La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. La comunicazione scientifica ed erudita

Storia della Scienza (2002)

La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. La comunicazione scientifica ed erudita

Michael J. Gorman

La comunicazione scientifica ed erudita

Nei tre libri del De occulta philosophia, pubblicati nel 1531, Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim descrive un congegno per proiettare lettere sulla superficie della Luna. Secondo Agrippa, se i caratteri fossero stati scritti su una superficie e proiettati sul disco lunare nel modo giusto, chiunque avrebbe potuto leggerli sulla faccia della Luna, anche a grande distanza. Sosteneva che questo congegno sarebbe stato utile per le città assediate, perché avrebbe permesso loro di inviare messaggi di richiesta d'aiuto agli alleati.

La scrittura lunare sognata da Agrippa era soltanto uno tra i vari stravaganti espedienti suggeriti nel XVI e nel XVII sec. per facilitare la comunicazione. Erano stati progettati tubi per amplificare la voce umana, tecniche per trasportare in segreto lettere sott'acqua con l'ausilio di una campana subacquea, macchine per la traduzione; erano stati formulati anche linguaggi universali, concepiti per facilitare la comunicazione tra gli studiosi di tutto il mondo, da John Wilkins, Gaspar Schott, Gottfried Wilhelm Leibniz, Athanasius***Kircher e altri.

La proposta di espedienti che facilitassero la comunicazione fu accompagnata, all'inizio dell'Età moderna, da una più significativa, anche se meno visibile, trasformazione del modo in cui gli studiosi si scambiavano informazioni. L'invenzione della stampa ebbe conseguenze straordinarie sui metodi d'indagine della Natura dopo la metà del XV secolo. Nel XVI e XVII sec., lo sviluppo delle reti di corrispondenza dedicate ad argomenti scientifici, culminato negli scambi epistolari di Marin Mersenne, Athanasius Kircher e Henry Oldenburg, generò la formazione di 'comunità invisibili', intente alla trasmissione di informazioni astronomiche, dimostrazioni matematiche, esemplari botanici, libri e strumenti scientifici. La nascita delle riviste erudite, dal "Journal des Sçavans" alle "Philosophical Transactions" della Royal Society (in realtà del suo segretario Oldenburg), determinò nuove modalità per la diffusione della scienza naturale nella seconda metà del XVII secolo. Lo sviluppo delle tecniche grafiche, dalla rozza xilografia alla raffinata incisione su rame, trasformò il ruolo delle illustrazioni nei libri eruditi.

Oltre che dall'evoluzione delle tecniche della comunicazione scientifica, il XVI e il XVII sec. furono caratterizzati da un cambiamento nella visione etica della divulgazione dei segreti della Natura. L'idea stessa che la conoscenza empirica dovesse essere liberamente condivisa piuttosto che fruita attraverso un linguaggio oscuro e rivelata solo agli iniziati, fu motivo di controversia all'inizio dell'Età moderna. Persino la descrizione di Francis Bacon (1561-1626) della Casa di Salomone nella New Atlantis, spesso presa come modello per la ricerca collettiva della conoscenza propugnata dalla Royal Society, attribuisce un ruolo importante alla segretezza. Gli abitanti della Casa di Salomone si consultano per decidere "quali delle nostre invenzioni, esperienze e scoperte dobbiamo rendere pubbliche, e quali no, e [su quali dobbiamo] fare voto di segretezza per tenere celate quelle che riteniamo opportuno mantenere segrete; sebbene alcune di queste a volte riveliamo allo stato, e alcune no" (Scritti filosofici, p. 864).

Nel XVII sec. l'esigenza di divulgare il sapere scientifico non era sentita da tutti. Il diarista inglese John Evelyn (1620-1706) decise di non pubblicare le sue scoperte perché riteneva che ciò avrebbe "molto diminuito il loro valore prostituendole al volgo", e simili opinioni erano frequentemente espresse dagli studiosi, che mettevano in discussione la necessità di diffondere a tutti i livelli sociali la conoscenza del mondo naturale. La storia del rapporto di filosofi e studiosi della Natura con i nuovi mezzi di comunicazione diventa così la storia dello sviluppo di atteggiamenti diversi nei confronti della diffusione dei segreti della Natura.

L'editoria e i libri scientifici

Nel De stella nova in pede Serpentarii, del 1606, l'astronomo Johannes Kepler commentava con entusiasmo l'invenzione della stampa e ne apprezzava i benefici su tutti gli aspetti della cultura umana:

Con l'avvento della stampa i libri ebbero una diffusione molto più ampia. E quindi tutti in Europa si dedicarono allo studio della letteratura […], ogni anno, soprattutto a partire dal 1563, il numero di scritti pubblicati in ogni campo è maggiore rispetto a quelli prodotti nei mille anni precedenti. Grazie a essi oggi è stata creata una*** nuova teologia e una nuova giurisprudenza. I seguaci di Paracelso hanno rifondato la medicina e i copernicani l'astronomia. Sono veramente convinto che finalmente il mondo è vivo, anzi lo sia più che mai, e che gli stimoli di queste straordinarie congiunzioni non abbiano agito invano. (GW, I, pp. 277-278)

La descrizione di Kepler indica la radicale trasformazione operata sulla pratica scientifica del XV sec. dall'invenzione della stampa. È significativo che a molti degli anni cruciali della Rivoluzione scientifica corrispondano date di pubblicazioni: nel 1543 uscirono il De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio e il De revolutionibus orbium coelestium di Niccolò Copernico; nel 1610 il Sidereus nuncius di Galileo Galilei e nel 1687 i Principia di Isaac Newton. È naturale interrogarsi su come la stampa abbia cambiato la pratica della scienza e su come il passaggio dal manoscritto al libro stampato abbia influito sulla trasmissione e sul consumo di testi scientifici. La nascita della cultura della stampa ha modificato sia il ruolo degli autori di testi scientifici sia il modo di leggere i fenomeni naturali.

Qualcuno ritiene che la cultura della stampa abbia dato ai testi una nuova stabilità, che permetteva agli studiosi di risparmiare tempo nella ricerca del testo originale e non corrotto di una particolare opera, come la Naturalis historia di Plinio o l'Almagesto di Tolomeo. Di conseguenza i lettori, i curatori e i commentatori delle edizioni a stampa potevano dedicarsi maggiormente al confronto dei testi con le nuove osservazioni e con altre opere importanti. Elizabeth Eisenstein (1979) sostiene che la Rivoluzione scientifica del XVI e XVII sec. fu debitrice sia alla stampa sia al nuovo modo di osservare il mondo naturale. Tuttavia, l'attendibilità testuale determinata dalla stampa fu spesso solo parziale. Per quanto riguarda la letteratura tecnica, comprese le opere di matematica e di filosofia naturale, la mancanza di conoscenza specifica da parte degli stampatori ebbe spesso conseguenze disastrose. Il maestro di Kepler, il grande astronomo e osservatore Tycho Brahe (1546-1601), scriveva che: "L'arte della stampa è stata inventata meno di centocinquanta anni fa; e nel lungo intervallo di tempo che l'ha preceduta, molte cose, soprattutto i numeri, potevano essere sbagliati a causa del fatto che erano stati riscritti tante volte. Ma l'errore si verifica facilmente anche nell'arte stessa della stampa, soprattutto in questo campo, a meno che non si impieghi un correttore molto attento" (Opera omnia, VI, pp. 71-72).

Le opere a stampa, come indica chiaramente Tycho, erano altrettanto soggette a trasmettere errori quanto quelle manoscritte, a meno che non fosse dedicata grande cura al controllo del processo di stampa. Il rischio di una stampa scorretta di testi tecnici portò alcuni dei filosofi naturali più ricchi, compreso lo stesso Tycho, a dotarsi di una propria officina tipografica. Neanche una macchina privata, tuttavia, era una difesa contro la circolazione di versioni contraffatte.

L'invenzione del metodo di stampa che usava caratteri metallici riutilizzabili è tradizionalmente attribuita all'orafo di Magonza Johann Gutenberg (1398 ca.-1468). In realtà lo sviluppo della stampa nel XV sec. fu probabilmente il frutto di un processo graduale che implicò una serie di successive innovazioni introdotte da persone diverse. I caratteri mobili erano usati già da molto tempo in Cina, ma diversamente dalle lettere di metallo fuso di Gutenberg, i caratteri cinesi erano di terracotta e quindi duravano meno. Una generazione dopo Gutenberg, gli stampatori erano già all'opera in un*** gran numero di centri di commercio in tutta la Germania, l'Olanda, l'Italia e la Francia, e i libri esistenti erano probabilmente più numerosi di quelli prodotti in forma manoscritta fino a quel momento. Spesso contenevano maiuscole e margini miniati a mano e presentavano informazioni sull'editore nel marchio, posto alla fine del libro piuttosto che sul frontespizio.

La parola stampata assunse per la prima volta un'importanza fondamentale per la scienza europea quando l'astronomo Johann Müller di Königsberg, noto come Regiomontano, aprì la sua stamperia a Norimberga nel 1471. Scelse Norimberga come sua sede permanente "non solo a causa della disponibilità di strumenti, soprattutto quegli strumenti astronomici su cui si basa l'intera scienza dei cieli, ma anche a causa della grandissima facilità di comunicare in ogni modo con gli eruditi che vivono ovunque, poiché questo luogo è considerato il centro dell'Europa grazie ai viaggi dei mercanti" (Zinner 1990, p. 23). La decisione di Regiomontano di installare una macchina da stampa in casa propria era motivata dal suo desiderio di pubblicare opere tecnico-scientifiche, economicamente non convenienti per gli stampatori di Norimberga e che richiedevano abili artigiani per inserire correttamente nei testi i diagrammi xilografati.

Come primo editore di letteratura astronomica e matematica, Regiomontano mirava a offrire ai suoi lettori testi privi di errori tipografici e manuali. Pubblicò un opuscolo nel quale pubblicizzava i libri che uscivano dalla sua stamperia, con un'ampia lista di volumi di prossima pubblicazione. Tra questi comparivano le opere di Euclide e Archimede, le Coniche di Apollonio, l'Almagesto e la Geografia di Tolomeo, l'Idraulica di Erone di Alessandria, gli Sphaerica di Menelao di Alessandria e gli Sphaerica di Teodosio Tripolita, l'Astronomia di Igino, l'Aritmetica di Giordano Nemorario, l'Ottica di Witelo e una serie di commentari e libri scritti da lui stesso. Pubblicò anche alcune sprezzanti critiche delle traduzioni disponibili dei testi classici e commenti sulle opere di astronomia antiche. La sua Epitome dell'Almagesto, un testo di grande importanza sull'astronomia tolemaica che sia Copernico sia Galilei avrebbero letto, fu pubblicata dopo la sua morte, nel 1496. Nella sua stamperia, oltre a rendere disponibili opere antiche e moderne prestando particolare attenzione all'accuratezza, Regiomontano pubblicò la prima edizione a stampa delle Effemeridi, in cui era riportata la posizione dei corpi celesti tra il 1475 e il 1506. Cristoforo Colombo portò con sé una copia delle Effemeridi di Regiomontano nel suo quarto viaggio e la usò per prevedere l'eclissi lunare del 29 febbraio 1504, diffondendo il terrore tra gli indigeni ostili dell'isola di Santiago (Giamaica). Le tavole astronomiche medievali presentavano spesso errori di copiatura cui la stampa di effemeridi consentiva di ovviare, permettendo a studiosi, anche molto distanti, di confrontare le loro previsioni sulla base degli stessi dati.

Pochi tra i primi astronomi moderni esercitarono sulla pagina scritta lo stesso stretto controllo di Regiomontano. La maggior parte di loro si doveva affidare agli stampatori comuni. Tra le eccezioni più rilevanti possiamo citare Tycho Brahe, che installò una macchina, rifornita da una sua cartiera personale, nel famoso Osservatorio di Uraniborg nell'isola di Hveen, e l'astronomo di Danzica Johannes Hevelius. Tycho e Hevelius sfruttarono il loro speciale rapporto con la stampa non soltanto per garantire una rigida supervisione dei contenuti delle opere, ma anche per controllare la distribuzione dei propri scritti, offrendone esemplari ai loro aristocratici protettori.

Poter consultare copie sempre più affidabili e facilmente disponibili dei testi antichi di storia naturale si dimostrò decisivo per scoprire gli errori materiali degli autori. La stampa consentì anche di presentare i testi accompagnati da una serie di nuovi strumenti di studio: indici, liste di errori, note e riferimenti incrociati. La possibilità di produrre varie edizioni successive, che contenevano correzioni e nuovi dati, facilitò il lavoro di chi scriveva su argomenti legati al mondo naturale. La Cosmografia di Sebastian Münster, pubblicata per la prima volta nel 1544, ebbe otto edizioni nel corso della vita dell'autore e altre trentacinque prima del 1628, con l'aggiunta di un numero sempre maggiore di tavole, grafici, indici e illustrazioni, finché non fu soppiantata da opere più specializzate. Nel campo della botanica, i commentari di Pierandrea Mattioli su Dioscuride, pubblicati per la prima volta nel 1544, furono rivisti e ampliati in varie edizioni successive, con l'aggiunta di nuovi esemplari e descrizioni di piante esotiche che erano state via via inviate all'autore. Il Theatrum orbis mundi, pubblicato nel 1570 dal geografo di Anversa Abraham Ortel, costitusce un ottimo esempio delle trasformazioni indotte dalla stampa nel metodo di raccogliere dati nel campo della geografia e della cartografia. Ortel, legato allo stampatore di Anversa Christophe Plantin, invitò i lettori a inviargli commenti sul suo lavoro e incluse progressivamente le numerose correzioni e le nuove mappe che gli erano state mandate nelle ventotto edizioni dell'opera, pubblicate nel corso della sua vita. La stampa fu solo uno degli elementi che determinarono il grande successo delle iniziative di Ortel e Mattioli, i quali contarono anche sulle reti e sui canali di distribuzione dei mercanti e degli eruditi. Dove mancavano questi canali, infatti, le successive edizioni a stampa di testi del XVI sec. degenerarono anche più rapidamente di quelle tramandate in forma manoscritta.

Nel corso del XVI e del XVII sec., le più famose stamperie europee si trasformarono in luoghi di vivace interazione e scambio tra artisti, filologi, filosofi naturali, artigiani e stampatori. La casa di Plantin e di Jan Moretus ad Anversa era frequentata da Justus Lipsius (Joost Lips), Ortel e Peter Paul Rubens. Un'opera come gli Opticorum libri sex di François d'Aguilon, pubblicata dalla stamperia anversana nel 1613, poteva vantare un'altissima qualità di stampa e le illustrazioni di Rubens. Nel XVI sec., come accade ancora oggi, gli autori tecnici potevano raramente sperare di guadagnare molto con le loro pubblicazioni. Come diceva Ortel: "mi sembra che, per quanto io abbia potuto appurare, ai nostri giorni gli autori raramente ricevono denaro per i loro libri, perché di solito li affidano agli stampatori e ne ricevono solo qualche copia dopo che sono stati stampati. Gli autori si aspettano anche qualcosa dalla dedica dell'opera, grazie alla generosità di un mecenate, ma penso che spesso, anzi quasi sempre, rimangano delusi" (Jardine 1996, pp. 178-179).

Durante il XVII sec., la stamperia fondata ad Amsterdam da Willem Janszoon Blaeu (Blavius) divenne un importante centro di raccolta di dati scientifici e geografici. Egli, dopo aver lavorato come impiegato nel commercio delle aringhe, era stato uno degli assistenti di Tycho a Hveen tra il 1595 e il 1596, prima di tornare ad Amsterdam ad aprire la sua bottega, che fabbricava e vendeva strumenti astronomici e per la navigazione, carte nautiche e guide. Blaeu introdusse anche importanti miglioramenti nella tecnica della stampa. Nel 1637, nella sua bottega vi erano nove macchine per la stampa a rilievo, sei per le incisioni su rame, una fonderia per i caratteri e ambienti di lavoro per gli incisori. Il magnifico Atlas maior (1662-1665) in dodici volumi, edito da suo figlio Joan, soppiantò ben presto l'opera di Ortel.

La pubblicazione di libri costituiva solo una parte del lavoro degli stampatori, molti dei quali erano legati a chi fabbricava gli strumenti matematici e costruttori essi stessi. Tra il 1599 e il 1603, Blaeu produsse diverse edizioni a stampa di un globo celeste; le ultime contenevano i dati raccolti dalla spedizione olandese degli anni 1595-1597. A volte la distinzione tra la divulgazione di libri e di strumenti astronomici scompariva del tutto; per esempio l'Astronomicum Caesareum di Pietro Apiano del 1540 includeva elaborati planisferi cartacei e dischi di carta sui quali erano sovrapposti indici che era possibile far ruotare nelle posizioni di ciascun pianeta (le cosiddette 'volvelle'). Copie del Sidereus nuncius di Galilei furono distribuite attraverso i canali diplomatici medicei insieme a telescopi che permettevano a chi riceveva il libro di tentare di ripetere le osservazioni astronomiche. Astrolabi e sfere armillari erano spediti agli aristocratici mecenati insieme ai nuovi manuali stampati che ne descrivevano l'uso. I libri a stampa assunsero così un ruolo importante nella nuova cultura della circolazione degli strumenti matematici e astronomici.

Le illustrazioni scientifiche e i libri illustrati

Se le probabilità di incorrere in errori nella trascrizione manuale dei testi erano alte, la riproduzione imprecisa delle illustrazioni era quasi inevitabile prima della scoperta di tecniche che permettessero di farne molte copie. Nei secc. XV e XVI si assiste a una radicale trasformazione del ruolo delle immagini nella descrizione del mondo naturale. La transizione dalle elaborate miniature a margine e dalle illustrazioni di abilissimi artisti aggiunte ai manoscritti, alla comparsa nelle edizioni a stampa di xilografie riutilizzabili e di incisioni su rame, modificò i rapporti tra autori di testi scientifici e artisti. Le illustrazioni confermano il lavoro collettivo su cui si basava la produzione dei testi. Il ruolo delle illustrazioni nelle opere tecniche divenne motivo di disaccordo tra i primi scrittori di filosofia e di storia naturale.

Il problema di riprodurre copie fedeli delle illustrazioni botaniche era già stato sollevato da Plinio il Vecchio nella Naturalis historia:

si sono occupati della materia [botanica] alcuni autori greci […]: tra essi Crateva, Dionisio, Metrodoro, che hanno adottato un tipo di trattazione molto suggestivo, ma dal quale quasi nient'altro si può ricavare se non l'idea della difficoltà dell'argomento. Hanno infatti disegnato le figure delle piante e, sotto, ne hanno indicato le proprietà. Ma la riproduzione è già di per sé poco fedele a causa della grande varietà dei colori, soprattutto quando vuole gareggiare con la natura; inoltre produce molte alterazioni la negligenza dei ricopiatori. E poi è insufficiente disegnare le piante come sono in un solo periodo dell'anno, dal momento che il loro aspetto si modifica nel corso delle quattro stagioni.

Per questo motivo gli altri autori hanno lasciato sull'argomento solo trattazioni discorsive; alcuni non hanno neppure dato indicazioni sulla forma delle piante e se la sono sbrigata per lo più riportandone semplicemente i nomi, dato che sembrava loro sufficiente farne conoscere le proprietà e l'efficacia a chi se ne volesse informare. (XXV, 4-5)

L'insistenza di Plinio nel sottolineare la difficoltà di garantire che i testi riguardanti la Natura fossero corredati di immagini affidabili evidenzia un problema importante per gli autori di storia e di filosofia naturale, che precedettero l'invenzione della stampa.

Testi di scrittori classici, come la Geografia di Tolomeo, conservarono la loro importanza per tutto il Rinascimento, anche grazie al modo in cui i loro autori aggiravano il problema delle inevitabili modifiche e alterazioni delle illustrazioni dovute alle trasmissioni del testo; spesso le illustrazioni erano descritte in maniera completa e dettagliata e ‒ nel caso di Tolomeo ‒ accompagnate da un sistema di coordinate. La nascita di nuove tecniche che consentivano la circolazione di testi corredati di immagini non modificabili offriva agli autori la possibilità di servirsi più fiduciosamente delle prove visive. Ora che l'esatta riproduzione delle immagini era divenuta possibile, le descrizioni di piante e animali esotici, della linea costiera delle terre appena scoperte e delle costellazioni meridionali potevano, almeno in linea di principio, trovare conferma in illustrazioni dettagliate, tabelle e mappe astrali. In pratica, il fatto che la produzione di libri stampati fosse un processo collettivo comportava che spesso gli autori avessero un controllo limitato sulle immagini che accompagnavano i loro testi, anche dopo l'avvento della stampa. Dipendendo da stampatori ignoranti, desiderosi di trovare scorciatoie per piazzare al più presto i prodotti sul mercato, nella ristampa i libri illustrati subivano spesso una notevole perdita di qualità, come nel caso di una serie di erbari stampati tra il 1480 e il 1526.

Prima dell'invenzione dei caratteri mobili, esistevano due metodi per riprodurre immagini. Le matrici di legno erano largamente usate per i disegni, soprattutto figure votive destinate ai pellegrini, già dalla fine del XIV secolo. Nell'Europa del XIV sec. anche l'introduzione delle carte da gioco dal mondo arabo costituì uno stimolo allo sviluppo di tecniche per riprodurre immagini; le lastre di metallo incise cominciarono a essere usate a questo scopo intorno al 1430. Quando le figure erano integrate nel testo, le matrici di legno erano più convenienti; stampavano a rilievo, come i caratteri di metallo ‒ le linee in rilievo delle matrici di legno erano inchiostrate e poi premute sulla carta, per lasciare un'impronta ‒ e quindi le matrici e i caratteri di legno potevano essere composti sulla stessa forma. Le incisioni su lastre di metallo richiedevano invece l'abilità e gli strumenti di un fabbro e avevano costi di produzione maggiori rispetto alle matrici di legno, oltre a presentare la necessità di essere stampate su pagine separate da quelle scritte. Quando cominciarono a diffondersi, si tendeva a usare le lastre metalliche con parsimonia e solo per lavori particolari, come carte o tavole sciolte o indipendenti dal testo e frontespizi di libri.

Anche le matrici di legno avevano i loro svantaggi. Nei primi tempi della xilografia era difficile ottenere linee molto sottili, un problema che spinse uno dei primi stampatori degli Elementi di Euclide, Erhard Ratolt, a usare l'espediente di montare su gesso fili di metallo opportunamente piegati per riprodurre i diagrammi geometrici. Quando le illustrazioni divennero più elaborate, poteva essere richiesto anche il contributo di tre persone diverse. Un artista, anche noto, poteva ricoprire il ruolo di 'inventore', responsabile del progetto e del disegno che un 'disegnatore' riportava sulla matrice e quindi uno 'scultore', spesso un ebanista, incideva nel legno. Quando si trattava di un autore vivente, il suo grado di coinvolgimento in questo processo era estremamente variabile.

Data la problematicità dei rapporti tra testo e immagine nel processo di stampa, molti autori del XVI sec. insistevano nel voler controllare le illustrazioni dei loro libri. Nel De re metallica, pubblicato postumo nel 1556, Georg Bauer Agricola, a proposito delle vene metallifere, delle macchine e delle fornaci delle quali si tratta nell'opera, sostiene non solo di averle descritte, ma di aver assunto illustratori per delinearne le forme, nel timore che quanto espresso a parole non fosse compreso dagli uomini del tempo, o che creasse difficoltà ai posteri. Le immagini che accompagnano le descrizioni di Agricola delle tecniche minerarie e dei macchinari mostrano una serie di notevoli innovazioni visive, tra cui il frequente uso di 'sezioni', per permettere ai lettori di vedere il funzionamento dei congegni. Queste immagini si distaccano radicalmente da quelle schematiche e mnemoniche che accompagnano molte opere medievali sul mondo naturale.

Anche il botanico Leonhart Fuchs si impegnò a controllare la precisione dei disegni di piante che presentava nei De historia stirpium commentarii insignes (1542). Egli nomina gli artisti coinvolti nella produzione del libro: Albrecht Meyer aveva eseguito i disegni dal vero, Heinrich Fuellmaurer li aveva trasferiti sulle matrici di legno e Veit Rudolf Speckle aveva inciso le matrici. È interessante notare che lo scultore era pagato molto di più rispetto agli altri artisti. Fuchs, nella dedica al principe elettore di Brandeburgo, insiste nell'affermare che le immagini sono superiori alle parole come mezzo per esprimere la conoscenza botanica:

Sebbene i disegni siano stati preparati con grande impegno e sudore, non sappiamo se in futuro verranno considerati inutili e senza importanza e se qualcuno citerà l'inconsistente autorità di Galeno per dire che nessuno che voglia descrivere delle piante cercherebbe di disegnarle. Ma perché sprecare altro tempo? Quale persona sana di mente condannerebbe delle immagini in grado di comunicare informazioni molto più chiaramente anche delle parole del più eloquente degli uomini? Le cose che vengono presentate all'occhio e dipinte su pannelli o su carta si fissano di più nella mente di quelle descritte a semplici parole. Di sicuro ci sono molte piante che non possono essere descritte a parole per essere riconosciute, ma che, messe davanti agli occhi in un'immagine, possono essere riconosciute a prima vista.

L'insistenza di Fuchs sull'accuratezza delle immagini del suo libro e sul fatto che fossero disegnate dal vero induce a pensare che questa prassi non fosse la più comune nelle prime opere illustrate dell'Età moderna. Lo stampatore di Francoforte Christian Egenolff, per esempio, nel 1540 pubblicò un erbario in latino e Fuchs notò che aveva riutilizzato le stesse immagini per accompagnare piante diverse. Molti libri, inoltre, contenevano illustrazioni copiate da altri autori.

La celebre Historia animalium (1551-1587), dell'enciclopedista Konrad von Gesner, per esempio, conteneva un gran numero di illustrazioni riprese da altri autori o inviate a Gesner dai suoi corrispondenti, tra cui il famoso disegno del rinoceronte eseguito da Albrecht Dürer nel 1515. Rappresentazioni dal vero, d'altra parte, erano promesse negli opuscoli che descrivevano mostri e strane apparizioni celestiali e che circolavano ampiamente nell'Europa del XVI secolo. Tuttavia, il riutilizzo delle matrici di legno era ovviamente giustificato da motivi economici, in quanto la creazione di nuove illustrazioni costituiva uno dei maggiori costi che poteva comportare la produzione di un libro e gli stampatori erano spesso coinvolti in un commercio segreto di matrici usate. Le illustrazioni fecero salire il prezzo dei libri al dettaglio e le opere più riccamente illustrate andavano ben oltre le possibilità economiche di molti studiosi.

Come le illustrazioni botaniche, che spesso contenevano nello stesso diagramma immagini delle diverse fasi dello sviluppo di una pianta, le illustrazioni anatomiche di solito condensavano i risultati di varie dissezioni in un'unica immagine. Queste ultime, dunque, piuttosto che riprodurre l'esperienza diretta, la arricchivano e potevano essere considerate superiori a qualsiasi osservazione individuale, come sosteneva Leonardo da Vinci a proposito dei suoi disegni anatomici. Vi era quindi una contraddizione insita nelle illustrazioni botaniche e anatomiche, perché, da un lato, presentavano un singolo esempio con dovizia di particolari e, dall'altro, combinavano, in un unico documento visivo, i risultati di diverse osservazioni condotte in un arco di tempo. Quando i disegni dovevano riprodurre esemplari privi di vita, come spesso avveniva nei testi di zoologia e di botanica, gli artisti erano incerti se rappresentare fedelmente gli animali morti e in decomposizione, a costo di deludere o disgustare i lettori, o riprodurli come se fossero vivi e collocarli nel loro contesto naturale, correndo il rischio di essere accusati di falsità. Un esempio indicativo di questo atteggiamento oscillante è rappresentato da Pierandrea Mattioli, che, mentre nella prima edizione del suo commentario al De materia medica di Dioscuride si era rifiutato di usare immagini, sostenendo che non potevano catturare il mutevole aspetto di una pianta nel corso delle stagioni, in seguito avrebbe utilizzato due artisti di Praga e cinque incisori viennesi per produrre illustrazioni a piena pagina. Il fatto di aver usato piante secche per le sue illustrazioni scatenò contro Mattioli le critiche di alcuni suoi contemporanei. Essi sostenevano infatti che l'unico modo per descrivere seriamente una pianta fosse quello di coltivarla con cura fin dall'inizio del suo ciclo vitale.

Uno dei più famosi e, nello stesso tempo, più particolari esempi di 'ricontestualizzazione' del XVI sec. è rappresentato dalle straordinarie xilografie realizzate da Jan van Calcar, un discepolo di Tiziano, per il De humani corporis fabrica (1543) di Andrea Vesalio. Queste xilografie rappresentavano corpi di 'uomini muscolosi' scuoiati, posti in pose classiche sullo sfondo di paesaggi e non sul tavolo anatomico della dissezione. Lo scheletro è ritratto mentre medita sulla morte del corpo e sulla vita dell'anima. Le figure dell'opera di Vesalio, realizzate sotto il suo stretto controllo, sono riproduzioni altamente idealizzate di un corpo sezionato ed egli ne giustifica l'uso nel suo lavoro non in sostituzione del testo, ma perché "aiutano grandemente a rafforzare la memoria in queste materie", sottolineando in tal modo la funzione mnemonica delle immagini.

Il problema di valutare l'accuratezza di una particolare rappresentazione assumeva specifica importanza nel caso della registrazione di osservazioni fatte con l'ausilio di strumenti ottici. Costruire immagini della Luna osservata con l'aiuto del telescopio o di esemplari analizzati al microscopio richiedeva sia abilità grafiche sia capacità di osservazione da parte dell'autore. Grazie alla sua conoscenza delle tecniche del chiaroscuro, Galilei poté aggiungere al Sidereus nuncius xilografie dei suoi disegni della Luna, che presentavano in forma condensata i risultati di una lunga serie di osservazioni. In ogni singolo momento, il telescopio gli consentiva, infatti, di vedere soltanto un quarto della superficie lunare. Le sue conoscenze tecniche gli permisero anche di interpretare le ombre e i punti di luce come prova dell'esistenza delle montagne lunari descritte nel testo. I disegni non raffiguravano fedelmente i crateri, ma si basavano sulle specifiche convenzioni pittoriche utilizzate per la rappresentazione dei rilievi.

Forse ancor più interessante dei tentativi di rendere con la xilografia la superficie della Luna è l'uso che Galilei fece della tipografia per rappresentare le diverse posizioni dei satelliti di Giove: egli utilizza infatti per il pianeta il carattere 'O', intorno al quale orbitano quattro asterischi. Adattando le convenzioni tipografiche già esistenti per raffigurare Giove e le sue lune, egli aggirò il problema di creare rappresentazioni visivamente convincenti del pianeta, facendo in modo che i suoi lettori non si concentrassero sulla verosimiglianza grafica, ma sulle argomentazioni con le quali nel testo si dimostrava la rotazione periodica delle lune.

La produzione delle illustrazioni fu fondamentale per garantire il successo della Micrographia di Robert Hooke, del 1665. Nella prefazione alla sua opera, egli forniva particolari sul metodo con cui le incisioni erano state realizzate, sulla base dei suoi disegni e delle sue indicazioni. Non aveva tentato di riprodurre esattamente quello che aveva visto al microscopio, dato che, affermava, gli esemplari apparivano diversi a seconda delle condizioni di luce; piuttosto aveva condotto osservazioni molto prolungate per poter scoprire la "vera forma" dell'oggetto:

In un certo tipo di luce, gli occhi di una mosca appaiono quasi come un reticolo, perforati da un gran numero di piccoli opercoli, il che probabilmente spiega perché l'ingegnoso dottor Power sembra supporre che siano così. Alla luce del Sole appaiono come una superficie coperta di chiodi dorati; da un'altra prospettiva, come una superficie coperta di piramidi; da un'altra ancora, di coni; e da altre prospettive di forme alquanto diverse; ma la luce migliore è quella raccolta sull'oggetto con i mezzi che ho già descritto.

Nel XVII sec., l'impiego ‒ non sempre pertinente e accurato ‒ di illustrazioni in opere che trattavano del mondo naturale suscitava accese discussioni. Mentre stampatori come Johann Theodore De Bry, Plantin e Moretus erano famosi per la produzione di emblemi e frontespizi allegorici, che spesso funzionavano come guida visiva di ausilio a una più agevole ricezione dei contenuti dell'intera opera, alcuni mettevano in dubbio l'opportunità di usare immagini come veicolo per la comprensione del mondo naturale. Kepler criticava l'abbondanza di figure delle pubblicazioni di Robert Fludd, in cui le immagini erano usate come supporti mnemonici, emblemi e sussidi per la comprensione, e si dichiarava in favore di una più sobria subordinazione delle immagini al contenuto testuale nelle opere dedicate al mondo naturale. Allo stesso modo, gli autori protestanti criticavano l'uso eccessivo di immagini elaborate nelle opere di filosofia naturale, prodotte da gesuiti quali Athanasius Kircher e Mario Bettini.

La corrispondenza

Il processo della Rivoluzione scientifica si avviò anche grazie alla circolazione di una serie di oggetti, notevole per quantità e varietà. Le vetrine delle curiosità del XVI e del XVII sec. erano piene di manufatti ed esemplari esotici, dai corni di narvalo alle uova di struzzo, raccolti in terre lontane da mercanti e missionari. Nei giardini botanici fiorivano piante cresciute da semi riportati da viaggiatori che avevano visitato il nuovo mondo. I libri di argomento scientifico prodotti dalle stamperie europee trovavano appassionati lettori in Cina, Messico e Brasile.

Alla base di questa circolazione di oggetti vi erano le vastissime reti di corrispondenza dei secc. XVI e XVII: quella dei Fugger di Augusta e di altri mercanti, quella diplomatica dei Medici, della Santa Sede e della Corona spagnola, quella dei missionari gesuiti e di altri ordini religiosi. Invece di rappresentare un'alternativa ai libri stampati o un sistema concorrenziale per far circolare informazioni, nel XVII sec. la corrispondenza manoscritta era strettamente collegata alla circolazione e ricezione delle opere a stampa. Inoltre, mentre queste erano di solito soggette a censura e comportavano spese e ritardi, la corrispondenza manoscritta non era quasi mai censurata, era economica e relativamente rapida.

La corrispondenza erudita europea fu agevolata dalla creazione, all'inizio del XVI sec., di una rete di strade postali in tutto l'Impero, che ben presto sarebbero passate sotto il controllo della famiglia Thurn und Taxis. Le lettere erano usate per una serie di scopi diversi dai dotti della prima Età moderna. Come ha dimostrato Ann Goldgar (1995), esse erano utilizzate per sollecitare e concedere protezione, riferire sullo stato delle ricerche, chiedere aiuto per ottenere informazioni che era impossibile reperire a livello locale e dare notizie sulle ultime pubblicazioni.

La circolazione epistolare era anche usata come 'pre-pubblicazione' e, a volte, per trattare argomenti troppo controversi per la stampa, come nel caso della Lettera a madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana di Galilei, del 1615, in cui lo scienziato lasciava intendere che le Sacre Scritture potevano essere interpretate diversamente per giustificare l'ipotesi copernicana. Galilei utilizzò la corrispondenza anche per affermare la priorità delle sue osservazioni al telescopio ed evitare che fossero ripetute o magari confutate da altri astronomi. A tale scopo inviava anagrammi sulle sue scoperte, come quello scritto per Kepler nel luglio del 1610: "smaismrmilmepoetaleumibunenuggttauiras".

Kepler interpretò l'anagramma in modo errato, come "Salve umbistineum geminatum Martia proles" (Salve, furiosi gemelli, prole di Marte) e ne dedusse che Galilei avesse scoperto che Marte aveva due lune. Il messaggio nascosto di Galilei era invece "Altissimum planetam tergeminum observari" (Ho visto il pianeta più alto [Saturno] con tre corpi). Poco dopo, Galilei inviò una lettera con un altro anagramma all'ambasciatore toscano a Praga: "Haec immatura a me jam frustra leguntur oy" (Questo è stato già tentato da me invano troppo presto). Quando Kepler pregò Galilei di mandargli la soluzione, questi si addolcì e gli scrisse il seguente messaggio: "Cynthiae figuras aemulatur mater amorum" (La madre degli amori [Venere] emula le forme di Cinzia [Diana]), riferendosi alle sue osservazioni sulle fasi di Venere.

La corrispondenza tra gli umanisti su argomenti eruditi, modellata sull'epistolografia classica, fiorì nel XV e nel XVI sec.; ne sono un esempio le lettere di Marsilio Ficino, Erasmo da Rotterdam, Juan Luis Vives e Lipsius, pubblicate in raccolte, come esempi di stile epistolare. Fu nel XVII sec. che in Europa si diffusero corrispondenze di argomento matematico, astronomico e, più in generale, filosofico-naturale tra studiosi che si dichiaravano membri di una apolitica e transconfessionale Repubblica delle Lettere come Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, Marin Mersenne, Ismaël Boulliau, Samuel Hartlib, Athanasius Kircher e Henry Oldenburg. Il XVII sec. vide la nascita di un nuovo tipo di scrittore scientifico ‒ l'informatore o épistolier ‒ che riceveva, copiava a mano e faceva circolare lettere che trattavano di fenomeni naturali. Lo scambio epistolare, come si diceva, servì anche per risolvere dispute sulla priorità. Per esempio, alla fine del XVI sec. Tycho Brahe si affrettò a pubblicare la propria corrispondenza con l'osservatorio del langravio Guglielmo IV di Assia-Cassel per dimostrare la sua vittoria su Christoph Rothmann, astronomo del langravio, e la precedenza del proprio sistema cosmologico rispetto a quello di Nicholas Reymers Baer, noto anche come Ursus. La pubblicazione di lettere di personaggi diversi nei libri di filosofia naturale, per sostenere la reputazione dell'autore, risolvere una controversia o aggiungere una nuova osservazione astronomica o sperimentale, divenne una pratica molto diffusa nel XVII secolo.

Nel periodo della Controriforma, la corrispondenza assunse un ruolo particolarmente importante per i gesuiti, il cui fondatore Ignazio di Loyola fu protagonista degli scambi epistolari più intensi e nutriti del XVI sec.; inoltre, i protocolli usati dai gesuiti per trasmettersi informazioni ebbero un grande influsso sullo sviluppo delle reti di corrispondenza erudita del XVII secolo. Nel luglio del 1547, Juan de Polanco, il segretario di Loyola, delineò le varie funzioni dei frequenti scambi di corrispondenza tra i membri dell'Ordine. A suo avviso, i mercanti, che ben sapevano come sfruttare l'arte epistolare per perseguire i loro 'meschini interessi', erano di gran lunga più avanti dei gesuiti in questo campo. Polanco stilò una lista di almeno venti vantaggi che riteneva potessero derivare dal frequente scambio di lettere tra Roma e la periferia.

Oltre a rafforzare l'unità della Compagnia di Gesù, alimentare i legami affettivi tra i membri e stimolare il senso di umiltà tenendoli puntualmente informati sulle degne imprese dei confratelli, la corrispondenza contribuiva a diffondere la fama della Compagnia e a migliorare l'efficienza del suo governo. Polanco notava che ai gesuiti delle province era affidato un compito molto meno gravoso di quello che spettava ai burocrati della sede centrale romana dell'Ordine, i quali affermavano di occuparsi volentieri del compito di scrivere, essendo questa la loro principale e quasi esclusiva attività. Mentre, infatti, dalla periferia si scriveva solo per rendere conto del proprio operato, a Roma, si era costretti a soddisfare le necessità dei luoghi più remoti in cui i gesuiti operavano. Allo scritto di Polanco era acclusa anche una breve serie di regole da seguire nella corrispondenza e le istruzioni pratiche per inviare e ricevere lettere, utilizzando chierici in viaggio o mercanti, e per impedire che cadessero nelle mani sbagliate.

Il modello di scambio epistolare di Polanco enfatizzava la centralità di Roma. Durante gli anni che seguirono, il metodo di corrispondenza divenne sempre più sofisticato, per fare fronte all'immensa espansione dell'Ordine, ma la corrispondenza centralizzata rimase alla base dell'apostolato dei gesuiti. Tutte le attività del loro ministero, dalla costruzione di nuove chiese e collegi all'elaborazione delle tecniche educative pubblicate nella Ratio studiorum, erano condotte a partire dalla raccolta e dalla valutazione delle lettere, dei rapporti e dei progetti che arrivavano a Roma.

Particolarmente importanti erano le Lettere annuali, compilate a Roma sulla base dei rapporti ricevuti e poi fatte circolare per informare i gesuiti delle province sulle attività dei loro confratelli di tutto il mondo. Queste lettere furono i primi veicoli di diffusione delle osservazioni sulla Natura da parte dei gesuiti, e cominciarono ben presto a essere pubblicate sistematicamente. Esse contenevano anche materiale relativo all'astronomia e alla cosmografia per soddisfare la curiosità delle élite europee, come sottolinea Ignazio di Loyola nella lettera a Gaspar Berze del 24 febbraio 1554:

Alcuni personaggi importanti che in questa città [Roma] leggono con grande beneficio personale le lettere dall'India, spesso desiderano, e mi chiedono ripetutamente, che si scriva qualcosa sulla cosmografia di quelle regioni dove vivono i nostri [i membri della Compagnia di Gesù]. Vogliono sapere, ad esempio, quanto durano le giornate in estate e in inverno, quando inizia l'estate, se le ombre si spostano verso sinistra o verso destra. Infine, se ci sono cose che possono apparire straordinarie, che siano resi noti, ad esempio, dettagli su animali e piante che siano del tutto sconosciuti, o di dimensioni diverse, ecc. E che queste notizie ‒ che come una salsa soddisfano il gusto di una certa curiosità che non è malvagia e si riscontra spesso tra gli uomini, possano apparire in quelle stesse lettere o in altre lettere separate. (Monumenta Ignatiana, epp., V, p. 330).

Incoraggiando i missionari gesuiti a osservare e riportare notizie relative alla cosmografia, all'astronomia e alla storia naturale, Loyola diede il via a una vastissima produzione di lettere su temi naturalistici, che sarebbero state pubblicate come opere collettive. All'inizio del XVIII sec., apparvero a Parigi le Lettres édifiantes et curieuses, edite dai gesuiti francesi. Questa impresa editoriale di grande successo, destinata a un pubblico colto, conteneva gli scritti dei gesuiti delle missioni d'oltremare. Una delle reti più vaste di corrispondenza erudita del XVII sec. fu quella di Athanasius Kircher, che riceveva lettere da Macao, da Goa, dalla Lituania e dal Brasile. Il gesuita tedesco corrispondeva in trenta lingue diverse, su argomenti che andavano dalla musica all'astronomia, dalla cultura cinese alle tecniche minerarie, dall'ottica al magnetismo. Questi scambi epistolari gli permettevano di collezionare oggetti esotici per il suo famoso museo di Roma e di mantenere rapporti con mecenati e intellettuali europei. Dal Collegio Romano, Kircher cercò di allargare la rete epistolare dei missionari gesuiti per poter disporre di osservazioni sulla declinazione magnetica condotte in tutto il pianeta, e tentare di risolvere il problema della misurazione della longitudine marina. In contrasto con l'atteggiamento 'individualistico' di autori come Galilei, egli sottolineava la necessità di un approccio collettivo per riformare la filosofia naturale e l'astronomia. I più adatti a portare avanti questa trasformazione culturale, grazie alla omogeneità di formazione e alla loro presenza in tutti i continenti, erano, secondo Kircher, i gesuiti. Per la sua impresa, egli prese a modello i precedenti tentativi di coordinare le osservazioni delle eclissi solari compiuti da Pierre Gassendi e Fabri de Peiresc, che avevano permesso loro di ricalcolare la lunghezza del Mediterraneo.

Nonostante l'impressionante quantità (2800 lettere ca.) e la vasta estensione geografica della corrispondenza di Kircher, l'appartenenza all'Ordine dei gesuiti compromise in qualche modo la sua partecipazione alla nascente Repubblica delle Lettere, fortemente concentrata sull'asse transconfessionale franco-olandese. La corrispondenza del frate minimo parigino Marin Mersenne (1100 lettere ca.) era decisamente più limitata di quella di Kircher, ma fu occasione di vigorosi scambi intellettuali su argomenti molto controversi di filosofia naturale e matematica.

Mersenne, che è stato definito la 'buca delle lettere dell'Europa colta', aveva studiato nel collegio dei gesuiti di La Flèche, come Descartes. Nella sua cella, aveva fondato una sorta di accademia informale, frequentata da Pierre de Fermat, Blaise Pascal, Pierre Gassendi, Gilles Personne de Roberval, Jean de Beaugrand e altri. Diversamente da Kircher, Mersenne si impegnava con zelo per mediare e trasmettere opere da un autore all'altro e influì in modo particolare sull'accoglienza degli scritti di Descartes e Galilei. La corrispondenza di Mersenne e quelle di Kircher furono fortemente influenzate dalla vastissima corrispondenza di Peiresc, che alla sua morte lasciò tra le 10.000 e le 14.000 lettere, circa metà delle quali giunte fino a noi. Peiresc era in contatto con quasi cinquecento studiosi, collezionisti e missionari di tutta Europa. I suoi interessi spaziavano dall'astronomia alle antichità, e tra i suoi corrispondenti vi erano Rubens e Galilei. Peiresc insisteva affinché i suoi interlocutori gli inviassero rapporti frequentemente e spesso li rimproverava se non gli scrivevano con regolarità. La sua casa di Aix-en-Provence costituiva un nodo cruciale di scambio tra gli intellettuali francesi e italiani.

Quando Oldenburg divenne primo segretario della Royal Society, ridefinì il ruolo della corrispondenza nell'ambito della filosofia naturale. In precedenza, il riformista e millenarista Samuel Hartlib aveva intessuto una fitta rete di corrispondenza in Inghilterra e, con John Dury, aveva suggerito l'idea di un Ufficio della corrispondenza, un ente autorizzato e finanziato dallo Stato con 'agenti' ufficiali che dovevano occuparsi di raccogliere informazioni, comprese quelle relative alle 'ingegnosità', che di solito erano innovazioni tecniche, a beneficio dello Stato, affinché potesse farne pubblico uso come riteneva più opportuno. L'Ufficio era stato ideato sul modello del Bureau d'Adresse di Théophraste Renaudot, fondato a Parigi nel 1633 come foro di discussione su tutte le questioni di interesse dell'epoca, esclusa la religione. Hartlib non era propriamente un filosofo naturale, ma i suoi tentativi di 'organizzare le informazioni' relative ai movimenti di riforma e alle arti applicate costituirono senza dubbio un modello importante per il metodo della raccolta di informazioni che si sarebbe affermato nell'Inghilterra del XVII secolo.

Diversamente da Peiresc, Hartlib e Mersenne, Oldenburg era il segretario ufficiale di una comunità di filosofi naturali. Era suo compito comunicare le notizie sugli esperimenti e sulle attività della Royal Society agli intellettuali dell'Europa continentale e mediare con diplomazia tra le dispute sulle questioni legate alla sperimentazione. Per quindici anni Oldenburg funse da mediatore tra i corrispondenti della Royal Society e ampliò enormemente le precedenti reti di corrispondenza inglesi, evitando con cura di offendere i membri della Repubblica delle Lettere. Quando, nel 1665, l'osservazione di una cometa condotta da Hevelius si dimostrò incompatibile con quelle dei membri della Royal Society, Oldenburg avanzò con molto tatto l'ipotesi che forse Hevelius aveva individuato un'altra cometa fino ad allora sconosciuta, per non dire che le sue osservazioni erano errate.

La corrispondenza di Oldenburg non era né privata né del tutto pubblica e segna un momento di transizione sulla strada verso la pubblicazione delle riviste erudite. In quanto corrispondente istituzionale, egli era tenuto a raccogliere informazioni per indirizzare il programma sperimentale della Royal Society. Nella lettera del 3 aprile 1668, Robert Boyle scrisse a Oldenburg: "Sono lieto che abbiate pensato di stabilire una corrispondenza con Roma, perché quello è il principale centro di informazioni" (Oldenburg, The correspondence, IV, p. 299), sottolineando, inoltre, il fatto che questa città poteva sempre contare sul continuo afflusso di missionari religiosi con il loro prezioso carico di informazioni su fenomeni esotici, alle quali la Royal Society aveva accesso soltanto in parte. La peculiarità della carica di Oldenburg segnò una nuova divisione del lavoro: mentre Tycho, Galilei, Peiresc e Kepler dovevano dedicare molto del loro tempo ad appianare spinose dispute e disaccordi, corrispondendo privatamente con studiosi e mecenati, Oldenburg, non avendo una propria posizione filosofica da difendere nelle controversie sperimentali, poteva fungere da mediatore tra i membri della Royal Society e i loro colleghi del Continente.

Le riviste

Nel 1698, Pierre-Daniel Huet, vescovo di Soissons, disperava del futuro della cultura. "Sareste allibito", scriveva a un amico, "se vedeste in quale stato di decadenza sono precipitate le lettere in Francia" e aggiungeva "se portaste a stampare un libro latino in Rue Saint-Jacques, vi riderebbero in faccia". Egli attribuiva la causa di questa sconvolgente situazione alla nascita delle riviste, e, riferendosi a quelle pubblicate a Parigi, Rotterdam e Lipsia, che contenevano sintesi di libri, le definiva "la prova indiscutibile della corruzione delle lettere in Europa" (Goldgar 1995, p. 54).

I primi giornali, che si chiamavano 'avvisi', avevano fatto la loro comparsa a Venezia all'inizio del XVI secolo. Di solito erano manoscritti ed erano distribuiti ogni due o tre giorni ai governatori delle province e agli ambasciatori stranieri. In seguito, si diffuse l'uso di leggerli a voce alta in pubblico e poi di venderli al prezzo di una gazzetta, moneta veneziana da due soldi, da cui il nome 'gazzette'. Gli 'avvisi' giunsero presto a Roma, dove però, nel 1578, per contrastare la natura scandalosa dei loro contenuti, il papa Gregorio XIII emise una bolla di scomunica contro chi scrivesse per diffondere notizie vere o false sugli scandali delle corti. I giornali erano strettamente legati alle strade postali create nell'Europa del XVI sec., che culminarono con il monopolio del servizio postale imperiale da parte dei Thurn und Taxis. La famiglia di mercanti e banchieri Fugger produceva un bollettino manoscritto, che non era di pubblico dominio ma veniva distribuito tra i mercanti e i diplomatici. I giornali stampati cominciarono a fare la loro comparsa all'inizio del XVII sec. e ovviamente avevano una diffusione meno circoscritta. Le reti di corrispondenza erudite, spesso legate a quelle diplomatiche, mercantili e religiose, precedentemente descritte, costituivano la prima fonte di notizie dotte. La limitata duplicazione e circolazione delle informazioni all'interno di un gruppo selezionato di corrispondenti era un modo per tenere la Repubblica delle Lettere sempre al corrente delle ultime pubblicazioni erudite. Peiresc, Mersenne, Hartlib e Oldenburg fornivano, tra l'altro, notizie e informazioni 'segrete' su una straordinaria varietà di argomenti, che andavano dalle nascite mostruose, alle osservazioni astronomiche, ai più recenti sviluppi tecnici dell'orologeria. Spinto forse dalle accuse secondo le quali la sua corrispondenza permetteva ai filosofi naturali di altri paesi di divulgare i risultati delle fatiche inglesi, nel marzo del 1665 Oldenburg inaugurò la pubblicazione delle "Philosophical Transactions", che definì come un resoconto delle "attuali imprese, studi e fatiche delle persone ingegnose di molte parti del mondo". Fu questa la prima pubblicazione periodica dedicata alla filosofia naturale che, seguita nello stesso anno dal francese "Journal des Sçavans", segnò la nascita di un nuovo spazio in cui ogni singolo filosofo naturale poteva affermare e difendere la propria reputazione. Nel primo numero delle "Philosophical Transactions", Oldenburg annunciava il suo scopo dichiarando che "non c'è niente di più necessario per promuovere il progresso delle questioni filosofiche, che comunicare a coloro che si applicano a tali studi e ricerche le cose che sono state scoperte o messe in pratica da altri" (p. 1).

Il primo numero della pubblicazione inglese, dunque, conteneva un resoconto sulle nuove tecniche di Giuseppe Campani per fabbricare lenti da telescopio, una dissertazione sulla pesca delle balene alle Bermuda, una descrizione dell'impiego degli orologi a pendolo per calcolare la longitudine marina, una dissertazione sul moto dell'ultima cometa e una relazione su uno "stranissimo vitello mostruoso".

Sebbene gli studiosi di tutto il mondo si lamentassero del fatto che le "Philosophical Transactions" fossero pubblicate in inglese, piuttosto che in latino, il successo del periodico fu immediato. Questa rivista giunse ben presto a definire che cosa costituisse una 'novità' nel campo della filosofia naturale per molti filosofi e scienziati europei. Essa incarnava un programma intellettuale specifico: cercando di non criticare o appoggiare nuove teorie ed evitando dispute che avrebbero potuto dividere le diverse confessioni religiose o scuole filosofiche, tentava di dare informazioni su tutte le 'questioni concrete'. Come era prevedibile, molto spazio era dedicato agli esperimenti condotti dai membri della stessa Royal Society.

Il "Journal des Sçavans", come si è visto nato anch'esso nel 1665 e pubblicato dal giurista e aristocratico Denys de Sallo, dava voce a un programma intellettuale molto diverso. Piuttosto che contenere resoconti di ricerche, dato che inizialmente non era legato ad alcuna istituzione scientifica in particolare, presentava le descrizioni e le recensioni di libri pubblicati in tutto il mondo erudito. La sua autorizzazione fu revocata appena tredici settimane dopo il primo numero, a causa dell'atteggiamento critico e polemico del direttore, ben noto per le sue opinioni gallicane e antigesuitiche, ma la pubblicazione fu ripresa nel 1666 con un nuovo direttore e un collegamento diretto con la Académie des Sciences, recentemente fondata, sotto la protezione del primo ministro di Luigi XIV, Jean-Baptiste Colbert. Come Oldenburg, il nuovo direttore del giornale fungeva anche da segretario dell'Académie.

Mentre le "Philosophical Transactions" presentavano i primi resoconti sulle ricerche ottiche di Newton, il "Journal des Sçavans" conteneva sommari delle osservazioni di Jan Swammerdam sulla metamorfosi degli insetti e traduzioni delle lettere di Antoni van Leeuwenhoek sulle sue ricerche microscopiche. Verso la fine del XVII sec. si verificò uno scambio di articoli tradotti tra i due periodici scientifici.

Ben presto altre riviste cominciarono ad apparire in rapida successione. A Roma nel 1668 uscì il "Giornale de' Letterati" che aveva come modello il "Journal des Sçavans" e conteneva numerose traduzioni di articoli pubblicati dalla rivista francese. Gli "Acta Eruditorum" di Lipsia apparvero per la prima volta nel 1682; due anni dopo, ad Amsterdam, Pierre Bayle iniziò a pubblicare le "Nouvelles de la République des Lettres", rivista indirizzata a un pubblico più vasto di studiosi 'in pantofole', che volevano essere aggiornati sulle ultime pubblicazioni, pur non essendo membri attivi della comunità scientifica. La pubblicazione di recensioni ‒ peraltro dopo l'esperienza negativa di de Sallo molte di esse non erano altro che innocui sommari ‒ rendeva comunque note al pubblico le opere di natura scientifica. Ciò comportò per molti il vantaggio di non dover più leggere lunghi trattati eruditi in latino o di doverne aspettare il resoconto da un corrispondente, per conoscere l'argomento trattato in una nuova pubblicazione.

La divulgazione

Da chi era costituito il pubblico della filosofia naturale tra il XVI e il XVII secolo? La conoscenza del mondo naturale era patrimonio esclusivo di una élite di intellettuali e doveva essere ammantata dal mistero di termini arcani o doveva essere resa aperta a tutti? Quale ruolo ricoprì il pubblico nello sviluppo della filosofia naturale? Come era presentata la conoscenza del mondo naturale a un pubblico più vasto? Nel 1641, fu presentato al Lungo Parlamento inglese un opuscolo pubblicato da Hartlib, A description of the famous kingdome of Macaria, che conteneva la descrizione del fittizio regno di Macaria, ispirato alla New Atlantis di Bacon. L'autore, forse Gabriel Plattes, sosteneva che l'arte della stampa avrebbe diffuso a tal punto la conoscenza, che la gente comune, essendo consapevole dei propri diritti e delle proprie libertà, non avrebbe accettato più di essere governata con l'oppressione e quindi, poco a poco, tutti i regni sarebbero diventati come quello di Macaria. L'idea che la stampa avrebbe liberato la gente comune dalla tirannia, consentendole di accedere alla conoscenza e al potere politico era diffusa fin dal XVI sec., tuttavia, gli investigatori degli arcana naturae del XVI e XVII sec. avevano opinioni molto diverse sulla opportunità e sulla modalità di rendere noto il proprio lavoro.

La storia della divulgazione scientifica è strettamente legata alla storia dei contrasti tra tendenze esoteriche ed essoteriche dei primi studiosi dell'Età moderna. L'erudito e scienziato Athanasius Kircher, dotato peraltro di una vasta rete di corrispondenti, nella Musurgia universalis, ammetteva una scala di 'illuminazione', al cui vertice collocava principi e saggi, ai quali erano riservati i grandi segreti della Natura e dello Stato, fino al volgo, "immerso nell'abisso dell'ignoranza, non molto diverso dalle bestie" (II, p. 433). Per Kircher, come per Aristotele, ma diversamente dall'autore della Macaria, era nell'ordine naturale delle cose che soltanto una élite di persone fosse destinata alla conoscenza, mentre gli altri erano condannati alla servitù e all'ignoranza. L'ordine politico era il riflesso di un ordine gerarchico naturale. L'influsso delle correnti ermetiche e pitagoriche sulla filosofia naturale del XVI sec. enfatizzò ulteriormente la necessità di limitare la conoscenza a un ristretto circolo di iniziati.

Anche la lingua svolgeva un ruolo determinante per la scelta del tipo di pubblico a cui erano destinate le opere sullo studio della Natura. Il predominio del latino come lingua della filosofia naturale fu sempre più contestato nel corso dei secc. XVI e XVII. Già nel 1551, il letterato Alessandro Piccolomini, nell'opera La prima parte della filosofia naturale, aveva rivolto un caloroso appello a pubblicare i trattati di filosofia naturale in volgare, affermando che la conoscenza del mondo naturale doveva essere resa disponibile a tutti e non rimanere patrimonio esclusivo di una élite. Egli sosteneva di essere stato ostacolato nel suo tentativo da coloro che non desideravano che la conoscenza giungesse alla moltitudine. La proliferazione di opere nelle lingue volgari europee nel XVI e nel XVII sec., dal De Beghinselen der Weeghconst (Le origini dell'arte di pesare) di Simon Stevin, al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galilei, al Discours de la méthode di Descartes, indica che, nel ricostruire la storia della divulgazione, è importante distinguere tra le opere di natura pratica e tecnica, che tentavano di rivolgersi a un pubblico che andava oltre quello dei chiostri e delle università, e quelle che deliberatamente offrivano una presentazione non tecnica del materiale, per lettori più raffinati. Tra le prime vi era una serie di manuali tecnici scritti in lingua volgare per i navigatori, i topografi, gli ingegneri e gli artigiani. All'estremo opposto era un tipo di divulgazione che divenne sempre più diffusa verso la fine del XVII sec. e all'inizio del XVIII, di solito rivolta a gruppi sociali che non avevano la reale necessità di usare quelle conoscenze, ma neanche potevano essere identificati con il 'volgo' che l'autore della Macaria voleva liberare dalla tirannia.

Nel corso del XVII sec., si crearono spazi diversi in cui discutere di argomenti di filosofia naturale, associati a nuovi generi letterari. La nascita delle accademie, dei caffè, delle collezioni di curiosità e delle società scientifiche creò un nuovo pubblico per la filosofia naturale. Verso la fine del secolo, l'affermarsi di una letteratura specializzata in questo settore, impenetrabile per coloro che non appartenevano alla Repubblica delle Lettere, coincise con lo sviluppo di generi letterari deliberatamente non specialistici, che miravano a fornire al pubblico istruito una conoscenza adeguata a trattare l'argomento in una conversazione.

Nella prefazione dell'Instauratio magna, Bacon aveva criticato coloro che ritenevano il tentativo di scoprire i segreti della Natura la causa della caduta dell'uomo: "Non è stata certo quella scienza innocente e immacolata della natura, per la quale Adamo impose i nomi alle cose secondo le proprietà naturali, che ha dato inizio od occasione al peccato originale; ma quella ambiziosa e irriflessiva cupidigia di una scienza morale, capace di giudicare del bene e del male, che ha prodotto il distacco dell'uomo da Dio, e l'empia volontà di darsi da sé le sue leggi". (Opere filosofiche, I, p. 227). A coloro che sostenevano che lo studio della filosofia naturale potesse costituire una minaccia per la religione, soprattutto tra le masse incolte, Bacon rispondeva che la filosofia naturale era, dopo la parola di Dio, la medicina più sicura contro la superstizione e, al tempo stesso, il più sicuro nutrimento della fede.

Anche Boyle, in Some considerations touching the usefulness of experimental natural philosophy, insisteva nel dire che la filosofia naturale non doveva essere un privilegio esclusivo di pochi, in quanto le opere di Dio non sono come i trucchi di un giocoliere, o gli spettacoli per intrattenere i principi, dove nascondere serve a suscitare meraviglia. In un altro trattato, l'Epistolical discourse […] inviting all true lovers of vertue and mankind, to a free and generous communication of their secrets and receits in physick, Boyle lanciò un violento attacco contro la segretezza e l'esoterismo nella scienza, rimproverando i medici e gli alchimisti che tenevano nascoste le loro ricette. Egli sosteneva che la divulgazione dei segreti ne avrebbe consentito il pubblico esame e avrebbe contribuito a stabilire la loro vera efficacia. Sebbene la diffusione pubblica degli esperimenti fosse uno dei principî fondamentali della Royal Society, nella realtà dei fatti, non essendo uno spazio pubblico, essa non offrì la possibilità di una divulgazione totale e indiscriminata e per questo motivo attirò su di sé molte critiche.

Nella Francia della fine del XVII secolo, la filosofia naturale, accanto alla musica e alla poesia, divenne argomento di conversazione elegante nei giardini, nei saloni, nei caffè e nei boudoirs. Gli Entretiens sur la pluralité des mondes di Bernard Le Bovier de Fontenelle, pubblicati nel 1686, divennero un esempio canonico di come la filosofia naturale potesse essere confezionata per un pubblico raffinato. L'opera di Fontenelle è un dialogo il cui protagonista cerca di spiegare la struttura dell'Universo cartesiano a una donna intelligente, ma ignara della filosofia. Il libro contiene anche resoconti sulle ultime scoperte fatte con l'uso del telescopio e una riflessione sulla possibilità dell'esistenza di altri mondi abitati. Gli Entretiens, che costituiscono una versione idealizzata delle conversazioni che avvenivano nei saloni parigini, ebbero un grande successo di pubblico e l'autore ne curò non meno di dieci edizioni, riviste nel corso dei cinquant'anni successivi. Si ritiene comunemente che questo testo abbia segnato la nascita di un genere letterario completamente nuovo, ma ciò è vero soltanto in parte. Un espediente simile era stato usato da Kircher nel 1656 nell'Itinerarium extaticum, la descrizione di un viaggio immaginario attraverso il Cosmo di Tycho, in cui l'autore è introdotto ai segreti dell'Universo dall'angelo Cosmiel, dopo essersi addormentato a un concerto del Collegio Romano. Galilei usò con grande efficacia i dialoghi in volgare per presentare la filosofia naturale in modo tale che la sua comprensione non fosse limitata ai soli specialisti. Rivolgendosi ai literati, piuttosto che ai professori universitari, Galilei si sentiva libero di superare i confini tradizionali tra matematica e filosofia naturale. Nel Somnium, del 1634, Kepler formulò la propria descrizione dell'astronomia lunare, come il viaggio sulla Luna di un giovane islandese di nome Duracotus, figlio di una strega. Per molti aspetti, l'opera di Fontenelle segna semplicemente l'ingresso della filosofia cartesiana in un genere di presentazione letteraria già esistente. Ancora una volta, come nel caso di Oldenburg, la vera novità potrebbe essere non tanto nel contenuto e nella struttura del libro di Fontenelle, quanto nel ruolo sociale dell'autore che diventa un divulgatore, essendo riuscito a rendere la filosofia naturale gradevole al palato delle classi aristocratiche. Galilei, Kepler e Kircher erano ansiosi di presentare la loro interpretazione dei fenomeni naturali al grande pubblico in modo diretto e dovevano decidere come modificare le loro opere per renderle adatte a un particolare pubblico, senza doversi affidare ad altri perché lo facessero. Fontenelle, come Oldenburg alla Royal Society, fu segretario a vita dell'Académie des Sciences e in questa veste presentava al pubblico parigino i prodotti dell'Académie in forma gradevole e non tecnica.

Gli Entretiens sur la pluralité des mondes furono presto tradotti in molte lingue. Una versione inglese, opera della scrittrice e autrice di audaci testi teatrali Aphra Behn, apparve nel 1688, durante la Restaurazione. Behn affermava che il fatto di essere una donna la rendeva particolarmente adatta a questa traduzione e pensava che una donna inglese potesse arrischiarsi a tradurre qualsiasi cosa, laddove forse una francese avrebbe preferito parlare. La scrittrice mosse alcune critiche al tentativo di Fontenelle di rendere la filosofia naturale cartesiana comprensibile a tutti, giudicando che cercare di dare familiarità a questa parte della filosofia naturale l'aveva trasformata in qualcosa di ridicolo ed espresse un particolare disprezzo per la "bizzarra nozione di una Pluralità di Mondi". In Inghilterra, diversamente da quanto accadeva in Francia, il libro di Fontenelle fu letto, al pari della filosofia cartesiana, come una gradevole opera narrativa.

Questo esempio dimostra chiaramente che, alla fine del XVII sec., le donne costituivano una parte della società per la quale la filosofia naturale era diventata accessibile; rappresentavano un nuovo pubblico per opere di questo genere, che divennero molto frequenti nel XVIII sec. e culminarono con la pubblicazione del Newtonianismo per le dame (1738) di Francesco Algarotti. Le dimostrazioni sperimentali pubbliche, accanto agli spettacoli con la lanterna magica, divennero un'altra forma di intrattenimento e di edificazione per la piccola nobiltà.

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