra i medici cinesi che godevano di maggiore considerazione presso i colleghi vietnamiti vi erano Li Shizhen (1518-1593), Yu Chang (XVII sec.) e Feng Zhaozhang (XVII sec.). Le Huu Trac (Lan-Ong, XVIII sec.) scrisse un'enciclopedia medica cinese in sessantasei volumi: un'opera eccezionale, profondamente influenzata dal libro di Feng Zhaozhang, e frutto di una lunga esperienza personale.

Durante l'ultimo periodo di occupazione del Vietnam da parte della Cina (1407-1428), molti libri vietnamiti ‒ insieme a un gran numero di intellettuali e 'tecnici' ‒ furono inviati in Cina. Molti di questi intellettuali, avendo una notevole competenza in architettura e nella creazione di Canoni, contribuirono considerevolmente allo sviluppo delle tecniche nella prima fase del periodo Ming; un esempio è rappresentato da Nguyen An, eunuco vietnamita, il quale fu incaricato della costruzione della città di Pechino. Il principe vietnamita Le Trung (1374-1446) ricevette il compito di creare dei Canoni e diede un grande contributo alla difesa militare all'inizio del XV secolo.

Data la sua vicinanza geografica e i suoi legami politici con la Cina, il Vietnam è stato introdotto all'uso della carta e della stampa molto presto; infatti, diversi riferimenti nell'antica letteratura cinese suggeriscono che la carta potesse essere fabbricata in Vietnam nel III secolo. L'uso della stampa ebbe probabilmente inizio nel XIII sec., dal momento che il più antico riferimento conosciuto riguarda i registri della popolazione, stampati nel periodo che va dal 1251 al 1258. Sotto la dinastia Le (1418-1789), quando le istituzioni cinesi venivano prese a modello, i Classici confuciani furono stampati in Vietnam per la prima volta. Un'edizione dei Quattro Libri fu pubblicata nel 1467 e i cliché per i Cinque classici furono incisi nello stesso anno. La stampa fiorì soprattutto nella seconda metà del XV sec., quando i cliché divennero così numerosi che, per conservarli, fu eretta una costruzione apposita nel tempio di Confucio. Successivamente, il governo fece stampare molte edizioni dei Classici confuciani, storie, raccolte di poesie e dizionari che servivano principalmente alla preparazione degli esami per accedere all'amministrazione statale.

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