La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. Esperimenti sul vuoto

Storia della Scienza (2002)

La Rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. Esperimenti sul vuoto

A.R. Capoccia

Esperimenti sul vuoto

Le scoperte seicentesche relative alla pesantezza dell’aria, alla pressione atmosferica e alla stessa esistenza di un ‘vuoto’ creato sperimentalmente – dunque non più attribuibile soltanto in senso metafisico alla potentia Dei absoluta –, trovano i loro diretti antecedenti in una storia delle esperienze sul vuoto che impegnò la comunità scientifica a partire dal 1630. Le esperienze di Gasparo Berti a Roma e di Evangelista Torricelli a Firenze inaugurarono un dibattito sul vuoto che si sarebbe prolungato per molti decenni e che avrebbe coinvolto un gran numero di scienziati e di ambienti culturali, laici e religiosi in tutta Europa. Prima dell’esperienza torricelliana, già Giovanni Battista Baliani, nel 1630, aveva interpellato Galilei circa la ragione per cui l’acqua che saliva nei sifoni si fermava a una determinata altezza. Galilei, nella sua risposta, individuò la causa della ‘forza del vacuo’, ma affermò che questa, contrariamente a quanto comunemente si sosteneva, poteva essere vinta dalla Natura. Berti eseguì l’esperimento impiegando l’acqua (Torricelli avrebbe poi impiegato il mercurio) adottando un dispositivo che faceva equilibrare il peso dell’aria con quello di una colonna d’acqua dell’altezza di 10,8 m.

L’esperimento di Torricelli – erroneamente datato 1643 sia da Gilles Personne de Roberval, nella Narratio de vacuo scritta in forma di lettera a Pierre Des Noyers, sia da Lorenzo Magalotti nei Saggi di naturali esperienze – risale al 1644. Egli riempì di mercurio un tubo di vetro di 90 cm, chiuso a un’estremità e lo rovesciò in un recipiente: il mercurio non colava fuori dal tubo, ma si arrestava a un’altezza di 76 cm lasciando in alto uno spazio che sembrava vuoto. La prova, per Torricelli, era determinante sia contro la tesi aristotelica, sia contro quella galileiana di ‘resistenza al vacuo’.

Gli estratti della lettera con la quale Torricelli comunicò l’esperienza a Michelangelo Ricci giunsero a Marin Mersenne che ne diede notizia a Pierre Petit, il quale, a sua volta, la trasmise a Blaise ed Étienne Pascal. L’esperimento fu ripetuto da Blaise Pascal a Rouen nell’ottobre del 1646. Le discussioni dei circoli scientifici parigini animate da Roberval, Desnoyers, Pascal, Mersenne e dai loro seguaci, si concentrarono su questo problema. Gli atomisti classici, infatti, ammettevano l’esistenza di un vuoto discontinuo (vacuum disseminatum) o macroscopico (vacuum coacervatum), e non avevano mai prospettato, invece, l’esistenza di un vuoto provocato sperimentalmente. Negli anni seguenti, il dibattito si focalizzò su due questioni: se la causa del trattenimento del mercurio fosse la pressione atmosferica, e se la parte superiore del tubo fosse davvero priva di materia. I cartesiani ammettevano l’esistenza di una materia sottile o eterea, e nei Principia di Descartes il vuoto barometrico è spiegato come una rarefazione dell’aria. Per gli aristotelici, il vuoto era apparente ed era prodotto da aria infiltrata proveniente dal fondo del tubo che riempiva lo spazio abbandonato dal mercurio, grazie alla sua capacità di rarefazione.

Un’altra prova decisiva a favore della pressione atmosferica fu quella del ‘vuoto nel vuoto’, esperimento realizzato da Roberval, poi ripetuto da Adrien Auzout e da Pascal, dagli accademici del Cimento e da Boyle. L’esperimento consisteva nel riprodurre il fenomeno del tubo torricelliano in un ambiente vuoto: il mercurio scendeva completamente nella bacinella,mentre, se si faceva entrare l’aria, risaliva nel tubo. Pascal, effettuando l’esperimento, si avvalse di uno strumento che forse è da attribuirsi a Jacques Rohault.

L’esperienza del Puis-de-Dôme, la decisiva verifica delle ipotesi scaturenti dai fenomeni barometrici osservati sperimentalmente, fu effettuata nel 1648 e consistette nella rilevazione delle variazioni della pressione atmosferica a diverse altitudini. Prima di questa data, Descartes registrò una serie continua di osservazioni sull’altezza della colonna di mercurio e il 13 dicembre del 1647 scrisse una lettera a Mersenne sull’argomento. Quest’ultimo, rientrato da un viaggio in Italia nel 1645, voleva divulgare gli esperimenti di cui era venuto a conoscenza, ma non riuscendo a trovare barometri adeguati chiese a Petit e a Pascal di realizzarli. Ma questi ultimi, invece di farsi fabbricare i barometri per Mersenne, eseguirono da soli gli esperimenti sul vuoto nel novembre 1646. Il 19 settembre del 1648 Florin Perier, cognato di Pascal, salì sul Puis-de-Dôme per effettuare l’esperimento del vuoto. Pascal lo ripeté sulla torre di Saint-Jacques e a Parigi e si accorse che le variazioni del tubo dipendevano, oltre che dall’altitudine, dalle diverse condizioni meteorologiche. Nel novembre o dicembre dello stesso anno fece stampare il Récit de la grande experience de l’équilibre des liqueurs.

In Italia negli anni 1657-1658, Giovanni Alfonso Borelli condusse una serie di ricerche sulla pressione atmosferica che coinvolse anche la fiorentina Accademia del Cimento. Per misurare le variazioni della pressione atmosferica, gli accademici idearono un apposito strumento: un tubo a forma di U, con un ramo più lungo innestato in due bocce comunicanti, di cui una fornita di un beccuccio di vetro; si introduce il mercurio, il beccuccio viene chiuso e, trasportato l’apparecchio sulla sommità di una torre, si vede che il mercurio si alza nel ramo libero e si abbassa nell’altro.

L’esperimento del suono nel vuoto intendeva dimostrare la necessità di un mezzo materiale, l’aria, per la trasmissione del suono. L’esperimento fu condotto dagli Accademici del Cimento, ma non verificò le ipotesi di partenza per l’impossibilità di creare le adeguate condizioni sperimentali (la completa evacuazione del recipiente che conteneva il sonaglio); essi, infatti, non usarono la macchina pneumatica, dunque non poterono riprodurre le particolari condizioni di aria rarefatta realizzate da Boyle che riuscì quindi a verificare l’ipotesi della mancata propagazione del suono in assenza d’aria. L’esperienza fu ripetuta anche da Otto von Guericke, da Denis Papin, che lo riprodusse con l’ausilio della macchina pneumatica di fronte ai membri della Royal Society (1685), e da Francis Hauksbee (1705).

Esiste un’evidente analogia tra la sperimentazione boyleiana sugli animali e quella dell’Accademia del Cimento: nei Saggi di naturali esperienze sono descritti gli esperimenti sulla respirazione sotto vuoto degli animali realizzati da Boyle con la macchina pneumatica. Questo tipo di sperimentazione sugli esseri viventi, in alcuni casi raccapricciante, va ricondotto a un interesse, tipico del Seicento, per lo studio della Natura in condizioni ‘curiose’. Gli esperimenti sugli animali miravano a individuare gli effetti della mancanza d’aria e le reazioni prima nel vuoto, poi in presenza d’aria: si notò, per esempio, che nel vuoto «due grilli si mantennero per lo spazio d’un quarto d’ora vivacissimi, movendosi sempre ma non saltando. All’entrar dell’aria spiccaron salti», e che «una farfalla nel vuoto non riusciva più a battere le ali, le mosche cadevano stremate a terra, le lucertole, che mostravano grande resistenza al vuoto, ma ripetutamente sottoposte all’apnea, dopo la terza volta morivano; gli uccelli che boccheggiavano» (Saggi di naturali esperienze fatte nell’Accademia del Cimento, pp. 67-68). Le prove sugli animali effettuate da Boyle e ripetute dai fiorentini miravano, nonostante tutto, a dimostrare l’utilità dell’aria per la vita umana: le loro ricerche sulla natura dell’aria vanno dunque ascritte, oltre che a un ambito meramente fisico, anche a quello biologico della sperimentazione.

Evangelista Torricelli a Michelangelo Ricci, 11 giugno 1644

«Le accennai già, che si stava facendo non so che esperienza filosofica intorno al vacuo, non per far semplicemente il vacuo, ma per far uno strumento, che mostrasse le mutazioni dell’aria, ora più grave e grossa, ed or più leggera e sottile. Molti hanno detto, che il vacuo non si dia, altri che si dia,ma con repugnanza della Natura, e con fatica, e senza resistenza della Natura. Io discorreva così: se trovassi una causa manifestissima dalla quale derivi quella resistenza, che si sente nel voler fare il vacuo, indarno mi pare si cercherebbe di attribuire al vacuo quella operazione, che deriva apertamente da altra cagione, anzi ché facendo certi calculi facilissimi, io trovo, che la causa dame addotta (cioè il peso dell’aria), dovrebbe per sé sola far maggiore contrasto, che ella non fa nel tentarsi il vacuo. Dico ciò, perché qualche Filosofo vedendo di non poter fuggire questa confessione, che la gravità dell’aria cagioni la repugnanza, che si sente nel fare il vacuo, non dicesse di concedere l’operazione del peso aereo ma persistesse nell’asseverare, che anche la Natura concorre a repugnare al vacuo. Noi viviamo sommersi nel fondo d’un pelago d’aria elementare, la quale per esperienze indubitate si sa che pesa, e tanto, che questa grossissima vicino alla superficie terrena, pesa circa la quattrocentesima parte del peso dell’acqua. Gli autori poi de’ Crepuscoli hanno osservato, che l’aria vaporosa, e visibile si alza sopra di noi intorno a cinquanta, overo cinquantaquattro miglia ma io non credo tanto, perché mostrerei, che il vacuo dovrebbe far molto resistenza, che non fa se bene vi è per loro il ripiego, che quel peso scritto dal Galileo, s’intenda dell’aria bassissima dove praticano gli uomini e gli animali, ma che sopra le cime degli alti monti, l’aria cominci ad esser purissima, e di molto minor peso che la quattrocentesima parte del peso dell’acqua» (Opere scelte, pp. 657-658).

Saggi di naturali esperienze fatte nell’Accademia del Cimento

«Esperienza del suono nel vuoto. Sospeso un sonaglio allo stesso filo in luogo della pastiglia, dopo fatto il voto incominciammo a crollar gagliardo la palla, e quello si fece sentire dello stesso tuono, come se dentro la palla vi fosse aria naturale. Vero è, che in quest’esperienza bisognerebbe, che lo strumento sonoro (impossibil cosa) non comunicasse per alcun verso col vaso, poiché altrimenti non può dirsi di certo se venga quivi formato il suono dalla rarissim’aria, e dagli aliti svaporati nel voto dall’argento vivo, o vero dall’intronamento, che dalle percosse del metallo, mediante il filo, riceve il vaso, e conseguentemente l’aria esterna, che lo circonda» (p. LXXXVI-C).

Robert Boyle, New experiments

«Per convincerci in una certa misura del motivo per cui la respirazione è così necessaria agli animali che la natura li ha forniti di polmoni, prendemmo [...] un’allodola, a cui uno sparo di un uomo, che avevamo mandato a procurarci degli uccelli per il nostro esperimento, aveva spezzato un’ala. Nonostante questa ferita, tuttavia, l’allodola era molto vispa e, introdotta nel recipiente, vi risalì più volte a una notevole altezza. Dopo aver sigillato velocemente, ma accuratamente il recipiente, si azionò diligentemente la pompa, e l’uccello per un po’ sembrò abbastanza vivace; ma non appena fu aspirata una maggior quantità d’aria, incominciò visibilmente ad accasciarsi e a dare segni di malessere e ben presto fu presa da convulsioni violente e irregolari come quelle che si vedono di solito nei polli quando si torce loro il collo: l’uccello infatti si sbatté da parte a parte due o tre volte, e morì con il petto in su, la testa in giù e il collo piegato. E anche se, all’apparire di queste convulsioni, girammo il rubinetto d’arresto e lasciammo entrare l’aria su di essa, arrivò troppo tardi. [...] Constatammo che l’intera tragedia si era svolta in dieci minuti, parte dei quali erano stati impiegati a sigillare il coperchio del recipiente. Dopo poco tempo prendemmo una passera che, essendo stata catturata con della pania, non era affatto ferita. Quando la introducemmo nel recipiente, dove essa si innalzava vivacemente quasi fino alla sommità, provando l’esperimento con questo uccello come con quello precedente, essa sembrò morta dopo sette minuti, uno dei quali impiegato a sigillare il coperchio; ma, allorché girammo velocemente la chiave, l’aria esterna, rifluendo all’interno, incominciò lentamente a rianimarla, cosicché, dopo aver un po’ ansimato riaprì gli occhi, si rizzò sulle zampe, e, dopo circa un quarto d’ora, per poco non sfuggì dal foro alla sommità del recipiente, che era stato stappato per far entrare aria fresca. Quando invece il recipiente fu chiuso per la seconda volta, essamorì con violente convulsioni a cinque minuti dall’inizio del pompaggio» (Opere, pp. 916-917).

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