La grande scienza. Neurofarmacologia

Storia della Scienza (2003)

La grande scienza. Neurofarmacologia

Leslie L. Iversen

Neurofarmacologia

La neurofarmacologia studia le modificazioni dei meccanismi nervosi sotto l'azione delle droghe. La parola 'droghe' si riferisce a quelle sostanze chimiche che vengono assunte per ottenere determinati effetti desiderabili. Alcune sono usate in medicina nel trattamento di particolari malattie, mentre altre vengono assunte per gli effetti piacevoli che esse provocano. Entrambi questi aspetti della neurofarmacologia hanno una lunga storia. La morfina, il principio attivo del papavero da oppio, è utilizzata in medicina come analgesico da migliaia di anni. Analogamente l'assunzione dell'alcol, la prima droga 'di uso voluttuario', è documentata fin dagli antichi Babilonesi, almeno 3000 anni fa.

Tuttavia, nel corso del XX sec. sono stati ottenuti i progressi più importanti in questo campo. Se la morfina, per molti secoli, ha rappresentato quasi l'unica sostanza disponibile per il trattamento del dolore e di molte altre affezioni, nel corso del Novecento sono stati applicati diversi trattamenti nuovi, a cominciare dall'aspirina, scoperta agli inizi del secolo, per finire con le nuove cure 'biologiche' per le malattie del sistema nervoso, tra le quali l'impiego del β-interferone nella sclerosi multipla. Inoltre, nella seconda metà del Novecento si è verificata una rivoluzione nel trattamento delle malattie mentali per alleviare i sintomi di schizofrenia, depressione e ansia. L'utilizzo di queste sostanze psicoattive è in continua ascesa per cui esse costituiscono uno dei settori più importanti del mercato mondiale dei prodotti farmaceutici.

Sfortunatamente in Occidente il XX sec. ha visto anche un drammatico incremento dell'uso e dell'abuso di droghe quali cannabis, anfetamina, ecstasy, eroina e cocaina che vanno o ad aggiungersi o a sostituirsi a quelle il cui utilizzo è più antico, quali alcol e nicotina.

Il sistema nervoso

Il cervello umano, l'organo più complesso dell'intero universo biologico, coordina e analizza tutti gli input sensoriali che riceve dal corpo e dagli organi di senso specifici; in più pianifica ed esegue le azioni appropriate. Il suo peso è pari a circa 2 kg e contiene approssimativamente 10 miliardi di cellule nervose, i neuroni. Questi ultimi sono cellule eccezionali perché, pur possedendo, come normalmente avviene, un corpo cellulare e un nucleo, hanno in aggiunta alcune parti che formano prolungamenti. Queste fibre nervose possono essere lunghissime: quelle che connettono i neuroni del midollo spinale con i muscoli del piede, per esempio, sono lunghe più di un metro. I neuroni del cervello e del midollo spinale sono connessi tramite fibre nervose a tutte le parti del corpo per ricevere gli input sensoriali e inviare i comandi ai diversi muscoli.

I neuroni portano una debole carica elettrica negativa e l'informazione viene trasmessa per tutta la lunghezza delle fibre nervose nella forma di piccole scariche elettriche che viaggiano a elevata velocità. La grande maggioranza dei neuroni cerebrali non si connette in modo diretto con le altre parti del corpo; essi comunicano tra loro tramite circuiti complessi, ciascuno dei quali è specializzato a svolgere una determinata funzione. Così, i neuroni della struttura chiamata cervelletto, alla base del cervello, sono implicati nel controllo fine dell'equilibrio, della postura e dell'esecuzione di movimenti complessi - come andare in bicicletta o mandare la pallina da tennis oltre la rete. Anche i neuroni dei grandi emisferi cerebrali sono organizzati in circuiti implicati nell'esecuzione di movimenti e altre azioni, ma in più essi ricevono diversi tipi di input sensoriali e sono in grado di effettuare analisi complesse, di pianificare e di svolgere le funzioni intellettive. In un luogo non precisato di questi circuiti vi è la sede della coscienza e delle emozioni - sebbene esse siano finora sfuggite a ogni spiegazione puntuale da parte dei neuroscienziati.

L'azione delle droghe sul sistema nervoso può essere studiata a diversi livelli di complessità. A livello 'molecolare', occorre scoprire le modalità di interazione delle droghe con particolari molecole - di solito proteine - alterando la funzione neuronale. A livello 'cellulare' gli effetti delle droghe sulla scarica elettrica del singolo neurone possono essere misurati utilizzando microelettrodi registratori; ciò si ottiene in laboratorio con l'impiego di neuroni in colture artificiali di tessuti o registrando l'attività neuronale di animali da esperimento anestetizzati. Quest'ultimo approccio consente allo scienziato di studiare l'azione della droga a livello dei 'sistemi' per capire, per esempio, in che modo i farmaci antiepilettici agiscono a livello cerebrale per prevenire l'attività elettrica organizzata riscontrabile nell'attacco epilettico. Come ci si potrebbe aspettare, le droghe che agiscono sul sistema nervoso causano cambiamenti profondi della funzione cerebrale tali da poter essere osservati a livello comportamentale. Numerose droghe utilizzate per il trattamento delle malattie mentali provocano effetti distinti sul comportamento animale, e ciò può servire, per esempio, a scoprire nuove droghe di questo tipo.

Negli ultimi anni i progressi più importanti si sono avuti sugli aspetti inerenti il livello molecolare, in cui molti vedono anche le migliori opportunità di avanzamento futuro. Nel cervello è espressa circa la metà dei 30.000 geni umani. Molte centinaia, o forse migliaia, di questi geni sono implicati nel controllo dei processi incredibilmente complessi tramite i quali avviene lo sviluppo del cervello e si formano le giuste connessioni tra i neuroni in esso contenuti. Esistono però molti altri geni i cui prodotti sono coinvolti nella funzione quotidiana del sistema nervoso e che sono potenziali bersagli dell'azione delle droghe. Nel 2000, l'entusiasmo suscitato dalla prima lettura completa del genoma umano era dovuto al fatto che la maggior parte dei geni umani codifica proteine finora sconosciute. Così come avveniva per le regioni dei territori inesplorati segnate in bianco nelle carte geografiche del XIX sec., questi nuovi geni e le loro proteine rappresentano una fonte di nuovi potenziali obiettivi delle droghe.

L'azione delle droghe sui bersagli molecolari del sistema nervoso

Le cellule neuronali sono elettricamente cariche e ciò consente loro di originare e trasmettere microimpulsi di natura elettrica. La peculiarità di essere elettricamente cariche e la capacità di scaricare impulsi sono dovute alle differenze nei livelli dei sali inorganici di sodio e potassio tra l'interno e l'esterno dei neuroni. Un meccanismo di pompa molecolare nella membrana neuronale pompa sodio all'esterno della cellula e mantiene all'interno elevati livelli di potassio. Quando il neurone è eccitato, nella membrana cellulare si aprono speciali canali che consentono l'afflusso improvviso di ioni sodio carichi positivamente; ciò causa nella cellula una momentanea scarica elettrica che, a sua volta, porta a una rapida fuoriuscita di potassio carico positivamente dall'interno della cellula, ripristinandone la carica elettrica. I canali che consentono il passaggio di sodio e potassio attraverso la membrana sono composti di proteine particolari; esistono inoltre altre proteine che formano i canali di membrana per Ca2+, K+, Cl, i quali servono a modulare l'eccitabilità elettrica dei neuroni. Su questi meccanismi agiscono molte droghe e tossine, come la tetrodotossina che si estrae dal pesce palla e la correlata saxitossina ricavata dai molluschi bivalvi, le quali agiscono bloccando il canale del Na+ associato con l'eccitazione del neurone, portando quindi al blocco nervoso, alla paralisi muscolare e alla morte. Gli stessi canali Na2, tuttavia, sono il bersaglio degli anestetici locali, droghe non tossiche, affini alla cocaina, largamente utilizzati nella chirurgia dentale o in altre operazioni minori per provocare il blocco temporaneo della conduzione nervosa nel punto di applicazione. Queste droghe non sono tossiche, in quanto vengono somministrate per causare il blocco nervoso a livello locale.

Un'altra funzione importante del sistema nervoso riguarda le modalità con cui i nervi trasmettono i loro messaggi alle altre cellule. Sebbene la comunicazione dei messaggi lungo il nervo si verifichi mediante impulsi elettrici, quella tra i nervi o tra le cellule neuronali e i loro bersagli nell'organismo avviene tramite segnali chimici. Quando l'impulso elettrico giunge all'estremità di una fibra nervosa, viene stimolato il rilascio di un messaggero chimico (noto come neurotrasmettitore) in piccola quantità, il quale si diffonde rapidamente attraverso la stretta fessura (sinapsi) posta tra il nervo e il suo bersaglio (un altro neurone, un tessuto periferico o una ghiandola). Il neurotrasmettitore viene quindi riconosciuto da uno specifico recettore proteico al quale si lega sulla superficie della cellula bersaglio, stimolandone una determinata funzione: l'eccitamento, che può portare a propagare ulteriormente l'impulso nervoso, la contrazione dei muscoli o la secrezione ghiandolare. Talvolta il messaggio portato dal neurotrasmettitore ha l'effetto di inibire l'attività elettrica della cellula bersaglio - nei complessi circuiti cerebrali i segnali inibitori sono importanti tanto quanto quelli eccitatori. Il meccanismo basato sui neurotrasmettitori offre molti possibili bersagli all'azione delle droghe.

Esistono diversi neurotrasmettitori; attualmente se ne conoscono almeno 10, ma probabilmente il loro numero è destinato ad aumentare. Un'ulteriore complicazione deriva dal fatto che ogni neurotrasmettitore può agire su una varietà di diversi recettori sulle cellule bersaglio - in alcuni causando eccitamento, in altri inibizione. Per esempio, la 5-idrossitriptamina (o serotonina), una sostanza chimica relativamente semplice, può agire su non meno di 14 diversi recettori cellulari. Alcuni di essi hanno costituito i bersagli chiave di importanti gruppi di farmaci per il trattamento delle malattie umane.

Oltre ai neurotrasmettitori classici, un'altra vasta famiglia di messaggeri chimici è costituita dai neuropeptidi - una serie di molecole composte da brevi sequenze di amminoacidi, gli stessi costituenti delle proteine. I neuropeptidi contengono da 2 a 40 residui amminoacidici e ciascun peptide ha il suo specifico pattern di distribuzione nel cervello, nel midollo spinale e nel sistema nervoso periferico. Al pari dei neurotrasmettitori, i neuropeptidi vengono rilasciati dalle terminazioni nervose e sono riconosciuti da specifici recettori sulle cellule bersaglio. Così i peptidi morfinosimili, encefaline ed endorfine, sono implicati nella modulazione della sensibilità dolorifica e si ritiene che il peptide noto come sostanza P, presente in alcuni nervi sensitivi, svolga un ruolo nella trasmissione del dolore.

I diversi meccanismi coinvolti nella trasmissione chimica che si attua a livello sinaptico costituiscono il bersaglio dell'azione di molte droghe. Vari composti (detti agonisti) hanno un grado di somiglianza chimica con i neurotrasmettitori naturali tale da far sì che essi possano mimare l'azione esercitata dai neurotrasmettitori sui recettori da cui vengono normalmente riconosciuti. Altri composti (detti antagonisti) si legano al recettore del neurotrasmettitore per bloccarne l'azione.

Inoltre le droghe possono agire interferendo con i meccanismi normalmente coinvolti nel rilascio dei neurotrasmettitori dalle terminazioni nervose. Un esempio tipico è la tossina botulinica che inibisce fortemente il rilascio di acetilcolina dalle terminazioni nervose sui muscoli. Tale effetto rende questa tossina un veleno potente e mortale che causa la paralisi dei muscoli implicati nella respirazione, portando rapidamente alla morte. A dispetto di questa sua caratteristica, negli ultimi anni la tossina botulinica ha trovato largo impiego in medicina. È stato scoperto, infatti, che iniettandola nei muscoli a dosi estremamente basse era possibile calmare i movimenti anomali indesiderati, quali quelli provocati da diverse condizioni neurologiche. I pazienti afflitti da continuo ciondolamento della testa, per esempio, riuscivano a trovare sollievo da questi sintomi per alcune settimane dopo un'iniezione della durata di un minuto di tossina botulinica nei muscoli del collo. Recentemente la sua somministrazione ha trovato un utilizzo più futile in cosmesi per la riduzione delle rughe del viso.

Un modo in cui le droghe possono agire per potenziare la normale funzione sinaptica è bloccare i processi che di solito inattivano il neurotrasmettitore dopo la sua liberazione dalle terminazioni nervose. Talvolta ciò implica la rapida degradazione metabolica del neurotrasmettitore da parte di un enzima - l'esempio classico è costituito dalla rapida inattivazione dell'acetilcolina a opera dell'enzima acetilcolinesterasi (AChe) dopo l'avvenuto rilascio del neurotrasmettitore dalla terminazione nervosa sul muscolo. Sono stati scoperti diversi inibitori di questo enzima - e alcuni, per esempio il Sarin, sono stati impiegati nelle guerre chimiche. Il blocco praticamente completo e irreversibile dell'AChe da parte del Sarin e degli altri cosiddetti 'gas nervini' porta alla perdita completa della funzione neuromuscolare, in quanto il muscolo viene continuamente bombardato da acetilcolina che non può essere inattivata: seguono perciò una rapida paralisi muscolare e la morte. Di recente, tuttavia, sono stati sviluppati inibitori dell'AChe più blandi, in grado di provocare un blocco soltanto parziale, e quindi reversibile, dell'enzima. Queste droghe possono potenziare gli effetti dell'acetilcolina nel cervello dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer - in cui sono parzialmente distrutti i neuroni contenenti acetilcolina. Un altro modo con cui vengono inattivati i neurotrasmettitori è basato sull'attività di uno speciale meccanismo a 'pompa' localizzato nella membrana delle terminazioni nervose - tale meccanismo serve a rimuovere e riciclare il neurotrasmettitore liberato tramite un processo detto di ricaptazione (reuptake). Esistono diverse 'pompe' (proteine trasportatrici o trasportatori) che costituiscono il bersaglio di vari farmaci. In particolare agiscono in questo modo tutti i moderni antidepressivi che bloccano la ricaptazione della noradrenalina o della serotonina (e talvolta di entrambe).

Droghe e trattamento dei disturbi del sistema nervoso

Epilessia

Le epilessie sono malattie devastanti e diffuse che nei paesi occidentali colpiscono approssimativamente l'1% della popolazione. Esistono molte varietà di epilessia: dalle forme più gravi che includono convulsioni con perdita di coscienza e attacchi ciclici, a forme meno gravi e transitorie di sospensione della coscienza. Sebbene con i trattamenti utilizzati si riesca a controllare ampiamente questa patologia, essa resta una malattia grave in quanto impedisce agli individui di completare la propria istruzione o di lavorare. Gli attacchi epilettici derivano da scariche ritmiche incontrollate dell'attività elettrica cerebrale; essi sono il riflesso di danni ai normali sistemi regolatori cerebrali che prevengono simili squilibri nei meccanismi di controllo eccitatorio e inibitorio. La sensibilizzazione del cervello a questo tipo di attività tende a portare modificazioni permanenti nei circuiti cerebrali, e quindi a una epilessia permanente. Negli animali da esperimento il processo di 'epilettogenesi' può essere simulato dalla ripetizione dell'appropriata stimolazione elettrica di certe aree cerebrali. Il meccanismo coinvolto nello sviluppo dell'epilessia umana resta tuttavia scarsamente compreso e per la maggior parte incurabile. Lo spettro di medicine disponibili che aiutano a limitare o prevenire gli attacchi serve per il trattamento sintomatico ma non guarisce la malattia.

I primi farmaci efficaci utilizzati per tenere sotto controllo gli attacchi epilettici sono stati i barbiturici che agiscono potenziando gli effetti del neurotrasmettitore inibitorio GABA (acido γ-amminobutirrico). I barbiturici sono tuttavia pericolosi, in quanto il loro sovradosaggio può uccidere e perciò sono stati largamente sostituiti da un complesso di farmaci antiepilettici moderni e più sicuri. Questi agiscono fondamentalmente in due modi: o potenziando gli effetti del GABA o interferendo con i canali per Na+ che sono essenziali per la conduzione dell'impulso nervoso nei neuroni.

In questa branca della neurofarmacologia, i progressi dipendono da nuove conoscenze nella comprensione del processo dell'epilettogenesi e nella diagnosi precoce dei bambini a rischio allo scopo di bloccare il processo di sviluppo di tale malattia. Nuove ricerche hanno già suggerito che i fattori genetici potrebbero essere importanti nella predisposizione all'epilessia; la comprensione dei meccanismi genetici coinvolti potrà dunque fornire indizi di grande utilità.

Disturbi degenerativi del cervello

Queste malattie sono caratterizzate da una perdita progressiva e permanente dei neuroni di particolari regioni cerebrali, in quanto il cervello adulto è in larga parte incapace di generare neuroni che sostituiscano quelli degenerati.

Nelle diverse malattie sono coinvolte differenti popolazioni neuronali: nel morbo di Parkinson si verifica una perdita progressiva di una popolazione relativamente piccola di neuroni che utilizzano dopamina come neurotrasmettitore e che sono fondamentali per iniziare ed eseguire i movimenti volontari; nel morbo di Huntington è coinvolta la regione cerebrale nota come corpo striato - anch'essa un'area cerebrale importante per il controllo del movimento; nella sclerosi multipla il danno è a carico della guaina mielinica che avvolge le fibre nervose del cervello e del midollo spinale; ciò porta a un incremento della perdita di input sensoriali e a un'incapacità di eseguire i comandi motori; il morbo di Alzheimer è caratterizzato da una perdita progressiva di ampie regioni di corteccia cerebrale - la parte pensante del cervello.

Resta perlopiù sconosciuto il meccanismo patologico responsabile dei danni selettivi alle regioni cerebrali. È stato ipotizzato in seguito a ricerche recenti che, nell'uomo, le mutazioni in determinati geni possono aumentare il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative; alcune mutazioni sono ereditarie in rare forme familiari del morbo di Alzheimer e del morbo di Parkinson. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le cause genetiche non sono state ancora identificate.

Il cervello è un organo molto attivo dal punto di vista metabolico. Sebbene costituisca meno del 5% del peso corporeo, esso riceve circa il 20% del flusso sanguigno generato dal cuore e ha un fabbisogno enorme di nutrienti e ossigeno. La continua esposizione all'ossigeno rende i neuroni intrinsecamente vulnerabili in quanto le forme chimicamente reattive di questo gas tendono ad accumularsi diventando cause potenziali di danni cellulari. Con il progredire dell'età, il cervello è meno abile a difendersi dal cosiddetto 'stress ossidativo'. Tuttavia, ciò non giustifica i pattern di perdita neuronale che avvengono nelle regioni cerebrali specifiche e che caratterizzano le principali malattie neurodegenerative. Soltanto dopo aver chiarito i meccanismi patologici coinvolti, ancora in gran parte sconosciuti, sarà possibile intervenire con medicine che sono in grado di colpire il processo patologico in quanto tale piuttosto che curare semplicemente i sintomi, come fanno i farmaci attualmente a disposizione.

Così, la scoperta che i sintomi del morbo di Parkinson sono dovuti a una perdita selettiva dei neuroni contenenti dopammina ha portato logicamente a sviluppare l'L-DOPA, il precursore naturale da cui viene sintetizzata la dopamina cerebrale, come sostanza in grado di trattare efficacemente i sintomi della malattia. A differenza della dopammina, l'L-DOPA può penetrare dalla corrente sanguigna nel cervello, dove viene convertita in dopammina - ripristinando quindi il neurotrasmettitore mancante. L'L-DOPA di solito viene somministrata in combinazione con un altro farmaco (per es., la carbidopa) che limita la degradazione dell'L-DOPA da parte del fegato. Questo trattamento si è dimostrato enormemente efficace su milioni di pazienti affetti dalla malattia, consentendo loro di riguadagnare la capacità di effettuare movimenti almeno per una parte della giornata, anche se, a mano a mano che la perdita dei neuroni dopaminergici diventa progressivamente più profonda, l'L-DOPA tende a divenire sempre meno efficace. Il farmaco provoca inoltre numerosi effetti collaterali indesiderati, tra i quali sintomi psicotici, nausea e vomito. Altri farmaci impiegati nel trattamento del morbo di Parkinson sono agonisti diretti dei recettori dopaminergici cerebrali; essi comprendono: bromocriptina (PARLODEL), pergolide (PERMAX, CELANCE), lisuride (REVANIL), pramipexolo e ropinirolo.

Anche il morbo di Huntington colpisce i centri cerebrali motori causando movimenti incontrollati degli arti e del corpo e portando infine alla morte entro un periodo di circa dieci anni. Il morbo di Huntington viene ereditato come malattia causata da un gene dominante (cioè i bambini hanno una probabilità del 50% di contrarre la malattia se uno dei genitori ne è affetto). Paradossalmente, sebbene sia stato identificato il gene responsabile e sia nota la proteina che esso codifica (huntingtina), finora queste conoscenze non sono servite a compiere passi in avanti nella delucidazione dei meccanismi cerebrali coinvolti o nella cura della malattia. Allo stato attuale, il trattamento agisce soltanto sui sintomi e si basa sui farmaci antiepilettici e su quelli normalmente impiegati nel trattamento della depressione o della schizofrenia.

Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile; ne sono colpite milioni di persone e la sua incidenza sta aumentando vertiginosamente. Tra coloro che hanno più di ottantacinque anni la probabilità di sviluppare la malattia è di almeno un quarto. Il morbo di Alzheimer porta a una massiccia perdita di neuroni dalla corteccia cerebrale e causa danni anche a strutture cerebrali più profonde. Come per le altre malattie degenerative il meccanismo implicato è poco conosciuto. Nel morbo di Alzheimer vengono depositate quantità anomale di una proteina insolubile, nota come proteina β-amiloide, in milioni di piccoli punti focali detti placche senili. Molti ritengono che a questo sia dovuto lo scatenamento di una serie di altri cambiamenti che alla fine portano alla morte neuronale. I nuovi trattamenti che attualmente si stanno sperimentando hanno lo scopo di ridurre la formazione di proteina β-amiloide nel cervello o di coadiuvare nella rimozione dei depositi amiloidi già formati. Le medicine di cui oggi disponiamo sono poche e trattano soltanto i sintomi di perdita della memoria e diminuzione delle capacità cognitive. Nel morbo di Alzheimer è particolarmente predisposto al danno un sistema di neuroni che utilizza acetilcolina. I farmaci attualmente disponibili agiscono inibendo il catabolismo dell'acetilcolina da parte dell'enzima acetilcolinesterasi e rendendo in questo modo utilizzabile per la funzione sinaptica cerebrale una maggiore quantità di neurotrasmettitore. Tali farmaci comprendono: donezepil (ARICEPT), rivastigmina (EXCELON) e galantamina (REMINYL) e sono utili per alcuni pazienti, in particolare per quelli che si trovano negli stadi iniziali della malattia, su cui il trattamento farmacologico ha l'effetto di ritardare il processo di 6-12 mesi.

La sclerosi multipla è un'altra malattia progressiva che danneggia la guaina mielinica isolante che avvolge le fibre del midollo spinale e del cervello. È un esempio di malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario, in modo anomalo, attacca le proteine del corpo, in questo caso quelle associate alla mielina. Il suo trattamento non è facile, sebbene i farmaci immunosoppressori siano stati saggiati con qualche successo. Negli ultimi anni, ha dato qualche effetto positivo anche l'introduzione dell'immunomodulatore proteico β-interferone (AVONEX, BETASERON). La malattia tende a peggiorare con stadi inframmezzati da ricadute; in seguito alla somministrazione di β-interferone si allungano i periodi di ricadute. Il β-interferone, comunque, non beneficia tutti i pazienti e in molti paesi l'utilizzo di questo tipo di trattamento è limitato dai suoi elevati costi (circa 10.000 dollari all'anno per paziente).

Dolore

Per modificare la sensibilità al dolore si è sviluppata una grande varietà di droghe che vanno dagli anestetici generali utilizzati in chirurgia, in grado di rendere il paziente privo di coscienza e totalmente insensibile al dolore, all'aspirina e al paracetamolo per il mal di testa.

Il dolore si è sviluppato come meccanismo biologico di difesa che avverte l'organismo di ferite o danni tissutali di maggiore durata. I meccanismi nervosi coinvolti nella percezione del dolore sono complessi. Alcune fibre nervose sensitive sono particolarmente adattate a rilevare danni tissutali o infiammazioni e a mandare i messaggi al midollo spinale e al cervello. Prima che la sensazione dolorifica venga percepita al livello della corteccia cerebrale, questi messaggi sono processati attraverso varie stazioni di relè. La sensibilità al dolore non è costante, ma, a livello di queste stazioni di relè, può essere modificata da altri meccanismi cerebrali. Tra questi, degno di nota è il compito delle sostanze chimiche cerebrali morfinosimili dette endorfine, neuropeptidi che si trovano abbondantemente, in particolare nelle stazioni dolorifiche dei relè cerebrali e spinali dove sono in grado di modificare la sensibilità al dolore. Così, il giocatore di football non sente il dolore di una ferita se non dopo la fine della partita e un soldato ferito in combattimento non percepisce un dolore immediato.

Anche l'eccitabilità dei neuroni sensitivi periferici deputati alla percezione del dolore non è costante. In risposta a ferite o infiammazione questi nervi possono diventare centinaia di migliaia di volte più sensibili del normale. Perciò in una gamba ferita anche il tocco più lieve può causare un intenso dolore. Questo fenomeno, ancora scarsamente compreso, è stimolato dai mediatori chimici rilasciati dai globuli bianchi e da altri componenti coinvolti nel processo infiammatorio e in quello riparativo che seguono una ferita o un'infezione. Molte forme di dolore importanti dal punto di vista medico derivano da una sensibilizzazione di lungo termine di questo tipo.

Gli anestetici non sono stati progettati per curare queste condizioni, ma per rendere il paziente privo di coscienza e insensibile al dolore durante un'operazione chirurgica. È stata percorsa molta strada da quando l'etere e il cloroformio furono utilizzati per la prima volta in medicina nel XIX sec.: ora gli anestesisti hanno a disposizione un'ampia gamma di anestetici adatti alle particolari operazioni.

Gli anestetici generali vengono utilizzati nelle sale operatorie degli ospedali. Fatto non usuale in medicina, molte di queste sostanze sono gas che vengono somministrati per inalazione tramite i polmoni, per esempio l'alotano (FLUOTHANE), l'isoflurano (FORANE), il desflurano (SUPRANE), il sevoflurano (ULTANE) e il grande favorito monossido di diazoto (gas esilarante). Il vantaggio di somministrare questi farmaci sotto forma di gas è che essi sono assorbiti molto velocemente dall'ampia superficie polmonare cosicché l'insorgenza dell'effetto anestetico è molto rapida - entro pochi minuti. Similmente può essere controllata finemente anche la profondità dell'anestesia in quanto il farmaco lascia il corpo molto velocemente tramite i polmoni, quando la sua somministrazione cessa o viene ridotta. Gli anestesisti non desiderano un farmaco che lasci il paziente incapace di riacquistare conoscenza per lunghi periodi di tempo. È superfluo affermare che nessuno degli anestetici moderni è infiammabile - e ciò annulla il terribile rischio in precedenza associato con l'etere, una sostanza altamente infiammabile.

Come alternativa all'inalazione, molti anestetici generali vengono somministrati per iniezione endovenosa. Essi sono stati progettati per avere una durata di azione molto breve - in quanto sono rapidamente rimossi dal circolo sanguigno tramite il metabolismo o perché si separano nelle riserve di grasso. Ciò significa che l'anestesista può esercitare un attento controllo sulla profondità dell'anestesia variando la velocità dell'iniezione. Questi agenti includono barbiturici ad azione breve (tiopental, thioamylal, methohexital), propofol, (DIVIPRAN), etomidato (AMIDATE) e chetamina (KETALAR).

Le teorie sul meccanismo di azione degli anestetici generali sono cambiate nel corso degli anni. Si era soliti ritenere che questi agenti agissero in virtù della loro solubilità nelle membrane che circondano i neuroni e che pertanto interferissero con la capacità delle membrane di condurre gli impulsi nervosi. Ricerche più recenti suggeriscono, invece, che gli anestetici hanno bersagli distinti nel sistema nervoso. Molti agiscono aumentando la sensibilità dei neuroni al neurotrasmettitore ubiquitario ad azione inibitoria GABA, incrementando in tal modo il livello di input inibitori diretti ai neuroni. Altri (per es., la chetamina) agiscono principalmente bloccando l'azione del principale neurotrasmettitore eccitatorio cerebrale, l'acido L-glutammico. Non è chiaro quale regione cerebrale sia cruciale per l'anestesia, ma molti ritengono che un bersaglio chiave sia costituito dal talamo - questa struttura giace al di sotto della corteccia cerebrale e agisce come un'importante stazione di relè degli input sensoriali diretti alla corteccia.

A differenza di quelli generali, tutti gli anestetici locali agiscono bloccando la conduzione nervosa; essi interferiscono con i canali per Na+ che sono essenziali per la propagazione dell'impulso.

Gli anestetici locali più largamente utilizzati sono tutti chimicamente correlati con la cocaina, composto naturale utilizzato come anestetico locale nel XIX sec., per esempio nelle operazioni di chirurgia oftalmica. I farmaci oggi più comunemente utilizzati sono la lidocaina (XYLOCAINA) la bupivacaina (MARCAINA, SENSORCAINA), la procaina (NOVOCAINA) e la tetracaina (PONTOCAINA) che generalmente vengono somministrati per iniezione locale e sono largamente impiegati per operazioni chirurgiche minori, quali quelle odontoiatriche o di chirurgia oftalmica. Essi possono essere anche usati per produrre un blocco nervoso nelle operazioni chirurgiche agli arti.

A differenza degli anestetici, utilizzati per provocare uno stato temporaneo di incoscienza e insensibilità al dolore, gli analgesici sono farmaci che servono a trattare il dolore di tipo cronico in una grande varietà di condizioni patologiche. La morfina e gli affini oppiacei sono i più potenti agenti a disposizione per il trattamento delle forme patologiche gravi di dolore. La morfina, un prodotto naturale ricavato dal papavero da oppio, viene utilizzata in medicina da migliaia di anni. Agisce sui recettori degli oppiacei nel cervello e nel midollo spinale i quali sono il normale bersaglio delle endorfine prodotte dall'organismo, una famiglia di neuropeptidi la cui funzione è quella di regolare il livello di sensibilità al dolore. La morfina stessa è ancora largamente utilizzata per trattare il dolore associato alle neoplasie o ad altre condizioni croniche gravi. Negli ultimi anni, i nuovi modi di somministrazione della morfina tramite compresse a rilascio controllato hanno indicato che un buon controllo del dolore può essere ottenuto quando il farmaco viene assunto soltanto una volta o due al giorno, invece di una volta ogni quattro ore come richiesto in precedenza. Un altro progresso si è verificato con l'ideazione di un cerotto adesivo per la somministrazione di fentanyl (DUROGESIC), un derivato sintetico della morfina altamente potente. Sono a disposizione e vengono largamente impiegati anche altri oppiacei sintetici: la meperidina (petidina, DEMEROL) è spesso utilizzata nel parto come analgesico da autosomministrazione; il metadone (DOLOPHINE) è in qualche modo meno potente della morfina tuttavia ha un effetto di durata molto superiore. Esso è largamente impiegato nel trattamento della tossicodipendenza da oppiacei. Propossifene (DARVON, DOLOXENE, DISTALGESIC), codeina e tramadolo (ULTRAM) sono oppiacei molto più deboli utilizzati per il trattamento di forme dolorifiche più lievi. In alcuni paesi, la codeina è disponibile come farmaco acquistabile senza ricetta. Questa sostanza è un derivato della morfina che agisce blandamente sui recettori degli oppiacei. Circa il 10% della codeina assunta viene tuttavia metabolizzato dall'organismo per essere trasformato in morfina, e ciò probabilmente dimostra le sue proprietà analgesiche. Nel 10% della popolazione caucasica manca l'enzima epatico necessario a compiere questa trasformazione e quindi non può essere utilizzato tale tipo di trattamento.

L'eroina (diacetilmorfina, DIAPHINE) è una potente sostanza chimica derivata dalla morfina la cui diffusione a livello cerebrale è però molto più rapida. È un potente analgesico che può essere somministrato sia tramite iniezione endovenosa sia per via orale nel trattamento delle forme patologiche gravi di dolore. Il rischio di deviazione verso la tossicodipendenza, tuttavia, limita l'utilizzazione terapeutica di tale droga sebbene siano scarse le prove che questo o altri farmaci oppiacei determinino abuso e dipendenza nei pazienti che li ricevono come trattamento. Comunque, un timore infondato ne ha limitato l'uso in medicina.

Tra i farmaci impiegati in condizioni dolorose non sufficientemente gravi il gruppo più importante comprende i composti affini all'aspirina noti come FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei). L'aspirina è stata scoperta nel 1898 come derivato chimico dell'acido salicilico, un componente naturale della corteccia del salice utilizzato nella medicina erboristica, ed è stata uno dei primi farmaci interamente sintetici; divenuta il farmaco di maggior successo del XX sec., trova anche oggi una larga utilizzazione. Il suo meccanismo d'azione comporta l'inibizione di un passaggio chiave del processo infiammatorio che si verifica in seguito a ferite o infezioni. La cicloossigenasi forma un mediatore infiammatorio chiamato prostaglandina che, tra le altre cose, aiuta a sensibilizzare le terminazioni nervose sensitive periferiche al dolore. Bloccando questo enzima, l'aspirina previene la sintesi di prostaglandina e riduce la sensibilità dolorifica dei nervi sensitivi. L'aspirina agisce anche a livello del sistema nervoso centrale diminuendo la febbre associata con le malattie infettive. Dopo la scoperta dell'aspirina sono state sintetizzate molte centinaia di altri FANS con un'azione più potente dell'aspirina. Questi farmaci sono largamente utilizzati per trattare condizioni dolorose croniche associate con il dolore infiammatorio, come le infiammazioni delle articolazioni di coloro che soffrono di artrite e reumatismi. I farmaci più comunemente utilizzati sono: l'indometacina (INDOCIN), l'ibuprofene (NUPRIN) e il ketorolac (TORADOL). Il paracetamolo (TYLENOL, PANDOL) come blando analgesico acquistabile senza ricetta è uno degli antidolorifici di uso domestico più largamente utilizzati. Sfortunatamente, però, tutti i FANS, compreso il paracetamolo, se ingeriti, volontariamente o per errore, in dosi eccessive sono pericolosi. Tutti i FANS classici possono causare irritazione al rivestimento interno dello stomaco e dell'intestino che può portare a sanguinamento incontrollato; il paracetamolo può arrecare danni irreversibili al fegato.

Con i cosiddetti inibitori della COX2 (ciclossigenasi 2), sembra essere arrivata una nuova generazione più sicura di FANS. Questi farmaci hanno come bersaglio una sottoforma dell'enzima ciclossigenasi presente soltanto nei tessuti infiammati e danneggiati ma non nello stomaco. Essi mantengono le proprietà analgesiche e antinfiammatorie con minori rischi di sanguinamento gastrico. Il trattamento con rofecoxib (VIOXX) e celecoxib (CELEBREX) ha dato risultati soddisfacenti sebbene sia troppo presto per valutare quanto più sicuri si mostreranno questi nuovi FANS.

Farmaci utilizzati nel trattamento delle malattie mentali

Nell'ultima metà del XX sec., la scoperta di farmaci che miglioravano i sintomi principali della pazzia, della depressione e dell'ansia portò a un cambiamento radicale nel modo di trattare i disturbi dovuti a tali malattie. L'efficacia dei farmaci contro la schizofrenia fu il fattore che contribuì maggiormente alla graduale chiusura degli ospedali psichiatrici, i luoghi di custodia dove i malati di mente pericolosi erano tenuti rinchiusi lontani dalla società.

La psicofarmacologia si sviluppò come nuova scienza con lo scopo di capire in che modo questi farmaci psicotropi agivano a livello cerebrale. Alla fine del secolo gli psicofarmaci sono diventati in tutto il mondo un settore importante della vendita dei farmaci che fattura più del 15% del mercato totale; annualmente, le vendite dei soli antidepressivi ammontano a più di 10 miliardi di dollari.

La svolta decisiva è arrivata negli anni Cinquanta con la scoperta della clorpromazina (LARGACTIL) come primo trattamento efficace contro i sintomi caratteristici della schizofrenia (ossessione di essere perseguitati o di grandezza, paranoia, allucinazioni, ecc.). La clorpromazina è stata largamente utilizzata ed è stata seguita da una serie di farmaci di efficacia simile la cui somministrazione non richiede il ricovero del paziente. Il farmaco viene sciolto in un eccipiente oleoso e iniettato per via intramuscolare che consente un assorbimento molto lento del principio attivo; in questo modo il trattamento mantiene la sua efficacia per diverse settimane.

Dal punto di vista scientifico, un progresso importante nella comprensione del modo in cui queste droghe agiscono a livello cerebrale è stato la scoperta che esse hanno tutte come bersaglio un recettore per il neurotrasmettitore dopammina. La dopammina è utilizzata come messaggero chimico in parti del cervello che sono deputate alle funzioni più elevate e nei centri delle emozioni e della ricompensa. Inoltre questo neurotrasmettitore svolge un ruolo nel corpo striato dove è coinvolto nel controllo dei movimenti volontari. È il danno a questo sistema che porta ai sintomi caratteristici del morbo di Parkinson. Dato che i farmaci antischizofrenici bloccano la funzione della dopammina in tutte le parti del cervello, essi inevitabilmente tendono a causare effetti collaterali parkinsonsimili, quali rigidità, tremore e scarso controllo dei movimenti. È stata introdotta una nuova generazione di cosiddetti farmaci antischizofrenici 'atipici' che hanno una ridotta tendenza a causare tali effetti indesiderati mantenendo la loro efficacia come antipsicotici. Essi combinano la capacità di bloccare i recettori cerebrali della dopammina con un'azione secondaria sui recettori della serotonina che sembra essere ottimale.

Un altro passo decisivo compiuto negli anni Cinquanta è stato la scoperta dei primi farmaci antidepressivi efficaci. Da allora anche questi composti sono stati rapidamente adottati e sono risultati benefici per milioni di persone. Sfortunatamente i farmaci di prima generazione, imiprammina (TOFRANIL), amitriptilina (ELAVIL) e gli altri composti affini denominati antidepressivi triciclici, se somministrati in dosi eccessive hanno potenzialmente effetti collaterali pericolosi sul cuore. Dal momento che i pazienti affetti da depressione spesso mostrano tendenze suicide, questi farmaci hanno causato molte morti per sovradosaggio. Una nuova generazione di farmaci più sicuri introdotti nel 1990 e rappresentati dalla fluoxetina (PROZAC) pertanto costituito un ulteriore passo avanti. Tutti i farmaci antidepressivi agiscono bloccando i meccanismi delle proteine trasportatrici (o trasportatori), responsabili di far terminare l'azione dei neurotrasmettitori monoamminici. I farmaci utilizzati per primi hanno come bersaglio sia i trasportatori della noradrenalina sia quelli della serotonina, mentre il PROZAC e i farmaci affini più recenti agiscono selettivamente soltanto sul meccanismo della serotonina. L'avvento di questi farmaci relativamente sicuri ha significato un allargamento del loro uso clinico in quanto i medici si dimostrano più propensi a prescriverli. Questi composti, inoltre, si sono rivelati utili anche nel trattamento di una notevole varietà di condizioni psichiatriche tra cui la bulimia nervosa, i disturbi da stress postraumatico, fobia sociale, disturbi ossessivo-compulsivi e sindrome premestruale.

La scoperta dei tranquillanti rappresentati dal diazepam (VALIUM), composti in grado di calmare i pazienti ansiosi o quelli colpiti da attacchi di panico, ha determinato un altro considerevole progresso. Nel decennio compreso tra gli anni Sessanta e Settanta è stato il medicinale più venduto nel mondo. A esso seguirono molti altri composti del genere, la maggior parte dei quali appartiene alla classe del diazepam, quella delle benzodiazepine. A livello cerebrale, tutti questi farmaci potenziano le risposte al GABA. L'aumento del tono inibitorio che si verifica nel cervello in conseguenza di dosi moderate di questi farmaci ha un effetto calmante e rilassante; in dosi più elevate questi farmaci inducono il sonno, pertanto le benzodiazepine sono state utilizzate anche nel trattamento dell'insonnia.

All'inizio si riteneva che le benzodiazepine fossero farmaci completamente innocui; successivamente invece divenne chiaro che, se assunte per periodi di tempo prolungati, esse possono portare a una forma di tossicodipendenza. È probabile che i pazienti trovino difficile smettere di assumere i tranquillanti in quanto l'interruzione induce spiacevoli sintomi da astinenza, tra i quali un aumento dei livelli di ansia, inquietudine, agitazione, disturbi del sonno. Oggi i tranquillanti vengono utilizzati con maggiore oculatezza sebbene mantengano ancora un ruolo fondamentale nel trattamento dei pazienti con vari disturbi di tipo ansioso e di quelli che soffrono di attacchi ricorrenti di panico e di gravi forme di fobia.

Droghe di uso voluttuario

L'alcol è la più antica di tutte le droghe di uso voluttuario. Nella maggior parte dei paesi occidentali più dell'80% della popolazione adulta ammette di averlo provato e circa il 50% ne fa un uso regolare.

Non si sa esattamente in che modo l'alcol agisca a livello cerebrale producendo all'inizio uno stato di eccitazione e intossicazione e successivamente uno stato di sedazione. Si ritiene che le azioni principali dell'alcol abbiano come bersaglio i due maggiori sistemi di messaggeri chimici dei circuiti neuronali cerebrali. L'alcol potenzia l'azione del GABA, il principale segnale inibitorio e blocca parzialmente l'acido L-glutammico, il principale segnale eccitatorio. Inoltre, la piacevole azione intossicante dell'alcol sembra essere dovuta in parte alla sua capacità di stimolare i meccanismi cerebrali degli oppiacei, gli stessi che sono stimolati più direttamente e violentemente dall'eroina.

La nicotina è la droga presente nei prodotti contenenti tabacco ed è la sostanza responsabile delle loro caratteristiche piacevoli. Nel cervello essa agisce sui recettori del messaggero chimico acetilcolina. Le vie nervose cerebrali che rilasciano acetilcolina tra le loro funzioni hanno anche quella di agire come un sistema di all'erta o di attivazione fisiologica degli emisferi cerebrali (arousal) - la parte pensante del cervello. Secondo i fumatori la nicotina li aiuta a pensare meglio e ha una blanda proprietà ansiolitica. Fumando, la nicotina viene distribuita più efficacemente: il tabacco, bruciando, converte la sostanza in vapori che vengono rapidamente inalati e assorbiti nel sangue attraverso i polmoni. Sfortunatamente fumare è pericoloso a causa delle molte sostanze chimiche presenti nel fumo. La scoperta del legame tra fumo di sigaretta e cancro del polmone è stata una delle più grandi conquiste della ricerca medica di questo secolo. Nei paesi sviluppati sono ascrivibili al tabacco quasi il 25% di tutte le morti tra gli uomini e il 17% tra le donne.

Il motivo per cui molte persone continuano a fumare, nonostante i rischi ben documentati, è che diventano rapidamente dipendenti dalla nicotina, una potente droga in grado di dare assuefazione - malgrado le industrie del tabacco finora lo abbiano strenuamente negato. Il trattamento più efficace per i fumatori che cercano di smettere è soddisfare la loro voglia di fumare somministrando nicotina per mezzo di gomme da masticare, cerotti da applicare sulla pelle o spray nasali. Anche con questi ausili, circa l'80% di coloro che cercano di smettere di fumare ricade nell'abitudine entro sei mesi; senza nicotina la percentuale è del 90%.

La caffeina, il debole stimolante presente in alcune bevande come caffè, tè, coca-cola e bibite analcoliche è una delle droghe più ampiamente e frequentemente consumate al mondo. A livello mondiale si stima che il consumo di caffeina sia circa 70 mg per persona al giorno. Una tazza di tè contiene in media circa la metà di questa dose di caffeina e una coca-cola circa 50 mg. Esiste anche una varietà di medicine acquistabili senza ricetta, o bibite indicate per il potenziamento delle prestazioni e che contengono quantità superiori di caffeina e sono raccomandate per alleviare la stanchezza e aiutare a mantenere la prontezza mentale.

Molti studi condotti su soggetti umani confermano che la caffeina effettivamente aumenta la prontezza mentale e diminuisce l'affaticamento. Questa sostanza migliora le prestazioni in compiti facili che richiedono il mantenimento di un'attenzione costante con un effetto più pronunciato nei soggetti la cui attenzione sia diminuita per stanchezza. La maggior parte delle persone sembra essere perfettamente in grado di controllare il consumo di caffeina per massimizzarne gli effetti benefici, prendendone di più quando è richiesta prontezza ed evitando spesso di assumerla nelle ore avanzate del giorno per prevenire i disturbi del sonno.

A livello cerebrale la caffeina agisce come antagonista sul recettore di un messaggero chimico chiamato adenosina che a sua volta coadiuva nella regolazione del rilascio di una varietà di altri messaggeri chimici. Una spiegazione per l'effetto stimolante della caffeina è che, bloccando la normale azione frenante dell'adenosina, promuove un incremento del rilascio di acetilcolina e dopammina, entrambe dotate di effetto stimolante della funzione cerebrale.

La cannabis (chiamata marijuana negli Stati Uniti) è tra tutte le droghe di uso voluttuario quella utilizzata più largamente. Nella maggior parte dei paesi occidentali non meno del 40% delle persone tra i 15 e i 50 anni ammette di averla provata almeno una volta e una percentuale tra il 10 e il 15% nello stesso gruppo di età ne fa uso regolarmente. La definizione di 'uso regolare' tuttavia copre un ampio ambito, da coloro che prendono la droga ogni giorno a quelli che se la concedono una volta al mese o anche meno.

Marijuana è il termine utilizzato per designare le foglie e i fiori essiccati di varietà della specie Cannabis sativa, che contengono il δ-9-tetraidrocannabinolo (TIC), il principale ingrediente psicoattivo. Comunemente la marijuana viene fumata in sigarette (spinelli) o in pipe di vario tipo. Proprio come fumare una sigaretta è un modo molto efficace di assumere la nicotina, fumare la marijuana fa sì che il TIC arrivi rapidamente al cervello del fumatore. Modificando il modo di fumare, il consumatore può imparare a regolare precisamente la dose voluta di TIC. Esso viene assorbito anche se assunto per bocca, ma questa via è meno affidabile - in questo caso l'assorbimento è lento (almeno 3-4 ore per raggiungere il picco di concentrazione nel sangue) e il consumatore non può esercitare alcun controllo sulla quantità assunta, non sapendo perciò se rischia una overdose o se invece si è mantenuto sui livelli inferiori alla dose efficace.

Gli effetti tossici acuti della cannabis non sono diversi da quelli causati dall'alcol: coloro che ne fanno uso provano sollievo dall'ansia e spesso ridono senza controllo. Un effetto caratteristico della cannabis è la distorsione del senso del tempo (tanto che un minuto sembra molto più lungo). A dosi elevate può indurre allucinazioni e strane fantasie e può rendere incapaci di portare avanti una conversazione sensata. Comunemente si verifica un'improvvisa stimolazione dell'appetito, in particolare per i dolci. Questi effetti possono essere seguiti da stanchezza e sonnolenza.

Il progresso più importante nella comprensione del meccanismo di azione della cannabis è stato la scoperta di uno specifico recettore proteico cerebrale in grado di riconoscere il TIC. Anche se il TIC è una sostanza chimica presente soltanto nella pianta di cannabis, i neuroni possiedono il recettore specifico in quanto il cervello contiene e rilascia propri messaggeri che attivano quei recettori in condizioni normali e che sono di tipo simile alle sostanze psicoattive contenute nella cannabis. I composti naturalmente prodotti dal cervello sono molecole lipidiche, la principale delle quali è stata chiamata 'anandammide', da una parola che in sanscrito significa 'estasi'. Non è chiaro quale sia la normale funzione fisiologica di questo cannabinoide, ma gli indizi sono fortemente a favore di un suo importante ruolo nella modulazione della sensibilità al dolore.

Negli Stati Uniti e in Europa la marijuana è utilizzata illegalmente da molte migliaia di pazienti. Le malattie per le quali i pazienti riportano più comunemente gli effetti benefici della cannabis sono AIDS, sclerosi multipla, spasticità e vari tipi di dolore cronico. I malati di AIDS che utilizzano la marijuana affermano in particolare che essa stimola l'appetito e aiuta a ridurre o combattere la perdita di peso. Coloro che sono affetti da sclerosi multipla riportano che la marijuana li aiuta a trattare gli spasmi muscolari dolorosi cui essi vanno soggetti di frequente. È stato rilevato che sono trattabili con la marijuana anche alcune forme di dolore cronico che non rispondono alla morfina o ad altri antidolorifici. Disgraziatamente mancano ancora le prove scientifiche che possano sostenere le applicazioni mediche della marijuana, sebbene esperimenti clinici controllati, attualmente in corso, potranno forse fornire le prove che indurranno i governi a permetterne l'uso legale in medicina.

Nonostante esista un'ampia letteratura sulla questione della pericolosità della cannabis, le prove in questo senso sono spesso confuse e difettano di quell'oggettività che normalmente ci si aspetterebbe dalla scienza. Una buona parte di medici e scienziati è oggi dell'avviso che i rischi associati all'uso della cannabis siano stati esagerati e in parecchi paesi si portano avanti istanze per decriminalizzarne l'uso voluttuario. L'attuale atteggiamento ufficiale nei confronti di questa droga, ritenuta un pericoloso stupefacente paragonabile alla cocaina e all'eroina, è del tutto incompatibile con le conoscenze di cui disponiamo, in base alle quali il suo uso risulta associato a rischi di entità relativamente modesta.

L'anfetamina è stata una delle prime droghe di uso voluttuario a essere prodotta artificialmente. Fu immessa sul mercato inizialmente nel 1920 come decongestionante nasale (benzedrina), ma fu utilizzata anche in medicina per il trattamento dell'asma e come sostanza anoressante contro l'obesità. Tuttavia essa è un potente stimolante e i suoi effetti collaterali connessi con l'induzione dell'insonnia ne hanno limitato l'utilità clinica. L'abuso di anfetamina era comune negli anni Cinquanta e Sessanta; molti di coloro che ne facevano un pesante uso svilupparono una forma di follia ('psicosi da anfetamina') che somigliava molto a un attacco acuto di schizofrenia. Fortunatamente, la follia indotta dall'anfetamina di solito risultava reversibile quando l'uso della droga veniva interrotto. Dal punto di vista scientifico questa si rivelò un'osservazione importantissima, in quanto nel cervello l'anfetamina agisce aumentando in modo anormale la velocità di rilascio della dopammina. Come abbiamo visto, i pazienti con il morbo di Parkinson che ricevano un iperdosaggio di L-DOPA possono sperimentare effetti collaterali di tipo psicotico anch'essi dovuti a un eccesso di dopammina. Il verificarsi della 'psicosi da anfetamina' nei tossicodipendenti che facevano uso di anfetamina aiutò a puntare l'interesse sulla dopammina come chiave per comprendere la schizofrenia e per scoprire che tutta l'efficacia dei farmaci antischizofrenici è basata sull'azione di blocco di questo neurotrasmettitore. L'uso voluttuario dell'anfetamina e della più potente metanfetamina (SPEED) è ancora diffuso e nel mondo i consumatori abituali sono almeno 30 milioni (in confronto ai 13 milioni di cocainomani e agli 8 milioni di eroinomani).

È stato trovato che, paradossalmente, l'anfetamina e le droghe a effetto simile come il metilfenidato (RITALIN) sono utili nel trattamento dei bambini con disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Questi bambini sono iperattivi e non riescono a dedicarsi a niente se non per brevi periodi di tempo. Di conseguenza incontrano difficoltà a scuola e anche in seguito all'università le loro prestazioni sono basse. L'anfetamina e il metilfenidato migliorano le loro capacità di concentrazione e di apprendimento. Non vi sono dubbi che queste droghe abbiano un effetto benefico su alcuni bambini, anche se, attualmente, è in corso un acceso dibattito sul fatto che esse possano essere prescritte con troppa facilità.

L'ecstasy (metilendiossimetanfetamina) è un derivato chimico affine alla metanfetamina. La sua popolarità come droga voluttuaria negli anni Novanta ha coinciso con la nascita dell'era dei rave party. L'ecstasy combina gli effetti stimolanti dell'anfetamina a proprietà euforizzanti e debolmente allucinogene, dovute probabilmente alla sua interazione tanto con i recettori cerebrali della serotonina quanto con il sistema dopamminergico.

L'ecstasy ha un evidente somiglianza chimica con l'anfetamina ma anche con l'allucinogeno mescalina, l'alcaloide contenuto nelle cactacee, utilizzato nelle pratiche religiose degli Aztechi; in Occidente è stato uno dei primi allucinogeni. Oggi la mescalina non incontra più il favore di nessuno ma la D-LSD (D-Lyserg säure diäthylamid) mantiene ancora una notevole popolarità. Nel cervello, essa interagisce potentemente con particolari recettori serotoninergici, causando gravi distorsioni della percezione uditiva e visiva e allucinazioni. È così potente che la dose attiva sugli essere umani è pari a circa un quarto di milligrammo. Non ci sono molte prove che l'uso continuativo della droga provochi dipendenza anche se possono verificarsi effetti negativi. Non tutte le esperienze fatte con l'LSD sono piacevoli, e un'assunzione in condizioni non favorevoli può diventare assai sgradevole e terrorizzante (bad trip).

Nell'ambito del dibattito su quali siano le droghe 'pesanti' e quali quelle 'leggere', quasi nessuno mette più in dubbio che l'eroina e la cocaina appartengono oggi al primo gruppo. Pur essendo un derivato chimico sintetico della morfina, l'eroina è più potente del suo precursore, perché passa più rapidamente dal circolo sanguigno nel cervello dove attiva i recettori degli oppiacei. Ciò, unitamente al fatto che la sua via preferenziale di somministrazione è l'iniezione endovenosa, rende l'eroina la droga d'elezione di coloro che fanno un uso voluttuario di queste sostanze. Gli eroinomani descrivono come fortemente piacevole il rush e 'lo stato di high' (intensa euforia) che seguono l'iniezione della droga. L'intensità della sensazione euforizzante conseguente all'iniezione endovenosa di eroina rende altamente probabile che il consumatore sviluppi una dipendenza fisica dalla sostanza. L'astinenza da eroina è una sensazione sgradevole e potenzialmente pericolosa per la vita stessa del soggetto che la prova, con tendenza a diarrea, crampi dolorosi allo stomaco, cefalea, nausea, vomito e convulsioni. A questa sintomatologia fisica si accompagna un desiderio spasmodico di riassumere la droga.

Il trattamento della dipendenza da eroina di solito si attua distribuendo ai tossicodipendenti un oppiaceo sostitutivo, il metadone, che si assume per bocca, è a lento assorbimento e ha effetti duraturi nel tempo. Senza provocare la sensazione euforizzante dell'eroina, il metadone aiuta a far cessare il desiderio intenso per la droga. Sebbene l'uso clinico del metadone abbia apportato alcuni buoni risultati, è difficile convincere gli eroinomani a smettere definitivamente di drogarsi. Per evitare le ricadute, si è dimostrato di una certa utilità il naltrexone, che previene gli effetti piacevoli della droga.

Al pari della morfina, la cocaina è un composto che si ottiene da una pianta, in particolare dalle foglie di coca, un arbusto che cresce sulle Ande. Masticare foglie di coca è da secoli parte della vita quotidiana delle culture sudamericane: queste foglie inducono una sensazione di benessere, riducono la fame e aumentano la resistenza in ambienti spesso difficili. Il contadino sudamericano che mastichi foglie di coca otterrà soltanto modeste quantità della droga, cui il suo organismo sarà in grado di adattarsi. I cocainomani occidentali, invece, sono esposti a una forma pura e assai più potente della droga. La cocaina di solito si aspira con il naso nella forma di una polvere bianca contenente solfato di cocaina; questa modalità di assunzione ne facilita il rapido assorbimento nel circolo sanguigno. Una variante moderna utilizza una forma di cocaina (crack) che si fuma - e che provoca perciò uno stato di eccitazione (high) ancora più piacevole e più rapido. Coloro che hanno sperimentato l'euforia da cocaina la descrivono come il più intenso di tutti i piaceri indotti da una droga. L'euforia da cocaina è spesso seguita da una profonda depressione del tono dell'umore e da un più che mai costante desiderio di trovare un'altra dose di droga per far fronte all'umore nero. Il tossicodipendente può perdere ogni altra motivazione che non sia quella di ricercare altre dosi di droga e per ottenerle spesso ruba o uccide.

Nel cervello la cocaina agisce producendo un aumento sia di serotonina sia di dopammina, in quanto inibisce i trasportatori responsabili della ricaptazione di questi messaggeri chimici. Tale azione farmacologica combinata provoca l'effetto stimolante e di attivazione cerebrale dell'anfetamina insieme a quello di elevare il tono dell'umore tipico del PROZAC.

Prospettive future

L'introduzione di nuovi e potenti farmaci per il trattamento dei disturbi nervosi e mentali è stata la grande conquista della neurofarmacologia del secolo scorso. La maggior parte di queste medicine, però, agisce sui sintomi delle malattie piuttosto che sulle cause sottostanti.

La ricerca di base sui meccanismi molecolari responsabili del danno e della morte dei neuroni nelle malattie neurodegenerative sta avanzando a grandi passi ed è probabile che presto avremo nuovi trattamenti sperimentali per arrestare o persino rendere reversibili i processi sottostanti tali malattie. Nel caso dell'Alzheimer, per esempio, lo scopo sarà prevenire o rendere reversibile il processo di deposito della sostanza β-amiloide nel cervello, che si pensa costituisca il passaggio chiave della patologia.

La conoscenza del genoma umano fornirà nuovi spunti all'identificazione dei molti fattori genetici finora sconosciuti che influenzano l'inizio e il decorso delle patologie nervose e psichiatriche. Nel caso di malattie come la schizofrenia e la depressione, tale ricerca potrà offrire la prima vera comprensione della natura biologica di queste condizioni. Ciò a sua volta dovrebbe stimolare la nascita di campi interamente nuovi della ricerca di base che alla fine porteranno a nuovi modi di studiare i trattamenti.

Nei termini del progresso tecnologico siamo già in grado di esaminare il cervello umano in vivo grazie a diverse tecniche di imaging neuronale destinate a essere costantemente affinate. Sarà possibile non soltanto applicare queste tecniche di imaging al tessuto cerebrale e tenere sotto controllo i cambiamenti dell'attività di specifiche aree nervose, ma produrre anche mappe chimiche che, per esempio, consentano di seguire il processo di deposizione della sostanza β-amiloide nel cervello affetto da Alzheimer o la perdita di cellule dopamminergiche che contraddistingue il morbo di Parkinson.

La ricerca sulle droghe dovrebbe fornire nuovi spunti alla determinazione dei cambiamenti molecolari che avvengono nel cervello durante lo sviluppo della dipendenza per conoscere quali geni sono attivati e quali disattivati in questo processo. Tutti questi obiettivi sembrano potersi realizzare e se la neurofarmacologia del XXI sec. conseguirà i successi ottenuti nel XX sec. sono molti i risultati positivi che dovremo aspettarci.

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