La scienza bizantina e latina: la nascita di una scienza europea. La trasmissione del sapere

Storia della Scienza (2001)

La scienza bizantina e latina: la nascita di una scienza europea. La trasmissione del sapere

Jacqueline Hamesse

La trasmissione del sapere

Durante l'età medievale la trasmissione del sapere scientifico conobbe un particolare sviluppo a partire dal XII secolo. Le traduzioni latine di opere greche e arabe avevano consentito agli Occidentali di entrare in contatto con un patrimonio antico assunto come base del loro insegnamento nell'ambito del quadrivium, e l'accesso al corpus aristotelico, così come alle opere scientifiche greche e arabe, consentì d'incrementare sia gli studi sia le ricerche in questo settore. Alla riflessione puramente teorica si aggiunse poi, progressivamente, lo sviluppo della pratica e della tecnica, evidente, in particolare, nella diffusione della conoscenza e dell'uso degli strumenti scientifici.

I metodi di trasmissione del sapere erano essenzialmente due, ossia il testo conservato nei manoscritti e le immagini e gli strumenti scientifici, ma l'apprendistato del sapere basato sui testi era molto più diffuso che non la pratica. Le nuove opere tradotte dall'arabo e dal greco permisero uno sviluppo considerevole della riflessione teorica e una conseguente fioritura di studi di filosofia naturale, mentre i viaggi e i contatti tra Oriente e Occidente diffusero in alcuni ambienti una migliore conoscenza della pratica e spinsero gli Occidentali a sviluppare il loro sapere in questo campo; i progressi in atto, però, riguardarono solamente alcuni centri ben circoscritti e una sperimentazione più diffusa si ebbe di fatto soltanto nelle epoche successive.

Il testo

Nell'ambito della produzione scolastica e universitaria medievale i lavori scientifici sono senz'altro tra i meno conosciuti, e per studiarne la trasmissione conviene dunque fare riferimento ai metodi utilizzati per diffondere le opere filosofiche, teologiche e giuridiche. Questa constatazione, valida per l'ambiente parigino, dove l'insegnamento della teologia e della filosofia si sviluppò soprattutto a seguito della diffusione delle traduzioni latine di Aristotele, deve tuttavia essere sfumata a seconda dell'area geografica presa in considerazione. Per esempio, nell'Università di Oxford si prestava una maggiore attenzione alle scienze e, nel complesso, la produzione scientifica inglese è meglio conosciuta:

I maestri che le diedero lustro si erano tutti formati nell'alveo dell'antica disciplina agostiniana che univa di buon grado al tradizionalismo in materia di teologia, il gusto del platonismo, della matematica e delle scienze positive in materia di filosofia. Inoltre, il relativo isolamento del grande centro di studi inglese, e il fatto che i papi in una certa misura se ne disinteressassero, risparmiarono a Oxford l'invasione repentina dell'aristotelismo tomista e il conformismo filosofico che influenzò in modo così profondo l'ambiente scolastico parigino. L'insegnamento di Oxford ebbe dunque una sua propria originalità e si rivelò particolarmente fecondo in una certa direzione che fu quasi esclusivamente la sua; inoltre, mentre il pensiero filosofico parigino, di formazione quasi esclusivamente dialettica e aristotelica, finì per lasciarsi assorbire per un certo periodo dalla dialettica, il pensiero filosofico inglese mise al servizio della religione la matematica e la fisica nei termini che gli erano stati rivelati dalle opere degli studiosi arabi. (Gilson 1947, p. 397)

Fra i nuovi ordini religiosi mendicanti, perlomeno in un primo periodo, i francescani più che i domenicani s'interessarono alle scienze del quadrivium; così, a Oxford i frati minori si dedicarono allo studio delle diverse branche scientifiche, mentre a Parigi i predicatori si specializzarono nello studio della teologia e della filosofia. Via di accesso privilegiata alla conoscenza dell'insegnamento di queste discipline è lo studio dei manoscritti scientifici ed è opportuno quindi rintracciare tra questi ultimi i testi che erano oggetto d'insegnamento e che erano commentati nel quadro dei programmi. Da questo punto di vista resta insostituibile il fondo dei manoscritti latini vaticani, che conserva vaste raccolte scientifiche di diversa provenienza ‒ italiana, tedesca, inglese, francese e così via ‒ e consente in tal modo di avere un'idea concreta dello stato delle conoscenze in questo campo.

D'altro lato, l'origine universitaria di buona parte di queste raccolte permette di rimediare alle lacune o ai silenzi degli statuti ufficiali, che in genere costituiscono per il medievista una fonte di informazione di prima mano.

Si sa che i testi normativi sono, per varie ragioni, abbastanza poveri riguardo alle scienze. È quindi attraverso lo studio dei testi astronomici copiati o commentati che è possibile ricostruire il contenuto e i metodi dell'insegnamento dell'astronomia: chi insegnava e chi apprendeva, in quali università, come si trasmetteva il sapere e che cosa era commentato, cosa s'imparava in definitiva frequentando l'università, sono altrettante questioni le cui risposte possono essere trovate, tra l'altro, nei manoscritti di contenuto astronomico. (Poulle 1981, p. 82)

La trasmissione attraverso i libri

L'insegnamento delle discipline del quadrivium si sviluppò con il diffondersi delle traduzioni latine di opere scientifiche greche e arabe, e il bisogno di libri aumentava di pari passo col desiderio di conoscere e di imparare. L'accesso facile e rapido al sapere divenne sempre più pressante e, poiché in epoca medievale la produzione di un libro era in genere molto costosa, si fece imperiosa l'esigenza di facilitare la diffusione dei testi e di moltiplicarne i metodi di riproduzione. A questo fine furono utilizzati tre principali metodi di diffusione: la copiatura dei testi negli scriptoria, la produzione universitaria e le reportationes.

Vicino alle scuole e ai centri universitari sorsero laboratori laici per la copiatura, un metodo già utilizzato in ambito monastico per la riproduzione dei testi; le opere insegnate nell'ambito del quadrivium erano così ricopiate e costituivano la base delle biblioteche scientifiche. Per moltiplicare i testi erano utilizzate due tecniche: la copia individuale di un modello oppure il lavoro in équipe. In questo secondo caso era possibile distribuire tra più copisti i fascicoli che componevano uno stesso manoscritto, in modo da accelerarne la copiatura e quindi la riproduzione; oppure, si poteva organizzare una dettatura dell'opera, in modo che più scrivani potessero scrivere allo stesso tempo, garantendo la produzione simultanea di copie diverse della stessa opera. Il lavoro di copiatura dei testi era però, in ogni caso, lento e oneroso in quanto la pergamena era un materiale costoso e la decorazione dei manoscritti esigeva lunghe ore di lavoro; anche se nelle comunità monastiche i monaci avevano la possibilità di consultare i libri delle loro biblioteche, il numero ridotto di esemplari a disposizione spesso induceva a comporre antologie di testi più facili da riprodurre e di pronta consultazione.

Col nascere delle università e con l'incremento del numero degli studenti che ne frequentavano i corsi si diffuse l'obbligo di possedere i testi degli autori 'letti' e commentati nell'ambito dei programmi, che era un obbligo valido per tutti gli studenti, anche i più poveri. Le università dovettero dunque far fronte al difficile problema di diffondere testi che fossero, nello stesso tempo, affidabili e accessibili a tutti, e per rispondere a questa esigenza fu messo a punto un nuovo sistema di riproduzione (tipico dell'istituzione universitaria): la tecnica dell'exemplar e della pecia, scoperta da J. Destrez (1935), che consentì all'edizione dei testi universitari medievali di fare grandi progressi.

Per tutti i testi obbligatori l'università stabiliva un modello (exemplar), che era rivisto e poi depositato in un'officina gestita da un libraio (stationarius). Il manoscritto era composto da una serie di fascicoli (peciae) che erano presi in prestito uno dopo l'altro dagli studenti in cambio di una modica somma di denaro, e che ‒ dopo essere stati ricopiati ‒ erano ridepositati presso lo stazionario per poter essere prestati di nuovo. Un solo exemplar non era però sufficiente per soddisfare i bisogni di tutti gli studenti, ed erano necessari più modelli di uno stesso testo; accadeva così che alcuni di questi testi paralleli sfuggissero al controllo universitario e fossero ricopiati senza autorizzazione ufficiale, il che comportava indubbiamente delle corruzioni nella trasmissione successiva. In questo modo, una volta terminata la copiatura di una pecia si poteva non ritrovare il seguito del testo proveniente dallo stesso exemplar, e questo sistema poteva dunque finire col mettere insieme testi provenienti da modelli di qualità disomogenea.

La tecnica dell'exemplar e della pecia era usata anche per riprodurre i testi più diffusi, ma, fatto abbastanza notevole, cadde in disuso nella seconda metà del XIV sec., probabilmente come una delle conseguenze della grande peste nera che sconvolse l'Europa occidentale intorno al 1350. L'epidemia, infatti, colpì soprattutto i centri urbani e provocò la morte di un gran numero di studenti e di professori, cosicché la generazione seguente sentì in modo meno pressante la necessità di procurarsi dei libri, disponendo già in maniera sufficiente di testi e biblioteche.

Nel quadro del loro insegnamento i professori erano tenuti a commentare (legere) un certo numero di autori, a organizzare sedute di discussioni e di esercizi (disputare) e a dedicarsi infine alla predicazione (praedicare). L'obbligo di possedere un testo era in vigore soltanto per le sedute di commento e di spiegazione, e così, riguardo alle discussioni, agli esercizi e alle quaestiones, gli appunti (reportationes) presi dagli studenti durante le sedute costituiscono spesso il solo materiale rimastoci. Nella maggior parte dei casi le relazioni che il magister doveva di norma redigere a conclusione delle sedute, e che costituivano in un certo senso le conclusioni di questi dibattiti, non ci sono pervenute; talvolta un segretario ufficiale (chiamato notarius sino alla fine del XII sec. e reportator a partire dal XIII) era incaricato di prendere appunti che erano poi rivisti dall'autore, ma tale pratica era rara e comunque soltanto in questo caso si poteva parlare di reportatio ufficiale. La stessa cosa accadeva per i sermoni: gli ascoltatori prendevano nota e il predicatore parlava spesso sulla base di uno schema prestabilito, senza aver redatto in precedenza un testo definitivo.

Naturalmente, la qualità degli appunti degli ascoltatori era molto variabile e dipendeva sia dalle condizioni di lavoro sia dalla competenza di chi li redigeva; in ogni caso, questi appunti, quando ci sono pervenuti, presentano un interesse di primo piano poiché permettono di ricostruire il contenuto di alcuni corsi e di meglio comprendere i diversi metodi di insegnamento praticati in quel periodo. Per quanto riguarda le reportationes degli studenti ‒ consistenti in appunti annotati sia su tavolette di cera sia su quaderni di pergamena scadente e in seguito su quaderni di carta ‒, in qualche caso ci sono pervenuti appunti dello stesso corso presi da ascoltatori differenti, ed è un evento interessante perché consente ‒ mettendo a confronto le diverse copie ‒ di risalire a quanto veramente detto nel corso e di tentare di recuperare, se non la forma, perlomeno il contenuto del pensiero di un magister. Queste versioni dovute a più persone ci forniscono inoltre una serie di informazioni utili riguardo alle tecniche d'insegnamento, al livello intellettuale degli uditori e al loro metodo di lavoro, offrendo dunque una buona testimonianza della vita universitaria del tempo e degli interessi scientifici degli studenti.

Le reportationes costituivano un utile surrogato a prezzo minimo per i giovani universitari poveri. Questo metodo economico permetteva loro di procedere alla costituzione di una piccola documentazione di base, indispensabile per la cultura generale e per lo studio del programma previsto dal corso; presentava però l'inconveniente di produrre testi meno durevoli, il che spiega perché una gran parte di questa letteratura non sia pervenuta fino a noi, privandoci così di testimonianze essenziali riguardo alle opere e ai corsi dell'epoca.

La trasmissione orale

Il metodo di diffusione attraverso exemplar e peciae, sviluppato soprattutto in Francia, Italia e Inghilterra, non fu ripreso nelle università dell'Europa centrale e orientale create in epoca successiva. Queste istituzioni, pur essendosi modellate su quelle precedenti e ricalcandone gli statuti, non praticavano più tale tecnica per la copiatura dei testi e sembra avessero sostituito la trasmissione attraverso exemplar e peciae con un sistema di dettatura dei testi compresi nel programma dei corsi. I professori ne affidavano una copia rivista e corretta a un pronuntiator ufficiale, incaricato di organizzare sedute di dettatura in modo che gli studenti potessero trascriverla e procurarsi così le opere che in seguito sarebbero state commentate durante i corsi.

Una simile trasmissione orale ha senza dubbio determinato un impoverimento di ciò che era ricopiato; si trasmettevano ovviamente molti errori di comprensione, omissioni, lacune, ecc.; inoltre, si poneva il problema di riprodurre eventuali schemi, disegni e formule; spesso, infine, gli studenti preoccupati di rendere complete le loro copie e di correggere quel che avevano mal compreso durante le sedute di dettatura, apportavano modifiche anche rilevanti agli originali. È chiaro dunque come la maggior parte delle opere trasmesse grazie alle varie tecniche ricordate abbia finito per subire molteplici modifiche nel corso della trasmissione; note in margine, corruzioni dovute a una cattiva comprensione del testo, glosse interlineari e commenti finivano per divenire parte integrante dei testi. Le differenti correzioni apportate dai lettori alteravano spesso il pensiero originale di un autore e occorre quindi tenere conto di questi elementi quando si leggono testi medievali provenienti dall'ambiente universitario; d'altra parte, è andata perduta anche gran parte degli esercizi che di norma accompagnavano la spiegazione dei testi scientifici.

La circolazione dei testi

Nel periodo preso in considerazione si verificò un gran movimento di testi sia in Europa sia nel bacino del Mediterraneo; il mondo ecclesiastico giocò un ruolo di primo piano in questa diffusione poiché i membri degli ordini religiosi, soprattutto degli ordini mendicanti, viaggiavano molto da una comunità all'altra portando nel loro bagaglio opere appena tradotte o testi di confratelli. Anche i mercanti svolsero un ruolo importante in questo genere di trasmissione, e in generale i contatti tra l'Oriente e l'Occidente hanno permesso a un buon numero di opere antiche di sopravvivere. La Chiesa, in particolare, favorì tale circolazione di testi tramite l'invio di nunzi a Costantinopoli o in altri paesi, attirando uomini di cultura e medici alla corte dei papi e incoraggiando la creazione di biblioteche erudite.

Nel XIII sec. la corte papale costituì un centro scientifico di primaria importanza, nel cui ambito i medici dei papi contribuirono ai progressi della medicina (Paravicini Bagliani 1991). Uno di essi, Simone da Genova, buon conoscitore dell'arabo, tradusse testi medici arabi e mise a disposizione dei suoi contemporanei la Clavis sanationis, uno dei primi glossari di termini medici, mirato a rendere più accessibile il senso preciso dei termini tecnici. D'altra parte, nello stesso periodo Federico II richiamò in Sicilia numerosi studiosi e fece della sua corte un importante centro di scambi scientifici e di traduzioni, dove circolavano manoscritti di provenienza assai diversa; Alfonso X il Saggio animò attorno a sé un movimento analogo e trasformò Toledo in un centro scientifico di primo piano (le Tavole alfonsine risalgono a quest'epoca e avranno una considerevole influenza in campo astronomico per tre secoli). I contatti con gli Orientali si fecero dunque sempre più numerosi e gli scambi di conoscenze si intensificarono in tutti i campi.

Gli strumenti di lavoro

Per quanto riguarda i testi scientifici, così come per quelli di altro genere, a partire dal XII sec. cominciarono a diffondersi in numero sempre crescente raccolte destinate a dare una visione d'insieme delle conoscenze del tempo. Enciclopedie, antologie, raccolte di testi, florilegi iniziarono a sostituire la consultazione diretta delle opere fornendo, sotto forma di estratti, i passi più significativi di opere che bisognava conoscere o consultare. La necessità di dominare l'insieme della produzione letteraria, di organizzare il sapere e di renderlo facilmente accessibile divenne uno dei criteri fondamentali della produzione medievale di testi ed esistono manoscritti che lo provano in maniera evidente; il Vat. lat. 3010, per esempio, è una raccolta di 150 fogli conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana che contiene un insieme di citazioni estratte da opere scientifiche studiate nell'ambito del quadrivium.

La documentazione di cui si disponeva era ormai talmente vasta che non soltanto si sentì l'esigenza di riunirla in raccolte di questo tipo, ma anche di organizzarla classificandola sia per soggetto sia per ordine alfabetico. Nacquero sempre più numerosi i lessici bilingui e i glossari specialistici, destinati a fornire il significato preciso dei termini tradotti dal greco o dall'arabo e a consentire ai loro utilizzatori di cogliere in modo esatto il contenuto dei testi scientifici. Il passaggio da una lingua all'altra e da una cultura all'altra poneva non soltanto problemi di comprensione, ma anche di adattamento linguistico; per esempio, alcune nozioni ben chiare ai Greci non avevano un equivalente esatto in arabo, e il passaggio dall'arabo al latino aumentava ulteriormente la difficoltà. Si pervenne così a una terminologia tecnica non sempre corretta e cominciarono a diffondersi glossari specialistici che definivano i termini del lessico di base di una disciplina.

Le immagini e gli strumenti scientifici

Mentre nella maggior parte dei manoscritti le immagini costituiscono innanzi tutto un elemento decorativo, quelle che accompagnano la gran parte dei testi scientifici hanno un ruolo didattico di primo piano e, soprattutto, rappresentano oggetti; sono dunque rappresentazioni importanti per lo storico, non soltanto per ciò che immediatamente esibiscono, ma anche per ciò cui indirettamente rinviano. Così, per esempio nel campo della cartografia, le carte medievali, prima di acquisire una dimensione realmente scientifica, sono piuttosto il frutto di una 'visione' dell'Universo fondata essenzialmente sulla lettura e sul commento dei testi sacri; vi si scorgono i tre continenti conosciuti (Europa, Asia e Africa) collocati attorno al Mediterraneo in uno spazio circolare, e Gerusalemme vi figura spesso come centro del mondo (solamente grazie a carte nautiche come i portolani, redatte da marinai e da mercanti, le carte cominciarono a essere veramente scientifiche). Al di là del contenuto, la decorazione stessa dei manoscritti pone peraltro una serie di problemi; intanto, il più delle volte copia e decorazione erano opera di due persone diverse e, d'altra parte, nel caso di alcune raccolte sappiamo che questi due momenti non erano contemporanei; poteva anche accadere che parecchi anni separassero le diverse fasi di fabbricazione di un libro.

Le immagini, dunque, potevano essere esattamente il riflesso del testo che accompagnavano, oppure testimoniare una conoscenza più tarda e più sviluppata. Nel caso, poi, in cui l'immagine avesse un ruolo meramente decorativo, l'adeguamento al testo poteva essere del tutto relativo; seguendo, per esempio, la tradizione manoscritta di un erbario, in alcuni casi la tradizione dell'immagine non è la stessa del testo e a volte, addirittura, testo e illustrazione non concordano affatto. Inoltre, così come per i testi, anche per le illustrazioni esistevano tradizioni diverse; i processi di trasmissione della decorazione, tuttavia, sono ancora poco noti. Se all'interno degli scriptoria monastici erano i monaci a eseguire la decorazione, con il sorgere delle università si svilupparono laboratori di artigiani laici destinati a eseguire questo tipo di lavoro. Tali decoratori, anche se conoscevano bene il loro mestiere, non erano necessariamente al corrente del contenuto dei testi che dovevano illustrare e, soprattutto, non erano specialisti delle materie trattate; le loro illustrazioni non dovevano dunque essere sempre precise e il loro senso estetico finiva probabilmente per avere spesso la meglio sulla precisione scientifica. Per di più, i diversi laboratori si servivano di modelli stereotipati che ricopiavano pedissequamente, senza tenere conto dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche.

I diagrammi, gli schemi e i disegni a penna che accompagnavano spesso i testi universitari per illustrare determinati passaggi erano parte integrante del testo; frutto dell'opera degli autori o degli stessi copisti, essi presentavano dunque una maggiore precisione. Alcuni ambiti scientifici esigevano poi una rappresentazione strumentale che consentisse di coglierne meglio la specificità; nell'astronomia, per esempio, comparvero globi celesti, orologi e astrolabi destinati a illustrare in maniera più concreta le teorie esposte nei testi. Questi strumenti scientifici si perfezionarono a partire dal XII sec. ‒ quando i testi scientifici arabi giunsero in Occidente attraverso traduzioni latine ‒ e l'astrolabio fu senz'altro lo strumento più diffuso in questo periodo (North 1974); esso aveva la forma di un disco piatto e serviva a determinare l'altezza degli astri al di sopra dell'orizzonte, così come a calcolare le ore, le latitudini e le longitudini (v. cap. XX, par. 1).

Anche le carte geografiche e i portolani divennero sempre più numerosi e precisi a seguito dei viaggi effettuati tra l'Oriente e l'Occidente. D'altra parte, le missioni diplomatiche ed ecclesiastiche diedero origine a scambi di doni 'scientifici'; per esempio, l'imperatore Federico II, grande cultore di scienza araba, ricevette un orologio del tutto speciale dal sultano di Damasco, un planetarium di gran pregio che segnava le ore con l'ausilio dei movimenti del Sole e della Luna. In cambio l'imperatore inviò a Damasco un orso bianco e un pavone, che suscitarono l'ammirazione degli Orientali essendo ancora sconosciuti in quella parte del mondo.

Lo sviluppo degli strumenti scientifici era legato all'approfondimento delle conoscenze, conseguenza dell'insegnamento delle diverse branche del quadrivium; lo studio della trasmissione del sapere scientifico mette però in risalto la frattura esistente in epoca medievale tra teoria e pratica. L'insegnamento dei testi forniva un bagaglio teorico, ma l'apprendistato delle tecniche era ancora un terreno del tutto inesplorato, e anche se i contatti con l'Oriente ‒ soprattutto i paesi arabi e l'India ‒ produssero notevoli progressi su questo piano, la realizzazione di strumenti scientifici si svilupperà in realtà soltanto a partire dal XV sec., periodo in cui la comparsa della stampa modificherà considerevolmente anche i rapporti tra testo e immagine. Le illustrazioni che figuravano in margine ai manoscritti finirono per essere integrate nel testo; l'elemento colorato scomparve e immagini standardizzate circolarono da un laboratorio all'altro, mettendo così fine al contributo creativo dei miniaturisti medievali.

Nel complesso è opportuno porre in rilievo dunque il carattere teorico e libresco della trasmissione dei testi scientifici nell'ambito universitario; l'insegnamento si basava sulla lettura e sul commento di opere scientifiche, mentre la sperimentazione andava sviluppandosi soltanto gradualmente e, nonostante i contatti sempre più frequenti tra l'Oriente e l'Occidente, fra la pratica e la teoria esisteva un profondo divario. Da questo tipo del tutto particolare di trasmissione del sapere nascerà gradualmente una scienza occidentale autoctona, quando gli intellettuali ‒ nutriti dai testi della scienza greca e araba ‒ saranno in grado di liberarsi dalle auctoritates da essi studiate per dedicarsi all'elaborazione di dottrine personali, pervenendo a fondere armoniosamente teoria e pratica nella costruzione dei loro sistemi, prodotto di una riflessione originale e di una sperimentazione personale.

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