La civiltà islamica: condizioni materiali e intellettuali. Le gerarchie del sapere

Storia della Scienza (2002)

La civilta islamica: condizioni materiali e intellettuali. Le gerarchie del sapere

Jean Jolivet

Le gerarchie del sapere

È impossibile, per diverse ragioni e da vari punti di vista, che le discipline che compongono un certo insieme di saperi siano tutte collocate sullo stesso piano. Lo dimostra anche il caso delle scienze coltivate nell'area culturale arabo-islamica. Le gerarchie, o più in generale gli ordini stabiliti, possono essere di natura differente: ci si può trovare in presenza di un ordine basato sul grado di considerazione delle diverse scienze e determinato da situazioni che rientrano nel campo d'indagine della sociologia, di un ordine fondato sull'epistemologia o, infine, basato su esigenze di carattere pedagogico; tali ordini o gerarchie possono inoltre combinarsi tra loro. Per completezza va poi segnalata la tendenza degli studiosi a porre al vertice delle scienze la propria: adab (le discipline umanistiche), alchimia, filosofia, ecc. Quest'aspetto psicologico della questione non rientra nella nostra trattazione e, del resto, le preferenze cui dà luogo devono sempre conciliarsi con esigenze di ordine superiore. Si illustreranno qui di seguito i diversi casi di classificazione delle scienze non secondo un criterio cronologico, ma attraverso alcuni esempi divisi in base ai generi letterari.

In primo luogo occorre ricordare che, in rapporto ai valori dell'Islam, le discipline religiose ‒ cioè, a seconda dei casi, la scienza del Corano, il fiqh (diritto) o il sapere mistico ‒ dovevano essere anteposte a quelle profane. La classificazione delle scienze delineata da al-Ġazālī nell'Iḥyā᾽ ῾ulūm al-dīn (Rivivificazione delle scienze della religione) offre un chiaro esempio di tale concezione. Una scienza di un altro mondo e, quindi, di un altro ordine è posta alla sommità di questa gerarchia: la scienza ineffabile del 'disvelamento' (mukāšafa). Seguono le 'scienze della condotta' (muāmala) verso Dio e verso gli uomini. La prima categoria è costituita dalle scienze religiose (al-῾ulūm al-šar῾iyya) suddivise in 'radici' (uṣūl), cioè i fondamenti, identificabili di fatto con le basi del diritto ‒ vale a dire le scienze del Corano, della sunna, dell'accordo tra i dottori (iǧmā῾) e degli atti (āṯār) dei compagni del Profeta ‒ e 'rami' (furū῾), ossia il diritto propriamente detto e la 'scienza degli stati del cuore' (῾ilm aḥwāl al-qalb). Le scienze della lingua e della scrittura sono considerate introduttive; l'esegesi (tafsīr), invece, rientra nel campo di quelle scienze che, essendo ramificazioni delle 'radici', sono ritenute complementari.

Seguono quindi il kalām, inizialmente giudicato un'innovazione da biasimare e divenuto in un secondo momento obbligatorio per la comunità in virtù del suo ruolo, subalterno, di difesa dalle altre innovazioni, e la filosofia, organizzata secondo il programma classico (matematica, logica, metafisica o teologia filosofica e scienza della Natura); alla filosofia si aggiungeva poi una serie di scienze ausiliarie (calcolo, medicina); al-Ġazālī deplora la magia e la scienza dei sortilegi, ma accetta la poesia e il sapere storiografico degli annali. Alla sommità di questa gerarchia si trovano quindi conoscenze che non derivano dall'esercizio della ragione, dall'esperienza o dall'ascolto, ma che trovano fondamento nella profezia e appaiono quindi contigue al 'disvelamento' (la rivelazione). Questa concezione del sapere si rivela coerente con le critiche alla filosofia che lo stesso al-Ġazālī formula nel Tahāfut al-falāsifa (Distruzione dei filosofi), noto in latino come Destructio philosophorum, e nel Munqiḏ min al-ḍalāl (Il salvatore dall'errore).

Le concezioni sviluppate da al-Ġazālī non possono però definirsi peculiari dell'autore, né possono essere considerate esclusive del periodo o dell'ambiente in cui egli visse, quello delle regioni orientali dominate dal Sultanato dei Selgiuchidi. Le ritroviamo, infatti, seppure in modo meno dettagliato, anche nell'Occidente islamico e, più precisamente, in un testo redatto verso la fine del califfato omayyade di Cordova, la Risālat al-talḫīṣ li-wuǧūh al-taḫlīṣ (Epistola riassuntiva sui modi [di ottenere] la salvezza) di Ibn Ḥazm (m. 456/1064). La trattazione si apre con l'affermazione che la ricerca del sapere è una delle condotte più elevate che un musulmano possa adottare; a questa premessa segue un elenco delle diverse discipline: la scienza del Corano, secondo le sue sette letture; la grammatica e il lessico, indispensabili allo studio di tutte le scienze religiose; la poesia, a condizione di non esagerarne l'importanza; l'aritmetica; la medicina e le tradizioni del Profeta (ḥadīṯ); nei libri dedicati all'esame delle diverse opinioni religiose, bisogna ricercare solo ciò su cui concordano i compagni del Profeta, che sono 'le guide dei sapienti'.

Sempre nella regione del Maghreb, ma molto più tardi, Ibn Ḫaldūn (m. 808/1406) nella Muqaddima (Introduzione) compila un elenco delle scienze, anteponendo le tradizionali alle razionali o filosofiche. Scienze tradizionali sono quelle religiose (a eccezione della scienza del linguaggio che, secondo l'autore, bisogna studiare prima di tutte le altre), vale a dire le scienze del Corano, le tradizioni, il diritto, la teologia, la mistica e persino l'interpretazione dei sogni. Le scienze razionali sono invece, a grandi linee, la logica, la fisica, la metafisica e la matematica.

Benché non fosse un teologo, Ibn Ḫaldūn riconobbe il primato delle scienze religiose. Lo stesso orientamento è riscontrabile in un'opera consacrata al vocabolario tecnico delle diverse scienze, il Kitāb Mafātīḥ al-῾ulūm (Libro delle chiavi delle scienze), redatto nell'ultimo terzo del X sec. dal 'segretario' (kātib) Abū ῾Abd Allāh Muḥammad ibn Aḥmad al-Ḫwārizmī e dedicato al principe samanide Nūḥ III, noto, fra l'altro, per aver messo a disposizione di Avicenna la propria biblioteca, finanziandone gli studi. Alla fine della prefazione, l'autore ci informa che la sua opera "è divisa in due libri: il primo è dedicato alle scienze della religione [῾ulūm al-šarī῾a] e alle scienze arabe a queste associate, mentre il secondo alle scienze dei popoli non arabi [al-aǧam], i greci e gli altri" (p. 5). Nella prima parte sono presi in esame il fiqh, il kalām, la grammatica, il 'segretariato' (kitāba), la poesia e le tradizioni, mentre nella seconda si descrivono la filosofia, la logica, la medicina, le matematiche, le scienze tecniche e l'alchimia. Al-Ḫwārizmī pone qui in opera un diverso principio gerarchico: egli inserisce nella prima classe, accanto alle scienze religiose islamiche, le discipline che caratterizzano la cultura araba tradizionale per poi collocare in seconda posizione le scienze straniere. Quanto a queste ultime, si può affermare che sia in al-Ḫwārizmī sia negli altri autori che a esse antepongono le scienze della tradizione arabo-islamica, il loro ordine di presentazione è irrilevante. Diverso è invece il caso delle classificazioni dei falāsifa, i filosofi vicini alla tradizione del pensiero greco.

Oltre all'influenza della tradizione culturale arabo-islamica, cui abbiamo già accennato, bisogna infatti segnalare, nel campo della filosofia, l'importanza di alcuni schemi di classificazione ereditati dai Greci che era possibile riprodurre o combinare tra loro in modi molto diversi.

In tale contesto, è significativo in primo luogo il caso di al-Fārābī (m. 339/950), che nel suo Iḥṣā᾽ al-῾ulūm (Enumerazione delle scienze) delinea un'importante classificazione profondamente diversa da quella di al-Ḫwārizmī per tre ragioni principali: ostentando una sorta di neutralità documentaria, l'autore non distingue due serie eterogenee di conoscenze; non menziona affatto le scienze religiose (le scienze coraniche); infine, propone una classificazione che implica una gerarchia diametralmente opposta a quella delineata nei Mafātīḥ al-῾ulūm di al-Ḫwārizmī e il cui criterio emerge solo nel corso della lettura di una parte del testo. Per quanto riguarda la prima questione, al-Fārābī precisa sin dall'inizio dell'Iḥṣā᾽ al-῾ulūm che elencherà 'le scienze riconosciute' (al-῾ulūm al-mašhūra), adottando così un punto di vista esclusivamente documentario per menzionare le cinque scienze fondamentali: la scienza della lingua, la scienza della logica, l'insieme delle scienze matematiche, la fisica e la scienza della politica. In realtà, in questo testo al-Fārābī prende in esame un maggior numero di scienze, dal momento che parla anche della metafisica (al-῾ilm al-ilāhī, lett. scienza divina), ricondotta alla fisica, e di altre due discipline connesse alla scienza della politica. Le diverse scienze presentano a loro volta una serie di divisioni: la scienza della lingua, che apre l'elenco di al-Fārābī, è considerata universale e quindi, pur includendo una serie di dettagli che concernono solo la lingua araba, non è ridotta a quest'ultima, come invece accade nelle classificazioni fin qui prese in esame. A essa seguono le scienze che al-Ḫwārizmī chiamava 'straniere'. Nell'ordine loro assegnato da al-Fārābī sono individuabili alcuni degli schemi mutuati dalle tradizioni filosofiche greche, che l'autore combina tra loro. Per quanto riguarda la seconda questione, si può dire che l'assenza delle scienze religiose tradizionali risalta con tutta evidenza. Quanto alla terza, alla fine della sua esposizione, al-Fārābī presenta sì due scienze arabo-islamiche ‒ il diritto e la teologia ‒ ma le priva del loro tradizionale prestigio: fiqh e kalām sono infatti ricondotti alla scienza della politica. Al fiqh sono dedicate solo poche righe, molto generiche, mentre il kalām è esaminato in modo più esteso, ma sono presi in considerazione solo i modi in cui esso era praticato (e non, per es., i metodi e i principî delle diverse scuole teologiche). Ed è evidente che, benché al-Fārābī non lo affermi esplicitamente, queste modalità di applicazione rientrano nel campo della retorica, della sofistica o semplicemente della menzogna. Caratterizzando in tal modo queste due 'scienze riconosciute', l'autore riduce tale riconoscimento a un semplice dato sociologico. Tale modo di procedere è, del resto, coerente con la concezione farabiana in cui, da una parte, la religione è vista come l'opera di un legislatore e la trasposizione simbolica di una dottrina filosofica e, dall'altra, la teologia è considerata una semplice speculazione su queste rappresentazioni. Nell'opera di al-Fārābī, quindi, è individuabile una gerarchia implicita delle conoscenze in cui sono favorite le scienze fondate dai Greci: le divisioni di tutte quelle presentate, così come le arti a queste riconducibili, sono esposte in modo dettagliato, ma la gerarchia dei diversi saperi è indicata solo a grandi linee. Con l'opuscolo di Avicenna intitolato Risāla fī aqsām al-῾ulūm al-῾aqliyya (Epistola sulle divisioni delle scienze razionali) ci troviamo di fronte a uno scenario completamente diverso. Quanto al quadro di riferimento e al contenuto, quest'opera dipende strettamente da Aristotele, già a cominciare dalla divisione della filosofia in una parte teorica e una parte pratica, seguita dalla suddivisione della prima in una scienza 'inferiore', la fisica, una scienza 'intermedia', la matematica (è inevitabile, in questo caso, pensare a Platone), e una scienza 'superiore', la teologia o metafisica, a cui Avicenna aggiungerà in ultima posizione la logica. Ciascuna di queste scienze è a sua volta divisa in parti principali e parti speciali. La fisica, per esempio, è divisa in otto parti principali, ciascuna delle quali rinvia a un'opera del Corpus aristotelico nella forma che aveva assunto all'epoca dell'autore (Physica, De caelo et mundo, De generatione et corruptione, Meteorologica I-III, Meteorologica IV, De plantis, Historia animalium, De anima, De sensu et sensibili), e in sette parti speciali: medicina, astrologia, fisiognomonia, oniromanzia, scienza dei talismani, teurgia e alchimia. Nella sua Risāla Avicenna non menziona affatto le scienze islamiche; va poi ricordato che la teurgia da lui presentata non ha niente di pagano: essa, infatti, chiama in causa unicamente i 'poteri' celesti e fa riferimento agli angeli, alla rivelazione e alla profezia solo nel quadro del discorso metafisico, senza porli direttamente in rapporto con il Corano. L'ordine e la gerarchia delle conoscenze hanno il loro fondamento esclusivamente nell'epistemologia.

Già il primo filosofo dell'area arabo-islamica, al-Kindī (m. 257/870 ca.), aveva elaborato un'organizzazione delle conoscenze più articolata di quelle fin qui prese in esame, esposta nella Risāla fī kammiyat kutub Arisṭūṭālīs wa-mā yuḥtāǧu ilay-hi fī taḥṣīl al-falsafa (Epistola sulla quantità dei libri di Aristotele e su ciò che occorre per accedere alla filosofia). Il piano della Risāla di al-Kindī è allo stesso tempo rigoroso e complesso ed è diviso in sette parti. Nella prima l'autore elenca i libri di Aristotele nell'ordine di successione in cui essi si presentavano nel Corpus: i libri dedicati alla logica, alla fisica, all'anima, alla metafisica o teologia (filosofica) e, infine, all'etica e ad 'alcuni temi particolari'. Nella seconda parte egli espone l'ordine didattico delle scienze, affermando che occorre iniziare dallo studio della matematica. Nella terza parte è indicato l'ordine fondato sull'ontologia, la scienza della sostanza, a sua volta condizionata dalla scienza dei suoi attributi principali (quantità e qualità) che costituisce la filosofia, cioè l'insieme delle cose che si devono conoscere. Nella quarta parte l'autore discute della superiorità che la 'scienza divina' (da non confondersi con la metafisica dei falāsifa), concessa da Dio ai suoi profeti, deve vantare sulla 'scienza umana', elaborata con grande dispendio di fatica e di tempo. Nella quinta parte ripropone il tema già affrontato nella terza, analizzandolo nei dettagli ed elenca le scienze matematiche, prima nell'ordine pitagorico (aritmetica, armonia, geometria e astronomia) e poi nell'ordine pedagogico, cioè platonico (aritmetica, geometria, astronomia e armonia). Nella sesta parte espone l'ordine didattico generale (libri di matematica, di logica, di fisica e di metafisica) e nella settima discute gli scopi che Aristotele si era prefisso nel redigere ciascuna delle sue opere. Qui al-Kindī si richiama a diversi principî di organizzazione delle scienze, vale a dire a criteri di ordine ontologico, didattico, storiografico (quello del Corpus aristotelico), senza oltrepassare i confini della filosofia. Tuttavia, nella parte centrale della sua Risāla, egli introduce inaspettatamente una nuova gerarchia, in cui la rivelazione è anteposta al sapere umano. A sostegno di questa sua tesi al-Kindī cita una sura del Corano (XXXVI: Yā Sīn), la cui ineguagliabile concisione è posta in risalto da un commento discorsivo. Al centro del programma filosofico formulato dal primo filosofo arabo si ritrova così l'ordine islamico delle conoscenze.

È quindi in modo discreto, ma anche con grande chiarezza, che al-Kindī indica in quale ordine è opportuno dedicarsi all'acquisizione del sapere. Un ordine che si basa sulla natura delle scienze e su quella dei loro rispettivi oggetti. Tra gli autori qui menzionati al-Kindī è l'unico che tenga conto della didattica, se non della pedagogia, la quale ha un proprio ordine esplicitamente indicato e, in quanto orientata verso l'acquisizione di un sapere superiore, implica una gerarchia.

In verità, Ibn Ḥazm, a cui abbiamo già accennato, aveva dedicato alla pedagogia una parte del trattato intitolato Marātib al-ulūm (I gradi delle scienze). In quest'opera l'autore indica innanzitutto l'ordine in cui bisogna affrontare le diverse scienze, rifiutando in primo luogo di considerare tali le pratiche che della scienza 'non hanno che il nome', come la magia, la scienza dei talismani, diversi generi di musica e l'alchimia. A partire dal compimento del quinto anno d'età, secondo Ibn Ḥazm, i bambini devono apprendere a scrivere e a leggere i libri redatti nella loro lingua, devono studiare il Corano e imparare a parlare in modo corretto. In seguito, essi devono dedicarsi allo studio della grammatica e del vocabolario, quindi a quello delle opere poetiche che contengono aforismi ed esprimono pensieri edificanti (in questo caso Ibn Ḥazm esclude esplicitamente gran parte della poesia araba, sia anteriore sia posteriore all'Islam: la poesia amorosa, quella che tratta della sventura e delle battaglie, o che canta l'esilio, i deserti, gli accampamenti abbandonati, e la poesia satirica; gli elogi e le elegie, tuttavia, non sono condannati ma solo considerati riprovevoli). Si passa quindi alla scienza dei numeri e alla geometria, seguite dall'astronomia, la quale dimostra che il corpo del mondo è finito ed è opera di un creatore; Ibn Ḥazm rifiuta poi l'astrologia, un rifiuto motivato da ragioni che potremmo definire scientifiche: a suo parere, per dimostrare la validità di questa disciplina, bisognerebbe verificarne le predizioni per molti millenni. Poi bisogna affrontare lo studio della logica, delle scienze della Natura, della storia e della morale che non è esplicitamente menzionata; occorre, infine, passare allo studio di una sorta di teologia razionale che dimostri la transitorietà del mondo e quindi l'esistenza di un 'Instauratore' (muḥdiṯ): questa stessa disciplina dimostrerà inoltre la possibilità di formulare profezie e la necessità di rispettare i comandamenti e i divieti rivelati. Gli anni dedicati allo studio, prima dai bambini e poi dagli adolescenti, sono quindi coronati dall'apprendimento di una disciplina già affrontata all'inizio del loro percorso formativo: la rivelazione coranica, che si trova alla sommità di questa gerarchia organizzata in base a criteri pedagogici. Nelle sezioni seguenti del suo trattato, Ibn Ḥazm delinea un'altra classificazione, in questo caso sistematica e nell'insieme piuttosto simile a quelle adottate dagli altri teologi, in cui è stabilito il seguente ordine: conoscenza della legge dell'Islam, divisa in quattro scienze (Corano, ḥadīṯ, fiqh e kalām); scienze della grammatica, del vocabolario, della storia (a cui l'autore dedica un lungo brano), delle stelle, dei numeri, della logica, della medicina, della poesia, della retorica e dell'interpretazione dei sogni. Ibn Ḥazm prende in esame anche molte arti (commercio, agricoltura, edilizia, ecc.). Egli intende dimostrare che la scienza richiesta da Dio presuppone la conoscenza di tutte le discipline scientifiche, incluse quelle della genealogia (necessaria per l'imamato), dell'astronomia (indispensabile per determinare la qibla [direzione cui rivolgere la preghiera]), dei numeri (per calcolare le successioni). Anche in questo caso la religione domina tutto il complesso delle scienze.

Va infine affrontato l'esame di un testo che si astrae da ogni legame sociale per ricostruire idealmente la genesi delle scienze all'interno dello stesso sistema del sapere: è il 'romanzo filosofico' di Ibn Ṭufayl (m. 580/1182), la Risālat Ḥayy ibn Yaqẓān (Epistola di Ḥayy ibn Yaqẓān), in cui è narrata la storia di un bambino, poi divenuto uomo, che vivendo in un'isola lontano dai suoi simili ricostruisce l'intera serie delle scienze (a eccezione, naturalmente, di quella del linguaggio) attraverso quella che si potrebbe definire una sorta di 'autopedagogia' (il primo editore europeo di quest'opera, nel 1671, E. Pococke, l'aveva sottotitolata Philosophus autodidactus). Il percorso del protagonista, e dunque la connessione dei saperi, si possono descrivere a grandi linee: Ḥayy ibn Yaqẓān inizia a sperimentare le differenze che lo distinguono dagli animali da cui è circondato; la morte della gazzella che lo ha nutrito gli offre l'occasione di iniziarsi all'anatomia. In seguito egli formula il concetto di specie animale e sperimenta il fuoco, arrivando alla conclusione che questo elemento ha la stessa natura dello spirito animale. Quindi si eleva alle concezioni complementari dell'individuo e della specie, dei tre regni, del legame dell'uno e del molteplice nell'individuo, nella specie e nel corpo in generale; comprende la diversità degli elementi in base ai loro movimenti naturali e quindi le loro forme ‒ un concetto che gli consente di intravedere il mondo spirituale. Concepisce l'idea dell'esistenza di un autore di queste forme e, constatando che il mondo sensibile è soggetto a un costante cambiamento, si rivolge ai corpi celesti. Giunge così a concepire la finitezza del cielo e le grandi linee del sistema astronomico; non riesce a capire se il mondo sia o no eterno, ma arriva alla conclusione che in tutti i casi deve esserci un Autore infinitamente forte, saggio, sapiente e perfetto. Ritornando a esaminare in modo speculativo tutte le conoscenze acquisite, egli perviene infine all'estasi che gli consente di percepire l'unicità dell'essenza (senza, tuttavia, identificarsi con l'essenza divina) e, intuitivamente, l'insieme dell'Universo. Tutto questo percorso è orientato verso l'acquisizione di una scienza suprema, la conoscenza di Dio; una conoscenza, va sottolineato, che non passa per la religione istituzionale. Ḥayy la sperimenterà più tardi e ne comprenderà l'inutilità: la religione istituzionale, infatti, non insegna, in definitiva, che le nozioni a cui il protagonista del romanzo è pervenuto grazie alla sua ascesa spontanea attraverso la gerarchia delle scienze ‒ fisica, astronomia e metafisica (teologia filosofica).

Da questa breve ricapitolazione si possono desumere almeno due motivi di riflessione. In primo luogo, per ciò che concerne la storia dottrinale, si può constatare che queste classificazioni delle scienze riflettevano e interpretavano, ciascuna a suo modo, il contrasto tra i saperi costitutivi del patrimonio culturale arabo-islamico e le conoscenze provenienti da altre aree, le 'scienze straniere'. Tale contrasto poteva dar luogo a situazioni diverse. Questi due insiemi di saperi potevano, infatti, trovarsi semplicemente giustapposti, con la preminenza più o meno accentuata delle scienze religiose e tradizionali, come in Ibn Ḫaldūn e in al-Ḫwārizmī, che in questo caso si presentano come semplici osservatori del loro campo culturale, oppure potevano entrare in competizione tra loro: al-Fārābī dimostra, per esempio, di non tenere in grande considerazione le scienze religiose e Avicenna non le inserisce nella sua descrizione; al-Ġazālī e Ibn Ḥazm le antepongono, al contrario, alle scienze straniere. Ibn Ṭufayl, nel suo romanzo di formazione, non concede loro alcuno spazio: Ḥayy raggiunge l'estasi finale grazie alla sola filosofia. Al-Kindī esplora entrambe le vie, assegnando, tuttavia, una preminenza assoluta alla rivelazione. Altrettanti modi di definire (o affrontare) i rapporti, sempre tempestosi, tra religione e filosofia.

Bibliografia

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Jolivet 1997: Jolivet, Jean, Classifications des sciences, in: Histoire des sciences arabes, sous la direction de Roshdi Rashed avec la collaboration de Régis Morelon, Paris, Seuil, 1997, 3 v.; v. III: Technologie, alchimie et sciences de la vie, pp. 255-270 (ed. orig.: Encyclopedia of the history of Arabic science, London-New York, Routledge, 1996, 3 v.).

‒ 1999: Jolivet, Jean, Classifications des sciences arabes et médiévales, in: Les doctrines de la science de l'antiquité à l'âge classique, édité par Roshdi Rashed et Joël Biard, Louvain, Peeters, 1999, pp. 211-237.

Lahbabi 1936: Lahbabi, Mohammed A., Ibn Khaldūn, notre contemporain, Paris, Seghers, 1936.

Rosenthal 1970: Rosenthal, Franz, Knowledge triumphant. The concept of knowledge in medieval Islam, Leiden, E.J. Brill, 1970.

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