La grande scienza. Nanostrutture

Storia della Scienza (2003)

La grande scienza. Nanostrutture

Emanuele Rimini
Francesco Priolo

Nanostrutture

Il controllo preciso e la manipolazione dei singoli atomi hanno recentemente reso possibile la fabbricazione di strutture artificiali di dimensioni nanometriche con nuove proprietà estremamente interessanti. Queste strutture sono denominate spesso 'nanostrutture' e rappresentano la frontiera del progresso della tecnologia dei materiali. Una nanostruttura è costituita da un insieme di atomi le cui dimensioni, in una, due o tre direzioni, sono dell'ordine di grandezza del nanometro (1 nm=10−9 m). Si tenga presente che un atomo di idrogeno ha un raggio di 0,05 nm mentre le distanze interatomiche nei solidi sono dell'ordine di 0,3 nm. Quindi una nanostruttura a due dimensioni di 3 nm è composta da circa 10 strati di atomi. Nel caso particolare in cui la struttura è limitata in tutte e tre le direzioni spaziali, la chiameremo 'punto quantico', piccolo agglomerato costituito quindi da un insieme di 103÷105 atomi. Generalmente, con il temine 'nanotecnologia' si intende la fabbricazione e il controllo delle nanostrutture. In effetti è fondamentale ottenere non soltanto oggetti piccoli ma oggetti di cui si controllino le dimensioni nanometriche con un processo di costruzione atomo per atomo al fine di ottenere proprietà particolari e importanti. Le nanostrutture possono essere generalmente costruite con due metodi differenti. Il primo rappresenta un approccio top-down, nel senso che la fabbricazione della nanostruttura parte da aggregati macroscopici e procede verso il basso con riduzione delle dimensioni e riordinamenti successivi. Questo metodo è un'estensione delle microtecnologie che, su scala microscopica (1 μm=10−6 m) hanno determinato il successo della microelettronica e della fabbricazione dei circuiti integrati. Il secondo metodo rappresenta invece un approccio bottom-up, nel quale si costruisce un nanooggetto da zero, atomo dopo atomo, come nei giochi di costruzioni per bambini, dove i mattoncini sono sostituiti dai singoli atomi. Chiaramente, entrambi i metodi richiedono tecnologie estremamente sofisticate. I metodi del tipo top-down sono generalmente basati su litografie dove uno schema macroscopico precedentemente disegnato viene notevolmente rimpicciolito e riportato su di una matrice. I metodi bottom-up si basano su reazioni chimiche e manipolazioni atomiche.

Una grossa rivoluzione nella nanoscienza si è avuta nel 1981 ai laboratori dell'IBM di Zurigo con l'invenzione del microscopio a scansione a effetto tunnel (STM, scanning tunneling microscope), capace di visualizzare i singoli atomi (lavoro di Gerd Binnig e Heinrich Rohrer, premi Nobel per la fisica nel 1986). Questo strumento si basa su una punta acuminata che viene fatta scorrere su una superficie. Una debole corrente elettrica passa dalla punta metallica verso il primo atomo della superficie; l'intensità della corrente aumenta esponenzialmente al diminuire della distanza tra la punta e la superficie. Il passaggio di corrente è permesso dall'effetto tunnel, un fenomeno previsto dalla meccanica quantistica, per il quale una particella (in questo caso un elettrone) ha una certa probabilità di attraversare una regione classicamente 'proibita' (che qui è costituita dal vuoto compreso tra la punta e l'atomo della superficie); questa probabilità dipende esponenzialmente dall'estensione della regione non permessa. Nel mondo macroscopico l'effetto tunnel non è osservabile perché le distanze sono troppo grandi e quindi la probabilità di attraversamento è trascurabile. Al contrario, nel nanomondo, nel quale le dimensioni in gioco sono dell'ordine del nanometro, l'effetto tunnel diventa osservabile e produce conseguenze misurabili (come un flusso di corrente). Nello STM l'intensità della corrente dovuta all'effetto tunnel permette di identificare esattamente la posizione occupata dall'atomo sulla superficie. Visualizzare gli atomi è molto importante nella nanoscienza; d'altro canto manipolare e spostare gli atomi per costruire nuove strutture è ugualmente di fondamentale importanza. Effettivamente sia lo STM sia il microscopio a forza atomica (AFM, atomic force microscope - una differente versione di sonda a scansione che usa, per la visualizzazione degli atomi, forze atomiche al posto delle correnti di effetto tunnel) hanno mostrato di essere capaci di estrarre e spostare singoli atomi, vale a dire di alterare la struttura a livello atomico.

Progressi recenti in nanotecnologia hanno aperto la strada alla fabbricazione di un'ampia varietà di sistemi di dimensioni ridotte, con i materiali più diversi. Anche le applicazioni, che spaziano in campi diversi come le telecomunicazioni o la medicina, sono molteplici e importanti. Pur non essendo possibile descrivere in maniera esaustiva e concisa una disciplina così ampia e soprattutto in rapida evoluzione, nel seguito saranno riportati gli aspetti più importanti e le applicazioni riguardanti nanostrutture a semiconduttore e nanotubi al carbonio.

Nanostrutture a semiconduttore

I livelli energetici nei solidi cristallini si distribuiscono in bande di energia, cioè insiemi di valori separati da intervalli di energia proibita o gap. Nei semiconduttori (per es., il silicio) agli effetti della conducibilità elettrica è opportuno considerare soltanto le bande di energia degli elettroni più esterni degli atomi e responsabili del legame chimico, cioè la banda di conduzione (dove possono collocarsi gli elettroni responsabili della conduzione elettrica) e la banda di valenza (sede appunto degli elettroni di valenza). L'ampiezza in energia dell'intervallo proibito tra banda di valenza e di conduzione è nei semiconduttori pari a 1 eV circa. La conduzione è prodotta sia da elettroni nella banda di conduzione sia da stati vuoti (lacune) nella banda di valenza. In realtà, la conduzione elettrica nella banda di valenza è prodotta da un moto congiunto di tutti gli elettroni presenti nella banda stessa; comunque l'effetto finale può essere ugualmente descritto in termini di spostamento di poche particelle a carica positiva posizionate in corrispondenza degli stati vuoti. È quindi più semplice (e convenzionalmente accettato) identificare la conduzione, dovuta agli elettroni la cui energia corrisponde alla banda di valenza, con le lacune positive.

Alla temperatura dello zero assoluto un semiconduttore ha la banda di valenza interamente occupata (assenza di lacune) e la banda di conduzione vuota e si comporta quindi come un isolante. Non appena la temperatura comincia ad aumentare alcuni elettroni saltano nella banda di conduzione (creando delle lacune nella banda di valenza) dando quindi luogo a fenomeni di conduzione in presenza di un campo elettrico. La probabilità di salto e quindi la concentrazione dei portatori di carica aumenta esponenzialmente con la temperatura.

fig. 1

Effetti di quantizzazione nelle nanostrutture a semiconduttore sono stati mostrati negli anni Settanta nei pozzi quantici; queste strutture sono costituite da un sottile spessore di un semiconduttore con un gap di energia relativamente piccolo (per es., GaAs, Eg=1,42 eV) inserito tra due strati epitassiali di un semiconduttore con un gap più grande (per es., Al0,3Ga0,7As, Eg=2 eV). Le differenze di livello delle bande di conduzione e delle bande di valenza rappresentano barriere di potenziale rispettivamente per gli elettroni e per le lacune, una struttura simile a una buca di potenziale. Il semiconduttore con il gap minore rappresenta il fondo della buca quantistica mentre il materiale con il gap maggiore costituisce la barriera di potenziale. Se lo spessore del materiale con gap minore è sufficientemente sottile (cioè confrontabile con la lunghezza d'onda di de Broglie per elettroni e lacune), si avrà la quantizzazione dei livelli energetici (fig. 1) dei portatori di carica, che sono quindi confinati lungo una dimensione dalle barriere di potenziale. Risolvendo l'equazione di Schrödinger si ottengono i livelli di quantizzazione dell'energia, dati da:

[1] En=h2n2/8mL2,

dove n è un numero intero di quantizzazione, L è la larghezza della buca di potenziale, h la costante di Planck e m la massa efficace dei portatori di carica. Per valori grandi della dimensione L, l'energia nello stato fondamentale (n=1) è molto piccola a causa del valore della costante di Planck (6,6×10−34 Js). Quando invece L assume un valore di qualche nanometro, le energie corrispondenti raggiungono valori pari a diverse centinaia di meV. Questi valori sono molto maggiori dell'energia di agitazione termica a temperatura ambiente (26 meV) e sono inoltre confrontabili con la stessa ampiezza del gap. Quindi gli effetti di quantizzazione diventano particolarmente evidenti.

Possono in generale essere definiti tre regimi quantistici, a seconda del numero di dimensioni (una, due o tre) di confinamento dei portatori di carica. Il confinamento in una direzione crea strutture bidimensionali (2D) chiamate buche quantiche (o pozzi quantici). Il confinamento dei portatori di carica in due direzioni genera strutture 1D denominate fili quantici, mentre le strutture 0D sono punti quantici chiamati anche nanocristalli o scatole quantiche.

fig. 2

Il numero di dimensioni del confinamento condiziona molti aspetti della quantizzazione. La fig. 2 mostra le conseguenze sulla densità di stati, cioè sul numero di stati disponibili per unità di energia per i portatori (elettroni e lacune). Dal momento che sia gli elettroni sia le lacune sono dei fermioni, essi sono sottoposti al principio di esclusione di Pauli, per il quale ogni stato può essere occupato da un solo portatore. La densità di stati di un sistema fisico rappresenta una proprietà cruciale del sistema perché determina la distribuzione in energia dei portatori. Vale la pena notare che la densità di stati è fortemente modificata dal confinamento. Mentre generalmente per elettroni e lacune vale una legge che segue la radice quadrata dell'energia, in un pozzo quantico (2D) la densità di stati è costante e salta bruscamente di valore ogni volta che subentra un nuovo numero quantico. Nei fili quantici (1D) le singolarità sono seguite da andamenti decrescenti con l'inverso della radice quadrata dell'energia. Infine, nei punti quantici (0D) la densità di stati si riduce a picchi di energia ben definiti. Questo spettro discreto di energia, simile a quello degli elettroni più esterni degli atomi, ha fatto attribuire ai punti quantici anche il nome di 'atomi artificiali'.

Fabbricazione delle nanostrutture

I pozzi quantici sono generalmente prodotti mediante crescita di strati epitassiali di alta qualità composti da semiconduttori differenti. Le metodologie di crescita sono l'epitassia da fasci molecolari MBE (molecular beam epitaxy) o la deposizione chimica da fase vapore di composti metallorganici MOCVD (metallorganic chemical vapour deposition). Nella tecnica MBE un flusso di atomi viene fatto evaporare da celle di effusione a intensità estremamente basse e depositare sopra un substrato monocristallino. Ciò permette di controllare la deposizione a livello del singolo strato atomico. Nella camera di crescita, il vuoto è mantenuto a valori molto elevati (10−11 Torr) allo scopo di evitare eventuali contaminazioni dall'ambiente. Variazioni nelle specie atomiche depositate rendono possibile la produzione di multistrati con interfacce fra uno strato e il successivo definite a livello del singolo piano atomico. Inoltre la crescita di questi strati può avvenire con gli atomi orientati seguendo strutture cristalline ben definite (epitassia).

I fili e i punti quantici possono essere prodotti in molti modi diversi. Per esempio i nanocristalli possono essere formati mediante chimica colloidale. Questo metodo è generalmente usato nella produzione di punti quantici di semiconduttori composti (cioè semiconduttori formati da elementi del II e VI o del III e V gruppo della tavola periodica). La tecnica di composizione dei colloidi a monodispersione è antica e la si può far risalire alla sintesi dei colloidi d'oro effettuata da Michael Faraday nel 1857. Il suo uso nella nanofabbricazione è invece assai recente. Un metodo generale per la formazione di punti quantici colloidali di semiconduttori II-VI sfrutta l'inserimento rapido di una soluzione di reagenti chimici contenenti specie del II e del VI gruppo della tavola periodica in un solvente ad alta temperatura in grado di coordinarsi con gli atomi della superficie delle particelle precipitate. Di conseguenza, in una prima fase, si forma un gran numero di centri di nucleazione per particelle di semiconduttore. I legami di coordinazione con il solvente caldo impediscono o limitano poi la crescita delle particelle (che tipicamente avviene tramite il cosiddetto processo di 'Ostwald ripening', consistente nella crescita delle particelle più grandi a spese delle più piccole per minimizzare l'energia libera superficiale più alta associata con le particelle minori). Un successivo restringimento nella distribuzione delle dimensioni è ottenuto tramite induzione di precipitazioni selettive di particelle più grandi. Questo metodo consente il controllo delle dimensioni dei punti quantici al livello di qualche percento del diametro medio.

fig. 3

I punti quantici di silicio sono prodotti con metodi diversi. Un modo generale consiste nella formazione di uno strato di SiO2 arricchito in silicio, cui si attribuisce la formula stechiometrica SiOx con x⟨2. Ciò avviene sia mediante deposizione chimica da fase vapore sia mediante impiantazione ionica di silicio in strati di SiO2. Nel primo caso un flusso di gas di SiH4 e di N2O è introdotto in un reattore dove avviene la deposizione. Il rapporto tra Si e O depositati può essere modificato e controllato agendo sul rapporto dei flussi dei due gas. Nel secondo caso si produce, in un acceleratore, un fascio energetico di ioni silicio, il quale viene indirizzato contro un bersaglio di SiO2 stechiometrico. Questo metodo è denominato impiantazione ionica perché gli ioni energetici sono 'impiantati' nel bersaglio mediante penetrazione in esso. Il numero di ioni impiantati può essere facilmente controllato misurando, durante il processo, la corrente di ioni sul bersaglio che rappresenta l'eccesso di Si in soluzione con SiO2. In entrambi i casi un trattamento termico ad alta temperatura (>1000 °C) di questa soluzione solida sovrasatura causa una separazione di fase tra SiO2 isolante e Si semiconduttore. Quando iniziano a formarsi nuclei di silicio, questi tendono ad aggregare altri atomi di Si creando piccoli nanocristalli di silicio all'interno del SiO2. In questo metodo l''Ostwald ripening' gioca un ruolo importante e la distribuzione finale delle dimensioni delle nanoparticelle è più larga di quella ottenuta con metodi colloidali. A titolo di esempio per questo metodo, la fig. 3 mostra un'immagine ad alta risoluzione ottenuta con il microscopio elettronico a trasmissione TEM (transmission electron microscope) di nanocristalli di silicio immersi in SiO2 formatisi mediante deposizione e successiva aggregazione. Sono presenti diversi nanocristalli e nell'immagine sono chiaramente visibili i piani atomici. Distribuzioni di dimensioni più strette possono essere ottenute mediante la deposizione di cluster. In questo caso vengono formati grossi aggregati (di Si, per es., ma è anche possibile creare cluster di molte specie differenti) tramite ablazione laser, selezionati in dimensioni con il metodo del tempo di volo prima di essere depositati sul substrato. Questa selezione delle dimensioni permette di raggiungere alla fine una distribuzione piuttosto stretta.

Un metodo ulteriore per produrre nanostrutture di silicio consiste nell'attacco elettrochimico del silicio che porta alla formazione del cosiddetto 'silicio poroso', un insieme di filamenti molto sottili di silicio nanometrico circondati da grandi spazi vuoti. Questa procedura era nota da molto tempo, ma soltanto nel 1990 Leigh Canham scoprì, presso la Defence research agency di Malvern (Regno Unito), le proprietà quantistiche dovute alle dimensioni nanometriche di queste strutture.

fig. 4

Tutti i metodi descritti finora consistono in una sorta di autoassemblaggio della nanostruttura. La realizzazione di nanostrutture può anche avvenire mediante metodi nanolitografici. La litografia è largamente usata nell'industria microelettronica per la fabbricazione di dispositivi elettronici. In questo metodo si illumina un fotoresist (tipicamente un materiale polimerico) depositato uniformemente sul substrato parzialmente protetto dalla luce da una opportuna maschera. Il fotoresist è quindi illuminato seguendo un disegno stabilito. Nelle regioni irraggiate le proprietà del fotoresist cambiano ed esso diventa più resistente (o più morbido a seconda del materiale scelto). Ciò è dovuto al fatto che i legami molecolari nel resist sono rotti e ridisposti a causa dell'irraggiamento. L'immersione in un particolare solvente determina la rimozione di tutto il resist a eccezione delle regioni irraggiate (o viceversa secondo il tipo di resist). Un successivo processo di attacco anisotropo mediante ioni reattivi determina una rimozione direzionale di tutte le zone del campione che non sono state precedentemente illuminate e quindi protette. È evidente perciò che la litografia rende possibile la produzione di strutture dalle forme differenti (sfere, fili, colonne) e, al contrario degli autoassemblati, possono essere facilmente ottenute strutture ordinate e distribuzioni ben definite. Il problema principale nella produzione di nanostrutture mediante litografia è rappresentato dalla dimensione minima che può essere raggiunta. Le dimensioni minime sono normalmente limitate dalla diffrazione. Infatti, indipendentemente dalla grandezza delle aperture nella maschera, la regione minima illuminata è dell'ordine della lunghezza d'onda della radiazione utilizzata. Le lunghezze d'onda della luce nell'intervallo visibile (400÷700 nm) sono in effetti inadatte a definire strutture nanometriche. La litografia, per la realizzazione di nanostrutture, deve essere eseguita con radiazione elettromagnetica di piccola lunghezza d'onda (per es., raggi X prodotti negli impianti che forniscono radiazione di sincrotrone) o con fasci di elettroni estremamente collimati (litografia e-beam). In quest'ultimo caso le protezioni non sono necessarie perché un pennello nanometrico di elettroni colpisce direttamente il resist. Tutti questi metodi rappresentano alcuni esempi di nanofabbricazione. Nella fig. 4 sono riportate schematicamente le strutture che possono essere ottenute con queste procedure.

Proprietà e applicazioni delle nanostrutture

fig. 5

Proprietà ottiche e laser. Tra le proprietà più interessanti delle nanostrutture a semiconduttore vi sono le proprietà ottiche. In alcuni semiconduttori la ricombinazione di un elettrone della banda di conduzione con una lacuna nella banda di valenza causa l'emissione di un fotone la cui energia è uguale all'ampiezza del gap. Nei punti quantici la quantizzazione dei livelli di energia determina un incremento dell'energia dei fotoni emessi; più è piccola la nanostruttura (più il gap è largo) e più sono energetici i fotoni emessi. Ciò è mostrato nella fig. 5 dove sono riportati gli spettri di luminescenza per punti quantici di diverso diametro, compreso tra 5 e 1 mm. La luminescenza ha un netto spostamento verso il blu quando la dimensione del punto quantico diminuisce. Un controllo sulla dimensione del nanocristallo può quindi essere effettuato misurando la lunghezza d'onda della luce emessa. Nonostante la natura atomica degli stati elettronici del nanocristallo, gli spettri di luminescenza mostrano un andamento gaussiano con distribuzioni di energia relativamente estese. Ciò è dovuto al fatto che l'eccitazione e la successiva diseccitazione coinvolgono un insieme di punti quantici con dimensioni differenti. Uno tra i maggiori progressi nello studio dei nanocristalli è rappresentato dall'osservazione della luminescenza proveniente da singoli punti quantici. Questo determina un considerevole miglioramento nella nostra conoscenza perché normalmente le proprietà fisiche del singolo punto sono nascoste all'interno di grossi insiemi di nanocristalli di dimensioni differenti. Per effettuare tali studi sono necessarie soluzioni di nanocristalli estremamente diluite nelle quali, affinché la risoluzione ottica sia tale da apprezzare il singolo punto quantico, lo spazio tra l'uno e l'altro sia di almeno un micron. Lo spettro di un singolo punto quantico, infatti, rivela righe ottiche estremamente strette (con larghezze minori di kT come negli spettri atomici). Osservando la luminescenza da un punto quantico singolo, esso comunque sembra 'lampeggiare' in modo irregolare. Il picco di luminescenza di un punto quantico singolo mostra ogni volta uno spostamento in energia. L'effetto può essere spiegato come un fenomeno di elettrizzazione in cui una carica vicina induce un campo elettrico attraverso il punto quantico causando uno spostamento Stark dell'energia della luminescenza (infatti un'interazione del punto quantico con il campo elettrico determina un effetto sulla posizione dei livelli di energia).

Vale la pena osservare che nei laser basati sulle strutture quantiche, non solo è possibile regolare con continuità la lunghezza d'onda ma la corrente di soglia necessaria a innescare l'azione laser è anche considerevolmente ridotta rispetto a strutture normali. Tale caratteristica è dovuta al fatto che nelle nanostrutture la densità di stati è fortemente modificata. Questi laser possono emettere sia lateralmente (edge emitting laser) sia verticalmente (vertical cavity surface emitting laser) ma l'azione laser è indotta sempre dall'inversione della popolazione tra la banda di conduzione e la banda di valenza.

fig. 6

Una struttura innovativa e completamente differente, denominata laser a cascata quantica, è stata inventata da Federico Capasso e collaboratori nel 1994. In questo caso l'inversione di popolazione e l'azione del laser avvengono in una sottobanda e si ha una transizione inter-sottobanda (fig. 6). Tale struttura necessita di molti pozzi quantici diversi e questi pozzi, una volta polarizzati applicando agli estremi un'opportuna differenza di potenziale, formano una struttura a scala: un elettrone che si diseccita mediante emissione stimolata nel primo pozzo è iniettato in risonanza nel pozzo adiacente nel quale occupa il livello superiore ed è quindi pronto per un'altra emissione stimolata. Il processo si ripete lungo la struttura dando luogo a una sorta di cascata, cosicché un singolo elettrone causa un gran numero di emissioni stimolate. Nei laser a cascata quantica l'energia dei fotoni può essere regolata facilmente modificando le dimensioni della buca quantica come negli altri laser a semiconduttore. A differenza degli altri laser, però, il processo è unipolare, riguardando soltanto un tipo di portatore, e l'energia dei fotoni è generalmente molto minore della larghezza di gap (la lunghezza d'onda tipica della radiazione emessa da questo tipo di laser è di diversi micron). Sebbene i laser a cascata quantica siano stati inizialmente costruiti con i semiconduttori composti III-V, l'elettroluminescenza nelle strutture a cascata quantica è stata ottenuta di recente in eterostrutture Si/SiGe. Benché a oggi un laser a semiconduttore del IV gruppo non sia stato ancora fabbricato, tale metodo sembra molto promettente.

Optoelettronica al silicio. Il silicio, semiconduttore principale nell'industria microelettronica, è stato considerato per lungo tempo inadatto in applicazioni di optoelettronica che è rimasta dominio dei semiconduttori III-V e delle fibre vetrose. Ciò è dovuto principalmente al gap indiretto del silicio, che lo rende uno scarso emettitore, e all'assenza di effetti elettro-ottici lineari. L'enorme progresso degli ultimi anni nella tecnologia delle comunicazioni ha determinato una richiesta crescente di funzioni optoelettroniche integrate in circuiti elettronici. Ciò permetterebbe di accoppiare le capacità di trattare informazioni proprie della microelettronica con le efficienti proprietà di interconnessione dell'optoelettronica. In linea di principio, il silicio sarebbe il materiale più adatto, grazie alla grande maturità delle sue tecnologie di processo e al suo dominio incontrastato in microelettronica; l'assenza di efficienti sorgenti di luce al silicio rappresenta però il problema principale. Un notevole impegno è stato indirizzato di recente verso lo studio di tutti quei processi capaci di aggirare questa difficoltà. A partire dalla scoperta dell'emissione di luce dal silicio poroso si è avuto un grosso sforzo nella comunità scientifica relativamente allo studio di nanostrutture al silicio. Queste strutture comprendono, oltre al silicio poroso, anche i nanocristalli prodotti con tecniche diverse. Il confinamento dei portatori nei punti quantici aumenta la probabilità di emissione radiativa e riduce quella dei fenomeni competitivi di ricombinazione non radiativa. L'effetto netto è un'emissione di svariati ordini di grandezza più intensa rispetto al silicio cristallino. Il problema iniziale relativo all'instabilità nell'emissione di luminescenza è stato infine risolto e oggi vengono prodotte strutture stabili e affidabili, compatibili con la tecnologia del silicio. In particolare sono stati fabbricati dispositivi elettroluminescenti basati su ossido di silicio substechiometrico (più ricco in silicio rispetto al biossido), integrati in circuiti microelettronici al silicio. Inoltre sono stati ottenuti guadagni ottici e amplificazioni nei nanocristalli al silicio, aprendo la strada a possibili future realizzazioni di laser al silicio basate sui punti quantici.

Cristalli fotonici. Le nanotecnologie possono essere usate nella produzione di cristalli artificiali, denominati cristalli fotonici, che stanno rivoluzionando la fotonica moderna e le comunicazioni. Per comprendere le proprietà di tali cristalli artificiali, possiamo partire da quelli convenzionali.

fig. 7

Un cristallo è una disposizione periodica di atomi, e quindi si ha un reticolo cristallino quando un blocco elementare è ripetuto nello spazio. Dal punto di vista di un elettrone, un reticolo cristallino è un potenziale coulombiano periodico. Dato che gli elettroni si comportano come onde di materia, la loro propagazione in tali strutture è determinata dall'equazione di Schrödinger e le soluzioni sono costituite dalle note funzioni d'onda di Bloch. In particolare, come conseguenza della diffrazione, il reticolo può introdurre un gap nella struttura a bande di energia, vale a dire un'impossibilità per gli elettroni di propagarsi in certe direzioni spaziali con determinate energie. Mentre questi concetti sono stati usati estensivamente negli studi e nella comprensione delle proprietà dei semiconduttori, è soltanto molto di recente che si è studiato l'analogo per i fotoni. Questo analogo fotonico è il cosiddetto cristallo fotonico, nel quale il reticolo è formato da una disposizione ordinata nello spazio di materiali dielettrici diversi, che determinano una variazione ordinata della costante dielettrica. Se le costanti dielettriche dei materiali sono abbastanza differenti e se l'assorbimento della luce è trascurabile, allora la dispersione di luce in corrispondenza delle interfacce produce effetti simili a quelli ai quali sono sottoposti gli elettroni in un reticolo atomico. Ciò significa che in un cristallo fotonico possono esserci gap di energia (cioè fotoni di una certa energia non possono propagarvisi). Questo fatto permette di 'manipolare' i fotoni. Per esempio è possibile realizzare cristalli fotonici aventi gap di banda fotonica in modo che alla luce sia impedito propagarsi a determinate energie secondo determinate direzioni. Questo significa che, introducendo imperfezioni all'interno di un cristallo fotonico, è anche possibile creare separatori e guide d'onda con proprietà avanzate (per es., una curva di 90°). Nella fig. 7 si riporta un esempio di cristallo fotonico 2D (A) insieme a una simulazione della propagazione dei fotoni in una guida d'onda a grossa curvatura ottenuta inserendo un difetto (una riga mancante) in un cristallo fotonico cubico (B). L'effettiva produzione di cristalli fotonici è attualmente oggetto di studi estensivi. Essi possono essere realizzati in molti modi diversi, ma in ogni caso le nanotecnologie, la manipolazione e il controllo della materia a livello atomico rappresentano requisiti necessari.

fig. 8

Dispositivi a elettrone singolo. Un effetto elettrico caratteristico delle nanostrutture è il cosiddetto 'Coulomb blockade'. Esso rappresenta il fondamento dei dispositivi a elettrone singolo ed è un effetto classico che avviene in presenza di capacità molto ridotte: il trasferimento di un elettrone in un condensatore (con una capacità estremamente piccola, dell'ordine dell'attofarad) si traduce in un corrispondente potenziale negativo che supera l'energia termica kT (dove k è la costante di Boltzmann e T è la temperatura espressa in kelvin). Ciò inibisce il passaggio di un secondo elettrone, a meno di non aumentare la differenza di potenziale di iniezione. La fig. 8 mostra schematicamente il fenomeno. L'iniezione di un elettrone in una buca quantica modifica le energie impedendo ulteriori immissioni di elettroni. Il dispositivo è generalmente composto da una sorgente di elettroni (per es., silicio cristallino), un pozzo per l'uscita degli elettroni (anch'esso fatto di silicio cristallino) con un punto quantico nel mezzo. Il punto quantico è separato dalla sorgente e dal pozzo da due strati di ossido estremamente sottili (che sono isolanti e costituiscono la barriera per gli elettroni). Gli elettroni penetrano e attraversano il punto quantico grazie all'effetto tunnel. Questo schema rappresenta, con una porta di controllo che permetta di modificare il potenziale sul punto, la base per un transistor a elettrone singolo SET (single electron transistor). Tutte le dimensioni della struttura devono essere accuratamente determinate in relazione alla temperatura, affinché la capacità del punto C rispetto agli strati vicini sia tale che:

[2] e2/2C>kT,

essendo e la carica dell'elettrone. La formula mostra che l'energia del campo elettrostatico deve essere maggiore dell'energia termica. L'invenzione delle memorie a elettrone singolo operanti a temperatura ambiente ha rappresentato un grosso passo in avanti in microelettronica. L'effetto di memoria fu osservato per la prima volta in uno strato di polisilicio dove potevano essere immagazzinate molte cariche elettriche con l'effetto di modificare la tensione di soglia per la formazione del canale di conduzione. La presenza o meno delle cariche nel polisilicio (floating gate) rappresenta l'informazione (stati 0 e 1). Più di recente, si è dimostrato come i nanocristalli incorporati in SiO2 possano agire come floating gate in dispositivi di memoria. Il processo consiste nel caricare il punto quantico con un elettrone mediante effetto tunnel. Il punto quantico carico modifica la tensione di soglia per la formazione di un canale tra una sorgente e un pozzo. Il processo generale è, in linea di principio, simile a ciò che accade nelle EEPROM (electrically erasable programmable read only memory), ma in questo caso tutte le dimensioni sono estremamente ridotte. I problemi sono relativi al trattenimento della carica, dato che una perdita dell'elettrone intrappolato costituisce una perdita totale dell'informazione immagazzinata. Quando memorie affidabili a elettrone singolo, basate su nanostrutture, saranno disponibili in commercio, si avrà, a parità di capacità di memoria, una drastica riduzione nelle dimensioni dei dispositivi.

Nanotubi al carbonio

fig. 9A

I nanotubi al carbonio rivestono un ruolo particolare tra gli oggetti le cui proprietà sono determinate dalla disposizione su piccola scala degli atomi. Essi sono stati scoperti nel 1991 da Sumio Iijima al NEC Fundamental research laboratory, in Giappone, nell'analisi, al microscopio elettronico, di una macchia di fuliggine. Tale sostanza si forma quando una quantità di vapore di carbonio a temperature elevate di alcune migliaia di gradi si raffredda e condensa in piccoli agglomerati qualora sia presente una atmosfera di un gas inerte come l'elio. Le stesse circostanze resero possibile la produzione, nel 1985, del fullerene, un raggruppamento di 60 atomi di carbonio collocati ai vertici di 12 anelli pentagonali e 20 anelli esagonali, formanti la struttura a pallone da calcio (detta anche buckyball). La forma del fullerene, C60, è mostrata nella fig. 9A. L'inserzione di un anello di 10 atomi di carbonio in un piano equatoriale del C60 dà luogo al C70 (fig. 9B) e inserendo successivamente n di questi anelli paralleli si ottiene una molecola C60+10n a forma di sigaro. Queste strutture costituiscono, per grandi n, una particolare sottofamiglia di fullereni denominata nanotubi a parete singola SWCN (single wall carbon nanotube); un tipico nanotubo è riportato nella fig. 9C.

fig. 10

Lo stesso oggetto può essere generato arrotolando una lunga striscia di grafene in un cilindro senza cucitura, come mostrato nella fig. 10. Con il nome di grafene si indica uno strato piano di atomi di carbonio disposti in esagoni regolari; tale struttura è tipica della grafite. Il cilindro può essere lasciato aperto o chiuso adoperando semifullereni come tappo. Queste molecole giganti sono state trovate anche nella scarica ad arco di elettrodi di carbonio come parte di nanotubi a multipareti MWCN (multiwall carbon nanotube). Tali strutture hanno un'organizzazione ad anelli di tronco d'albero costituita da diversi nanotubi coassiali a parete singola separati dalla distanza tipica di interstrato della grafite, vale a dire 0,34 nm. I tubi hanno generalmente un diametro di 1 nm e una lunghezza di migliaia e migliaia di nanometri. Sono quindi macromolecole di puro carbonio incredibilmente lunghe e sottili.

La varietà delle proprietà elettriche e meccaniche di queste strutture formate con una sola specie chimica e le loro forme sono davvero affascinanti. La conducibilità elettrica è strettamente dipendente dalla struttura degli atomi del nanotubo, dal suo diametro e dall'angolo chirale o di avvolgimento, cioè dal modo in cui i legami di carbonio formano una spirale intorno al tubo. Una chiusura differente della striscia può produrre, senza alcuna distorsione dei legami, un metallo o un semiconduttore. I nanotubi al carbonio possono condurre l'elettricità meglio del rame e trasmettere il calore meglio del diamante (la loro conducibilità termica è ∼6000 W/mK a temperatura ambiente) e sono tra i materiali conosciuti più resistenti (il carico di rottura è 45 GPa), ma possono essere attorcigliati come un filo di paglia. Essi sono i più piccoli fili metallici mai realizzati, gli unici metalli monodimensionali prodotti fino a oggi. La combinazione di caratteristiche metalliche e semiconduttrici è rilevante per il loro uso in nanoelettronica molecolare, che segue l'attuale sviluppo della microelettronica con la riduzione continua delle dimensioni dei dispositivi e la miniaturizzazione via via più spinta. I nanotubi al carbonio sono tra i materiali più promettenti come emettitori di elettroni in presenza di deboli campi elettrici. Essi possono immagazzinare al loro interno cavo atomi e molecole di altri materiali formando così contenitori molecolari per idrogeno o litio, da usare per esempio come carburante per celle a combustibile.

I nanotubi al carbonio hanno tutti i requisiti per suffragare la previsione che vede la nanotecnologia determinare una serie di rivoluzioni industriali nei prossimi due decenni. Il loro uso si estende all'industria dei display, come emettitori di elettroni a bassi potenziali per display a schermo piatto, all'industria microelettronica con lo sviluppo dei nanotransistor, all'industria dei sensori come rivelatori ultrasensibili di molecole di gas a bassa concentrazione e all'industria dei nanostrumenti (punte per microscopi a scansione a effetto tunnel, a forza atomica, risonanza magnetica, a forza chimico-biologica, nanomanipolatori, nanopinze). Tutte queste applicazioni richiedono metodi affidabili ed efficaci nella produzione di grandi quantità di nanotubi con procedure controllabili e con caratteristiche ben definite, dato che il loro comportamento dipende dall'esatta disposizione degli atomi di carbonio. Nel seguito verrà descritto il comportamento elettrico dei nanotubi al carbonio, i metodi di produzione più comuni, e alcune applicazioni appartenenti ad ambiti diversi, per dare un'idea della ricchezza di questo settore di ricerca.

Strutture e proprietà elettroniche

La grafite ha una struttura cristallina esagonale ed è formata da tanti strati piani sovrapposti l'uno all'altro. In ogni strato gli atomi di carbonio sono disposti ai vertici di esagoni regolari in reticoli a nido d'ape chiamati fogli di grafene (fig. 10A). In un foglio, tre dei quattro elettroni di valenza di un atomo di carbonio formano tre legami forti (σ) con tre atomi vicini distanti ciascuno 0,14 nm. Tale configurazione elettronica è indicata con sp2. Il quarto elettrone di valenza di ogni atomo interagisce formando un legame debole (π) perpendicolare al foglio. I fogli sono impilati l'uno sull'altro alla distanza di 0,34 nm dando luogo al reticolo esagonale tridimensionale caratteristico della grafite, che è la forma più stabile e più abbondante presente in Natura tra le diverse strutture costituite unicamente da atomi di carbonio. Il diamante, meno stabile e molto meno abbondante, è una forma cristallina a struttura cubica nella quale ogni atomo è legato con legame covalente ai quattro atomi vicini ai vertici di un tetraedro regolare. La corrispondente configurazione elettronica è indicata con sp3.

Gli elettroni π formano, in un singolo foglio di grafene, un gas bidimensionale confinato trasversalmente in dimensioni dell'ordine del nanometro. Le proprietà di conduzione del grafene sono determinate dalla natura degli stati elettronici prossimi all'energia di Fermi, EF, vale a dire l'energia del più alto stato elettronico occupato allo zero assoluto. La struttura a bande del grafene, che è determinata dal modo in cui gli elettroni π interagiscono con il potenziale elettrostatico degli ioni di carbonio posti nel piano, è abbastanza inusuale. Non è come quella di un metallo nel quale molti elettroni al livello di Fermi sono liberi di propagarsi nel cristallo, né come quella di un tipico semiconduttore che a 0 K presenta un gap di energia tra la banda di valenza piena e la banda di conduzione vuota ed è privo di stati elettronici all'energia di Fermi. La struttura a bande del grafene si colloca tra questi due estremi. Lungo molte direzioni di propagazione gli elettroni al livello di Fermi interagiscono fortemente con gli atomi del reticolo piano e sono deviati continuamente all'indietro e in avanti dal potenziale atomico periodico; non possono quindi propagarsi. La direzione di propagazione è determinata dalla direzione del vettore quantità di moto o impulso cristallino dell'elettrone e quindi per questi particolari valori di energia e impulso non sono permessi agli elettroni stati di energia e il materiale è un semiconduttore. Per altre direzioni dell'impulso l'azione del potenziale periodico con gli elettroni consente a questi ultimi di propagarsi. Gli stati elettronici corrispondenti sono permessi e il materiale si comporta come un metallo. Il grafene è perciò chiamato un semimetallo o un semiconduttore a 'gap nullo'.

Per qualche ben definito valore dell'impulso cristallino la banda di valenza lambisce la banda di conduzione. La densità degli stati di energia permessi in corrispondenza di questi valori è abbastanza bassa e perciò il grafene non è un buon conduttore. La conduzione elettrica richiede che gli elettroni abbiano stati liberi disponibili a energie prossime a quella di Fermi. Non basta che le due bande si tocchino, bisogna anche che ci sia un numero considerevole di stati elettronici disponibili. Gli elettroni π nel foglio di grafene sono perfettamente mobili come nell'anello aromatico del benzene. Il problema per la conduzione elettrica del grafene è quindi la simmetria del reticolo esagonale, non la mobilità degli elettroni π del carbonio.

Nella fig. 10 è mostrato il modo con cui si costruisce un nanotubo a parete singola da un foglio piano di grafene. I vettori di base del reticolo sono indicati con a1 e a2; il vettore ch=n1a1+n2a2≡(n1,n2), con n1 e n2 interi, collega due siti cristallini equivalenti A e A′. Tagliando una striscia lungo le direzioni perpendicolari al vettore ch in A e A′ (linee tratteggiate) e avvolgendola unendo i lati, formiamo un cilindro di diametro

Formula

dove a= =0,142×√3 nm è il passo reticolare.

La fibra chirale non ha alcuna distorsione degli angoli di legame eccetto quella causata dalla curvatura cilindrica del tubo. Esiste un ventaglio di orientazioni per ch, dalla direzione 'zig-zag' [θ=0°, (n1,−n2)=(n,0),n intero] a quella armchair [θ=±30°,(n1,n2)=(2n,n), (n,n)], che costituiscono i due casi limite. L'angolo chirale, o elicità θ, è definito come l'angolo tra ch e la direzione a zig-zag.

Le caratteristiche elettriche dei nanotubi al carbonio sono dovute all'inclusione lungo l'asse del tubo di una struttura periodica monodimensionale (1D). Il confinamento nella direzione radiale è assicurato dallo spessore del foglio. Come precedentemente accennato, in meccanica quantistica l'elettrone è descritto da un'onda, la cui lunghezza, λ, dipende dall'impulso, p, tramite la relazione di de Broglie: λ=h/p, con h costante di Planck. Da questa relazione deriva l'uso di indicare l'impulso o quantità di moto in termini del vettore d'onda k, pari a 2π/λ, cioè p=hk/2π. Lungo la circonferenza del nanotubo, la lunghezza d'onda elettronica è quantizzata; a causa delle condizioni periodiche al bordo, soltanto un numero discreto di lunghezze d'onda si accorda con la lunghezza della circonferenza del tubo. Un'onda stazionaria dell'elettrone può manifestarsi soltanto se la circonferenza del tubo è un multiplo della lunghezza d'onda dell'elettrone λ, vale a dire 2πr=, o πd=, dove r è il raggio e d il diametro. Il diametro di un nanotubo (9,9) è 1,22 nm. Lungo il tubo gli elettroni non sono confinati. La componente di k perpendicolare all'asse del tubo, kc, è quantizzata e pari a 2π/λ, mentre la componente parallela all'asse resta una variabile quasi continua. L'interazione, che viene indotta dalla curvatura del tubo, tra gli orbitali σ e il restante orbitale π è abbastanza debole e pertanto il mixing tra gli orbitali può essere trascurato. Gli stati elettronici del grafene, a causa della quantizzazione dei modi relativi alla circonferenza, non formano una larga banda di energia ma, al contrario, si separano in sottobande monodimensionali con l'inizio a energie differenti. L'energia è data da

E=h2k2c/(2π)22m*+h2k2a/ (2π)22m*

dove kc è la componente della quantità di moto lungo la circonferenza, ka lungo l'asse del cilindro e m* la massa efficace dell'elettrone che contiene l'effetto dell'interazione dell'elettrone con il potenziale periodico del reticolo 2D. La massa efficace dell'elettrone in un solido può essere apprezzabilmente minore della massa di un elettrone libero; nel grafene è valutata essere 1/20. L'energia, essendo kc quantizzata, è pari a

E=h2n22d2 2m*+h2k2a/ (2π)22m*.

Si ha quindi la separazione in sottobande con energie minime dipendenti dal numero intero n fissato il diametro del tubo. Nei nanotubi a parete singola queste sottobande hanno una separazione in energia di circa 1 eV, molto maggiore dell'energia termica, 0,026 eV a temperatura ambiente. La quantizzazione della componente della quantità di moto lungo la circonferenza non ne determina soltanto il modulo, ma anche la direzione relativa ai due vettori reticolari a1 e a2. Questa condizione rimuove la proprietà di gap nullo del grafene e porta il nanotubo a essere un metallo o un semiconduttore, a seconda di come è arrotolato il foglio di grafene. Se il livello di Fermi del grafene è compreso nel sottoinsieme di stati permessi agli elettroni del nanotubo, esso è metallico. Se non è compreso si ottiene un semiconduttore. I nanotubi semiconduttori non hanno tutti lo stesso gap, perché a ogni diametro del tubo corrisponde un unico insieme di stati di valenza e di conduzione possibili. I nanotubi di diametro più piccolo hanno pochissimi stati elettronici permessi, notevolmente spaziati in energia. All'aumentare del diametro aumenta il numero degli stati permessi e il gap energetico tra la banda di valenza e di conduzione si restringe.

fig. 11

Come mostrato nella fig. 2, la densità di stati di un sistema monodimensionale è apprezzabilmente diversa da quella di un sistema bi- o tridimensionale. Data la grande separazione in energia tra le sottobande, è sufficiente considerarne soltanto le due intorno al livello di Fermi. Il comportamento elettrico è quindi determinato dalla forma della densità di stati in prossimità del livello di Fermi, che a sua volta dipende dal diametro e dalla chiralità dei nanotubi. La fig. 11 riporta la densità degli stati elettronici calcolata per diversi nanotubi. Nel tubo ad armchair (9,9) la densità di stati è diversa da zero all'energia di Fermi mentre è nulla per il nanotubo (11,7); il primo è quindi un metallo mentre il secondo è un semiconduttore. Riassumendo, il nanotubo può comportarsi da metallo o semiconduttore a seconda del diametro della fibra e dell'angolo chirale θ, il legame chimico tra gli atomi di carbonio è ininfluente e non sono presenti impurezze. È pertanto evidente che un tale materiale si presta a numerose applicazioni data la varietà di comportamento: metallo o semiconduttore a gap variabile, ma costituito da un solo elemento. Se la distribuzione dei vettori ch è uniforme, 1/3 dei nanotubi sarà metallico mentre i 2/3 saranno semiconduttori.

I nanotubi al carbonio sono unici nell'essere metallici al livello della molecola singola. La loro conduttanza è balistica, cioè gli elettroni viaggiano lungo l'asse del tubo senza essere deviati e il relativo valore è quantizzato in unità di 2e2/h. Ciò è in contrasto con il comportamento dei metalli comuni come il rame, nei quali i cammini percorsi nel reticolo dagli elettroni, tra un urto e il successivo, sono generalmente, a temperatura ambiente, dell'ordine di grandezza di diversi nanometri. Un elettrone in un sistema 1D, cioè lungo una linea, può essere deviato soltanto invertendo completamente la sua direzione, mentre nei sistemi 2D o 3D gli elettroni possono essere dispersi semplicemente cambiando la loro direzione di piccoli angoli. Nei nanotubi metallici le vibrazioni reticolari non hanno energia sufficiente a invertire la direzione dell'elettrone in movimento. I resistori balistici monodimensionali hanno la proprietà inusuale che, se due di essi vengono connessi in serie, il valore della resistenza complessiva non è uguale alla somma delle due resistenze singole, ma è pari alla maggiore tra le due. Il sistema si comporta come se la resistenza più piccola non fosse presente. Questa proprietà discende dal fatto che ogni resistenza è indipendente dalla sua lunghezza. Nella fig. 12 viene mostrato il risultato di un esperimento, eseguito al Georgia institute of technology da Walt de Heer e collaboratori, che mostra il comportamento balistico dei nanotubi al carbonio. La corrente elettrica che potrebbe scorrere in un nanotubo a parete multipla corrisponde a una densità di corrente maggiore di 108 A/cm2. Se il nanotubo fosse un resistore classico, la potenza dissipata da una corrente così grande dovrebbe scaldarlo tanto da vaporizzarlo. I fili di rame fondono per densità di corrente pari a 106 A/cm2.

Riguardo alle caratteristiche dei nanotubi semiconduttori si è notato che il loro comportamento è simile a quello dei semiconduttori di tipo p, vale a dire che la conducibilità è dovuta alle lacune presenti nella banda di valenza. In effetti i nanotubi semiconduttori dovrebbero essere intrinseci, cioè con la concentrazione degli elettroni nella banda di conduzione pari a quella delle lacune nella banda di valenza, entrambe determinate dalle fluttuazioni termiche. Probabilmente gli elettrodi metallici e le specie chimiche assorbite sulla superficie rimuovono gli elettroni dal tubo, lasciando la responsabilità della conduzione alle lacune mobili.

Formazione e crescita dei nanotubi

I primi nanotubi di carbonio a parete multipla sono stati ottenuti nella fuliggine prodotta da una scarica ad arco tra elettrodi di grafite in atmosfera d'elio. Valori caratteristici adoperati nella scarica erano una differenza di potenziale V=16V tra gli elettrodi e una corrente I=80 A alla pressione di 400 mbar. Anche i nanotubi a parete singola sono stati ottenuti con lo stesso metodo. In questo sistema la grande quantità di potenza dissipata riscalda gli elettrodi e il carbonio vaporizza. Si forma così un plasma di atomi e piccoli agglomerati, detti cluster, di carbonio ad alta temperatura, alcuni di questi condensano in nanotubi. L'emissione di singoli atomi di carbonio o di cluster di atomi di carbonio si ottiene anche mediante ablazione laser. Tale metodo irradia con intensi impulsi laser un bersaglio di grafite contenente del metallo catalizzatore, Co o Ni, in ambiente inerte. La luce laser è parzialmente assorbita dagli atomi del bersaglio e, oltre una certa intensità, quantità significative di materiale del bersaglio sono espulse e formano un pennacchio luminoso. La densità di potenza necessaria a produrre questo pennacchio dipende dal materiale del bersaglio, dalla sua morfologia e dalla lunghezza d'onda e durata dell'impulso laser; generalmente è dell'ordine di 10÷500 MW/cm2 per laser a eccimeri che emettono luce nella regione dell'ultravioletto e la cui durata dell'impulso è circa 10 ns. Il materiale bersaglio è posto all'interno di un tubo riscaldato a 1100 °C nel quale fluisce dell'argon. Dal pennacchio di vaporizzazione atomi di carbonio condensano in nanotubi a parete singola e si depositano su un collettore esterno al forno. In tutti questi metodi gli atomi di carbonio prodotti occupano un piccolo volume sotto forma di gas ad alta temperatura. Nella successiva fase di raffreddamento si ricombinano nella fuliggine in una varietà di strutture: cluster amorfi, fullereni, nanotubi, ecc. La presenza dei catalizzatori aumenta la produzione e in alcuni casi si ottiene una resa del 70% di materiale trasformato con una grande quantità di nanotubi a parete singola. Il diametro dei tubi è controllato dalla temperatura di reazione.

I nanotubi sono strutture chiuse (fig. 9C) e l'inserimento di sei pentagoni all'estremità minimizza il numero di legami non saturi. I pentagoni, nel sostituire gli esagoni, non riproducono l'ordine a grande distanza caratteristico del grafene e pertanto sono difetti. Essi però inducono una curvatura positiva (verso l'interno) nello strato di grafene, generalmente localizzata all'estremità, necessaria a chiudere il cilindro. La crescita del nanotubo richiede quindi un'estremità aperta e alcuni atomi di carbonio. A oggi non è ancora del tutto chiaro il processo di crescita del nanotubo. Si pensa che il relativo allungamento sia una conseguenza della struttura a elica della rete di carbonio e, finché siano prodotte strutture esagonali, il tubo potrebbe crescere indefinitamente. Oltre ai pentagoni esistono anche difetti a forma di anelli con sette atomi di carbonio, eptagoni, i quali danno luogo a una curvatura negativa della parete del tubo. Un ulteriore possibile meccanismo di crescita dei nanotubi ottenuti nella scarica ad arco in atmosfera di elio potrebbe essere associato all'inserzione di singoli atomi di carbonio in prossimità delle facce pentagonali, convertendo un pentagono in un esagono. Tale meccanismo viene facilitato dalla temperatura molto alta agli elettrodi. Nella scarica ad arco la formazione dei nanotubi richiede anche la partecipazione al processo di un metallo di transizione, spesso Fe, Co oppure Ni, che è determinante nel mantenere aperta l'estremità crescente del nanotubo.

Le applicazioni industriali dei nanotubi richiedono un metodo semplice ed economico capace di produrli in grande quantità. I metodi precedentemente descritti, scarica ad arco e ablazione laser, non soddisfano questi requisiti. Un metodo che potrebbe superare tutte queste limitazioni è la deposizione chimica da vapore, CVD (chemical vapour deposition), una tecnica largamente usata per la deposizione di strati sottili su substrati. Nella deposizione chimica da fase vapore si fa fluire un gas di idrocarburi su dei catalizzatori, normalmente dei metalli di transizione quali Fe, Co, Ni, ad alta temperatura. Il catalizzatore dissocia l'idrocarburo in atomi di idrogeno e di carbonio che costituiscono il 'nutrimento' per la produzione di nanotubi al carbonio. Il materiale così prodotto contiene però un'elevata concentrazione di difetti. I parametri chiave sono il tipo di idrocarburo e di catalizzatore utilizzato e la temperatura alla quale si effettua la reazione. Filamenti e fibre di carbonio sono stati prodotti, sin dagli anni Sessanta, mediante dissociazione termica di idrocarburi. Tali fibre sono di natura amorfa o parzialmente grafitizzate, cioè con disposizione regolare di esagoni. La distinzione tra fibra e nanotubo è relativamente arbitraria. Si usa generalmente il termine nanotubo se le pareti sono ben grafitizzate e parallele all'asse del tubo, con un diametro minore di circa 50 nm.

Molti metodi CVD per la crescita di nanotubi a parete multipla usano etilene o acetilene come idrocarburi e nanoparticelle di Fe, Ni o Co come catalizzatore. La temperatura alla quale si opera è compresa nell'intervallo 500÷700°C. A queste temperature gli atomi di carbonio ottenuti per dissociazione dell'idrocarburo penetrano all'interno delle particelle metalliche, formando così una soluzione solida. Tale soluzione, in equilibrio termodinamico, può contenere una ben determinata concentrazione di atomi di carbonio, il cui valore dipende dalla temperatura. Se gli atomi di carbonio sono presenti in quantità maggiore la soluzione è sovrassatura e gli atomi di carbonio in eccesso precipitano e formano tubi solidi di carbonio, il cui diametro è determinato dalle dimensioni delle nanoparticelle metalliche. Questo metodo dà luogo a nanotubi a parete multipla ricchi di difetti, probabilmente a causa della bassa temperatura adottata nel procedimento. Sono stati ottenuti risultati migliori, in termini di difettosità, aumentando la temperatura di lavoro a 900÷1000 °C e adoperando gas di metano come idrocarburo. Queste temperature più alte sono necessarie per formare nanotubi a parete singola di piccolo diametro e potenzialmente privi di difetti. Il catalizzatore è costituito da particelle di ossido di ferro di dimensioni nanometriche disperse in ossido di alluminio come supporto materiale; si ottiene così una resa elevata.

I nanotubi possono formarsi anche su superfici, con un buon grado di controllo, come mostrato recentemente per nanotubi a parete multipla deposti su substrati di silicio opportunamente strutturati con materiali catalizzatori. I nanotubi, così prodotti, sono allineati tra loro e sono disposti perpendicolarmente alla superficie del substrato. Questa 'auto-orientazione' è dovuta alle intense interazioni di van der Waals tra i tubi, che ne determinano sia l'impacchettamento sia la formazione di strutture rigide. È possibile formare nanotubi a parete singola lunghi fino a 200 μm. Il controllo del processo di crescita ha aperto nuove vie per la formazione di strutture da utilizzare per misurare le proprietà dei nanotubi e per costruire dispositivi su scala nanometrica. Va sottolineato che a oggi tutti i metodi di produzione danno misture di nanotubi con differenti lunghezze, elicità e diametri. In molti casi è necessario purificare il materiale prodotto perché per esempio i nanotubi a parete singola sono seriamente contaminati con particelle magnetiche provenienti dal catalizzatore. Per la purificazione, sono comunemente adoperati due metodi. Nel primo il materiale prodotto è ossidato chimicamente in aria o in presenza di acidi, ma questa procedura in generale danneggia i nanotubi. Un secondo approccio è basato sulla separazione fisica e si realizza mediante filtrazione di una sospensione colloidale di nanotubi. Attualmente non è possibile controllare, durante la sintesi dei nanotubi, né il loro diametro né l'elicità. Per ogni singolo nanotubo è necessario per prima cosa determinare le caratteristiche di conduzione, cioè se è un metallo o un semiconduttore.

Applicazioni

I sensori. I nanotubi possono essere utilizzati per rivelare basse concentrazioni di molecole di gas anche a temperatura ambiente e con grande precisione. I sensori di gas sono importanti in ambiti diversi, come nel controllo dei processi chimici, nell'agroalimentare, in medicina e così via. I sensori chimici basati sui nanotubi possono rivelare la presenza di ossido di azoto e ammoniaca. La conducibilità elettrica di un nanotubo semiconduttore a parete singola, se esposto a ossido di azoto in concentrazione di 200 ppm, aumenta di un fattore mille. Questi sensori sono molto sensibili e rispondono velocemente a temperatura ambiente. In questo caso il meccanismo chimico operante è probabilmente associato a un trasferimento di elettroni dal nanotubo all'ossido di azoto; di conseguenza il numero di lacune cresce quasi esponenzialmente e anche la relativa conducibilità del nanotubo di tipo p. L'interazione con l'ammoniaca, che è un donatore di elettroni, non è stata ancora chiarita.

I nanotubi sono insensibili a diverse molecole, incluso l'idrogeno e il monossido di carbonio, ma se opportunamente modificati con processi chimici, o fisici, diventano sensibili e selettivi per la particolare specie chimica. Un esempio è rappresentato da un nanotubo di carbonio ricoperto da uno strato sottile di palladio. Questo sistema è un sensore di idrogeno estremamente sensibile. La conducibilità diminuisce quando il sensore è esposto a un flusso di aria con 400 ppm di idrogeno e aumenta di nuovo quando l'idrogeno è rimosso dal flusso d'aria. Le molecole d'idrogeno si dissociano in atomi venendo a contatto con lo strato sottile di palladio, gli atomi penetrano facilmente nel palladio e determinano un trasferimento di elettroni dal palladio verso il nanotubo, diminuendo così il numero di lacune e quindi la conducibilità. Quando il flusso di idrogeno viene interrotto, l'idrogeno atomico si ricombina con l'ossigeno dell'aria lasciando il sistema sotto forma di vapor d'acqua. Le cavità all'interno dei nanotubi al carbonio e la notevole inerzia chimica della grafite sono ottime caratteristiche per il loro uso come contenitori di gas e di sostanze chimiche.

Emettitori di elettroni. I nanotubi al carbonio hanno anche straordinarie proprietà come emettitori di elettroni per effetto di un campo elettrico applicato. Elevate e stabili intensità di corrente possono essere prodotte da strati sottili di nanotubi adoperando deboli campi elettrici. Gli elettroni per abbandonare il materiale devono attraversare la barriera di potenziale presente alla superficie. La corrente emessa dipende dal valore del campo elettrico locale sulla superficie emettente e dal potenziale di estrazione, cioè dalla differenza di energia tra il livello più alto occupato nel solido da un elettrone e dal livello associato al vuoto. Questa dipendenza è di tipo esponenziale e quindi una piccola variazione della forma dell'emettitore o del circondario o dello stato chimico della superficie cambia considerevolmente la quantità di elettroni emessi.

I parametri di maggior interesse sono il campo elettrico di accensione, vale a dire il campo elettrico richiesto per produrre 1 μA/cm2, e il campo di soglia, necessario per ottenere 1 mA/cm2. Quest'ultimo valore è considerato come la densità di corrente minima per applicazioni riguardanti schermi piatti. Più il campo di soglia è basso e più l'emettitore è adatto a scopi pratici. Tra i diversi materiali fino a ora analizzati, quelli che presentano le migliori caratteristiche sono appunto i nanotubi al carbonio. Infatti, campi di soglia di basso valore, come 5 V/μm, e campi di accensione di circa 1 V/μm sono caratteristici dei nanotubi al carbonio. Un altro parametro interessante è la densità reale superficiale di emettitori sulle pellicole, che è generalmente pari a 108÷109 nanotubi/cm2. Il numero effettivo di siti emettitori è invece abbastanza basso, dell'ordine di 103÷104 emettitori/cm2 all'inizio dell'emissione. Il meccanismo dell'emissione di elettroni per effetto del campo applicato è abbastanza complesso e dipende da molti parametri. I nanotubi al carbonio sono emettitori eccezionali grazie al piccolo diametro e alla forma allungata del tubo, che causano un elevato aumento del campo elettrico per effetti geometrici e quindi una notevole riduzione della regione a elevato potenziale che gli elettroni devono attraversare. Inoltre la variazione di coordinamento degli atomi di carbonio all'estremità aperta del nanotubo, da una configurazione dei legami atomici sp2, tipica del grafene, a una sp3, diminuisce l'altezza della barriera di potenziale e potrebbe così giustificare il basso potenziale di estrazione come determinato dall'andamento sperimentale della caratteristica corrente-potenziale. Anche le specie adsorbite possono svolgere un ruolo importante.

I nanotubi al carbonio possono essere usati come sorgenti di elettroni in due diverse configurazioni, vale a dire dispositivi a fascio di elettroni singolo o multiplo. Una tipica applicazione nel primo caso è rappresentata da un microscopio elettronico, che adopera un singolo nanotubo come cannone elettronico per produrre un fascio di elettroni estremamente coerente. I display a schermo piatto sono l'esempio più popolare di strumento a fascio multiplo, nel quale uno strato di nanotubi posti normalmente alla superficie di un substrato fornisce un gran numero di fasci di elettroni indipendenti. È stato osservato che un singolo nanotubo a parete multipla emette, per applicazione di bassi campi elettrici, elettroni monocromatici per un lungo periodo di tempo. Con i nanotubi al carbonio è possibile produrre non soltanto schermi piatti ma persino lampade: un diagramma schematico è mostrato nella fig. 13. Un campo elettrico estrae elettroni da una pellicola contenente nanotubi di carbonio e successivamente li accelera in direzione di uno schermo fosforescente che si illumina a causa degli urti con questi ultimi. Questi tubi a raggi catodici sono disponibili in commercio. Il colore della lampada può essere modificato facilmente cambiando il fosforo; queste lampade possono essere accese e spente molto rapidamente e non richiedono il riscaldamento di un filamento. I nanotubi possono operare anche in non perfette condizioni di vuoto.

fig. 14

Nanotransistor. L'applicazione più promettente vede i nanotubi al carbonio utilizzati come dispositivi elettronici. Recentemente all'IBM, dal team guidato da Phaedon Avouris, è stata realizzata una porta logica (un NOT) utilizzando transistor a effetto di campo basati su nanotubi. Il circuito denominato invertitore, un mattone elementare per la realizzazione di circuiti più complessi, è stato ottenuto da un singolo nanotubo semiconduttore. I circuiti elettronici digitali operano normalmente con due livelli di potenziale: basso e alto. Questi due livelli di tensione rappresentano le due cifre del sistema binario: 0 e 1. I circuiti elettronici digitali eseguono varie operazioni sui numeri binari. La funzione logica più semplice è l'inversione. Un circuito digitale che esegue questa funzione è chiamato invertitore. La porta NOT inverte in uscita la tensione del segnale in entrata: da basso→ ad alto e da alto→ a basso. Nella microelettronica al silicio l'invertitore è realizzato da una catena di due transistor a effetto di campo FET (field effect transistor) nella configurazione metallo-ossido-semiconduttore (CMOS, complementary metal-oxide-semiconductor), e in particolare dalla combinazione di due MOSFET, uno a canale n e l'altro a canale p, come mostrato nella fig. 14. La natura complementare del N- e del P-MOSFET fa sì che, in uno dei due stati stabili, uno e uno solo dei due transistor conduca. L'altro transistor è nello stato off e non c'è né corrente statica né dissipazione statica di potenza. Si ha dissipazione di potenza soltanto nel transiente durante il passaggio dalla alta alla bassa tensione di ingresso alle porte e viceversa.

Come già specificato, i nanotubi semiconduttori sono generalmente di tipo p e il loro comportamento come transistor è illustrato nella fig. 15: il canale è formato dal nanotubo e il substrato dove esso giace è la porta. L'applicazione di un potenziale negativo alla porta induce le lacune nel tubo e lo rende conduttore. Al contrario, l'applicazione di un potenziale positivo allontana le lacune del nanotubo e diminuisce la conducibilità. La realizzazione di un invertitore, come detto, richiede due tipi di transistor, rispettivamente a canale p e a canale n. Il passo successivo e necessario consiste quindi nella conversione di un nanotubo di tipo p in uno di tipo n. Questa variazione del tipo di conducibilità si è ottenuta introducendo direttamente nel nanotubo atomi di un elemento elettropositivo come il potassio (donatore di elettroni) o riscaldandolo nel vuoto. In entrambi i casi il nanotubo si comporta come un materiale di tipo n e il transistor conduce per potenziali della porta positivi ed è interdetto per potenziali negativi. Un potenziale positivo permette la conduzione degli elettroni, mentre un potenziale negativo disattiva il dispositivo. Oltre a convertire l'intero nanotubo da p a n, è possibile convertirne selettivamente solo una parte. La selettività è stata ottenuta ricoprendo il tubo con uno strato di un polimero, il polimetilmetacrilato, e quindi eliminandone una parte con la litografia a fascio di elettroni. Il drogaggio può quindi essere eseguito con uno dei due metodi considerati precedentemente. Il problema però è soltanto in parte risolto perché entrambi i metodi richiedono il vuoto e gli effetti sono annullati dall'esposizione del dispositivo all'aria o all'ossigeno. La stabilità può essere migliorata semplicemente ricoprendo il tubo con una pellicola isolante come uno strato sottile di ossido di silicio.

fig. 16A

Un'immagine ottenuta con il microscopio a forza atomica del dispositivo è mostrata nella fig. 16A. L'invertitore è formato da un nanotubo a parete singola al carbonio depositato sulla cima di tre elettrodi d'oro. Questa struttura è effettivamente una porta NOT intramolecolare, come mostrato nella fig. 16B dalla dipendenza della tensione in uscita dalla tensione in entrata. Il guadagno del dispositivo, che viene dato dal rapporto segnale in uscita/segnale in entrata, è maggiore di uno, come deve essere per potere assemblare porte logiche e altri elementi di circuito in microprocessori funzionali. I circuiti con un guadagno minore di uno sono inutili, perché il segnale elettrico, passando attraverso i diversi dispositivi, diventa così debole da non poter più essere rilevato. La capacità di convertire un debole segnale elettrico in ingresso in uno più forte in uscita è quindi un vantaggio chiave, e uno sforzo notevole viene indirizzato a ottenere un guadagno sempre più alto. Inoltre le ridotte dimensioni del dispositivo richiedono meno potenza per il controllo dello stato e la velocità di commutazione tra i due valori (alto-basso) del potenziale è circa mille volte più elevata che negli attuali dispositivi.

Molle. I nanotubi sono molto resistenti e flessibili, si piegano e si deformano ma riacquistano sempre la forma iniziale senza alcun danno. Il modulo di elasticità della grafite è uno dei più elevati tra i materiali conosciuti. Per questa ragione, si prevede che i nanotubi al carbonio costituiranno in definitiva le fibre più resistenti, se opportunamente inseriti con altri materiali. Il modulo di Young determinato da misure di deflessione dei nanotubi è pari a 0,8 TPa (1 TPa=1012 N/m2), superiore a quello dell'acciaio. L'altra proprietà alquanto strana dei nanotubi al carbonio riguarda la loro abilità nel curvarsi fino ad angoli sorprendentemente grandi: cominciano ad aggrinzarsi lungo il lato compresso mostrando eventualmente alcuni attorcigliamenti. Tutte queste deformazioni sono elastiche e la forma iniziale viene ristabilita quando si rimuove il carico. Questa proprietà è dovuta all'abilità dei legami chimici carbonio-carbonio di acquisire le due coordinazioni sp2-sp3 a seconda della deformazione applicata e del grado di curvatura.

I nanotubi possono essere utilizzati come molle, essendo queste molto rigide per piccoli carichi ma diventando notevolmente deformabili per carichi più elevati permettendo grandi elongazioni senza rompersi. L'impatto tecnologico sui materiali strutturali, sia leggeri sia forti, potrebbe essere enorme.

L'interesse via via crescente verso le nanostrutture, e in particolare per i nanotubi al carbonio da parte dell'industria e dell'accademia, è documentato dall'elevato numero di brevetti e dalle numerose pubblicazioni scientifiche. Nell'articolo è stato brevemente illustrato il settore delle nanotecnologie e sono state descritte alcune possibili applicazioni. Il settore è in così rapida crescita che alcune considerazioni potrebbero essere nell'immediato futuro di trascurabile interesse. Si desidera evidenziare l'interconnessione tra studio di base e possibili applicazioni, e senz'altro le nanostrutture ne costituiscono un meraviglioso esempio. Le proprietà uniche dei nanotubi di carbonio si riflettono in applicazioni nei settori più diversi: dalla nanoelettronica alla realizzazione di materiali compositi resistenti e conduttivi, di sensori, di contenitori per l'immagazzinamento dell'idrogeno e del litio da adoperarsi come celle a combustibile e molte altre. Numerosi problemi devono essere affrontati e risolti: probabilmente i nanotubi potrebbero giocare su scala molecolare lo stesso ruolo del silicio nei circuiti elettronici.

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