La politica del cambiamento: un bilancio dell'era Zapatero

ATLANTE GEOPOLITICO (2012)

Vedi La politica del cambiamento: un bilancio dell'era Zapatero dell'anno: 2012 - 2013

Anna Bosco

Nel luglio 2000 José Luis Rodríguez Zapatero, uno sconosciuto deputato di León neanche quarantenne, viene eletto segretario del Psoe. Nel decennio che segue Zapatero brucia le tappe di una fulminante carriera politica: fresco di nomina mette mano al rinnovamento del partito, riuscendo a infondere speranza agli elettori delusi dagli scandali che avevano travolto i governi socialisti negli anni Novanta; nel 2004 conquista per la prima volta la presidenza del governo e nel 2008 viene rieletto per un secondo mandato. La Spagna di Zapatero è spesso al centro dell’attenzione internazionale: fanno notizia i cambiamenti messi in cantiere dal suo premier e, nel bene e nel male, i dati sull’andamento dell’economia. Eppure i due esecutivi guidati da Zapatero sono tra loro molto diversi ed è il successo del primo che spiega, almeno in parte, le difficoltà del secondo.

Nel primo mandato Zapatero fa del cambiamento la sua bandiera politica. L’agenda delle trasformazioni è fittissima: la riforma degli statuti delle comunità autonome, destinata ad accrescerne l’autonomia fiscale; la ridefinizione del welfare con una ley de dependencia per l’assistenza alle persone non autosufficienti; il negoziato con i terroristi baschi dell’Eta per mettere fine alla violenza una volta per tutte; la ‘legge sulla memoria’, che per la prima volta offre un risarcimento morale e materiale alle vittime della guerra civile e del franchismo. Le iniziative del governo che attirano la massima attenzione, però, sono quelle sui diritti civili come la legge contro la violenza di genere, che difende le donne dai maltrattamenti dei propri compagni; il matrimonio e l’adozione per le coppie dello stesso sesso; il divorzio rapido; il corso di educazione per la cittadinanza e i diritti umani nelle scuole; le norme a favore della ricerca sulle cellule embrionali; e la legge sull’uguaglianza di genere, volta a garantire la rappresentanza paritaria nei consigli di amministrazione e nelle liste elettorali.

L’attività riformatrice non è senza fallimenti (come nelle trattative con l’Eta) o senza conflitti (con il Partido Popular, la Chiesa spagnola e i settori conservatori), ma Zapatero riesce a realizzare gran parte del programma con cui è stato eletto. Il progetto riformatore, d’altra parte, può contare su una situazione economica che non desta preoccupazioni: il pil cresce vigoroso al 3,6% annuo (media 2004-07), mentre nel 2007 la disoccupazione tocca il livello più basso dal 1990 (8,3%) e il governo dispone di un rassicurante surplus di bilancio (1,9%). In queste condizioni è possibile raddoppiare la spesa per l’istruzione, aumentare le pensioni e i salari minimi, e investire in infrastrutture che portano il paese in vetta alla graduatoria europea dell’alta velocità ferroviaria.

E tuttavia la forte crescita spagnola poggia sui piedi d’argilla dell’espansione del settore edilizio, che nel 2007 rappresenta l’11% del pil. La ‘bolla immobiliare’ si gonfia per anni, grazie ai bassi tassi d’interesse reali portati in Spagna dall’euro, agli incentivi fiscali a favore del mattone e all’offerta di costruzioni per i cittadini nord-europei che comprano sulla costa e per gli immigrati assorbiti dal boom economico. Gli squilibri strutturali dell’economia sono noti a Zapatero, che però non riesce a modificare il modello di crescita esistente. L’ambizioso passaggio dall’economia ‘del mattone’ a quella ‘dei chip’ – costruita sull’innovazione, le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, le energie rinnovabili e le biotecnologie – viene teorizzato, ma rinviato al futuro. Il buon andamento economico e il protagonismo assunto dai cambiamenti politici e sociali nell’agenda governativa convergono nel rimandare riforme più strutturali.

Il costo di questa scelta viene alla luce nel secondo mandato di Zapatero, quando la crisi finanziaria internazionale genera in Spagna una frenata più brusca che negli altri paesi europei e un’impennata del tasso di disoccupazione al 20,1% (2010), il più alto dell’Eu, che sale al 41,6% tra i giovani con meno di 25 anni (contro il 20,7% dell’Europa, secondo i dati Eurostat). La crisi costringe il governo a rivedere programmi e priorità, abbandonando costose strategie di mutamento. Ma la svolta non è facile per Zapatero, che inizialmente continua a finanziare infrastrutture, welfare e misure di sostegno al consumo. Il risultato è un netto peggioramento del bilancio, con il surplus del 2007 che diventa un deficit a due cifre già nel 2009. Le pressioni dei conti pubblici e dell’Europa obbligano infine il governo a mettere in cantiere misure di austerità per ridurre il deficit e riforme strutturali come quella del mercato del lavoro (2010) e delle pensioni (2011).

La recessione economica che contrassegna il secondo governo Zapatero si riflette in una marcata perdita di consensi: nel 2010 il primo sciopero generale dal 2002 sancisce il venir meno dell’appoggio dei sindacati, mentre i sondaggi segnalano la crescita costante del Partido popular (Pp) nelle intenzioni di voto. Le elezioni del resto, previste per la primavera del 2012, si giocheranno proprio sulla capacità del Pp di costituire un’alternativa credibile al Psoe. In Spagna la maggioranza degli elettori è storicamente identificata con il centro-sinistra e il Pp ha governato solo per due mandati (1996-2004). L’opposizione condotta dal leader popolare Mariano Rajoy non è stata finora in grado di offrire né un sostegno bipartisan alle misure anticrisi, né un progetto alternativo a quello del governo. Il Pp, inoltre, è diviso da faide interne e coinvolto in inchieste giudiziarie che hanno messo a nudo diffusi fenomeni di corruzione, finanziamento illecito e affarismo immobiliare. In questo quadro, l’era del Psoe potrebbe prolungarsi per un’altra legislatura anche se sotto una leadership diversa da quella di Zapatero, che nell’aprile 2011 ha annunciato di non voler ricandidarsi a un terzo mandato.

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