La scienza in Cina: dai Qin-Han ai Tang. Immortalità del corpo umano: l'alchimia

Storia della Scienza (2001)

La scienza in Cina: dai Qin-Han ai Tang. Immortalita del corpo umano: l'alchimia

Fabrizio Pregadio

Immortalità del corpo umano: l'alchimia

Le prime testimonianze storicamente attendibili sull'alchimia cinese risalgono alla metà del II sec. a.C. La sua tradizione, durata due millenni e tuttora ininterrotta in alcuni suoi aspetti, ha dato origine a numerose correnti, a un'ampia serie di pratiche e tecniche e a un corpus letterario di notevoli dimensioni, solamente in parte conservato sino a oggi. Le varie correnti si differenziano l'una dall'altra essenzialmente sul piano della pratica. La distinzione principale è quella tra i due rami convenzionalmente noti come waidan o 'alchimia esterna' e neidan o 'alchimia interna'. L'alchimia esterna è finalizzata alla preparazione di elisir (dan) attraverso la manipolazione di sostanze naturali, dando maggiore importanza, a seconda dei casi, al loro ingerimento oppure ai loro significati simbolici. Nell'alchimia interna, ancora oggi trasmessa e praticata, gli ingredienti del processo alchemico sono invece gli stessi componenti primari del Cosmo e dell'essere umano, che sono purificati e riportati al loro stato originario. Gran parte dei principî dottrinali è comunque comune alle due correnti che, sebbene corrispondano in larga misura a due distinte fasi evolutive all'interno della tradizione alchemica cinese, hanno esercitato profonde influenze l'una sull'altra.

L'alchimia esterna (così come quella interna, seppure in altre forme) condivide vari aspetti con la medicina e la farmacologia cinesi. Sul piano dottrinale, le sue finalità la distinguono però da entrambe: in Cina, come altrove, l'alchimia è caratterizzata dall'elemento religioso o speculativo e si propone come via alla comunicazione con le divinità oppure alla conoscenza dei principî metafisici e cosmologici. È soprattutto sul piano della pratica che si possono osservare punti in comune: sostanze, strumenti e tecniche descritti nelle opere alchemiche sono spesso identici a quelli che compaiono nelle opere di medicina e di farmacologia. Evidenti differenze invece riguardano le valenze e le associazioni simboliche assunte da questi elementi. Tali valenze e associazioni non possono in alcun modo essere trascurate poiché fanno parte della natura stessa dell'alchimia in quanto dottrina.

Analoghe distinzioni si possono stabilire per ciò che riguarda la posizione dell'alchimia all'interno delle scienze cinesi. In generale, queste distinzioni fanno capo al rapporto che ha legato l'alchimia al taoismo. Nonostante l'alchimia esterna ‒ tranne poche e comunque non trascurabili eccezioni ‒ non abbia avuto rapporti diretti con i movimenti religiosi taoisti, la sua relazione essenziale con il taoismo è evidente sul piano concettuale. Più esattamente, gran parte della tradizione alchemica cinese si basa sulle stesse concezioni cosmologiche che il taoismo, dal periodo Han in poi, ha incorporato alla metafisica esposta in alcune sezioni del Libro della Via e della Virtù (Daode jing, noto anche come Laozi) e del Libro del Maestro Zhuang (Zhuangzi) e sviluppata in altre opere. Queste concezioni cosmologiche sono anche alla base di altre scienze cinesi; l'alchimia è però l'unica scienza che le leghi esplicitamente alle dottrine metafisiche taoiste, facendo di queste ultime non soltanto il punto di partenza, ma anche quello di arrivo del suo discorso e della sua pratica.

Alla base delle nozioni comuni al taoismo è il processo, descritto come spontaneo e avente luogo in più stadi, che conduce dal non-Essere (wu) all'Essere (you) e di qui al mondo che conosciamo (le 'diecimila cose' o wanwu); oppure, secondo un'altra delle formulazioni elaborate in Cina, dal Soffio originale (yuanqi) alla sua trasmutazione nei singoli componenti dell'esistenza. L'alchimia si propone di offrire una delle possibili vie per ricondurre il Cosmo al principio (il Tao) da cui è derivato e, parallelamente, il suo praticante alla conoscenza di quel principio e del rapporto che esso ha con l'Essere. Come in altre correnti della tradizione taoista, anche nell'alchimia esterna il fine ultimo della pratica alchemica è quello di raggiungere la condizione di 'uomo vero' (zhenren) o di 'immortale' (xianren).

L'evoluzione della tradizione alchemica cinese

Nessuna fonte fornisce indicazioni storiche attendibili sulle origini dell'alchimia in Cina; la grande maggioranza dei testi sugli elisir ‒ soprattutto quelli più antichi ‒ sono anonimi e non datati, e descrivono le loro dottrine e i loro metodi come frutto della rivelazione di divinità o d'immortali. In modo identico a molte scritture taoiste, questi testi si presentano come versioni terrene di opere originariamente custodite in cielo e trasmesse di divinità in divinità prima di essere trascritte in una forma comprensibile agli uomini.

Si sono fatte molte supposizioni circa un presunto ruolo personale di Zou Yan (305-240 a.C. ca.) nell'origine dell'alchimia cinese, ma i frammenti conservati delle sue opere riguardano in primo luogo il sistema delle Cinque fasi (wuxing) e la sua applicazione alla teoria della successione dinastica. Nessun testo alchemico gli è stato mai attribuito, e secondo il catalogo bibliografico della Storia della dinastia Han [anteriore] (Hanshu), le opere della scuola Yin-yang (yinyang jia), di cui Zou Yan è tradizionalmente considerato fondatore, consistevano di testi sulla numerologia e la divinazione. L'uso di emblemi cosmologici in fonti dell'alchimia esterna, inoltre, è documentato solamente a partire dal VII sec., ossia un millennio dopo Zou Yan. Altri studiosi hanno invece considerato l'editto che proibiva la contraffazione dell'oro, promulgato nel 144 a.C. dall'imperatore Jing degli Han (156-141 a.C.), come una delle prime allusioni a procedimenti alchemici in qualsiasi civiltà (Hanshu, 5). La rilevanza di questa testimonianza è quanto meno dubbia, perché l'editto ‒ in cui si ordina che "la coniazione di monete e la produzione di oro falso siano punite con la condanna a morte" ‒ non fa menzione di alcun elisir o altro prodotto alchemico; secondo un commentatore del II sec. d.C., esso intendeva piuttosto abolire un decreto del precedente sovrano che aveva autorizzato la coniazione privata di monete.

Per tentare di risalire alle origini dell'alchimia è dunque necessario fare riferimento alle credenze sull'esistenza di elisir naturali e medicine dell'immortalità in luoghi remoti e abitati da esseri divini. A sostenere queste credenze e le narrazioni mitologiche a esse associate erano, tra gli altri, i fangshi ('maestri dei metodi'), che, a partire dal IV sec. a.C., suggerirono a vari imperatori d'inviare spedizioni via mare alla ricerca di isole in cui si sarebbero potute trovare quelle panacee. Nonostante il rapporto tra queste credenze e l'origine dell'alchimia non sia del tutto esplicito, è a un fangshi che è associata la prima menzione di un procedimento alchemico conservata nella letteratura cinese. Secondo le Memorie di uno storico (Shiji, 90 a.C. ca.), intorno al 133 a.C. Li Shaojun (m. 133 a.C.) suggerì all'imperatore Wu degli Han (140-87 a.C.) che la sua ricerca dell'immortalità sarebbe stata favorita dalla trasmutazione del cinabro in oro, preceduta da una cerimonia celebrata dinanzi alla fornace; mangiando e bevendo da piatti e coppe preparati con l'oro alchemico, l'imperatore sarebbe stato in grado di comunicare con le divinità. Va comunque notato che questo metodo non comporta l'ingerimento di un elisir e che la prima testimonianza scritta a questo proposito risale ad alcuni decenni più tardi ed è conservata nei Discorsi sul sale e sul ferro (Yan tie lun, 60 a.C. ca.).

Dèi, demoni ed elisir

Le principali informazioni sull'evoluzione dell'alchimia cinese nei primi secoli della nostra era si trovano nei Capitoli interni del 'Libro del Maestro che abbraccia la semplicità' (Baopuzi neipian, 317 d.C. ca.), di Ge Hong (281-341 ca.). In passato, molti studiosi hanno considerato quest'opera come la più importante fonte dell'alchimia cinese e il suo autore come il più grande alchimista nella storia della Cina, riflettendo in questo modo il giudizio dei letterati tradizionali cinesi, che trovavano nei Capitoli interni un'introduzione alle dottrine degli elisir non soltanto comprensibile, ma soprattutto credibile, in quanto scritta da un altro letterato. In realtà, l'opera rivela le sue particolarità soltanto se è confrontata con gli scritti del corpus alchemico propriamente detto. Mentre questi ultimi sono in gran parte anonimi e dedicati alla descrizione di uno o più metodi, oppure dei loro fondamenti dottrinali, Ge Hong presenta, parlando in prima persona, un ampio panorama delle credenze e delle pratiche religiose, mediche, esorcistiche ed esoteriche diffuse nel Jiangnan (area corrispondente alla Cina sudorientale del suo tempo), da lui apprese per conoscenza diretta o attraverso l'insegnamento del suo maestro. L'alchimia è, per Ge Hong, soltanto una di queste pratiche; egli la considera però, insieme alla 'custodia dell'Uno' (shouyi), superiore alle altre perché permette non soltanto di vivere a lungo o di curare le malattie, ma anche di accedere a conoscenze di ordine più elevato.

Secondo Ge Hong, le dottrine e le pratiche alchemiche si erano diffuse nel Jiangnan grazie a Zuo Ci, un fangshi che le aveva ricevute per rivelazione divina e le aveva portate con sé a sud del Fiume Azzurro dopo aver abbandonato la capitale Luoyang al termine del periodo Han, ossia all'inizio del III sec. d.C. Le scritture principali trasmesse da Zuo Ci erano il Libro della Grande Purezza (Taiqing jing), il Libro dei nove elisir (Jiudan jing) e il Libro del liquore d'oro (Jinye jing). Il primo dei tre testi prendeva nome dall'intera tradizione che rappresentava, nota come Taiqing o 'Grande Purezza'. Le citazioni e i sommari forniti da Ge Hong nei Capitoli interni del 'Libro del Maestro che abbraccia la semplicità' permettono d'identificare queste opere con alcuni testi conservati nell'odierna collezione di opere taoiste (il Daozang o Canone taoista) e di conoscere le caratteristiche essenziali dei loro metodi, rituali e dottrine. La preparazione e l'ingerimento degli elisir ottenuti grazie ai procedimenti descritti in questi testi hanno come fine dichiarato non soltanto il raggiungimento dell'immortalità, ma soprattutto la comunicazione con le divinità benefiche, l'allontanamento dei demoni e la protezione dagli spiriti maligni.

Le indicazioni date dai testi della corrente della 'Grande Purezza' sono coerenti con le caratteristiche delle tradizioni religiose della Cina meridionale del tempo, distinte da pratiche esorcistiche e da cerimonie rivolte a esseri sovrannaturali di natura benefica o malefica.

Un altro corpus scritturale che permette di osservare l'interazione tra l'alchimia e le tradizioni locali del Jiangnan è quello dello Shangqing o 'Suprema Purezza', una scuola taoista che si sviluppò nella medesima area a partire dalla seconda metà del IV sec., soltanto cinquant'anni dopo la compilazione dei Capitoli interni del 'Libro del Maestro che abbraccia la semplicità'. La tradizione della Suprema Purezza riconosce all'alchimia il valore di disciplina religiosa e spirituale e, nonostante essa venga considerata superiore alle pratiche esorcistiche, è posta a un livello inferiore rispetto alle tecniche da essa privilegiate, ossia la meditazione e la visualizzazione di divinità che dimorano nei cieli oppure all'interno della persona. Questo non impedì ad alcuni eminenti rappresentanti di questa tradizione, tra cui lo stesso Tao Hongjing (456-536), di dedicarsi alla preparazione di elisir. In generale, però, la scuola della Suprema Purezza si serve della metafora alchemica come supporto per la meditazione. Questa dimensione interiore dell'alchimia è la caratteristica primaria dell'alchimia interna, di cui il taoismo della Suprema Purezza rappresenta il principale precursore.

La tradizione cosmologica

Il Jiangnan rimase il maggiore centro dell'alchimia cinese durante l'intero periodo delle Sei Dinastie (222-589), determinandone l'evoluzione attraverso l'influsso delle tradizioni dottrinali e religiose locali. La fase cruciale di questo processo, dai contorni storici non interamente precisabili, è costituita dall'adozione delle immagini e del linguaggio del sistema cosmologico classico per descrivere i fondamenti e le singole fasi dell'attività alchemica. Questo processo ha avuto come risultato la trasformazione dell'alchimia da strumento per la comunicazione con divinità ed esseri sovrannaturali a supporto per la speculazione sui principî dell'Essere e del Cosmo.

I fondamenti delle nuove dottrine assorbite dalla tradizione alchemica e, parallelamente, da altre tradizioni collegate al taoismo, si trovano nel corpus di conoscenze noto come 'Studi sui mutamenti' (Yixue), sviluppatosi a partire dalla dinastia Han sulla base delle teorie cosmologiche descritte in alcune sezioni del Classico dei mutamenti (Yijing). Nel periodo Han questo corpus era rappresentato da commentari al Classico dei mutamenti e da testi a esso collegati, comunemente noti come 'apocrifi' (weishu), in cui il sistema cosmologico classico è utilizzato soprattutto per trarre indicazioni sull'opera di governo e sul responso del cielo riguardo all'azione del sovrano. All'interno di questo sistema hanno particolare importanza i trigrammi e gli esagrammi del Classico dei mutamenti, unitamente ad altri insiemi di simboli e immagini elaborati per rappresentare il Cosmo e descrivere il sistema di corrispondenze tra piani e ambiti diversi (macrocosmo, microcosmo, direzioni dello spazio, cicli temporali, componenti dell'essere umano, fenomeni naturali, ecc.).

Il Contratto per l'unione dei tre secondo il 'Classico dei mutamenti' (Zhouyi cantong qi), l'opera attribuita a Wei Boyang che a partire dal VII sec. divenne la principale scrittura alchemica cinese, era nella sua versione originale (II sec. d.C.?) un apocrifo sul Classico dei mutamenti o comunque un testo a esso strettamente collegato, senza rapporti con l'alchimia. È probabile che il testo sia stato trasmesso nel Jiangnan dalla scuola del cosmologo Yu Fan (164-233), che svolse un ruolo di primo piano nella diffusione degli 'Studi sui mutamenti' nella Cina meridionale. Secondo alcune fonti, infatti, lo stesso Yu Fan avrebbe scritto un commentario sul Contratto per l'unione dei tre. Questo e altri dettagli, tra cui alcune citazioni da parte di autori meridionali, lasciano ritenere che, al contrario di quanto si è spesso affermato, la trasmissione del Contratto per l'unione dei tre non abbia subito interruzioni durante le Sei Dinastie, e che il testo originale sia stato modificato all'interno degli ambienti alchemici del Jiangnan lasciando invariato il titolo. In particolare, una poesia di Jiang Yan (444-505) mostra che il Contratto per l'unione dei tre era legato alle pratiche dell'alchimia esterna già intorno al 500 d.C.

La trasformazione del Contratto per l'unione dei tre da opera sulla cosmologia a testo sugli elisir fece di esso la scrittura che più profondamente di ogni altra influenzò l'evoluzione dell'alchimia cinese. Il titolo allude, secondo la maggior parte dei commentatori, all'unione di taoismo, cosmologia e alchimia. Anche alcuni pensatori neoconfuciani mostrarono interesse per questo testo; lo stesso Zhu Xi (1130-1200) scrisse su di esso un commentario, che esamina principalmente la sua particolare applicazione del sistema cosmologico piuttosto che il suo contenuto propriamente alchemico. Attraverso un linguaggio oscuro e metaforico, una terminologia estremamente complessa e un'esposizione decisamente non lineare, il Contratto per l'unione dei tre descrive le proprietà di un elisir formato da due ingredienti, mercurio e piombo, che nel loro stato 'vero' (zhen) sono emblemi rispettivamente del 'vero yin' (zhenyin) e del 'vero yang' (zhenyang). L'intero processo alchemico è descritto facendo ricorso a elementi del sistema cosmologico tratti dal corpus degli 'Studi sui mutamenti' per rappresentare le proprietà degli ingredienti, i cicli di riscaldamento e la natura dell'elisir. A loro volta, i singoli aspetti del processo alchemico sono una metafora delle forze e degli elementi che agiscono nel Cosmo. L'uso del linguaggio e delle immagini del sistema cosmologico era assente nel Libro dei nove elisir e negli altri testi del corpus antico; fu attraverso il Contratto per l'unione dei tre, e il gran numero di opere a esso collegate, che il sistema di corrispondenze della cosmologia tradizionale cinese fu assimilato dalla tradizione alchemica.

La transizione all'alchimia interna

Sebbene il periodo Tang (618-907) sia spesso definito l'età d'oro dell'alchimia cinese, siamo meno informati riguardo alle linee di trasmissione delle dottrine e dei testi in questo periodo che nelle fasi precedenti. È comunque evidente che la tradizione della Grande Purezza subì un progressivo declino, parallelo al prestigio acquisito da quella basata sul Contratto per l'unione dei tre. L'apparente ampliamento del corpus della Grande Purezza in questo periodo è infatti dovuto soprattutto all'incorporazione di testi riguardanti le discipline del 'nutrimento del principio vitale' (yangsheng). Anche se già nei Capitoli interni del 'Libro del Maestro che abbraccia la semplicità' di Ge Hong queste discipline compaiono come legate all'alchimia, il loro fine non è la preparazione di elisir, ma la ricerca di una condizione fisica e mentale che sia preludio a pratiche più complesse. Le opere alchemiche Tang, conservate a testimonianza della tradizione della Grande Purezza, consistono verosimilmente di selezioni tratte da compilazioni di data precedente; le due opere principali sono le Istruzioni essenziali sui libri della Grande Purezza (Taiqing danjing yaojue), attribuite al medico e farmacologo Sun Simiao (581-682) e le Memorie dal muro di pietra della Grande Purezza (Taiqing shibi ji), contenute nel Canone taoista in una versione risalente alla metà dell'VIII secolo. Entrambe le opere presentano metodi per la preparazione di varie dozzine di elisir, e la seconda contiene anche una descrizione degli effetti del loro ingerimento.

Le fonti della tradizione cosmologica sono molto più numerose. Tra esse vanno menzionati i Principî segreti delle cinque categorie secondo il 'Contratto per l'unione dei tre' (Cantong qi wu xianglei biyao), uno dei testi che riguardano la cosiddetta teoria delle 'categorie' (lei) in base alla quale sono selezionati gli ingredienti degli elisir. Di notevole interesse è anche il Trattato dell'uomo vero Zhang sui metalli, le pietre e il cinabro (Zhang zhenren jinshi lingsha lun), composto tra il 742 e il 770, che descrive varie sostanze definendo le loro associazioni cosmologiche, la loro funzione come ingredienti, e la loro azione sul corpo umano. Entrambe queste opere sono strettamente legate al Contratto per l'unione dei tre, così come lo sono, in modo diretto o indiretto, la maggior parte delle fonti dell'alchimia del periodo Tang.

Come si è spesso osservato, il linguaggio di alcuni di questi testi li pone ai confini tra alchimia esterna e alchimia interna, al punto che è difficile stabilire se appartengano all'uno o all'altro ramo. Questa ambiguità è, in ultima analisi, un riflesso degli influssi reciproci tra le due tradizioni. Nel periodo Tang, l'alchimia esterna si è arricchita di nuovi elementi attraverso l'adozione di termini e immagini provenienti dai testi dell'alchimia interna riguardanti il Cosmo, la sua origine, il suo ordinamento e il sistema di corrispondenze con la persona umana. A sua volta, l'alchimia interna ha tratto dall'alchimia esterna non soltanto una parte essenziale del suo vocabolario (tra cui l'uso di metafore basate sulla nomenclatura delle sostanze naturali e sui loro cicli di riscaldamento), ma soprattutto il modello binario basato su mercurio e piombo intesi come emblemi primari di yin-yang. La fase d'interazione e transizione dall'alchimia esterna all'alchimia interna durò diversi secoli; il primo testo da noi conosciuto che presenta un'interpretazione del Contratto per l'unione dei tre secondo i criteri dell'alchimia interna è il Trattato sul Sole e la Luna, l'Asse misterioso (Riyue xuanshu lun) della prima metà del VII sec., ma per trovare un'opera influente, interamente concepita nel contesto della tradizione dell'alchimia interna, è necessario attendere il Saggio sul risveglio alla verità (Wuzhen pian) di Zhang Boduan (984-1082), composto nell'XI secolo. Per l'intera durata del periodo Tang, alchimia esterna e alchimia interna coesistettero, e quest'ultima acquisiva lentamente importanza proprio mentre l'alchimia esterna raggiungeva la fase di massimo sviluppo.

Dopo il periodo Tang l'alchimia esterna conobbe una progressiva decadenza, mentre l'alchimia interna divenne la tradizione alchemica per eccellenza. Le fonti legate all'alchimia esterna del periodo Song (960-1279) o più tarde consistono in prevalenza di opere che privilegiano nettamente l'aspetto tecnico su quello speculativo e soteriologico, o di antologie basate su testi precedenti.

Aspetti sociali e rituali

La maggior parte dei testi alchemici cinesi è anonima e fornisce pochissime indicazioni riguardo all'ambiente sociale da cui provenivano gli autori. A quanto si sa, l'alchimia era praticata in Cina sia da singoli individui sia da gruppi locali e, in un numero limitato di casi, da discepoli formalmente affiliati a movimenti religiosi taoisti. Per quanto riguarda questi ultimi, l'esempio di maggiore rilevanza è quello già ricordato della scuola della Suprema Purezza. In modo analogo, a partire dal XII sec. l'alchimia interna divenne una delle discipline adottate dalla scuola taoista Quanzhen ('Perfezione completa').

L'unico ambiente di cui è possibile ricostruire in modo sufficientemente adeguato ‒ almeno per quanto riguarda gli aspetti strettamente storici ‒ i legami con le tradizioni alchemiche è quello della corte imperiale. Durante l'intera storia cinese, gli imperatori hanno ospitato a corte esponenti di dottrine e tecniche a sfondo religioso o esoterico, tra cui l'alchimia. Alcune tradizioni assegnavano anzi all'alchimia esterna una posizione di superiorità rispetto ad altre dottrine e tecniche proprio in relazione alla figura e al ruolo del sovrano. Lo stesso Imperatore Giallo (Huangdi), posto da molte narrazioni mitologiche all'inizio della linea di successione dei sovrani umani, divenne immortale e ascese al cielo grazie alla preparazione e all'ingerimento di un elisir. I preparati alchemici erano inoltre tra i doni che il cielo inviava ai sovrani virtuosi, ed erano dunque considerati alla stregua degli altri palladia e oggetti preziosi che legittimavano e proteggevano il potere temporale.

Il patrocinio imperiale dell'alchimia, di cui si è vista un'anticipazione con il metodo di Li Shaojun e con le spedizioni alla ricerca della medicina dell'immortalità, continuò in epoche successive. In particolare, durante il periodo delle Sei Dinastie gli imperatori Daowu (386-408) e Taiwu (424-451) dei Wei settentrionali istituirono un 'Ufficio degli eruditi dell'immortalità' (Xianren boshi guan), che si occupava della preparazione di elisir (zhulian baiyao, lett. 'bollitura e raffinazione delle medicine'). Anche gli imperatori Xiaowen (471-499) dei Wei settentrionali e Wenxuan (550-559) dei Qi settentrionali (550-577) si fecero preparare composti alchemici. L'imperatore Wu (502-549) della dinastia Liang è noto fra l'altro per il patrocinio offerto a Tao Hongjing, specialista di farmacopea, al quale fornì ingredienti di difficile reperimento e dal quale si fece preparare un elisir che ingerì.

Nel periodo Tang numerosi imperatori furono attratti dall'alchimia, e l'ingerimento di preparati alchemici costò la vita ad alcuni di essi, a Wuzong (841-846), Xuanzong (847-859) e forse a Xianzong (806-820). Casi di avvelenamento da elisir sono documentati durante questo periodo anche in altri ambienti. È stato suggerito che gli alchimisti cinesi ignorassero la tossicità di alcuni ingredienti, o cercassero di neutralizzarla con antidoti (lo zolfo, per es., compare spesso in metodi contenenti arsenico, di cui è un antidoto), o ancora interpretassero i sintomi dell'avvelenamento come semplici effetti collaterali. È certo comunque che, al contrario di quanto è a volte indicato, i casi di avvelenamento da elisir non siano stati la causa principale della transizione dall'alchimia esterna all'alchimia interna, i cui fondamenti teorici erano già impliciti nella tradizione cosmologica dell'alchimia esterna.

Come mostrano i testi che descrivono l'intera pratica alchemica, la composizione di un elisir fa parte di un processo consistente in varie fasi, che vanno dalla trasmissione delle dottrine e dei testi sino alla preparazione e all'eventuale ingerimento del prodotto finale. Questo processo ha un carattere rituale e ciascuna delle sue fasi è a sua volta definita dall'esecuzione di riti e cerimonie.

Mentre nella fase centrale del processo alchemico ‒ la preparazione dell'elisir propriamente detta ‒ si riscontrano notevoli differenze a seconda delle epoche e delle tradizioni cui i testi appartengono, fonti di date diverse lasciano ritenere che la struttura rituale in sé non abbia subito variazioni di rilievo durante la storia dell'alchimia esterna. Tra le opere della tradizione della Grande Purezza, il Libro dei nove elisir, che nel 300 d.C. circolava in una forma simile all'attuale, è quello che fornisce il maggior numero di dettagli sullo svolgimento del processo alchemico. Le sue indicazioni sono coerenti con quelle fornite da altre opere della stessa tradizione: i testi del taoismo della Suprema Purezza e i Capitoli interni del 'Libro del Maestro che abbraccia la semplicità' di Ge Hong. In base a questi testi, è possibile suddividere la preparazione degli elisir alchemici nelle seguenti fasi principali.

a) Ritiro e pratiche di purificazione. Per preparare gli elisir è necessario ritirarsi su una montagna o in un luogo isolato; durante il ritiro, e per l'intera durata dell'operazione, l'alchimista osserva varie interdizioni e compie cerimonie purificatrici.

b) Trasmissione delle dottrine e delle scritture. Il discepolo stringe con il maestro un patto di trasmissione, offrendo come pegni oro, argento, seta, cotone o altri oggetti, e s'impegna a non divulgare dottrine e testi; vari aspetti del rito di trasmissione, tra cui lo stesso nome con cui è definito (meng, 'alleanza') e l'atto d'imbrattarsi la bocca di sangue in segno di lealtà, sono analoghi a quelli della cerimonia d'investitura feudale, e si richiamano alle analogie tra rituale politico e rituale religioso nella Cina antica.

c) Scelta del tempo. Il discepolo sceglie il momento propizio per dare inizio alla preparazione basandosi sui sistemi tradizionali di computo del tempo e in particolare sui modelli che usano il sistema sessagesimale. Tra i giorni propizi vi sono quelli all'inizio del ciclo di sessanta giorni, oppure quelli marcati da due segni ciclici la cui combinazione è di buon auspicio.

d) Costituzione dell'area rituale. Lo spazio è delimitato e protetto mediante talismani (fu) posti lungo i sentieri nei pressi della propria dimora e appesi in corrispondenza delle quattro direzioni; l'alchimista installa il laboratorio (la 'camera degli elisir', danfang o danwu) al centro di questo spazio ordinato e protetto.

e) Accensione del fuoco. Quando tutte le condizioni preliminari sono soddisfatte, la preparazione dell'elisir può avere inizio; al momento di accendere il fuoco, l'alchimista rivolge un'invocazione alle divinità chiamate a proteggere lo svolgimento dell'opera.

f) Preparazione dell'elisir. L'elisir è composto secondo le indicazioni date nei testi e le istruzioni orali ricevute dal maestro. In varie fonti si specifica che l'alchimista è assistito da uno o più aiutanti il cui compito è vegliare costantemente sull'intensità del fuoco.

g) Consacrazione dell'elisir. Alcuni testi ingiungono all'alchimista di abbandonare una parte dell'elisir in un luogo frequentato, a beneficio di chi non può dedicarsi alla sua preparazione. Secondo i Capitoli interni del 'Libro del Maestro che abbraccia la semplicità', inoltre, il Libro della Grande Purezza conteneva istruzioni per una cerimonia di offerta di varie quantità di elisir a numerosi esseri divini.

h) Ingerimento dell'elisir. L'elisir va ingerito all'alba, dopo aver reso ancora una volta omaggio alle divinità.

Altre fonti, pur non descrivendo l'intero processo in modo così completo, forniscono indicazioni simili, che si ritrovano anche in un'opera tarda come le Conoscenze essenziali per la camera degli elisir (Danfang xuzhi, 1163). In questo testo, che descrive una pratica alchemica culminante nella composizione di un elisir a base di mercurio e piombo, le varie fasi del processo sono segnate dall'osservanza di norme rituali e dalla recitazione d'invocazioni. In particolare, l'alchimista deve anzitutto compiere pratiche di purificazione e osservare i precetti (zhaijie). L'elisir va preparato in un luogo puro, lontano da tombe, pozzi chiusi, e luoghi in cui si siano combattute guerre o in cui donne abbiano partorito. Donne, monaci buddhisti e animali domestici non possono entrare nella 'camera degli elisir', al cui interno va costantemente bruciato incenso. L'altare alchemico è protetto da un'invocazione a Laojun (Laozi nel suo aspetto divino); altre invocazioni allo stesso Laojun sono pronunciate prima d'iniziare a preparare l'elisir e prima di accendere il fuoco.

L'elisir

Nell'ambito della struttura rituale delineata sopra, la cerimonia centrale è rappresentata dalla preparazione dell'elisir. È qui che si osservano le maggiori divergenze tra testi di tradizioni e date diverse, riguardanti la nozione stessa di elisir e il complesso di dottrine su cui essa si basa. All'interno di una notevole varietà di metodi è comunque possibile individuare due modelli principali, che fanno capo rispettivamente alla tradizione della Grande Purezza e a quella basata sul Contratto per l'unione dei tre secondo il 'Classico dei mutamenti'. Sul piano dottrinale, l'elemento che differenzia queste tradizioni è l'adozione di diversi emblemi per la rappresentazione del Cosmo e dei suoi aspetti che maggiormente interessano l'opera alchemica, ossia il tempo e la materia.

Il crogiolo e l'inversione del processo cosmogonico

La tradizione della Grande Purezza si basa su un modello cosmologico piuttosto semplice e peraltro non esplicitamente descritto nelle opere che ci sono pervenute. I testi di questa tradizione danno rilievo alla funzione simbolica e rituale del crogiolo, al cui interno vanno ricreate le condizioni del Cosmo ai primi stadi della sua formazione al fine di riportare gli ingredienti dell'elisir al loro stato originario. Questi testi dichiarano ripetutamente che la causa prima del fallimento dell'operazione alchemica consiste in errori compiuti nella preparazione del crogiolo, che deve essere ermeticamente chiuso per evitare fuoriuscite di qi ('energia vitale').

Varie opere descrivono il metodo per la preparazione del fango con cui rivestire il crogiolo, chiamato 'fango del sei e uno' (liuyi ni) oppure 'fango divino' (shenni), a sottolineare la sua importanza nell'operazione alchemica. Il commentario al Libro dei nove elisir (seconda metà del VII sec.) specifica che il termine 'sei e uno' si riferisce ai sette ingredienti del fango, ma aggiunge significativamente che il fango ha questo nome anche se i suoi ingredienti sono in numero diverso da sette. La cifra sette ha dunque un significato simbolico e va messa in relazione alle descrizioni della cosmogonia come processo che avviene in sette stadi, esposto in linguaggio astratto o mitologico in testi quali il Libro del Maestro Zhuang e il Libro del Maestro dello Huainan (Huainanzi). In un noto brano contenuto nel cap. 2 del Libro del Maestro Zhuang, in particolare, gli stadi della cosmogonia sono elencati all'inverso, partendo dallo stato immediatamente precedente la manifestazione e retrocedendo sino alle sue origini più remote:

(7) Vi è un inizio [ossia l'inizio della manifestazione]

(6) Vi è ciò che è prima dell'inizio

(5) Vi è ciò che è prima di ciò che è prima dell'inizio

(4) Vi è l'Essere

(3) Vi è il non-Essere

(2) Vi è ciò che è prima del non-Essere

(1) Vi è ciò che è prima di ciò che è prima del non-Essere.

Nel cap. 7 del Libro del Maestro Zhuang, lo stesso processo è descritto in linguaggio mitologico; si tratta del famoso aneddoto delle sette aperture procurate nel corpo dell'imperatore Hundun ('Caos', il sovrano del Centro) da parte dell'imperatore del Nord e dell'imperatore del Sud (emblemi della dualità). Questa operazione provoca la morte di Hundun e, dunque, il passaggio dal Caos (hundun) al Cosmo (wanwu, le 'diecimila cose').

Simbolicamente, i sette ingredienti del 'fango del sei e uno' richiudono le sette aperture dell'imperatore Hundun e permettono di ricostituire all'interno del crogiolo lo stato del Caos primordiale. Grazie all'azione del fuoco, le essenze pure degli ingredienti dell'elisir, ricondotte anch'esse allo stato originario, salgono condensandosi sotto la parte superiore del crogiolo e sono raccolte dall'alchimista, che le unisce ad altre sostanze facendone pillole da ingerire.

Congiunzione degli opposti

La descrizione del processo alchemico è molto più complessa nei testi legati alla tradizione del Contratto per l'unione dei tre secondo il 'Classico dei mutamenti'. All'interno di questa tradizione si utilizza l'intero apparato di cui dispone la cosmologia cinese per descrivere gli stadi della formazione del Cosmo, il suo attuale ordinamento e il suo rapporto con gli stati di 'non manifestazione'. Di questo apparato fanno parte, oltre a numerose coppie di elementi yin-yang, vari diagrammi e serie di emblemi, tra cui le Cinque fasi (wuxing), gli otto trigrammi e i sessantaquattro esagrammi del Classico dei mutamenti, i dieci Tronchi celesti (tiangan) e i dodici Rami terrestri (dizhi). Questi emblemi sono collegati l'uno all'altro attraverso le loro associazioni numerologiche.

Secondo la rappresentazione della cosmogonia alla base di questa tradizione ‒ comune al taoismo e ad altre correnti del pensiero cinese ‒ la formazione del Cosmo avviene in tre stadi principali: (1) generazione dell'Essere dal non-Essere; (2) divisione spontanea dell'Uno (principio dell'Essere) in yin-yang; (3) generazione del Cosmo mediante l'unione di yin-yang. Nel corso di questo processo, lo yin e lo yang originari (ossia quelli nati dalla divisione dell'Uno) sono racchiusi in entità del segno opposto. Nel Cosmo così come lo conosciamo, dunque, le entità yin racchiudono lo yang originario o 'vero yang' (zhenyang), e le entità yang racchiudono lo yin originario o 'vero yin' (zhenyin). Questo schema è comunemente designato dalle espressioni 'yin nello yang' (yang zhong zhi yin) e 'yang nello yin' (yin zhong zhi yang).

Le linee e i trigrammi del Classico dei mutamenti sono una delle principali serie di emblemi usate per descrivere il processo cosmogonico e il ritorno allo stato iniziale. L'Uno è rappresentato da una singola linea intera ( ) oppure dal trigramma qian ( ). Il suo aspetto yang e il suo aspetto yin sono rappresentati rispettivamente dalla singola linea intera o dal trigramma qian, e dalla singola linea spezzata ( ) o dal trigramma kun ( ). Lo yang vero contenuto nello yin, e lo yin vero contenuto nello yang, sono rappresentati rispettivamente dai trigrammi kan ( ) e li ( ). Quando il processo alchemico è descritto facendo ricorso a questi emblemi, esso consiste nell'estrarre le linee interne di kan e li, nello scambiare le loro posizioni ristabilendo i trigrammi qian ( ) e kun ( ), e nel congiungerle ricreando la singola linea intera che simboleggia l'Uno originario.

Nel linguaggio proprio dell'alchimia, lo yin e lo yang originari sono rappresentati rispettivamente dal 'vero mercurio' (zhenhong) e dal 'vero piombo' (zhenqian). Essi sono estratti rispettivamente dal cinabro nativo (yang) e dal piombo nativo (yin). Una volta raffinati, il mercurio e il piombo autentici sono congiunti per preparare un elisir le cui proprietà sono definite identiche a quelle dello stato che precede la generazione del Cosmo.

Tav. II

Le reciproche corrispondenze tra emblemi appartenenti a serie diverse permettono agli autori di testi alchemici di descrivere la preparazione degli elisir (e dunque la cosmogonia e la cosmologia) servendosi indifferentemente di una o dell'altra serie, o anche di elementi appartenenti a serie diverse. Questa caratteristica è alla base della complessità e dell'apparente oscurità del linguaggio alchemico cinese (v. Tav. II per un esempio della ridondanza prodotta dall'adozione di simboli diversi per descrivere essenzialmente il medesimo processo, e cioè la congiunzione di yin e yang).

Cicli temporali

Gli emblemi del Classico dei mutamenti sono usati anche per la definizione di uno degli aspetti centrali dell'opera alchemica: i cicli di riscaldamento dell'elisir (huohou o 'tempi del fuoco'). Mentre i testi della tradizione della Grande Purezza descrivono semplici cicli basati sulla distanza del crogiolo dal fuoco, quelli che fanno capo alla tradizione del Contratto per l'unione dei tre secondo il 'Classico dei mutamenti' si basano su un sistema notevolmente più complesso, le cui fasi sono rappresentate dalla serie dei dodici 'esagrammi primari' (bigua). Questi esagrammi rappresentano le corrispondenze tra il tempo dell'opera alchemica ed estensioni temporali di lunga durata. In particolare, le loro associazioni con i dodici shi ('veglie' o 'ore doppie') del giorno e i dodici mesi dell'anno fanno sì che un'ora nel laboratorio equivalga a un anno del tempo cosmologico. Questa nozione fornisce un fondamento numerologico alla dottrina ‒ comune alle tradizioni alchemiche di varie culture ‒ secondo cui tutti i minerali giungono naturalmente allo stato di perfezione all'interno del grembo terrestre. Vari testi appartenenti alla tradizione del Contratto per l'unione dei tre affermano che lo stato di 'elisir naturale' (ziran huandan) è raggiunto in 4320 anni, cifra che corrisponde al numero di 'veglie' contenute in un anno (360 giorni per 12 'veglie'). L'opera alchemica riproduce dunque in scala ridotta il processo della Natura, comprimendo, accelerando e intensificando la durata del tempo.

La nozione di 'ritorno'

Nonostante le evidenti diversità, i due modelli di opera alchemica descritti sopra condividono molti dei loro aspetti essenziali. In entrambi l'alchimista agisce in modo simile sul tempo e la materia. Producendo un elisir le cui proprietà rappresentano quelle dello stadio cosmogonico precedente la separazione dell'Uno nei due, il tempo è ricondotto alla sua origine; parallelamente, i processi basati sul sistema del Contratto per l'unione dei tre portano il tempo a conclusione attraverso la compressione e l'accelerazione dei cicli cosmologici. Gli ingredienti riacquistano così le proprietà possedute dalla materia prima della sua trasmutazione nei vari componenti del Cosmo, oppure ‒ ma per gli alchimisti si tratta della stessa cosa ‒ quelle che avrebbe riacquisito a conclusione di cicli cosmologici di grande lunghezza; nei termini della cosmologia cinese, la loro 'essenza' (jing) è ricondotta allo stato di 'essenza originale' (yuanjing).

Il prodotto finale incorpora il risultato della doppia azione svolta sul tempo e la materia: l'elisir è materia pura privata dei suoi aspetti temporali. In questo l'alchimia esterna rivela l'aspetto che più la lega alle dottrine taoiste, uno dei cui cardini è la nozione di 'ritorno' (fan, huan) del Cosmo al Tao, il suo principio originario. Questa nozione si trova espressa in un celebre brano del cap. 40 del Libro della Via e della Virtù, ossia 'Il ritorno è il movimento del Tao', e a essa fanno capo praticamente tutte le espressioni, le discipline e le pratiche (compreso il rituale) cui il taoismo ha dato vita nella sua storia. Il nome stesso dell'elisir, spesso definito huandan (lett. 'elisir del ritorno'), indica la centralità di questo aspetto nell'ambito dell'alchimia. Lo stato di perfezione raggiunto dalla materia è indicato anche dall'uso del termine 'oro' (jin) per definire l'elisir quali che siano i suoi ingredienti. Il già menzionato Li Shaojun e l'alchimista di epoca Tang Chen Shaowei (m. 712 d.C.), tra gli altri, definiscono così il prodotto della raffinazione del cinabro, e lo stesso vale per tutte le opere che descrivono procedimenti basati su mercurio e piombo.

La materia trasmutata attraverso l'opera alchemica non è infatti qualitativamente analoga a quella comune. Benché in altri contesti le connotazioni dei principali termini cinesi che esprimono la nozione di trasformazione, bian e hua, non siano sempre coerenti, nell'alchimia il termine bian indica un semplice cambiamento di stato o di proprietà, mentre hua è il termine riservato alla trasmutazione di uno o più ingredienti nel loro stato originario, che provoca la perdita delle qualità acquisite attraverso l'azione del tempo. Lo stesso Ge Hong sostiene che l'opera di trasmutazione (huazuo) fa sì che l'elisir incorpori 'l'essenza di tutti i suoi ingredienti' (zhuyao zhi jing), rendendolo per questo superiore alla materia comune.

Alcuni esponenti del taoismo ‒ in particolare quelli legati a scuole che intendono la pratica come processo esclusivamente spirituale, senza necessità di supporti esterni ‒ hanno criticato l'eccessiva preoccupazione dell'alchimia esterna per gli aspetti materiali del Cosmo. Ciononostante, questa tradizione ha sviluppato nell'ambito che le è proprio i fondamenti dottrinali del taoismo e del pensiero cosmologico cinese. L'alchimia esterna si basa, in ultima analisi, sull'aspetto più evidente del mondo che conosciamo ‒ il suo incessante mutamento, la trasformazione continua dei suoi componenti ‒ e intende analizzare, comprendere e ripercorrere all'indietro il processo (ossia il 'meccanismo', ji, come spesso lo definiscono gli autori della tradizione dell'alchimia interna) che lo determina.

Ingredienti e metodi

Tra i metodi più diffusi all'interno della tradizione dell'alchimia esterna vi sono i procedimenti per preparare il 'bagno fiorito', il 'fango del sei e uno' e le 'soluzioni liquide', insieme a quelli per estrarre il mercurio dal cinabro e per congiungere mercurio e piombo.

Il 'bagno fiorito' (huachi) è un bagno a base di aceto in cui sono lasciati in immersione gli ingredienti degli elisir. Secondo il commentario al Libro dei nove elisir, durante la preparazione dei nove elisir si usa un 'bagno fiorito' contenente frumento bollito, lievito, pietra 'bianco azzurra' (forse azzurrite), piombo in polvere, cinabro in polvere e miglio glutinoso rosso cotto a vapore. Il 'bagno fiorito' sarà pronto in settanta giorni d'estate e in centoquaranta d'inverno. Lo si prepara al centro di un laboratorio, in una posizione di buon auspicio, senza farsi osservare da donne e da animali domestici, come spiegato nel commentario al Libro dei nove elisir (Huangdi jiuding shendan jingjue, 17, 6a-b).

La prima formula del 'fango del sei e uno' (liuyi ni), usato per rivestire il crogiolo al fine di evitare perdite di qi, è contenuta nel Libro dei nove elisir. Allume, sale del Turkestan, sale di lago, arsenolite, conchiglie d'ostrica, argilla rossa e talco sono frantumati e riscaldati in un recipiente di ferro chiuso. Dopo nove giorni e nove notti di cottura il composto è nuovamente frantumato, filtrato e posto in un 'bagno fiorito' formando un fango (ibidem, 1, 3b-4a). Un metodo simile è descritto nelle Istruzioni essenziali sui libri della Grande Purezza (Taiqing danjing yaojue), che fornisce anche indicazioni dettagliate relative ai singoli ingredienti. Il commentario al Libro dei nove elisir contiene un'ampia selezione di metodi riguardanti il fango. Secondo uno di essi, ametista, argilla bianca, polvere di conchiglie d'ostrica e talco sono frantumati separatamente, filtrati e uniti a succo di escrementi di bue formando un fango di cui si fanno grumi della grandezza di uova che sono di nuovo frantumati in un mortaio di ferro e poi si uniscono a sale del Turkestan, sale di lago e acqua. Si pongono infine in un 'bagno fiorito' e si riscaldano facendone un fango con cui si riveste tre volte il crogiolo (ibidem, 7, 10a-b).

Come fase intermedia durante la preparazione di elisir sono usati frequentemente i metodi delle 'soluzioni liquide' (shuifa). L'opera intitolata Metodi delle trentasei soluzioni liquide (Sanshiliu shuifa), tradizionalmente risalente al periodo Han ma conservata in una versione del VII sec. e strettamente legata alla tradizione della Grande Purezza, è la più importante fonte riguardante questi procedimenti. Riportiamo uno dei due metodi per la soluzione liquida del cinabro, tipico sia nel procedimento sia nel linguaggio: "Poni una libbra (jin; 220 o 250 g) di cinabro in un tubo di bambù fresco, e aggiungi due once (liang; 28 o 31 g in tutto) di calcantite (solfato di rame) e quattro once (55 o 62 g) di salnitro. Sigilla le aperture con lacca e lascia il tubo in un 'bagno fiorito'. In trenta giorni si formerà una soluzione liquida" (Sanshiliu shuifa, 2b).

Il cinabro è usato nella tradizione del Contratto per l'unione dei tre secondo il 'Classico dei mutamenti' come sostanza dalla quale si estrae il 'vero mercurio'; quest'ultimo è successivamente congiunto al 'vero piombo', ottenuto a sua volta dal piombo nativo. Oltre che svolgere questo ruolo, che nel Contratto per l'unione dei tre è importante ma non primario, l'estrazione del mercurio dal cinabro è stata in sé uno dei metodi principali dell'alchimia cinese. Il cinabro è il minerale yang per eccellenza, e il mercurio contenuto al suo interno rappresenta il principio yin. Dopo essere stato estratto, il mercurio è aggiunto a zolfo (yang) per formare nuovamente cinabro (cinnabarite). Il mercurio estratto nel secondo ciclo di raffinazione è dunque dotato di natura più yang rispetto a quello del primo ciclo. Il procedimento è ripetuto e termina solitamente al settimo o al nono ciclo, quando il mercurio perde tutte le qualità yin assumendo quelle dello yang vero, ossia dell'Uno (le cifre 7 e 9 sono entrambe associate al principio yang). L'opera di Chen Shaowei ci è pervenuta sotto forma di due testi separati; in essa è contenuta la più elaborata descrizione di questo procedimento. Il primo testo descrive il metodo utilizzato per l'estrazione di mercurio da cinabro in sette cicli; il prodotto di ciascun ciclo può essere ingerito oppure usato come ingrediente principale nel ciclo successivo. Nel secondo testo, il prodotto del settimo stadio è ulteriormente raffinato in un elisir mediante un elaborato metodo di riscaldamento. Insieme ai dettagli sul procedimento, Chen Shaowei dà una descrizione di notevole interesse sulla formazione naturale del cinabro e sulle sue varietà.

Il primo procedimento della tradizione dell'alchimia esterna, basato sulla congiunzione di mercurio e piombo, da noi conosciuto è contenuto nei Capitoli interni del 'Libro del Maestro che abbraccia la semplicità' (Baopuzi neipian, 16). Nel Libro dei nove elisir e in opere delle Sei Dinastie, il composto mercurio-piombo è usato per rivestire il crogiolo insieme al 'fango del sei e uno', oppure come strato inferiore e superiore all'interno del crogiolo insieme agli ingredienti. In entrambi i casi il crogiolo incorpora simbolicamente lo yin-yang grazie ai due metalli. Va notato che il composto non è definito elisir, e che la sua funzione si limita a quella appena menzionata. Lo stesso è nei frammenti del corpus di opere attribuite al semileggendario Hugangzi (risalenti alla fine delle Sei Dinastie); sebbene queste opere siano le prime, tra quelle a noi note, ad attribuire in modo esplicito un ruolo di preminenza ai metodi basati su metalli anziché a quelli basati su minerali, anche in questo caso il composto mercurio-piombo non è in sé un elisir ma un ingrediente di altri elisir.

Come il mercurio estratto dal cinabro, così anche il composto mercurio-piombo incorpora le qualità dello yang vero. Dal punto di vista alchemico, i metodi cinabro-mercurio e mercurio-piombo sono dunque in gran parte equivalenti. Storicamente, però, la posizione centrale occupata dal cinabro nella prima metà della storia dell'alchimia in Cina è stata successivamente assunta dalla coppia mercurio-piombo con l'affermarsi della tradizione cosmologica basata sul Contratto per l'unione dei tre secondo il 'Classico dei mutamenti'. Alcune fonti Tang riflettono questa tendenza attraverso il loro esplicito rifiuto del cinabro come sostanza principale e la preferenza che accordano ai procedimenti mercurio-piombo, motivata con il fatto che il cinabro (yang) o il mercurio (yin) non possono da soli produrre l'elisir.

Alchimia, taoismo e scienza

Il rapporto dell'alchimia con il taoismo e con la scienza cinese è estremamente complesso, e vari autori hanno sostenuto opinioni fortemente contrastanti a questo riguardo. Mentre l'assunto ‒ difeso in particolare da J. Needham in tutta la sua opera ‒ di una sostanziale coincidenza tra i principî del taoismo e quelli della scienza cinese (o comunque di una sorta di 'rapporto privilegiato' tra taoismo e scienza) è stato in gran parte confutato (Sivin 1995b), alcuni studiosi sostengono la fondamentale assenza di relazione tra taoismo e alchimia. Altri, viceversa, non esitano ad associare l'alchimia cinese al taoismo, ma senza fornire indicazioni sulla natura del loro rapporto.

La tesi secondo cui l'alchimia esterna sarebbe priva di rapporti con il taoismo si basa sulla definizione di quest'ultimo come fenomeno esclusivamente religioso, ossia come insieme di movimenti basati sul culto delle divinità e in teoria legati uno all'altro dalla discendenza dal primo movimento religioso taoista nella storia cinese, quello della Via dei Maestri celesti (tianshi dao). Considerando il taoismo unicamente nei suoi aspetti sociali, questa tesi non prende intenzionalmente in considerazione gli elementi dottrinali comuni a tradizioni di forme ed epoche diverse. In particolare, le opere pre-Han in cui si espongono i principî della metafisica taoista (tra cui gli stessi Libro della Via e della Virtù e il Libro del Maestro Zhuang) sono considerate marginali e pressoché prive d'impatto sulla tradizione taoista nel suo insieme.

Secondo altri studiosi, le varie espressioni cui il taoismo ha dato vita nel corso della sua storia mostrano, al contrario, che questi elementi hanno svolto un ruolo determinante e continuo, ispirando forme e finalità di pratiche diverse l'una dall'altra come la meditazione e il rituale (Robinet 1997). Definendo sé stesse come strumenti per la conoscenza dei principî dottrinali, queste pratiche usano immagini ed emblemi del sistema cosmologico per descrivere il rapporto dell'uomo con il mondo e quello di entrambi con il piano metafisico. La cosmologia assume una tale importanza nel taoismo che, nelle parole di una delle più autorevoli studiose di questa tradizione, "a differenza di altre religioni, dobbiamo cercare la struttura fondamentale, l'unità, e la continuità del taoismo nel suo discorso cosmologico e non nel suo pantheon" (ibidem, p. 260).

Gran parte della tradizione dell'alchimia esterna si basa, come si è visto, sui principî della cosmologia, e i suoi emblemi cosmologici sono comuni a quelli delle altre scienze cinesi; questa tradizione è però incomprensibile se non si tiene conto dell'uso che essa fa del sistema cosmologico e delle finalità dichiarate della sua pratica. Poiché il sistema cosmologico è legato, come in tutte le scienze tradizionali, a una dottrina metafisica, esso fa parte di un insieme di conoscenze date a priori la cui validità non è attestata dalla verifica sperimentale, ma semplicemente dalla sua stessa coerenza, dimostrata soprattutto attraverso le corrispondenze numerologiche tra le serie di emblemi usati per rappresentarlo. I procedimenti alchemici sono una particolare espressione di questo sistema e ne condividono le premesse. Il loro fine non è quello di accertare le proprietà chimiche degli ingredienti o le loro reazioni, né quello di sottoporre a verifica i fondamenti teorici allo scopo di convalidarli e ancor meno di modificarli; al contrario, basandosi in parte su conoscenze tecniche provenienti dagli ambienti degli artigiani, gli alchimisti si servono dei procedimenti alchemici come strumento per approfondire la conoscenza del sistema dottrinario. Il significato dei procedimenti è dunque anzitutto metaforico e la loro finalità è essenzialmente contemplativa, caratteristica che i più accorti studiosi della scienza cinese non hanno avuto difficoltà a riconoscere:

A motivare gli alchimisti non era in primo luogo la curiosità per le proprietà e le reazioni di particolari sostanze [...]. Il fine che attraversa il centinaio di testi sull'alchimia di laboratorio ancora conservati, che li rende una letteratura coerente, e che condizionava ogni passo nell'elaborazione dei processi, era bensì quello di costruire un modello del Tao, di riprodurre in uno spazio limitato e su scala temporale ridotta i modelli energetici ciclici del Cosmo. Questo obiettivo attribuisce più valore alla contemplazione del processo che all'uso del prodotto [...]. Il contenuto, il tono e l'insieme dei dati a nostra disposizione suggeriscono con forza che la meta dominante era contemplativa, o addirittura estatica. (Sivin 1977, pp. 118-120)

La riproduzione dell'opera della Natura non è però l'unica finalità del processo alchemico e non è dunque soltanto l'aspetto contemplativo a legare l'alchimia al taoismo e a distinguerla da altre scienze cinesi. A differenza di queste ultime, ma alla pari del taoismo, l'alchimia è consapevole che le parole, le immagini e le diverse serie di emblemi attraverso cui esprime i suoi principî e dà significato alle sue pratiche, appartengono a uno stadio intermedio tra questo mondo e il Tao, e che anch'esse devono essere abbandonate per far sì che l'intero processo alchemico giunga a compimento. In altri termini, per raggiungere il suo obiettivo l'alchimista deve trascendere gli stessi strumenti concettuali che usa come via alla conoscenza. Questo compito è parallelo allo svolgimento dell'opera alchemica. Nel riportare gli ingredienti degli elisir al loro stato originario, e nel combinarli l'uno con l'altro, l'alchimista ripercorre all'indietro gli stadi cosmogonici annullando di volta in volta le corrispondenti configurazioni cosmologiche.

Il processo alchemico ha dunque un duplice effetto, sul Cosmo e sulla persona che lo mette in atto. Attraverso il procedimento della 'proiezione' (dian), che l'alchimia cinese condivide con quella di altre culture, un frammento di elisir permette di trasmutare qualsiasi sostanza in oro, ossia in materia pura. Agli occhi dell'alchimista, al termine della sua opera il Cosmo intero riacquista le proprietà dello stato che precede la sua generazione e l'azione del tempo. Come scrive Ge Hong: "Secondo i libri degli Immortali, se i Nove Elisir sono sublimati, se l'oro e la giada sono liquefatti, il mondo intero può essere reso immortale" (Baopuzi, p. 138).

Lo stato di atemporalità, o immortalità, restituito al mondo è identico a quello cercato dall'alchimista. La composizione degli elisir, compiuta materialmente, o in meditazione, o considerata nei suoi soli aspetti speculativi, contribuisce così a ottenere la conoscenza del rapporto tra il Tao e il Cosmo.

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