La borghesia

Dizionario di Storia (2010)

La borghesia

Luciano Cafagna

La borghesia è il gruppo sociale che compare nel basso Medioevo con la rinascita e la diffusione, nei Paesi dell’Europa continentale, di agglomerati urbani, generalmente definiti come borghi, dal tardo latino burgus. Il gruppo sociale che così si forma appare caratterizzato da una mentalità e un comportamento di tipo acquisitivo che si differenzia dalla mentalità meramente possidente tipica della struttura feudale. Questo nuovo gruppo sociale è composto sostanzialmente da mercanti, artigiani e, in progressione di tempo, da personale amministrativo e titolari di attività professionali, ed è quindi caratterizzato da una certa differenziazione nella condizione sociale e nel livello del reddito. La distinzione che il termine «borghesia» tende a marcare è fondamentalmente quella che contrappone questo gruppo alla nobiltà terriera e alla struttura sociale agraria che da quella dipendeva (nel Medioevo quest’ultima era composta oltre che dalla nobiltà, da lavoratori più o meno legati alla terra da un rapporto servile, la «servitù della gleba»). Salimbene da Parma nel 13° sec. dice sinteticamente: «i nobili vivono in campagna e nei loro possedimenti, invece i borghesi abitano in città».

Con l’avanzare dell’Età moderna, dapprima la crescita degli scambi a lunga distanza e poi il formarsi delle strutture industriali e dell’impresa produttiva di ragguardevoli dimensioni unitarie, delinearono lo strato principale della borghesia appunto, come «borghesia capitalistica»: formula che tende a definire socialmente i titolari della proprietà e della conduzione delle imprese industriali, commerciali e via via, anche agrarie, che venivano a formare il tessuto della nuova struttura economica. Restava esclusa dall’aggregato sociale «borghesia» la più ampia popolazione urbana di nullatenenti (operai, piccoli lavoratori indipendenti e sottoproletari).

Per molti secoli, dai tempi della rinascita cittadina alla Rivoluzione francese del 1789, la crescita della borghesia fu in larga misura accompagnata, nei soggetti sociali che più accrescevano con l’attività economica la loro ricchezza e la loro posizione nella società, da una propensione a integrare il proprio innalzamento sociale con l’attribuzione di titoli nobiliari (anoblissement): questo fenomeno era incoraggiato e gestito dai regimi monarchici o principeschi allora prevalenti, i quali, in tal modo, si assicuravano il sostegno dei detentori della nuova ricchezza mobiliare. Ciò valeva sia per i regimi monarchici di tipo assolutistico come quello francese sia per quello costituzionale, quale si era formato in Inghilterra a seguito della rivoluzione protestante, nella seconda metà del Seicento. Nell’ancien régime (la struttura politico-sociale che precede il mutamento prodotto in Europa dalla Rivoluzione francese) la borghesia veniva identificata con il «terzo stato», inteso come «terzo» rispetto alla nobiltà e al clero. Occorre però osservare che, originariamente, il terzo stato comprendeva tutta la società esente da privilegi, sia quella dotata di ricchezza, come la borghesia vera e propria, sia quella, assai più estesa, che ne era priva.

Prima e durante la Rivoluzione francese il «terzo stato» tendeva a presentarsi come la sostanza della società nuova e moderna, in quanto titolare non di privilegi, ma di capacità produttive e di meriti intellettuali e organizzativi. La tendenza – di cui si è fatto cenno prima – della borghesia a mimetizzarsi nel modello nobiliare cominciò a entrare in crisi con l’affermarsi, nel corso del Settecento, della cultura illuministica e subì un duro colpo con la Rivoluzione francese: fu qui che la contrapposizione fra nobiltà e borghesia assunse una valenza fortemente politica. Si delineò anche una propensione ad associare al mutamento dei rapporti fra le classi sociali che erano stati propri dell’ancien régime, la forma politica repubblicana. Ma ciononostante, quell’atteggiamento mimetico nei confronti del modello nobiliare, presente soprattutto negli strati più alti della borghesia, riprese ben presto a manifestarsi con l’impero napoleonico che dominava l’Europa e in seguito, dopo il 1815, con la restaurazione monarchica.

Con lo sviluppo della società capitalistico-industriale, nel corso dell’Ottocento prese ad accentuarsi, nei Paesi allora economicamente più avanzati (Inghilterra, Stati Uniti, Francia e successivamente Germania), la contrapposizione sociale fra i detentori dei mezzi di produzione da un lato, e la massa, straordinariamente accresciuta, dei lavoratori salariati dall’altro (per questi ultimi verrà introdotta l’espressione simbolica di «quarto stato» per indicare gli strati sociali non solo senza privilegi, ma privi anche di qualsivoglia forma di agiatezza). Il più importante teorico e studioso di questo modello di formazione sociale fu K. Marx, il cui pensiero, per più di un secolo, fu il principale punto di riferimento dei grandi movimenti socialisti diffusi soprattutto in Europa. Per Marx «borghesia» era sostanzialmente sinonimo di classe sociale capitalistica: in questo senso l’espressione fu usata nella propaganda socialista e, in generale, nel linguaggio corrente dell’età contemporanea. Occorre però osservare che l’evoluzione sociale dei Paesi industriali tendeva a produrre, con oltre lo schema antagonistico fra borghesi capitalisti e operai proletari, non la scomparsa, ma la parallela diffusione di nuovi strati intermedi, sia nell’area produttiva e degli scambi sia nell’area dell’organizzazione burocratica e amministrativa: per questa diversa stratificazione sociale entrò in uso la definizione di «piccola» e anche «media borghesia». A questo fenomeno, che contraddistingue tutte le società capitalistiche, anche al di fuori dell’originaria area euro-nordamericana, si è venuta sempre più applicando la denominazione di «ceto medio» che ha una chiara derivazione dall’inglese middle class, espressione entrata in uso nella lingua inglese, pare agli inizi del sec. 19°, come termine corrispondente della bourgeoisie delle lingue continentali.

Con la diffusione, in larga misura, volgarizzata della teoria marxista, l’uso della parola borghesia, venne sempre più assumendo anche una valenza simbolica, nella quale si accentuavano le caratteristiche valoriali del termine piuttosto che quelle rigorosamente socio-economiche. Con «borghese», per es., si tese sempre più a definire genericamente la «classe dominante» nel suo insieme, oppure un’età storica (il sec. 19° come «secolo borghese»), oppure ancora un cambiamento storico modernizzante (l’età della «rivoluzione borghese»). Nello stesso modo si affermò la tendenza a definire simbolicamente la tematica e l’orientamento di correnti letterarie e artistiche: il dramma borghese, il romanzo borghese, l’arte borghese. A queste si contrapponevano tendenze artistiche e letterarie antiborghesi: con tali formule s’intendeva a volte un’ispirazione a valori sociali progressisti e a volte, invece, soltanto un puro e semplice «avanguardismo» letterario e artistico, inteso come antiborghese, solo perché rompeva con regole e convenzioni. L’utilizzo del termine «borghese» nell’area artistica e letteraria è in ogni caso strettamente imparentato con l’uso valutativo in campo etico: l’espressione «morale borghese» ha frequentemente avuto il senso di un giudizio negativo o addirittura spregiativo. Dal canto suo l’espressione «imborghesimento» tende a connotare generalmente come sinonimo di tendenza alla mediocrità, l’individuazione di processi degenerativi nel comportamento di singoli o gruppi.

L’espansione dell’economia e della società capitalistica, al di fuori della primaria area atlantica euro-nordamericana, che aveva già cominciato a manifestarsi nell’Ottocento in piccole o grandi aree dei diversi continenti, prese maggiore sviluppo nel corso del sec. 20° con il caso del Giappone e, in minor misura, con quello dell’America latina (qui comparve la figura economica della borghesia compradora ad attività prevalentemente intermediaria anziché produttiva).

La rivoluzione del 1917 nell’impero russo-zarista diede luogo alla formazione di una grande realtà territoriale euroasiatica – l’Unione Sovietica – a proprietà statale e non privata, la cui classe dirigente era pertanto composta non da borghesi capitalisti di tipo classico, ma da politici, burocrati e tecnocrati. Questo eccezionale esperimento sociale durò circa ottanta anni (la gran parte del sec. 20°), ma alla fine, quella classe dirigente, composta come si è prima detto, non ebbe molta difficoltà a trasformarsi in una borghesia capitalistica di tipo tradizionale.

Alla fine della Seconda guerra mondiale si è assistito poi all’avvio di un processo di «decolonizzazione», accompagnato da un fenomeno, per molti decenni non particolarmente dinamico, di diffusione del capitalismo nei continenti non europei. Il processo di espansione del capitalismo nel mondo ha quindi preso nuovo e accresciuto vigore con la cosiddetta «globalizzazione», manifestatasi soprattutto in seguito al crollo dell’URSS e dei regimi socialisti da questa dipendenti. La caratteristica sociale più originale e più complessa di questa nuova fase di diffusione del capitalismo nel mondo appare costituita dall’impatto con strutture sociali arcaiche, sostanzialmente molto diverse da quelle che il capitalismo aveva incontrato in Europa o nei primi territori coloniali poco popolati. Questo fenomeno si era presentato storicamente per la prima volta, in forma significativa, nel caso già ricordato del Giappone. Dopo il crollo sovietico e l’avvio della cosiddetta «globalizzazione» si sono manifestati i nuovi casi macroscopici della ex Russia sovietica, dell’India e, soprattutto, della Cina comunista successiva alla morte di Mao: in tutti questi casi l’emersione di nuovi gruppi sociali, con posizione dominante in campo economico, si è venuta presentando in forme originali, e talvolta definibili come ibride, rispetto al tradizionale modello storico che ha caratterizzato la «borghesia capitalistica» in Europa e negli Stati Uniti.

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