LA COSCIENZA E I SUOI FONDAMENTI BIOLOGICI

XXI Secolo (2010)

La coscienza e i suoi fondamenti biologici

Mario Manfredi

Per la neurologia clinica, la coscienza è un parametro semeiotico obiettivabile e misurabile, definibile come la consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante. In questo saggio saranno discusse le basi neurali della coscienza e le sue alterazioni patologiche (il coma). Verrà esaminato inoltre il problema che si agita al fondo di ogni discussione sulla coscienza umana, ossia come un tessuto biologico possa mostrare consapevolezza di sé.

Organizzazione funzionale della coscienza

Nella coscienza, quale viene valutata dagli esami neurologici, si possono distinguere differenti aspetti.

Il livello di vigilanza, ossia lo stato generale di attenzione che sottende e con il quale vengono vissute le attività psichiche; si può essere attenti o distratti pur essendo ugualmente vigili; si può essere sonnolenti e torpidi, per motivi fisiologici come la stanchezza, la carenza di sonno o un risveglio improvviso; si può essere addormentati pur mantenendo un certo grado di vigilanza e di contatto con l’ambiente e con sé stessi, tanto che un rumore inusuale subito ci risveglia e ci ricordiamo dei sogni; si può essere in coma, cioè non (o difficilmente) risvegliabili.

I correlati periferici della coscienza, ovvero le modificazioni somatiche che accompagnano il fluttuare della vigilanza. Essi riguardano in special modo, per la semplicità di rilevazione e l’importanza che attengono alla valutazione dello stato neurologico, i movimenti palpebrali e oculari, le pupille e in generale il tono vegetativo, la motilità corporea spontanea e riflessa, il tono muscolare e il respiro.

L’attività elettrica cerebrale, espressione strumentale del livello funzionale della corteccia cerebrale. Questa dimensione richiede la registrazione dell’elettroencefalogramma (EEG), possibile anche in maniera continua e associata al controllo video della motilità (monitorizzazione video-EEG).

I contenuti di coscienza, ossia la somma delle attività mentali (percezioni, pensieri, sentimenti, attività onirica ecc.) che occupano in un dato momento la mente. Per rilevare questo aspetto è necessario interrogare il paziente e valutare criticamente le sue risposte, ma l’osservazione può rivelare alcuni contenuti, specie se dotati di valenza affettiva (per es., l’espressione spaurita, attonita o infastidita che il soggetto confuso o con un disturbo psichiatrico assume quando si cerca di colloquiare o di interagire con lui, o se un’allucinazione s’inserisce nel flusso del pensiero).

La memoria di sé, cioè il continuo raffronto fra esperienze sensoriali in arrivo, esperienze passate e percezione della propria identità. È questa la coscienza dell’io, tema favorito e fonte di interminabili discussioni per filosofi e per alcune scuole di pensiero psichiatriche. Il biologo vede questa dimensione iscritta nei circuiti nervosi che registrano il fluire quotidiano dell’esistenza e che inseriscono il vissuto del momento nel contesto della propria storia psichica, cogliendone immediatamente l’appartenenza a sé.

L’attenzione selettiva, ossia la concentrazione dell’attività mentale su un determinato contenuto. Può essere il risultato inconsapevole di uno stimolo pregnante che richiama l’attenzione (per es., un pericolo inatteso o un improvviso rumore) o la scelta volontaria di un campo di interesse, come il particolare di un abito, il volto di una persona nota fra la folla o un problema matematico da risolvere.

A queste diverse dimensioni della funzione ‘coscienza’ corrispondono differenti strutture anatomofunzionali, e precisamente: a) la formazione reticolare del tronco encefalico; b) le proiezioni discendenti della reticolare; c) le proiezioni ascendenti della reticolare; d) la corteccia cerebrale associativa; e) l’insieme costituito da ippocampo, corteccia temporale mediale e aree associative sensoriali; f) le zone corticali associative parietale posteriore, temporale basale e prefrontale.

a) La formazione reticolare (fig. 1), responsabile del livello di vigilanza, consiste in un aggregato di neuroni fortemente connessi fra di loro e con l’intero sistema nervoso centrale. È posta nella regione mediana del tronco encefalico, vale a dire nella porzione caudale dell’encefalo, fra il cervello propriamente detto e il midollo spinale. Si estende dal bulbo al diencefalo, occupando la porzione tegmentale mediana del tronco, e riceve informazioni sensoriali attraverso fasci sensitivi propri e diramazioni collaterali dei fasci sensitivi che ascendono dalla periferia verso il cervello e il cervelletto. È dotata di proiezioni discendenti che si connettono alle strutture vegetative e motorie dei nervi cranici e spinali, e di proiezioni ascendenti che raggiungono, attraverso i nuclei talamici, la corteccia cerebrale. È la struttura responsabile delle fluttuazioni del livello di vigilanza.

b) Le proiezioni discendenti dalla formazione reticolare (fig. 2) sono deputate alle manifestazioni somatiche e vegetative che accompagnano il fluttuare della coscienza, e sono costituite da fasci di fibre che provengono dalle strutture motorie del tronco (fasci reticolo-spinali, tetto-spinali e vestibolo-spinali). Assieme al fascio piramidale, che proviene dalle aree motorie corticali ed è collegato alla reticolare attraverso collaterali che terminano nei gangli della base e del tronco, modulano il tono muscolare e la postura, ossia l’atteggiamento motorio prevalente della specie (nell’uomo la postura eretta sugli arti inferiori, nei quadrupedi la postura delle quattro zampe, nei rettili la postura attorcigliata). Inoltre, attraverso connessioni provenienti dall’ipotalamo e dai nuclei vegetativi del tronco (tratto solitario-spinale), modulano, in rapporto ai differenti livelli di vigilanza (veglia rilassata, veglia attenta, sonno), l’attività vegetativa periferica.

c) Le proiezioni reticolari ascendenti (fig. 2) sono responsabili del livello di allerta e della modulazione dell’attività elettrica cerebrale. Costituiscono una potente proiezione che raggiunge la corteccia cerebrale, facendo tappa nei nuclei intralaminari del talamo (cosiddetti aspecifici poiché non partecipano, come i nuclei sensitivi specifici, alla trasmissione delle sensibilità coscienti dalla periferia alla corteccia sensoriale). Si distribuiscono in maniera estensiva su vaste zone del mantello corticale, peculiarità che le rende adatte a modulare in modo globale il livello funzionale della corteccia.

In un esperimento del 1949, divenuto storico, il fisiologo italiano Giuseppe Moruzzi e l’anatomista statunitense Horace W. Magoun inserirono un elettrodo nel tronco encefalico di un gatto e osservarono che la stimolazione della formazione reticolare provocava un’immediata modificazione dell’EEG (la cosiddetta reazione di arresto), accompagnata dal risveglio dell’animale, mentre la distruzione della reticolare faceva comparire attività elettriche tipiche del sonno e determinava uno stato di coma.

La reazione di arresto si osserva nel soggetto normale a riposo durante la registrazione dell’EEG: basta un improvviso rumore per rendere più rapida (desincronizzare) l’attività elettrica cerebrale mentre il livello di attenzione del soggetto viene riattivato. Le proiezioni reticolari ascendenti sono perciò responsabili delle oscillazioni dei ritmi elettrici cerebrali, dall’attività rapida che accompagna l’EEG di veglia all’attività lenta del sonno profondo e a quella rapida ‘paradossale’ del sonno con movimenti oculari (sonno REM, Rapid Eye Movement), ossia la fase di sonno ove ha luogo la massima parte dei sogni. Registrando l’EEG si può perciò desumere il livello funzionale della corteccia cerebrale e valutare, nel soggetto normale, gli stadi del sonno e, nel paziente con disturbi della coscienza, il grado di depressione della vigilanza. Anche se l’osservazione di Moruzzi e Magoun conserva il suo valore, la formazione reticolare e le regioni che mantengono la veglia non vengono più concepite come un complesso neuronale relativamente compatto e uniforme. I confini si sono allargati a includere l’ipotalamo e le porzioni basali del cervello anteriore; soprattutto si sono riconosciute nella reticolare propria porzioni funzionalmente differenti e con mediatori chimici specifici. Le componenti principali sono i nuclei noradrenergici pontini (in particolare il locus coeruleus) con le proiezioni dopaminergiche dalla sostanza grigia periacqueduttale, che mantengono la veglia; i nuclei colinergici della porzione superiore del tronco (nuclei tegmentale laterodorsale e peduncolo-pontino) che inducono il sonno REM; le proiezioni serotoninergiche dalla reticolare pontina (nuclei del rafe) e le proiezioni istaminergiche dall’ipotalamo, coinvolte nell’induzione del sonno ‘lento’. Queste strutture hanno anche rilevanza in altre funzioni quali l’umore, le motivazioni, l’apprendimento e la motilità.

d) La corteccia cerebrale è la sede delle attività mentali e dei contenuti di coscienza. In generale, le aree corticali si possono schematicamente dividere in due tipi, specifiche e associative. Le aree specifiche si occupano di funzioni elementari (per quanto sia riduttivo definire elementare qualunque evento corticale): sul versante sensitivo sono deputate alla ricezione delle informazioni sensoriali, e consentono quindi di avvertire se un oggetto è liscio o rugoso, di colore bianco o nero, se fa rumore quando si muove ecc.; sul versante motorio sono responsabili dell’esecuzione di un movimento, e consentono quindi di stringere il pugno o di sollevare la gamba. Le aree associative stabiliscono connessioni fra le differenti porzioni della corteccia e svolgono funzioni di tipo integrativo: per es., elaborano le informazioni sensoriali e sono responsabili del riconoscimento degli oggetti («quell’oggetto liscio, appiattito, che tintinna quando viene mosso è proprio il portamonete che mi è scivolato dalla tasca finendo sotto il sofà»); elaborano le strategie motorie («devo alzarmi, fare tre passi, aprire la libreria con la mano sinistra e afferrare con la destra nel terzo scaffale il libro di neurologia per proseguire questo saggio della Treccani»). Le aree associative che circondano la corteccia sensoriale specifica (somatica, uditiva, visiva) provvedono all’elaborazione delle sensazioni fino a creare ‘l’idea’ degli oggetti; quelle adiacenti alla corteccia motoria organizzano i movimenti complessi e, a sinistra, elaborano i piani del movimento. Le aree associative della giunzione frontotemporoparietale provvedono, quasi sempre a sinistra, alla decifrazione del linguaggio parlato e scritto, alla strutturazione della parola, della frase e del discorso.

Salendo via via sempre più in alto nella scala delle attività integrate si giunge alle aree frontali che, bilateralmente, partecipano alla regolazione del comportamento, alla previsione delle conseguenze di un atto, al ragionamento, alla critica, al pensiero astratto. È nelle aree corticali associative, ove avviene un continuo scambio di informazioni fra zona e zona dell’emisfero, fra le zone simmetriche dei due emisferi e fra corteccia e strutture sottocorticali, che ha sede l’attività mentale, quando siamo vigili e coscienti e anche quando dormiamo e sogniamo, come dimostrano i danni cognitivi che conseguono alla distruzione della corteccia associativa. E il primo segno del cattivo funzionamento dei meccanismi che governano la coscienza è proprio l’incoordinazione ideativa, denominata stato confusionale.

e) L’ippocampo, la corteccia temporale mediale e le aree associative sensoriali (fig. 3) sono re-sponsabili del deposito e del reperimento dei ricordi, e fungono da ‘interfaccia’ fra mondo esterno e ricordi esperienziali. Si distinguono due fasi nella registrazione dei ricordi, dette memoria a breve termine e memoria a lungo termine. La memoria a breve termine è quanto si ricorda immediatamente, per qualche minuto, per es. un numero telefonico appena reperito dall’elenco: è fedele ma di capacità limitata, e se il ricordo non viene trasferito nel deposito a lungo termine non ne restano tracce o ne restano solo poche. La memoria a lungo termine è quanto viene ricordato dopo i primi minuti: è infedele, poiché solo gli elementi salienti vengono registrati, ma di capacità illimitata. L’apprendimento consiste nel trasferimento del ricordo nel circuito a lungo termine; la rievocazione nel riportare alla luce dell’attenzione i ricordi depositati. Essa può avvenire spontaneamente, attraverso le associazioni logiche, fonetiche, visive ecc. stabilite fra i ricordi; o volontariamente, come quando si recita una poesia.

I ricordi sono fissati secondo ordini logici (la preparazione di un esame) e cronologici (i fatti degli ultimi mesi o anni rispetto ai ricordi infantili), e questo diviene evidente in alcune sindromi amnesiche come l’amnesia postraumatica o l’amnesia globale transitoria, in cui vengono perduti i ricordi più recenti.

La corteccia associativa è sede della memoria, sia a breve termine – in cui i circuiti riverberanti continuano a fare circolare l’informazione, probabilmente senza modificare la struttura fisica delle sinapsi – sia a lungo termine – in cui le tracce mnesiche, sotto forma di percorsi sinaptici potenziati, stabiliscono linee di connessione permanentemente facilitate. I ricordi specializzati, come le immagini degli oggetti o la loro denominazione, utilizzano aree corticali relativamente circoscritte, la cui lesione determina la perdita selettiva di una categoria di ricordi, come nel caso dell’agnosia visiva per lesione delle aree occipitali paramediane, che impedisce il riconoscimento di un oggetto per via visiva (ma non quando lo si prende in mano) o dell’afasia di Wernicke, in cui una lesione della regione perisilviana posteriore compromette la comprensione del linguaggio parlato.

I ricordi generali, come l’esperienza del flusso dell’esistenza, il ricordo dell’infanzia ecc., sono diffusamente distribuiti nel cervello, tanto che anche dopo estese distruzioni corticali è possibile ricostruire e rielaborare la conoscenza della propria identità. L’ippocampo e la regione temporale mediale (corteccia entorinale, peririnale e paraippocampale) sono cruciali per il passaggio dal circuito a breve termine al deposito a lungo termine, e per il successivo reperimento dei ricordi. Stabiliscono connessioni funzionali fra zone di arrivo e zone di deposito dei ricordi e possiedono le ‘chiavi di accesso’ ai ricordi. Con il consolidamento dei ricordi il ruolo dell’ippocampo si riduce, ed essi vengono distribuiti in un’estesa rete neocorticale. Ricordi molto antichi possono riapparire anche senza l’intervento dell’ippocampo, che resta comunque necessario per la costruzione della coscienza della propria identità (come dimostra il senso di irrealtà che accompagna le crisi epilettiche temporali mesiali) e per la ricostruzione degli ultimi anni dell’esistenza.

f) Le zone corticali associative parietale posteriore, temporale basale e prefrontale sono responsabili dell’attenzione selettiva. Quando uno stimolo con elevato quoziente di interesse viene raccolto dagli organi di senso, l’informazione viene trasmessa alle aree corticali specifiche e, attraverso i circuiti della memoria, comparata con le esperienze passate e depositata nelle aree di ‘stoccaggio’ dei ricordi. Nello stesso tempo, attraverso le proiezioni reticolari, l’evento provoca su tutta la corteccia una reazione di risveglio o di allerta (attenzione tonica); la corteccia associativa seleziona, fra i vari stimoli che eccedono la soglia, quello che deve occupare il fuoco dell’attenzione (attenzione selettiva o fasica); la zona cruciale per quest’ultima funzione sembra essere la corteccia parietale inferiore e temporale superiore, più nell’emisfero destro che nel sinistro. Questo dipende probabilmente dal fatto che mentre l’emisfero sinistro è stato pervaso dalle funzioni del linguaggio, l’emisfero destro è stato maggiormente coinvolto nelle funzioni di orientamento e consapevolezza dell’ambiente e quindi nell’organizzazione dello spazio esterno, di sinistra ma in minor grado anche di destra.

Il correlato neurologico di questa condizione è che i disturbi dell’attenzione visiva sono assai più frequenti nei cerebrolesi destri che sinistri, e che nei cerebrolesi destri l’emidisattenzione spaziale riguarda maggiormente lo spazio di sinistra: può accadere che il paziente prenda solo il cibo posto nella parte destra del piatto, si faccia la barba solo a destra e quando cammina giri solo verso destra. Non si deve comunque immaginare la corteccia parietotemporale destra come depositaria dei meccanismi dell’attenzione, ma piuttosto come un punto nodale di una vasta rete neurale che coinvolge strutture corticali e sottocorticali. Una risposta comportamentale adeguata richiede infatti la valutazione della situazione esperienziale e, attraverso il raffronto con le esperienze passate e con il programma in corso di realizzazione, l’identificazione dello stimolo più rilevante e l’elaborazione della strategia motoria più adeguata; necessita quindi della messa in gioco di tutte le strutture che costituiscono il substrato biologico della coscienza (oltre che, naturalmente, dei canali motori per motilità corporea per il linguaggio). Si pensi, per es., al comportamento motorio e verbale di un guidatore che nel traffico si trova improvvisamente di fronte un’auto che non ha rispettato il segnale di stop: anche se distratto dalla radio, sterza, frena e lancia magari qualche insulto. La capacità di spostare rapidamente l’attenzione dall’uno all’altro aspetto saliente della realtà ambientale è invece sostenuta maggiormente dalla corteccia prefrontale e la sua compromissione è responsabile della sindrome disecutiva, in cui il soggetto non riesce a effettuare rapide scelte (per es., nominare una serie di parole che iniziano con la lettera ‘s’) o a inibire alcune risposte (per es., «batta la mano sul tavolo quando io la batto, ma non quando io la batto due volte»).

Lo sforzo di identificare strutture e funzioni separate per le varie dimensioni cliniche della coscienza è utile per la comprensione dell’organizzazione circuitale come per la valutazione clinica di un paziente, ma è chiaro che i sei strumenti ora descritti suonano assieme, e questo garantisce l’aderenza del comportamento alle richieste ambientali.

Ci si può chiedere quanto l’attività cerebrale inconscia giochi nel comportamento. Senza scomodare la psicoanalisi, è evidente che l’inconscio costituisce uno dei sostegni strutturali del comportamento. Per investigare le profondità della psiche (la sede ove avvengono la rimozione, la censura e dove gli psicoanalisti tengono i loro strumenti), il biologo usa i termini di archipallio (ossia la corteccia filogeneticamente antica), cervello rettiliano, istinto, attività riflessa condizionata, modificazioni umorali che accompagnano le emozioni, controllo degli impulsi e inibizione delle risposte. Anche queste attività hanno una localizzazione circuitale, ed è verosimilmente nei circuiti che sottendono le emozioni (cingolo, insula e corteccia parietale circostante; A.R. Damasio, Descartes’ error. Emotion, reason, and the human brain, 1994, 20062; trad. it. 1995, 2009) che vanno ricercate le rappresentazioni neurali dell’inconscio. Del resto, Sigmund Freud non ha mai negato basi biologiche alle profondità della psiche.

Perturbazioni del livello di coscienza: il coma

Le basi biologiche della coscienza non possono essere dimostrate in modo convincente se non si esaminano le conseguenze che le alterazioni morbose di queste strutture hanno sul livello di coscienza.

Le perturbazioni del livello di coscienza sono denominate con il termine onnicomprensivo di coma, che è quindi definibile come una compromissione della consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante dovuta a sofferenze metaboliche o strutturali dell’encefalo. Vi sono differenti gradi di coma, misurabili tramite varie scale. La più usata è la scala di Glasgow, che utilizza tre parametri di facile quantificazione: a) apertura degli occhi (punteggio: apertura spontanea 4, apertura alla parola 3, apertura al dolore 2, nessuna apertura 1); b) risposta verbale (normale 5, conversazione confusa 4, parole frammentarie 3, suoni incomprensibili 2, nessuna risposta 1); c) risposta motoria (normale esecuzione di ordini 6, localizzazione di uno stimolo doloroso 5, retrazione del segmento stimolato 4, risposta posturale flessoria al dolore 3, risposta posturale estensoria al dolore 2, nessuna risposta 1). Sommando le tre risposte migliori si ottiene un punteggio da 15 (coscienza normale) a 3 (coma profondo).

Lo stato di coma mostra differenti possibilità di recupero, dalla ripresa rapida e piena (come avviene dopo un knockout sul ring o una crisi convulsiva) fino al coma persistente e irreversibile; e vi sono anche differenti aspetti qualitativi, per es. la rottura del contatto delle crisi epilettiche temporali, così come condizioni che simulano il coma, vedi alcuni disturbi psichiatrici, o la sindrome da de-efferentazione delle lesioni pontine (v. oltre).

L’eziologia del coma è assai varia. Fattori generali di rischio per i disturbi di coscienza sono: la localizzazione della lesione nelle strutture maggiormente coinvolte nel mantenimento della vigilanza; l’estensione della lesione e, soprattutto, la rapidità con cui essa si instaura. Se il danno progredisce lentamente (come nel caso di un’insufficienza epatica o di un ematoma subdurale in lenta espansione), si può assistere alla compromissione progressiva e sempre più grave della coscienza, che inizia con un lieve stato confusionale con rallentamento delle risposte, disorientamento temporospaziale e difficoltà a mantenere l’attenzione, e progredisce fino al coma profondo. Se invece la lesione interviene improvvisamente (come nel caso dell’occlusione dell’arteria basilare o di un arresto cardiaco), il soggetto passa brutalmente dalla veglia al coma profondo. L’effetto dell’acuzie delle lesioni aggiunge al danno della struttura l’improvvisa disconnessione fra zone lese e zone sane, che determina uno squilibrio funzionale (diaschisi; v. oltre). Nelle crisi epilettiche il disturbo di coscienza è improvviso, ma avviene in maniera transitoria e reversibile, con modalità diverse a seconda del tipo di crisi.

Le numerose patologie riguardanti le strutture che mantengono la coscienza possono, in linea generale, essere suddivise in danni metabolici e danni strutturali. I primi sono costituiti da condizioni che interferiscono con il metabolismo energetico delle cellule nervose (per es., l’ipoglicemia). Fino a un dato livello la sofferenza è solo funzionale e reversibile; oltre un certo grado le cellule nervose sono lese in modo irreversibile e il danno si trasforma da funzionale in strutturale. I danni strutturali sono costituiti da alterazioni che fin dall’inizio interessano la compagine anatomica del tessuto nervoso (per es., un’emorragia cerebrale o la necrosi del tessuto per anossia o ischemia).

Nell’epilessia la coscienza è compromessa quando la scarica convulsiva coinvolge e mette fuori funzione, in maniera improvvisa, i circuiti della memoria (rottura del contatto nelle aree temporomesiali), le aree associative cerebrali (stato confusionale con attività motorie automatiche nelle crisi bitemporali) o le strutture corticoreticolari che mantengono la veglia (coma profondo nelle crisi convulsive generalizzate). Il disturbo è funzionale, ma può divenire strutturale se la scarica epilettogena prosegue per ore, come avviene, per es., nello stato di male epilettico.

Patogenesi del coma

Il mantenimento della coscienza dipende da: normale funzionamento delle strutture reticolari dei due terzi rostrali del ponte, del mesencefalo e del talamo; connessione delle strutture reticolari con la corteccia attraverso il sistema a proiezione diffusa reticolo-talamo-corticale; presenza di un mantello corticale normalmente funzionante; funzionamento dei circuiti della memoria. Le lesioni encefaliche che disturbano la coscienza interessano una oppure più delle seguenti quattro strutture: la formazione reticolare, le vie di proiezione reticolo-talamo-corticali, la corteccia cerebrale e i circuiti della memoria.

La formazione reticolare è una struttura relativamente compatta, ed è sufficiente una lesione di estensione limitata per provocare disturbi gravi della coscienza. La zona critica è il tegmento ponto-mesencefalico, soprattutto nella porzione rostrale del ponte, in corrispondenza dei nuclei reticolare del rafe, locus coeruleus, tegmentale laterodorsale, peduncolo-pontino orale e parabrachiale, cioè delle zone di origine delle proiezioni monoamminergiche (Parvizi, Damasio 2003). Gli eventi più comuni sono le lesioni ischemiche nel territorio di distribuzione dell’arteria basilare e dei suoi rami o i versamenti emorragici nel tronco o nel cervelletto (che comprimono acutamente il tronco), di solito consecutivi alla rottura di una malformazione vascolare, come un aneurisma oppure un angioma, le encefaliti, l’encefalopatia di Wernicke, la mielinolisi pontina centrale. Un’altra frequente causa di alterazione della formazione reticolare sono le ernie intracerebrali in corso di ipertensione endocranica. È questo il meccanismo che determina il coma nelle patologie in rapida espansione degli emisferi cerebrali, come le emorragie intracerebrali, gli ematomi intracranici postraumatici, i tumori cerebrali, eventi usualmente accompagnati da edema perilesionale, che determina un peggioramento dell’effetto massa. L’aumento di volume del contenuto della cavità cranica anteriore (una scatola chiusa che può incrementare di poco la sua capacità) disloca il tessuto ed esercita una spinta verso i forami naturali, soprattutto verso il forame del tentorio (la membrana che divide la fossa anteriore dalla fossa posteriore del cranio) e verso il forame occipitale (posto in corrispondenza del punto di passaggio dal cranio alla colonna vertebrale). Il tessuto cerebrale, spinto in basso, forma un’ernia attraverso il tentorio, comprimendo il tronco, ove può determinare danni ischemici. Un’altra origine di ernie è la porzione mediale del lobo temporale, che comprime il mesencefalo. L’effetto della ipertensione endocranica è tanto più grave quanto più acuta è la lesione, poiché i meccanismi di compenso sono meno validi.

Le vie di proiezione reticolo-talamo-corticali decorrono estesamente nella sostanza bianca degli emisferi. La coscienza è disturbata solo quando sono interessate in maniera diffusa o molto ampia. Questo accade nelle leucodistrofie, ove le vie di connessione fra le varie parti della corteccia e fra le strutture sottocorticali e la corteccia vanno incontro a un processo di progressiva destrutturazione, e nelle lesioni multifocali della sostanza bianca, come le encefaliti parainfettive, le vasculiti, gli infarti multipli sottocorticali, la leucoencefalopatia multifocale progressiva, una complicanza dell’AIDS. Anche il coma postraumatico, esemplificato dal knockout del pugile, è dovuto a una sofferenza acuta delle vie di connessione reticolo-talamo-corticali. La torsione acuta che la massa encefalica subisce in occasione dell’impatto stira e mette fuori funzione gli assoni, che risalgono dal tronco e dal talamo verso la corteccia (danno assonale diffuso), e provoca un’immediata perdita di coscienza. Il coma può essere fugace e transitorio oppure prolungato, fino a divenire irreversibile, a seconda dell’entità del trauma (e quindi del danno assonale) e delle altre complicanze contusive o emorragiche che avvengono al momento dell’impatto o nelle ore e nei giorni successivi.

La corteccia cerebrale associativa è estesa, e le lesioni determinano disturbi di coscienza quando occupano una zona corticale ampia. Gli eventi più frequenti sono gli infarti corticali ischemici nel territorio di un ramo arterioso maggiore (tipicamente la cerebrale media), le lesioni infiammatorie diffuse e la sofferenza metabolica della corteccia. Gli infarti cerebrali sono eventi acuti, e al danno locale del tessuto si aggiunge l’improvvisa sospensione delle connessioni fra zona e zona dell’encefalo che crea una perturbazione funzionale anche nelle aree corticali sane (è il meccanismo già menzionato della diaschisi). Le infiammazioni non sono frequenti, ma in alcuni casi appaiono devastanti, come nell’encefalite da herpes virus, ove vaste zone della corteccia temporale e frontale sono invase dal virus, o nelle meningiti batteriche e nelle emorragie subaracnoidee, ove la corteccia partecipa alla congestione infiammatoria acuta delle meningi. Le sofferenze metaboliche sono frequenti, poiché il funzionamento delle cellule cerebrali è dipendente da un continuo apporto di ossigeno e glucosio, mentre le membrane dei neuroni richiedono un preciso equilibrio idrosalino. Gli stati confusionali fino al coma profondo sono perciò una delle prime manifestazioni dell’anossia, dell’ipoglicemia e dei disturbi elettrolitici e metabolici che accompagnano l’insufficienza epatica, il diabete scompensato, l’insufficienza renale, gli squilibri elettrolitici, le intossicazioni acute da alcol e oppiacei. L’arresto cardiaco, ma anche una improvvisa caduta della pressione arteriosa, come avviene nelle sincopi vagali da emozione o da stress, lasciano il cervello privo di sangue e provocano l’immediata perdita di coscienza, che diventa un coma persistente se l’arresto circolatorio dura più di 4-5 minuti (nelle sincopi vagali è sufficiente la caduta a terra o l’assunzione della posizione coricata per ristabilire il circolo cerebrale).

Infine, i circuiti della memoria sono replicati nei due emisferi, e uno solo è sufficiente per garantire deposito e reperimento dei ricordi; tuttavia, la disfunzione improvvisa del circuito di un lato può provocare una transitoria alterazione dello stato di coscienza, esemplificata da alcune crisi epilettiche della regione temporale mesiale di un lato. In questo caso è come se il cervello fosse temporaneamente bloccato dall’iperfunzione acuta dei meccanismi della memoria, che impediscono all’attenzione di staccarsi dalla strana esperienza cognitiva di un ricordo che invade in maniera irresistibile i circuiti che sottendono la consapevolezza di sé.

Le crisi epilettiche disturbano spesso la coscienza. La scarica epilettica è costituita infatti da un’iperattivazione parossistica dei neuroni che interferisce con il loro normale funzionamento. Nelle crisi dei lobi temporali la scarica invade le aree associative temporomesiali dei due lati, provocando uno stato confusionale, mentre nelle crisi generalizzate sono coinvolti i circuiti ascendenti reticolo-talamo-corticali e l’intera corteccia, con sospensione improvvisa e totale della coscienza, caduta a terra e convulsioni tonico-cloniche. Dopo la convulsione una turba metabolica da iperconsumo energetico prolunga il coma per parecchi minuti.

Quadri clinici particolari

Esistono alcune situazioni cliniche particolari che rappresentano la conseguenza della peculiare distribuzione delle lesioni e delle tecniche rianimatorie, le quali consentono sopravvivenze prolungate.

La sindrome di de-efferentazione (locked-in syndrome) è una condizione che simula molto da vicino lo stato vegetativo e che è fondamentale escludere nella diagnostica dei disturbi di coscienza. In questi casi una lesione intrinseca della porzione basale del ponte (infarti, emorragie, gliomi infiltranti o danni metabolici come la mielinolisi pontina centrale) interrompe le vie motorie discendenti e impedisce al paziente di comunicare attraverso la parola, la mimica o il movimento. Risparmia la reticolare ascendente, lasciando persistere la coscienza, e risparmia le vie motorie per i nuclei del nervo cranico, posti nella porzione dorsale del mesencefalo, consentendo i movimenti volontari delle palpebre e degli occhi (talora solo i movimenti verticali). Il paziente può trasmettere messaggi ed esprimere la propria volontà solo attraverso battiti di palpebre.

Al contrario della precedente, il mutismo acinetico è una condizione di apparente vigilanza, con cicli spontanei di chiusura e apertura degli occhi, ma nessuna evidente manifestazione di attività psichica e una scarsa e stereotipata motilità spontanea. Tuttavia, i segni obiettivi di danno delle vie motorie sono limitati, e gli occhi danno l’impressione di seguire oggetti e persone in movimento. Se intensamente stimolato, il paziente può produrre risposte motorie coordinate e pronunciare qualche parola, mostrando quindi che esistono ancora barlumi di un’attività psichica co-sciente. La condizione può essere definita come uno stato di estrema abulia e indifferenza. Consegue a lesioni corticali o sottocorticali estese, soprattutto a lesioni bilaterali della corteccia frontale o delle connessioni fra corteccia frontale e diencefalo (tumori del 3° ventricolo, come nel caso originariamente delineato nel 1952 da Hugh Cairns, danni vascolari o traumatici, idrocefalo, intossicazioni da ossido di carbonio). Nella letteratura medica tedesca è stata descritta, dopo lesioni corticali diffuse, con il termine di apallische Syndrom (E. Kretschmer, Das apallische Syndrom, «Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie», 1940, 161, 1, pp. 576-79), ossia sindrome apallica.

Lo stato vegetativo persistente rappresenta il quadro estremo della condizione precedente, ed è una condizione artificiale che si sviluppa dopo un coma profondo e prolungato, in un soggetto mantenuto in vita dagli interventi di rianimazione e respirazione assistita. Il paziente riprende a ventilare, gli occhi possono aprirsi; a volte sembra dormire con gli occhi chiusi; altre volte sembra sveglio, con gli occhi aperti; le pupille reagiscono, i riflessi del tronco e spinali persistono, le funzioni cardiovascolari, gastrointestinali e renali sono conservate, ma non vi è alcun segno di attività psichica e di partecipazione all’ambiente, e le uniche risposte motorie riflesse consistono in una ridistribuzione del tono muscolare (‘stato decorticato’ con gli arti in flessione, e ‘stato decerebrato’, con gli arti in quadruplice estensione). Talora sono presenti, senza alcuno stimolo, movimenti spontanei automatici (masticazione, deglutizione, ma anche sorrisi o smorfie di pianto). L’EEG può mostrare una residua attività elettrica corticale. Consegue alla totale distruzione della corteccia o delle connessioni corticodiencefaliche, mentre il tronco encefalico sopravvive e resta parzialmente funzionante. I principali reperti neuropatologici sono necrosi laminare della corteccia cerebrale, il danno diffuso delle vie sottocorticali o la necrosi bilaterale del talamo, ove originano le proiezioni reticolari per la corteccia. Le cause sono, come per il mutismo acinetico, patologie di natura traumatica, ischemica o anossica.

L’essenza dello stato vegetativo, come descritto da Bryan Jennett e Fred Plum (Persistent vegetative state after brain damage. A syndrome in search of a name, «The lancet», 1972, 1, 7753, pp. 734-37), è la mancanza di ogni risposta adattativa all’ambiente esterno, l’assenza di qualsiasi segno che sia indizio di una mente che riceve e proietta informazioni, in un paziente che mostra prolungati periodi di veglia. Esclude la diagnosi di stato vegetativo la presenza di segni anche minimi di percezione cosciente o di motilità volontaria, come una risposta riproducibile a un comando verbale o gestuale, anche limitata al semplice battito degli occhi.

Sempre secondo Jennett e Plum, e revisioni successive (The multi-society task force on PVS, Medical aspects of the persistent vegetative state, «The New England journal of medicine», 1994, 330, 21, pp. 1499-508, e 22, pp. 1572-79), lo stato vegetativo può essere definito persistente quando la condizione si è protratta per almeno un mese. È oggetto di discussione la durata del periodo di coma prima che la condizione possa essere considerata irreversibile e quindi definita permanente. Criteri prudenziali consigliano un’osservazione prolungata, di almeno 6 mesi se il danno è stato di natura anossica, e di almeno un anno se di natura traumatica. Una commissione istituita per un caso specifico dal ministro della Sanità nel dicembre 2000 (Commissione Oleari/Veronesi, Bioetica 2, 2001) ha raccomandato per i casi postraumatici, in cui il danno riguarda prevalentemente i sistemi di fibre afferenti alla corteccia, un’osservazione fino a 2 anni. L’uso del termine permanente presuppone comunque che il paziente non possa recuperare (Zeman 1997), con comportamenti assistenziali differenti a seconda della cultura etica dominante e dei conseguenti dispositivi di legge.

Non vi è dubbio che lo stato vegetativo permanente, a causa della conservazione dei riflessi del tronco, non rientra nei criteri prescritti dalla legislazione italiana per la certificazione di morte cerebrale, e quindi la sospensione di presidi medici (anche l’alimentazione e l’idratazione) necessita di un intervento giudiziario ed è fonte per un sanitario di contenzioso medico-legale e giudiziario, a parte ogni scelta etica.

Resta il fatto che nei pazienti in cui si è certi che lo stato vegetativo è permanente, non sarà mai più possibile un’attività psichica, ed è andata perduta definitivamente la funzione che più di ogni altra identifica l’essenza umana. Questi pazienti (così come il feto prima del terzo mese, prima cioè dello sviluppo di un sistema nervoso funzionante, o il bambino nato anencefalico, capace solo di respirare e di movimenti riflessi degli arti) sono esseri puramente vegetativi, la cui sopravvivenza (ammesso che di vita si tratti) è affidata ai presidi che parenti e società sono capaci o disposti a fornire.

La morte del tronco dell’encefalo è caratterizzata da un danno strutturale irreversibile del tronco, che taglia ogni comunicazione e disattiva la corteccia cerebrale. È identificata dalla perdita del riflesso pupillare alla luce, del riflesso corneale, dei riflessi vestibolo-oculari in risposta alla rotazione passiva del capo, o all’irrigazione dell’orecchio con acqua ghiacciata, del riflesso della tosse per stimolazione della trachea, delle risposte mimiche alla stimolazione dolorifica del volto o degli arti. A differenza dello stato vegetativo il paziente non respira malgrado un livello di CO2 nel sangue superiore a 50 mmHg. Si effettua questa dimostrazione mantenendo il paziente staccato dal respiratore per alcuni minuti (al massimo 10); per evitare ulteriori danni il paziente viene preventivamente iperossigenato con ossigeno puro per almeno 10 minuti, e i polmoni vengono tenuti ossigenati tramite una cannula tracheale. Secondo Christopher Pallis (ABC of brain stem death. From brain death to brain stem death, «British medical journal», 1982, 285, 6353, pp. 1487-90), che ha descritto ripetutamente questa condizione, l’accertamento della morte del tronco è sufficiente per decretare la morte dell’encefalo, anche in presenza di una residua attività elettrica cerebrale nell’EEG, e in Gran Bretagna questa condizione rende legittimo il prelievo di organi (Zeman 2001).

Infine, la morte dell’encefalo, in cui sia gli emisferi cerebrali sia il tronco encefalico sono distrutti. È anch’essa una condizione artificiale, permessa dalla ventilazione assistita, in cui il battito cardiaco prosegue ma la respirazione spontanea è cessata e i polmoni sono ventilati artificialmente. È scomparso ogni segno di attività encefalica, sia centrale sia troncale, mentre possono persistere alcuni riflessi spinali.

Secondo la legislazione italiana (l. 29 dic. 1993 n. 578 e l’ultimo suo aggiornamento apportato dal decreto 11 aprile 2008, pubblicato sulla GU del 12 giugno 2008), la morte dell’encefalo si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le sue funzioni, e include l’assenza dei riflessi del tronco, del respiro spontaneo e dell’attività elettrica cerebrale misurata con l’EEG. La condizione va verificata per almeno 6 ore (che diventano 12 ore per i bambini fra 1 e 5 anni di età, e 24 ore per quelli di età inferiore a un anno), e consente il prelievo di organi per il trapianto.

La natura della coscienza di sé

L’identificazione delle strutture che sottendono la coscienza consente di conoscere, nel soggetto normale, i meccanismi neurali alla base delle fluttuazioni di vigilanza, e nel paziente in coma la causa e la localizzazione della lesioni. Non fornisce alcuna indicazione sulla natura della coscienza in termini di ‘consapevolezza della consapevolezza’, cioè di come una struttura biologica possa essere cosciente di sé. È questo uno dei maggiori problemi della conoscenza, paragonabile al quesito sull’origine dell’universo: come può la materia divenire cosciente?

Se si procede nel tessuto nervoso in direzione del ‘sempre più piccolo’, si arriva a cellule, a molecole e infine atomi di carbonio, azoto, ossigeno ecc., che non sono diversi da molecole e atomi presenti negli altri tessuti di un organismo biologico e della materia inorganica. Si ripete quindi, con identico risultato, l’esperimento mentale proposto nel 1714 da Gottfried Wilhelm von Leibniz nella Monadologie: penetrando nel sempre più piccolo di una macchina costruita per sentire e pensare (una calcolatrice al tempo di Leibniz non sentiva, ma ‘pensava’: riceveva ordini ed elaborava risposte; un robot ai nostri giorni sembra anche ‘sentire’, perché evita gli ostacoli prima di rispondere) si troveranno ruote, pulegge e viti ma nulla che presupponga la coscienza. Infatti, una calcolatrice o un robot non sono coscienti di sé. È opportuno fermarsi a Leibniz e rinunciare ad affrontare questo problema in termini biologici, lasciandolo alla filosofia?

Un assioma della biologia è che ogni evento biologico ha una spiegazione, più facile o più difficile ma comunque perseguibile con la convinzione che la spiegazione esiste, e che si tratta solo di trovarla. La coscienza con tutte le sue implicazioni, inclusa la ‘consapevolezza della consapevolezza’, è un evento che ha luogo nel sistema nervoso centrale: è quindi in un attributo biologico del sistema nervoso, e la biologia non può rinunciare a cercarne la natura.

Per un approccio razionale, è necessario partire da alcuni dati di fatto di ordine puramente biologico. In primo luogo, la coscienza di sé è presente nell’uomo: è l’introspezione a dircelo. In secondo luogo, la co-scienza di sé è presente nei mammiferi. Chiunque abbia osservato il proprio cane non può che convenirne: l’animale prova affetto e sente dolore, due qualità che implicano inevitabilmente la coscienza di sé. Si può smontare a cuor leggero una calcolatrice, ma non si smonterebbe a cuor leggero un cane.

La coscienza di sé deve essere inevitabilmente presente anche nei gradi inferiori della scala evolutiva: i primati (la scala sta salendo) mostrano molti comportamenti gratuitamente malvagi (umano, troppo umano); i canidi (la scala scende) possiedono il principio del capobranco, e quindi elaborano il concetto di autorità (umano, troppo umano). Possiamo negare la coscienza ai felini solo perché sono dei cacciatori solitari?

La coscienza di sé evolve quindi nella scala biologica assieme alle altre funzioni neurali, e appare strettamente legata allo sviluppo del sistema nervoso. La coscienza di sé compare in effetti a un certo punto nell’evoluzione: si tratta solo di accettare che questo punto è più un pendio che un gradino, e che sta molto più in basso di noi nella scala evolutiva.

In realtà, non sembra insensato dire (come già Charles Darwin aveva proposto, e a partire dal lombrico) che la coscienza di sé appare come un potente fattore evolutivo: l’essere dotato di coscienza di sé è in grado di fare dei confronti, di modificare in base all’esperienza le risposte mediate dagli istinti e di pianificare meglio il suo futuro, immediato e lontano, per ciò che riguarda per es. la difesa dalle aggressioni, la custodia della tana, la ricerca del cibo e dell’accoppiamento, fattori evolutivi cruciali.

Molte funzioni biologiche di ordine mentale mostrano nodi circuitali localizzabili con una certa precisione nel cervello, a partire dalle emozioni fino alle decisioni morali (circuito mesolimbico, corteccia orbitofrontale; Moll, Krueger, Zahn et al. 2006) e al libero arbitrio (corteccia frontomediale dorsale di sinistra; Brass, Haggard 2007), per non parlare poi della coscienza degli altri o teoria della mente (capire ciò che gli altri pensano), che potrebbe essere basata su una struttura neurale identificabile, i neuroni specchio (Rizzolatti, Craighero 2004). Questa struttura è stata dimostrata nei primati non umani, che comprendono assai bene quello che gli altri animali e l’uomo stanno facendo. Non sembra perciò logico separare nettamente i comportamenti ragionati (co-scienti), che consideriamo una prerogativa umana, da quelli istintivi (automatici), considerati l’unica dotazione dei viventi subumani. Una quota istintiva appare in ogni comportamento, ed è solo la complicazione del circuito che fa apparire la ragione.

Infine, e per quanto detto finora, è difficile negare che anche la coscienza di sé, così come le altre funzioni neurali evolutive (inclusi gli istinti), debba risiedere nel cervello, e che lì vada cercata. Concediamoci un altro esperimento mentale: come sarebbe la coscienza di un umano in cui per successivi trapianti tutti i neuroni fossero sostituiti da neuroni di un primate subumano? Soltanto la biologia può permettersi di prospettare risposte verificabili; e l’esperimento non è forzatamente ‘mentale’, se la ricerca sull’ingegneria genetica e sui cloni procederà con il ritmo e secondo le regole attuali.

Accettate queste premesse, ci si trova di fronte a un dilemma apparentemente insolubile: da un lato, la coscienza di sé è presente, sia pure in gradi diversi, negli esseri dotati di sistema nervoso; dall’altro, il sistema nervoso è costituito da atomi e molecole che non appaiono dotati di coscienza. Le due soluzioni estreme, ambedue difficili da accettare per il biologo, sono dualismo (materia e spirito coabitano come entità separate) e panpsichismo (una delle varianti del panteismo, per cui tutta la materia è dotata di attività mentale). Nel dualismo (che ha avuto il più illustre sostenitore in Cartesio, secondo il quale gli animali erano macchine) resta contraddittoria l’azione dello spirito sugli atomi di carbonio e ossigeno della materia (come può un’entità immateriale rispettare il secondo principio di termodinamica?). Nel panpsichismo resta contraddittoria l’elaborazione immateriale da parte di strutture materiali e obbedienti alle leggi della fisica come gli atomi di carbonio e di ossigeno (per le due soluzioni estreme l’obiezione è quindi la stessa, l’incomprensibile interazione immateriale/materiale).

Eppure una soluzione deve esserci, e sarà una soluzione compatibile con le categorie della ragione (a sua volta una funzione biologica: come diceva Georg Wilhelm Friedrich Hegel «ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale»), poiché la biologia non va in cerca di soluzioni irrazionali. Per ora appare difficile anche congetturare una soluzione comprensibile, che sembra debba inevitabilmente cadere nella stessa contraddittoria interazione materiale/immateriale appena rimproverata a dualismo e panpsichismo. Alcuni sospettano che la spinta evolutiva sul cervello umano non sia stata sufficiente per permetterci di giungere alla comprensione di alcuni quesiti, come l’origine dell’universo e l’autocoscienza della materia. Ma è stata anche avanzata l’ipotesi che il secondo principio di termodinamica non sia sempre valido. Di tutto si può dubitare, anche della velocità della luce.

Tuttavia, il comportamento dinamico di strutture complesse (come uno stormo di stornelli o una colonia di api) fornisce molti esempi di insiemi il cui totale è superiore alla somma delle singole parti. La locusta del deserto (Schistocerca gregaria), quando il numero degli individui supera un certo livello, cambia comportamento, si trasforma in un altro animale, e da stanziale diventa parte di uno sciame migrante. La coscienza di sé può essere un prodotto dell’interazione fra più parti di un sistema molto complesso: nell’uomo, i cento miliardi di neuroni del cervello, 1011, con altrettante cellule gliali, e i 100 trilioni, 1014, di connessioni sinaptiche (R.W. Williams, K. Herrup, The control of neuron number, «The annual review of neuroscience», 1988, 11, pp. 423-53); ma anche 300.000 neuroni nella Drosophila melanogaster e 21 milioni nel ratto. La coscienza di sé sarebbe quindi, come dicono i connessionisti, una proprietà emergente del sistema (Accornero, Capozza 2009). Il problema è al centro dell’attenzione di cultori dell’intelligenza artificiale e delle reti neurali, di neurofisiologi, di genetisti (e anche di fisici della materia, visto che la meccanica quantistica mostra sistemi che non sono la semplice somma delle parti), e nuove proposte continueranno a emergere. La ragione resta pur sempre per gli umani l’unica strada percorribile. Certo, potrebbe diventare inevitabile ammettere che anche una struttura artificiale fatta di cento miliardi di unità possa mostrare un comportamento cosciente.

Bibliografia

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M. Brass, P. Haggard, To do or not to do. The neural signature of self-control, «The journal of neuroscience», 2007, 27, 34, pp. 9141-45.

N. Accornero, M. Capozza, Coscienza artificiale. Dal riflesso al pensiero, Roma 2009.