La grande scienza. Oceanologia

Storia della Scienza (2003)

La grande scienza. Oceanologia

Paola Malanotte-Rizzoli

Oceanologia

Questa breve rassegna sull'evoluzione dell'oceanologia si incentra sulla fisica e sulla dinamica dell'oceano fin dalla nascita dell'esplorazione oceanica. Una maggiore attenzione è stata rivolta in modo particolare agli ultimi trent'anni, durante i quali una serie di rivoluzioni scientifiche ha cambiato significativamente la comprensione della circolazione negli oceani, nonché il tipo di approccio esplorativo e le teorie che spiegano i processi in atto. Storicamente si può distinguere l'era iniziale, che abbraccia un periodo di circa cento anni a partire dalla spedizione pionieristica del 1870, dalla fase più recente, iniziata nel 1970 con la scoperta del campo dei vortici modali (mesoscale eddies), che costituisce il 'meteo' dell'oceano, ossia l'insieme delle nozioni riguardanti la fluidodinamica e la termodinamica degli oceani. Nel corso del primo periodo l'oceanografia fisica - allora si preferiva a oceanologia il termine oceanografia per rimarcare il carattere osservativo - si evolse gradualmente dall'essere patrimonio di alcuni 'geografi' naviganti, che aspiravano a una descrizione fenomenologica delle proprietà dell'oceano, all'essere una scienza rigorosa, costituita da fisici e fluidodinamici. Già nel 1927, durante gli ultimi giorni della spedizione Meteor (1925-1927), il famoso oceanografo Albert Defant (1894-1974) osservò che l'oceanografia aveva subito uno sviluppo piuttosto rapido durante gli ultimi decenni, trasformandosi gradualmente "da scienza puramente descrittiva a scienza fondata su principî fisico-matematici esatti". Nessuna dichiarazione può meglio caratterizzare l'evoluzione degli ultimi venti anni, in cui questi principî matematici sono stati quantificati e tradotti nel linguaggio computazionale, grazie alla crescita esponenziale della potenza e della struttura degli elaboratori elettronici.

La rassegna è organizzata nel modo seguente. La prima parte è dedicata all'era 'romantica' dei primi cento anni, in cui si tracciarono le proprietà universali dell'oceano. In tale periodo le indagini erano svolte su navi di ricerca, che impiegavano spesso mesi per attraversare i vari bacini oceanici; queste ricerche fornirono la descrizione generale della climatologia da cui scaturirono le idee teoriche di quel tempo, basate sul concetto di 'oceano stazionario'. Nella seconda sezione si discute la scoperta, fatta negli anni Settanta, dell'assoluta instabilità della circolazione dell'oceano. Contrariamente a quanto creduto fino ad allora, tale dinamica è turbolenta e caotica: un campo di vortici onnipresente, in cui è immagazzinata molta energia, si sovrappone alle principali caratteristiche della circolazione, mascherandole spesso con la sua forte intensità. Tali vortici, che hanno un diametro variabile da 50 a 300 km, sono analoghi alle perturbazioni presenti nei moti atmosferici medi, in quanto si può dire che il campo dei vortici modali è il 'tempo' (meteo) dell'oceano. Il terzo paragrafo si suddivide in due parti, che presentano le due rivoluzioni principali registratesi negli anni Novanta. La prima riguarda l'approccio osservativo, in cui le prospezioni oceanografiche realizzate dall'uomo furono sostituite da una strumentazione automatizzata con osservazioni effettuate sia da un satellite sia attraverso una rete di strumenti collocati in tutti gli oceani. La seconda invece fa riferimento nello specifico all'insieme di dati osservati, offerti da una parte dall'altimetro TOPEX/POSEIDON, che fornisce mappe sinottiche e globali dell'altezza della superficie dei mari - una sorta di 'topografia dell'oceano' - e dall'altra dai galleggianti del progetto ARGO che, sotto il controllo della statunitense National oceanic and atmospheric administration (NOAA), sono attualmente lanciati a centinaia per coprire densamente le parti interne degli oceani di tutto il mondo.

Infine l'ultima sezione è dedicata a spiegare in quale direzione si stia muovendo la scienza dell'oceano nel nuovo millennio. L'oceano non è più 'isolato' dagli altri componenti del sistema Terra, ma ne è diventato parte integrante e cruciale, caratterizzato da interazioni e retroazioni complesse che coinvolgono l'oceano, l'atmosfera, la cosiddetta 'terra solida' e la criosfera. Questo è il secolo in cui sta emergendo il ruolo dell'oceano nella scienza del clima e del cambiamento globale.

I primi cento anni: l'oceano stazionario

fig. 1
fig. 2

Le correnti oceaniche sono causate sia dal vento, che soffia sulla superficie dell'oceano, sia dai gradienti di pressione, orizzontali e verticali, che si manifestano entro la massa dell'acqua. I gradienti di pressione sono prodotti da quelli di densità, a loro volta dovuti a gradienti di temperatura e di salinità. La differenza principale fra i due fluidi terrestri, l'acqua oceanica e l'aria atmosferica, è, infatti, nel grado di salinità. Nell'atmosfera i gradienti di densità sono prodotti soltanto dalla temperatura; nell'oceano, invece, sono dissolti circa trenta composti solubili, in varie concentrazioni, che rendono l'acqua marina una soluzione chimica estremamente complessa. Il fatto che le percentuali relative di questi sali sono le stesse in tutti gli oceani del mondo implica che la massa di acqua ha raggiunto uno stato di equilibrio dopo milioni di anni di mescolamento interno. La salinità rappresenta il residuo in grammi ottenuto facendo evaporare 1 kg di acqua ed è espresso usualmente in parti per mille. Lo scopo principale delle prospezioni oceanografiche, perseguito dagli inizi del secolo passato ma ancora in corso negli ultimi anni Novanta in programmi osservativi come il World ocean circulation experiment, WOCE, 1996-1998, era di tracciare una mappa orizzontale e verticale delle distribuzioni di temperatura e di salinità. La fig. 1 (Wüst 1935) mostra la struttura del 'massimo di salinità intermedia' nell'Oceano Atlantico, ossia il valore di salinità più alto nella colonna di acqua situata approssimativamente a una profondità tra 1000 e 2000 m. La scala dei colori va dal giallo pallido, per acqua con salinità bassa (35,02‰≤S≤35,05‰, con ‰ che indica le parti di sale ogni mille parti) al rosso scuro (S≥35,7‰). L'acqua con salinità alta forma una 'lingua' ben definita che esce dallo Stretto di Gibilterra e si estende prevalentemente verso nord-ovest, nella parte interna dell'Atlantico, a media profondità. Questa è la ben nota 'lingua di acqua salata del Mediterraneo', una massa d'acqua che si forma appunto nel Mar Mediterraneo. Una tale mappa a largo bacino è stata prodotta con i dati idrografici raccolti negli anni Trenta dall'oceanografo tedesco Georg Wüst (1890-1977). Un esempio più recente, questa volta di distribuzione verticale della temperatura, è mostrato nella fig. 2 (Reid 1965). Si tratta di una sezione che illustra la variazione di temperatura dalla superficie al fondo nell'Oceano Pacifico centrale e che attraversa l'intero bacino da 75° S a 55° N. Si noti che la scala verticale per i 1000 m più in alto è fortemente ingrandita rispetto alla scala verticale dai 1000 ai 6000 m al di sotto. Le proprietà nello strato oceanico superiore hanno la massima variabilità a causa degli effetti di flussi di calore e di umidità sull'interfaccia aria-mare, mentre esse risultano molto più uniformi nell'oceano abissale. È evidente nella fig. 2 la massa d'acqua ad alta temperatura che è concentrata attorno all'equatore, da 20° S a 20° N, nei 200 m più in alto. L'oceano abissale mostra uno strato di temperatura pressoché uniforme 1,5 °C≤T≤3 °C.

Si può distinguere la circolazione dell'oceano in due categorie: quella guidata dal vento e quella termoalina. La prima è originata direttamente dalla forza tangenziale (sforzo) e dalla rotazione esercitata dal vento in superficie. Lo sforzo del vento produce lo 'strato superficiale' di Ekman, dal nome dell'oceanografo fisico svedese Vayn Walfrid Ekman (1874-1954) che per primo lo teorizzò, secondo il quale la direzione della velocità dell'acqua in superficie è 45° a destra (o a sinistra) rispetto alla direzione dello sforzo del vento e il trasporto totale nello strato Ekman (approssimativamente i 100 m più in alto) è a 90° a destra (sinistra) della direzione dello sforzo del vento nell'emisfero settentrionale (meridionale). Ekman arrivò a questa importante teoria notando che gli iceberg nell'Oceano Artico non seguono direttamente il vento, ma si muovono obliquamente alla sua destra.

La rotazione del vento è responsabile della circolazione orizzontale nel bacino, dando origine a quelli che sono chiamati 'gyre oceanici', ossia larghe circolazioni che si estendono da continente a continente in strutture cicloniche e anticicloniche. La prima teoria che associò la circolazione orizzontale alla rotazione del vento fu sviluppata nel 1947 dal norvegese Harald Ubrik Sverdrup (1888-1957) e l'anno dopo dallo statunitense Henry Stommel (1920-1992). Questi mostrò che l'intensificazione a ovest dei gyre oceanici, le cosiddette 'correnti-limite occidentali' (la Corrente del Golfo nella parte occidentale dell'Oceano Atlantico e il Kuroshio nell'Oceano Pacifico occidentale), sono prodotte dalla variazione latitudinale della componente verticale della rotazione terrestre, che passa da un minimo all'equatore a un massimo ai poli. Nel 1950 lo statunitense Walter Munk e nel 1955 lo svedese Jule Gregory Charney raffinarono queste teorie iniziali sulla circolazione guidata dal vento, aggiungendo gli effetti di diffusione e di inerzia orizzontali.

fig. 3

La circolazione termoclina è prodotta dai flussi di calore e di umidità dell'interfaccia aria-mare (calore latente e sensibile; evaporazione e precipitazione) che fanno variare la densità, poiché cambiano la temperatura e la salinità in superficie. La circolazione termoalina è molto più debole di quella indotta dal vento ed è mascherata da quest'ultima nello strato superficiale. Gli effetti dovuti al vento diventano però più deboli con la profondità e la circolazione termoalina è quella dominante nell'oceano abissale. Una sua componente cruciale è la presenza di profonde celle convettive nell'Atlantico polare (il mare della Groenlandia e del Labrador) e nell'Antartide (mare di Weddell), in cui, in inverno, sono prodotte nuove masse d'acqua, con un rimescolamento verticale che omogeneizza lo strato verticale d'acqua situato a più di 2000 m di profondità. La prima teoria della circolazione abissale venne proposta nel 1960 dagli statunitensi Henry Stommel e Arnold Arons, ipotizzando sorgenti di massa (celle convettive) nell'Atlantico settentrionale e nel mare di Weddell, moti ascensionali interni uniformi, strati limite occidentali dinamicamente passivi che bilanciano la massa locale e globale. La fig. 3 mostra lo schema risultante della circolazione abissale.

fig. 4

L'ipotesi fondamentale della 'circolazione nell'oceano stazionario' è la geostrofia, definendo come bilancio geostrofico l'equilibrio di stato stazionario che si stabilisce fra la forza di Coriolis e i gradienti di pressione. La forza di Coriolis è una forza fittizia presente in sistemi di riferimento rotanti, che non esiste in riferimenti inerziali. La forza apparente (apparente poiché non produce lavoro), dovuta alla rotazione della Terra, devia il moto delle colonne d'acqua a destra (sinistra) nell'emisfero settentrionale (meridionale). Questa forza è bilanciata all'ordine zero dai gradienti di pressione orizzontali prodotti dallo sforzo del vento e dai gradienti di densità interni. In direzione verticale, invece, il bilancio è principalmente di tipo idrostatico, cioè il gradiente di pressione verticale è equilibrato dalla gravità. A un'approssimazione all'ordine più basso, l'oceano è geostrofico e idrostatico. In base a questa analisi, si possono prevedere le correnti una volta note le distribuzioni di densità, cioè campi di temperatura e di salinità, come quelli mostrati nelle figg. 1 e 2. Tutte queste teorie condussero al concetto di una circolazione oceanica di 'stato stazionario' caratterizzata da larghi gyre e correnti che variano con regolarità, stazionari nel tempo e di natura deterministica, ovvero una circolazione 'lineare'. La struttura della circolazione su scala mondiale che deriva da questo concetto di stazionarietà è mostrata nella fig. 4. Il valore di velocità media che si può collegare a queste correnti è 10 ±1 cm, dove l'errore assoluto di ±1 cm è dovuto a moti non energetici, su piccola scala.

Gli anni Settanta: la scoperta del 'tempo oceanico'

fig. 5

La struttura regolare delle correnti oceaniche stazionarie fu, in verità, il risultato di un grossolano sottocampionamento spaziotemporale delle proprietà oceaniche. Le stazioni idrografiche in cui venivano misurate queste proprietà erano spesso separate da distanze spaziali dell'ordine di 550 km e intervallate da periodi variabili da giorni a mesi a causa del tempo richiesto dalle navi per attraversare un intero bacino oceanico (si vedano i 'punti' della fig. 1). La variabilità delle correnti oceaniche su scale spaziali dalle decine alle centinaia di chilometri e su scala temporale dai giorni ad alcune settimane, era completamente sconosciuta. Sebbene le prime misure di galleggianti forati 'subsuperficiali' del 1959 suggerissero la presenza di una variabilità su una scala più raffinata, solamente negli anni Settanta i progressi tecnici della strumentazione oceanografica e l'esecuzione di esperimenti come l'US-UK MODE-I (mid ocean dynamics experiment, 1971-1974), nonché l'insieme di ormeggi russi POLYGON (1970), consentirono di scoprire tale variabilità. I movimenti su queste scale fini sono chiamati 'vortici modali' (o su scala ciclonica) e sono l'analogo oceanico del sistema 'tempo meteorologico' atmosferico. Se i vortici sono il 'tempo oceanico', la circolazione sottostante è il 'clima oceanico', soggetto a lente variazioni. Nella storia dell'oceanologia, prima fu scoperto il clima, poi il tempo; nella meteorologia accadde piuttosto l'opposto. I vortici contengono il contributo di energia cinetica dominante in tutto il mondo oceanico. Si sa ora che le interazioni di flusso medio dei vortici, cioè le interazioni non lineari su uno spettro continuo di moti, sono di importanza cruciale per la struttura generale di tutta la circolazione. L'unione di MODE e POLYGON portò all'esperimento US-USSR POLYMODE realizzato alla fine degli anni Settanta, nel quale fu coperta densamente, con insiemi di ormeggi, di correntometri e stazioni idrografiche distanti tra loro circa 25 km, una regione nell'Atlantico nord-occidentale, di circa 300 km × 300 km. La fig. 5 (Robinson 1982) mostra alcune mappe che combinano l'evoluzione del campo di corrente alla profondità di 700 m in un periodo di cinque mesi. Le linee con la stessa funzione di flusso sono quelle lungo cui vi è la stessa circolazione e le velocità delle particelle d'acqua sulla linea di flusso sono tangenti a essa. I numeri sotto le mappe rappresentano giorni e mesi del 1978, la prima mappa è centrata sul 14 gennaio. I lati delle mappe corrispondono a 300 km. Come mostrano le mappe, una tale piccola regione è estremamente ricca di vortici ed è caratterizzata da: (a) periodi in cui i vortici formano una struttura compatta; (b) periodi in relativo stato di quiete, con un solo vortice 'solitario' nella regione; (c) scambi diretti di energia tra i vortici dello stesso segno, cioè tra cicloni (L) o anticicloni (H); (d) fusione di due vortici in uno, o divisione di un vortice in due. Sono tutti chiari esempi dell'analogia del campo dei vortici oceanici con il tempo atmosferico.

fig. 6

Altri fenomeni peculiari sulla scala specificata, ossia alla 'mesoscala', scoperti durante gli anni Settanta, sono gli 'anelli' o rings, strutture vorticose energetiche e coerenti, con diametro da 100 a 300 km, che sono prodotte da instabilità di correnti energetiche a getto, come la Corrente del Golfo. Gli anelli sono fenomeni coerenti che intrappolano nel loro nucleo acqua di proprietà ben definite, attraverso una rotazione di corpo rigido. Dopo essere nati, staccandosi dalla corrente-madre, essi migrano nella parte interna dell'oceano, trasportando questa massa d'acqua e durando 6-8 mesi, prima di essere distrutti per dissipazione. Gli anelli sono quindi un meccanismo molto efficace per mescolare le proprietà attraverso un flusso a getto. La fig. 6, derivata da un'immagine da satellite e misurazioni dirette (Richardson 1980), mostra un esempio di interazione anello/corrente e di nascita di un anello. Il 18 aprile 1997 un anello ciclonico contenente acqua fredda proveniente da nord si è ricollegato alla Corrente del Golfo; è poi stato trasportato a nord-ovest e, il 28 aprile, ha interagito con un anello anticiclonico contenente acqua calda di origine meridionale. Il 4 maggio l'anello di nucleo caldo anticiclonico ha proliferato a nord della corrente dove erano già presenti tre altri anelli a nucleo caldo; il 10 maggio l'anello a nucleo freddo, parzialmente riassorbito il 4 maggio, si è infine staccato ed è migrato verso sud. Gli anelli sono, in sostanza, gli analoghi oceanici degli uragani atmosferici.

Gli esempi di vortici sinottici illustrati nella fig. 5 mostrano quanto profondamente la comprensione della circolazione oceanica è stata modificata in seguito alla scoperta della variabilità sulla mesoscala. L'indicazione quantitativa sulle velocità delle correnti oceaniche è passata da 10 (media) ±1 (variabilità) cm/s a 1(media) ±10 (vortici) cm/s.

La rivoluzione degli anni Novanta

Modellazione numerica

fig. 7

La crescita esponenziale del potere di elaborazione elettronica dei dati e l'evoluzione della struttura degli elaboratori elettronici, verificatesi durante l'ultimo decennio, che hanno portato a superelaboratori paralleli a molti processori, hanno inaugurato l'era di una modellazione numerica, assolutamente realistica, della circolazione oceanica globale. I primi modelli numerici degli anni Settanta, al contrario, erano altamente idealizzati e limitati a singoli bacini o regioni oceaniche per la necessità di risolvere il campo dei vortici modali in simulazioni realistiche. Tale, per esempio, era lo US/German community modeling effort (CME) per l'Atlantico meridionale (Schott e Böning 1991; Böning et al. 1991) e il Fine resolution antarctic model (gruppo FRAM 1991). Negli anni Novanta si sviluppò la capacità di simulare numericamente la circolazione degli oceani su scala mondiale, risolvendo totalmente il campo dei vortici modali, in configurazioni di bacino completamente realistiche, comprensive di una batimetria verosimile dell'oceano e di funzioni utili a simulare la variabilità in superficie (il campo degli sforzi del vento per le velocità; i flussi di calore e di umidità per la temperatura e per la salinità). Uno straordinario esempio di circolazione oceanica globale è mostrato nella fig. 7 (Semtner e Chervin 1992), che è un'istantanea del campo di velocità in superficie, istruttivamente confrontabile con la struttura regolare 'stazionaria' della fig. 4.

La complessità delle correnti oceaniche è stupefacente per la ricchezza di vortici di grande energia, sovrapposti non soltanto alle correnti più intense, ma presenti anche nelle parti interne e più calme dell'oceano. Le circolazioni dei cosiddetti gyre a media latitudine (sistemi circolatori chiusi, più grandi dei vortici ordinari), le correnti-limite occidentali, le correnti zonali equatoriali e la corrente circumpolare antartica (che fluisce intorno all'Antartide) mostrano caratteristiche medie e vorticose simili a quelle osservate nei risultati numerici. Tali simulazioni della circolazione oceanica globale sono ora eseguite abitualmente poiché risultano necessarie per una corretta rappresentazione e comprensione del ruolo degli oceani nell'intero sistema Terra.

Le nuove osservazioni

Saranno ora discussi i tre più importanti programmi di osservazione ideati negli anni Novanta.

fig. 8A

Il primo è il già citato World ocean circulation experiment, il cui scopo ultimo era di sviluppare modelli avanzati di circolazione oceanica da usare nella previsione del clima. WOCE ha dato un significativo contributo allo sviluppo del modello teorico, e inoltre si è impegnato principalmente in una descrizione della circolazione oceanica globale, basata su una serie di dati planetari quasi sinottici, di precisione e completezza senza precedenti. Il programma di rilevamento di WOCE iniziò nel 1990 e furono pianificate prospezioni fino al 1995, a cui seguì un periodo di cinque anni di analisi. La sincronizzazione dei progetti fu determinata dalle date di lancio dei satelliti TOPEX/POSEIDON e ERS-1, che, per la prima volta, avrebbero fornito osservazioni estese a quasi tutta la Terra dell'altezza della superficie marina (altimetro TOPEX) e dei dati del vento (diffusometro ERS-1). A causa dei ritardi nel lancio dei satelliti, la fase di raccolta dei dati di WOCE si è prolungata fino al 1997. La fig. 8A mostra la rete monouso di stazioni idrografiche di WOCE che coprì gli oceani del mondo tra il 1990 e il 1997. Alcune delle sezioni mostrate nella figura furono anche ripetute. I cerchi rossi indicano le osservazioni con serie temporali estese. La fig. 8B mostra le linee degli XBT (expendable bathythermographs) di WOCE, lungo le quali essi sono stati gettati da navi mercantili su rotte commerciali. Gli XBT oscillano a profondità di circa 800 m, registrando i profili verticali di temperatura; una volta trasmessi i dati su apposite schede, essi sono abbandonati in mare. Gli XBT forniscono così un'immagine ripetuta della struttura della corrente ascensionale dell'oceano superiore. WOCE è ora entrato nella fase di 'sintesi', in cui le sue osservazioni sono utilizzate in modelli numerici che le combinano insieme, ottimizzandole attraverso metodi di 'assimilazione' dei dati; questa sintesi fornisce una descrizione a quattro dimensioni (spazio+tempo) della circolazione dell'oceano nella sua evoluzione, che è contemporaneamente coerente con i dati e con la dinamica dell'oceano.

La seconda principale e notevole meta raggiunta negli anni Novanta fu il lancio del satellite TOPEX/POSEIDON, che fu equipaggiato con un altimetro radar, il più accurato mai messo in orbita. L'altimetro misura l'altezza del livello del mare, cioè la topografia della superficie marina rispetto a superfici equipotenziali gravitazionali terrestri. Se l'oceano fosse fermo, la superficie del mare coinciderebbe con una superficie equipotenziale gravitazionale, detta 'geoide'. La forma del geoide è determinata prevalentemente dalla distribuzione delle masse continentali e dalla orografia terrestre/batimetria oceanica, che producono cambiamenti nel geoide relativo alla 'Terra solida' talvolta pari a ±100 m. Vi è sovrapposta la topografia dell'oceano, che produce cambiamenti al massimo di ±1m (di circa 1m è la differenza del livello di mare osservata per la Corrente del Golfo e la corrente antartica circumpolare). All'altimetro è dato il compito di estrarre un segnale 'rumore', cioè la topografia della superficie del mare, dal segnale totale. La missione franco-statunitense TOPEX/POSEIDON fu avviata nell'agosto 1992 e, da allora, ha misurato ininterrottamente la forma della superficie marina. Ogni dieci giorni si ottiene il monitoraggio quasi completo degli oceani del mondo. Il successo della missione TOPEX è andato oltre le aspettative, innanzitutto per la sua durata: era atteso un tempo di vita di cinque anni, mentre l'altimetro continua a fornire puntualmente le mappe topografiche della superficie del mare. In secondo luogo, i dati altimetrici presentano un'accuratezza assoluta con scarto quadratico medio (root mean square, sigla 'rms') di circa 3 cm e una precisione con rms di circa 2 cm, caratteristiche di gran lunga migliori rispetto a quelle degli altimetri lanciati in precedenza (GEOS 3, 1975-1978, Seasat, 1978, Geosat 1985-1989).

fig. 9

Per analizzare l'insieme dei dati altimetrici si seguono due procedure. La prima si basa sulla disponibilità di un modello del geoide Terra-solida. Così, la superficie equipotenziale Terra-solida è sottratta dal segnale altimetrico, fornendo la topografia 'assoluta' della superficie marina, cioè la sua media temporale più la variabilità attorno a questa media, dovuta ai movimenti sulla scala dei vortici. I modelli a geoide della Terra, tuttavia, sono affetti da diversi gravi errori, perciò si segue spesso una seconda procedura. Si fa la media dei dati altimetrici durante un periodo di tempo scelto e questa media è sottratta al segnale altimetrico. In questo modo si sottrae sia il geoide Terra-solida stazionario sia la topografia (circolazione) della superficie di mare, mediata nel tempo. Il segnale anomalo che rimane rappresenta la variabilità dei vortici. La fig. 9 mostra la variabilità, in rms, della superficie marina (in cm) attorno alla media temporale sugli oceani del mondo, negli anni 1992-1994 (Wunsch e Stammer 1995). La maggiore variabilità (intensità) dei vortici è stata osservata nelle correnti-limite occidentali come nella Corrente del Golfo nell'Atlantico vicino alla costa americana, nel Kuroshio nel Pacifico vicino al Giappone, nella corrente Aghulas vicino alla punta meridionale dell'Africa, che si prolunga verso est lungo il percorso della corrente atlantica circumpolare e infine nella corrente del Brasile. D'altro canto, è sbalorditiva l'assoluta inattività dell'Atlantico meridionale e del Pacifico sud-orientale. Le mappe del campo di anomalia come quello rappresentato nella fig. 9 sono prodotte attualmente ogni dieci giorni (periodo di ripetizione di TOPEX), e la loro registrazione iniziò nel settembre 1992. È ora disponibile quindi una sequenza di immagini della durata di dieci giorni relativa alla circolazione oceanica in evoluzione, come misurata dallo spazio, su un arco di tempo di quasi un decennio.

Il terzo fondamentale progetto di osservazioni è stato avviato nell'anno 2000 e sarà completato durante i prossimi anni. Si tratta del progetto ARGO, una rete di osservazioni sugli oceani del mondo, finalizzato alla comprensione e alla previsione della variabilità del clima oceanico (Roemmich e Owens 2000). ARGO prevede l'utilizzazione di 3000 strumenti autonomi, ognuno dei quali restituisce ogni dieci giorni un profilo verticale di temperatura e di salinità dalla profondità di 2000 m fino alla superficie del mare. I galleggianti saranno distribuiti sugli oceani a distanza di 3° ca. in latitudine e in longitudine; i dati saranno spediti via satellite e i profili trasmessi rapidamente per prevedere i centri d'uso operativo.

I programmi come WOCE hanno mostrato il ruolo critico giocato dall'oceano nel sistema clima-accoppiato. Non soltanto l'oceano è il serbatoio dominante di acqua e di calore, ma la sua dinamica e la sua termodinamica ridistribuiscono il calore e assorbono i gas climaticamente attivi. Lo sviluppo tecnico dei galleggianti per l'acquisizione dei profili, durante gli anni Novanta, ha reso possibile per la prima volta, osservare lo stato fisico degli oceani del mondo su una base regolare e ben stabilita per i decenni a venire, facendo sì che si possano stabilire sulla base di osservazioni il clima dell'oceano e le sue variabilità stagionali, interannuali e interdecennali, essenziali per la comprensione dell'intero sistema Terra.

Il XXI secolo: la scienza del cambiamento globale

fig. 11
fig. 12

La richiesta sociale di un'accurata previsione del clima è uno dei problemi più urgenti nell'ambito delle scienze naturali. L''argomento clima', tuttavia, coinvolge una serie di discipline che va ben oltre gli interessi di questo specifico settore. Si tratta di capire gli aspetti scientifici, economici ed ecologici del cambiamento climatico e di combinare queste considerazioni in valutazioni politiche. Occorre, quindi, sviluppare metodi, dati e modelli necessari a caratterizzare la discussione attualmente in corso e preparare per scelte difficili le nazioni che, cooperando nella Framework convention, si occupano del cambiamento climatico. In tutte le principali università e istituti di ricerca del mondo, si sono istituiti programmi e centri speciali per affrontare questa sfida. Come fu stabilito nel 1991 al Massachusetts institute of technology di Cambridge (MIT), negli Stati Uniti, sarà discusso il Joint program on the science and policy of global change, un modello che, forse, copre il più ampio intervallo di prospettive mai considerato. Il programma riunisce un gruppo interdisciplinare proveniente da due centri di ricerca, sempre nel MIT, il Center for global change science (CGS) e il Center for energy and environmental policy research. Un'altra essenziale collaborazione è con l'Ecosystem center of the marine biological laboratory (MBL) di Wood Hole, Massachusetts. La parte fondamentale del programma è l'Integrated global system model (IGSM 1998) del MIT, che è attualmente utilizzato per valutare le politiche di intervento proposte per regolamentare i gas responsabili dell'effetto serra, come il biossido di carbonio, il metano, e così via. La fig. 11 illustra lo schema della struttura dell'IGSM e dei suoi componenti, indicando le diverse interazioni tra di essi. Il National emission model e l'Anthropogenic emission and policy analyses model sono i meccanismi-guida per il modello accoppiato chimica atmosferica-clima. Essi predicono le emissioni naturali antropogeniche per latitudine dei diversi gas-serra mostrati nella figura, su dodici regioni del mondo classificate secondo fattori di immissione economici (lavoro, capitale, importazioni e risorse naturali). Sono anche mostrate le varie interazioni tra terra, livello del mare, vegetazione, suolo e l'immissione finale nel Terrestrial ecosystem model. Quest'ultimo è utilizzato per previsioni dello stato futuro degli ecosistemi e per i flussi di biossido di carbonio tra l'atmosfera e la biosfera delle terre emerse e per i feedback nel Climate model. Quest'ultimo comprende uno schema di circolazione che accoppia atmosfera e oceano, dove lo schema di circolazione oceanica fornisce una descrizione e una previsione globale di correnti oceaniche simili a quelle mostrate nella fig. 7, anche se con risoluzione orizzontale molto più grossolana. Accoppiato allo schema di circolazione atmosferica ve n'è uno di chimica atmosferica, che predice l'evoluzione temporale di 25 componenti chimici, 53 gas e reazioni di fase aerosol. Il componente-modello oceano è ancora il più incerto, a causa della circolazione tuttora ampiamente sconosciuta degli strati abissali. Si stanno progettando programmi di osservazione, attualmente in fase di pianificazione, analoghi al progetto ARGO al fine di chiarire questi lati oscuri. La fig. 12 mostra un particolare, prodotto dall'IGSM. Specificatamente, il pannello superiore riporta l'aumento globale-medio di temperatura per l'aria in superficie in °C, sotto vari scenari di emissioni antropogeniche di gas-serra, dal più alto (il peggiore, HHH) a quello più basso (il migliore, LLL), previsti dal 1990 fino al 2100; RRR è la linea centrale della crescita predetta. Il pannello inferiore della figura mostra che il livello di mare sale in corrispondenza di ogni possibile aumento di temperatura dagli HHH agli LLL. Si noti che tali aumenti del livello del mare sono dovuti solo all'espansione termica oceanica e non includono l'effetto di scioglimento dei ghiacciai; sono, perciò, predizioni conservative.

I risultati ottenuti finora in base all'IGSM, e in base agli analoghi programmi eseguiti sotto l'Intergovernmental panel on climate change (IPCC 2001), dimostrano l'importanza di una ricerca ininterrotta di osservazioni in numerose aree critiche, allo scopo di ottenere una valutazione più precisa sia del potenziale per un cambiamento climatico sia dell'efficacia delle proposte politiche. Tra gli argomenti critici di ricerca, forse il più cruciale, poiché ancora non completamente capito, è il componente-oceano e, in particolare, il suo ruolo nel sistema clima.

Bibliografia

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