L'Ottocento: chimica. La formazione e la professione del chimico

Storia della Scienza (2003)

L'Ottocento: chimica. La formazione e la professione del chimico

Alan J. Rocke
Robin Mackie
Gerrylynn K. Roberts

La formazione e la professione del chimico

Lo sviluppo dell'insegnamento della chimica può essere esaminato soltanto in relazione alla graduale professionalizzazione di tale scienza, avvenuta nell'Europa del XIX secolo. L'istruzione, infatti, riguarda ogni aspetto della formazione di chi esercita un lavoro professionale e anche la rilevanza sociale di una determinata comunità di professionisti. Agli inizi dell'Ottocento, la chimica sebbene come disciplina fosse ben definita, praticata da una comunità di ricercatori, come professione era però appena agli albori e nei suoi confronti i governi non mostravano alcun interesse sistematico. Tuttavia, prima della fine del secolo la disciplina avrebbe assunto un aspetto decisamente moderno, con istituzioni educative e applicative simili a quelle attuali, la maggior parte delle quali era stata creata o sanzionata direttamente dai governi o controllata da essi. Le principali caratteristiche di questa trasformazione verranno esaminate prendendo in considerazione le vicende della disciplina nei tre maggiori Stati europei dell'epoca, ossia la Francia, la Germania e la Gran Bretagna.

L'istruzione superiore nel XVIII sec.: il caso francese

di Alan J. Rocke

Nel XVIII sec. un'istruzione superiore di tipo formale, in campo scientifico, era quasi inesistente; infatti le università europee mantenevano ancora molti aspetti del loro carattere medievale, poiché fornivano un tipo di educazione sostanzialmente classico, basato su discipline quali legge, teologia e medicina, adeguato alle professioni tradizionali ed erano carenti ‒ se non del tutto prive ‒ di insegnamenti di materie moderne quali le scienze, la matematica, l'ingegneria, le lingue e la storia. Per i professori universitari non era pratica comune eseguire ricerche erudite, in quanto si riteneva che tale attività non fosse necessaria ai fini della carriera e potesse essere quindi delegabile alle accademie scientifiche. Normalmente la chimica veniva insegnata nelle facoltà di medicina, mediante corsi tenuti da medici, poiché la formazione chimica era collegata in maniera stretta all'arte farmaceutica e alla materia medica.

Intorno al 1780, delle circa 60 cattedre di chimica presenti in 105 università e istituti d'istruzione di tipo tecnico, quasi tutte erano inserite nei piani di studi di medicina e praticamente nessuna era dedicata alla 'chimica filosofica', cioè a quella che oggi definiremmo chimica teorica o generale. Tuttavia, a partire dal 1850, la situazione cambiò in maniera drastica: anche se il numero totale di cattedre non era aumentato di molto, la maggior parte di esse era inserita in piani di studio di tipo scientifico o, perlomeno, non di medicina e la chimica era considerata una scienza autonoma e non più una semplice arte complementare alla medicina o alla farmacia anche all'interno delle scuole di medicina.

Nonostante il raggiungimento di risultati simili, nei vari paesi europei i percorsi seguiti furono alquanto diversi. In Francia, per esempio, nel XVIII sec. esistevano già scuole di tipo tecnico (come l'École des Ponts et Chaussées); oltre alle università che, durante il periodo rivoluzionario, furono temporaneamente sospese, a vantaggio della creazione di nuove istituzioni specializzate, tra cui le celebri École Normale ed École Polytechnique. La scienza francese, compresa la chimica, era rinomata in tutto il mondo; di norma, tuttavia, la ricerca non si svolgeva all'interno di queste istituzioni, poiché era finanziata mediante contratti di tipo privato. Un esempio importante a questo riguardo è l'istituzione, privata e non ufficiale, della Société d'Arcueil, che nel primo decennio del XIX sec. era diretta da Claude-Louis Berthollet e da Pierre-Simon de Laplace e di cui fecero parte i giovani Joseph-Louis Gay-Lussac, Louis-Jacques Thenard e altri.

Nel 1808 Napoleone Bonaparte istituì nuovamente l'Université de France, un sistema d'istruzione secondaria e superiore gestita dalla burocrazia parigina che, rimasto fondamentalmente inalterato per tutto il secolo, era costituito da varie facultés ‒ lettere, scienze, teologia, legge e medicina ‒ collegate tra loro. Il gruppo di facoltà di una determinata città ‒ per esempio Bordeaux o Strasburgo ‒ era chiamato rispettivamente Académie de Bordeaux o Académie de Strasbourg e le Facoltà di lettere e di scienze dell'Académie de Paris erano, e sono ancora, ufficiosamente conosciute come Sorbonne. Oltre all'Université de France vi erano le istituzioni speciali con sede a Parigi, cioè le grandes écoles come il Collège de France, le già menzionate École Normale ed École Polytechnique, e altre. I ruoli accademici erano assegnati mediante esami e concorsi scritti e orali, ma il potere decisionale finale (e naturalmente il bilancio) spettava a Parigi, al ministro della Pubblica Istruzione o persino al capo dello Stato. Il sistema d'istruzione superiore era, perciò, realmente un organo del governo nazionale. Una facoltà di provincia poteva avere soltanto quattro o cinque insegnanti che istruivano un numero molto ridotto di studenti, mentre Parigi rappresentava il centro dell'istruzione superiore. La funzione più importante del sistema consisteva nel sottoporre gli studenti a esami di diploma (baccalauréat, licence, agrégation o doctorat) formando in questo modo laureati preparati per le professioni tradizionali, oltre che per l'insegnamento nei licei e nelle facoltà. I finanziamenti destinati a queste ultime, sia per le retribuzioni sia per le attrezzature, erano miseri e nella stessa Parigi i fondi per i laboratori e per la ricerca erano molto ridotti, mentre nella provincia erano praticamente inesistenti, cosicché sotto l'egida di questi istituti l'attività di ricerca fu assai limitata. Nonostante ciò, ai margini delle istituzioni, venne svolto un eccellente lavoro come, per esempio, quello di Gay-Lussac, di Thenard e di Jean-Baptiste-André Dumas (1800-1884), eccellente chimico, quest'ultimo, della generazione successiva rispetto ai primi due.

La carriera di Dumas esemplifica alcune caratteristiche del sistema francese d'istruzione superiore. Il suo primo posto, ottenuto rapidamente nel 1824, fu di répétiteur (assistente di laboratorio) di Thenard all'École Polytechnique, dove organizzò alla meglio un piccolo laboratorio per la sua ricerca personale. Alcuni mesi dopo, dietro raccomandazione di André-Marie Ampère, iniziò a insegnare all'Athénée di Parigi, un istituto privato simile alla Royal Institution di Londra. Nel 1829, insieme ad altri due studiosi, fondò una scuola privata di scienze applicate, l'École Centrale des Arts et Manufactures, e contemporaneamente iniziò a sostituire Thenard nelle lezioni al Collège de France. Ben presto, a causa dei troppi impegni, dovette rinunciare all'insegnamento all'Athénée, nonostante il salario di répétiteur fosse molto basso e quello dell'École Centrale praticamente nullo.

Nel 1832 la vita professionale di Dumas cambiò drasticamente; in quell'anno, infatti, non soltanto ottenne due dottorati ‒ l'uno in medicina e l'altro in scienze ‒ ma fu anche eletto membro della prestigiosa Académie des Sciences e divenne uno dei candidati principali per la cattedra di professore al Muséum d'Histoire Naturelle. In questo concorso si qualificò al secondo posto, dopo Gay-Lussac, il quale, tuttavia, per accettare il nuovo incarico, dovette dimettersi da uno degli altri due posti che ricopriva. Rinunciò a quello della Sorbona che, quindi, venne assegnato a Dumas, prima come agrégé (insegnante, non professore) e poi, nove anni più tardi, come professeur. Nel 1835, inoltre, quando il mentore di Dumas, Thenard, andò in pensione dall'École Polytechnique, il suo protetto fu promosso professeur, incarico a cui rinunciò tre anni più tardi, quando vinse il concorso di professeur alla Facoltà di medicina. Da allora mantenne contemporaneamente 'soltanto' tre posti di professore a Parigi, ovvero alla Facoltà di medicina, alla Facoltà di scienze della Sorbona e all'École Centrale.

L'abitudine di essere titolari contemporaneamente di più cattedre, praticata abilmente da Gay-Lussac nella prima generazione dei chimici del XIX sec., da Dumas nella seconda e da Marcellin Berthelot nella terza, in Francia è denominata cumul ed è stata spesso criticata, allora come oggi; si pensava infatti fosse nociva alla scienza in quanto precludeva possibilità di carriera a scienziati più giovani e promettenti. Tuttavia, non si potevano totalmente biasimare i cumulards, dato che le cattedre più importanti della scienza francese si trovavano tutte nella stessa città, poche di esse erano così ben retribuite da poter costituire una sufficiente fonte di reddito e, infine, vi era una notevole penuria di laboratori. Inoltre, nonostante i concorsi per le cattedre fossero apparentemente liberi, l'ultima decisione era senza dubbio politica e molti si sentivano obbligati a partecipare alla politica accademica per ragioni sia difensive sia offensive.

La situazione tedesca

di Alan J. Rocke

Lo sviluppo della chimica accademica nei frammentati Stati tedeschi si differenzia, sotto molti aspetti, da quello francese. Le università tedesche del XVIII sec. erano istituzioni vecchie e tradizionaliste, ma soprattutto erano piccole, arretrate, povere e di reputazione mediocre; i professori raramente si dedicavano alla ricerca con l'unica rilevante eccezione dell'Università di Gottinga. La situazione mutò alla fine della guerra con la Francia napoleonica, cioè con la Restaurazione, quando la cultura illuminista cedette il passo al nuovo clima culturale originatosi dal neoumanesimo romantico.

Già prima della capitolazione di Napoleone I, riformatori prussiani come Wilhelm von Humboldt (1767-1835) e Friedrich Schleiermacher (1768-1834) si erano impegnati per ammodernare le istituzioni educative del loro paese. Una delle cause della resistenza all'introduzione nelle università di un'etica della ricerca erano stati gli ideali illuministi di utilità, universalismo e liberalità. La nuova ideologia neoumanista rifiutava gli aspetti più estremi dell'utilitarismo materialista, privilegiando piuttosto un certo dinamismo e individualismo. La missione educativa non era più limitata alla sola preparazione professionale, ma era finalizzata a fornire una cultura di alto livello, concepita come puro apprendimento non soltanto delle lingue e delle letterature classiche (tipico dell'umanesimo rinascimentale) ma anche di ogni altra disciplina accademica, secondo i dettami del neoumanesimo tedesco del XIX secolo. Questo tipo di insegnamento poteva essere impartito solamente da eminenti studiosi che erano anche ricercatori, e non più da semplici insegnanti, anche se dotati di una certa competenza. È così che nacque il sistema tedesco del 'mandato di ricerca', associato alle riforme neoumanistiche.

Le nuove università riformate furono fondate a Bonn e a Berlino agli inizi del secolo e servirono come modelli anche per gli Stati tedeschi al di fuori della Prussia. I governi cominciarono a esercitare un controllo maggiore sulle università, che fino ad allora erano state fortemente indipendenti e che iniziarono ad assumere un corpo insegnante più ampio e più insigne, ottenendo così anche un aumento delle iscrizioni. La competizione per accaparrarsi i migliori posti accademici rafforzò gradatamente il sistema del mandato di ricerca fino ad arrivare a standard sempre più elevati. Dato che ogni Stato aveva le proprie università e le proprie ambizioni nazionali e internazionali, la competizione che ne risultò indusse una sorta di ciclo di autorafforzamento. Anche i salari aumentarono in maniera graduale e l'impegno accademico rappresentò una reale opportunità di carriera sia per gli scienziati sia per gli altri studiosi: in questo modo, entro la metà del XIX sec., negli Stati tedeschi la scienza universitaria diventò una professione.

Così come la carriera di Dumas è stata assunta a modello per illustrare il sistema d'istruzione superiore francese, per la storia dell'insegnamento accademico tedesco si può far riferimento al caso di Justus von Liebig (1803-1873). Dopo un infruttuoso apprendistato farmaceutico nel suo Stato di origine, cioè l'Assia-Darmstadt, e un corso di studi di scienze alquanto insoddisfacente nell'Università di Bonn e in quella di Erlangen, gli fu assegnata una borsa di studio dal granduca d'Assia per recarsi a Parigi a svolgere ulteriori studi. Nella capitale francese ottenne la tutela e il patrocinio di Gay-Lussac, nello stesso periodo in cui Thenard ‒ amico ed ex collaboratore di quest'ultimo ‒ prese Dumas sotto la sua protezione. Nonostante Gay-Lussac fosse famoso e già avanti nella carriera, Liebig fu il suo primo studente ricercatore; ciò è indice di quanto il sistema francese fosse carente nell'insegnamento delle scienze avanzate, persino nel periodo in cui queste eccellevano a livello mondiale. Il luogo nel quale essi collaboravano in campo sperimentale mette in luce un'altra carenza del sistema: non si trattava infatti né della Sorbona, che non aveva laboratori scientifici, né dell'École Polytechnique, dove Gay-Lussac era professore, ma i cui laboratori erano inadeguati, bensì dell'Arsenal di Parigi, nel quale questi svolgeva attività di consulenza per il governo.

Nel 1824, su richiesta del granduca, Liebig fu nominato Ausserordentlicher Professor (professore straordinario) all'Università della cittadina di Giessen nell'Assia-Darmstadt, malgrado il parere contrario dei membri della facoltà. L'anno successivo, ad appena 22 anni, fu promosso professore e all'incirca nello stesso periodo fondò un istituto privato per fornire una formazione scientifica adeguata ai farmacisti, sullo stile degli antichi modelli tedeschi, facendo uso dei modesti laboratori messi a sua disposizione dall'Università. L'istituto di Liebig e altri simili soddisfacevano la necessità dei farmacisti che allora stavano lottando per ottenere il riconoscimento della professione e la fondazione di adeguate istituzioni educative. Normalmente, per poter accedere alle università tedesche era richiesta la frequenza della scuola secondaria classica (ginnasio) e poiché la maggior parte dei futuri studenti di farmacia seguiva apprendistati piuttosto che frequentare il ginnasio, vi era la necessità di un insegnamento formale. I motivi per cui inizialmente Liebig aprì l'istituto non sono chiari, ma con ogni probabilità non erano estranei all'insufficienza del suo salario e dei fondi per il laboratorio; infatti, ancora nel XIX sec. inoltrato, in Germania si riteneva che i membri del corpo insegnante dovessero ricavare buona parte del loro reddito direttamente dalle tasse d'iscrizione degli studenti; di conseguenza i professori con un basso numero di iscritti si trovavano in serie difficoltà finanziarie.

Dopo alcuni anni di lavoro nel tirocinio universitario e nell'istituto privato, gli studenti cominciarono ad aumentare, in parte grazie alla reale necessità di preparazione farmaceutica e chimica, ma anche grazie al fatto che Liebig acquisì una reputazione sempre crescente. Infatti, come il suo rivale Dumas, egli possedeva uno straordinario talento scientifico, era un lavoratore indefesso e un uomo ambizioso. Nel 1830 inventò uno strumento che rese l'analisi dei composti organici molto più rapida, facile e attendibile di quanto fosse stata fino ad allora. Dal momento che il metodo analitico è basilare per ogni ricerca chimica e che anche i principianti erano capaci di eseguire analisi di routine, Liebig fu abile a coniugare le sue strategie pedagogiche e di ricerca, richiedendo che ogni studente eseguisse esperimenti di laboratorio in maniera intensiva. Per i più preparati, ciò significava diventare virtualmente giovani colleghi del professore, assistendolo nel suo programma di ricerca.

Liebig ebbe molto successo nel promuovere questa strategia educativa, che enfatizzava l'apprendimento per via pratica piuttosto che semplicemente attraverso lezioni teoriche (una filosofia pedagogica, quest'ultima, di derivazione illuministica). Secondo il suo punto di vista, la conoscenza delle scienze pure era assolutamente essenziale per lo sviluppo di una mente colta, così come lo erano le materie umanistiche quali la filologia classica; inoltre ogni conoscenza scientifica poteva essere ottenuta in maniera appropriata soltanto attraverso la partecipazione a un'impresa di tipo pratico. In questo modo Liebig riuscì ad armonizzare il proprio punto di vista con quello delle dottrine neoumanistiche dell'epoca, insistendo sul fatto che coloro che avessero avuto una buona preparazione scientifica avrebbero avuto maggiore successo sia sul piano delle applicazioni sia su quello teorico. Egli, inoltre, sosteneva che i suoi metodi erano necessari per qualunque tipo di istruzione si volesse impartire, indipendentemente dal fatto che fosse diretta a statisti, teologi, futuri scienziati o ingegneri chimici.

Nel 1835, grazie al crescente successo di Liebig, le autorità di Giessen si convinsero a inserire per la prima volta il suo istituto all'interno dell'amministrazione universitaria; approvarono inoltre alcuni finanziamenti per rinnovare e ingrandire il laboratorio, aumentarono lo stipendio di Liebig e gli concessero fondi adeguati. Nel 1838 il numero medio di studenti che frequentava i tirocini di Liebig salì a 20, registrando un continuo aumento di chimici (piuttosto che di farmacisti), tra i quali anche molti stranieri. Nel 1839 il laboratorio fu ingrandito nuovamente, nel 1841 era frequentato da 50 studenti e due anni più tardi da 68. Queste cifre straordinarie attirarono l'attenzione generale.

Nel 1836, Friedrich Wöhler (1800-1882), intimo amico di Liebig, creò presso l'Università di Gottinga, nella quale era stato nominato professore, un tirocinio di chimica simile a quello istituito da Liebig, che dopo il 1840 cominciò ad attirare un sostanzioso numero di studenti. Robert Bunsen (1811-1899) fece lo stesso all'Università di Marburgo sin dal momento in cui ricevette l'incarico nel 1839. I professori di altre discipline seguirono il medesimo metodo, anche se leggermente più tardi rispetto ai chimici: i fisici Wilhelm Weber a Gottinga; Franz Ernst Neumann a Königsberg; Heinrich Gustav Magnus a Berlino; i fisiologi Johannes Peter Müller a Berlino e Friedrich Gustav Jacob Henle a Heidelberg.

Liebig, dunque, in quel periodo non era stato il solo a creare un tipo d'insegnamento per gli studenti universitari di scienze basato su un intenso lavoro di laboratorio e, in effetti, non era stato neanche il primo; il predecessore di Wöhler a Gottinga, Friedrich Stromeyer (1776-1835), per esempio, per molti anni aveva diretto vari tirocini patrocinati dall'Università. Ciononostante, il 'fenomeno Liebig' era caratterizzato da elementi diversi e originali: egli insisteva sul fatto che l'esperienza di laboratorio fosse necessaria a tutti e non soltanto a quegli studenti selezionati di chimica che avevano come scopo l'esercizio della professione; questa idea si basava su una convinzione pedagogica fondamentale. Oltre a tutto ciò, Liebig permetteva agli studenti più preparati di partecipare regolarmente al suo programma di ricerca, riscuotendo presso gli allievi un successo molto più grande rispetto a ogni altro professore di scienze, in Germania o altrove. Egli era poi particolarmente impegnato ‒ e in questo era anche abile ‒ nel cercare sostenitori dei suoi metodi ed era fermamente convinto che lo studio della chimica avesse una rilevanza intellettuale oltre che pratica. I suoi studi, infine, contrariamente a quelli di Stromeyer, si focalizzavano sulla chimica organica, disciplina che allora stava entrando in un periodo di notevole crescita. Per tutte queste ragioni le innovazioni pedagogiche di Liebig meritano l'enfasi che viene loro attribuita tradizionalmente.

Il 'metodo Liebig' in Francia

di Alan J. Rocke

Il numero e la qualità degli studenti dell'istituto chimico di Giessen erano tali da scoraggiare chiunque volesse competere con successo con Liebig; l'istituto, infatti, era diventato una vera e propria industria che produceva non soltanto neolaureati in chimica ma anche ricerca. Dopo avervi trascorso l'estate nel 1836, il giovane chimico francese Théophile-Jules Pelouze (1807-1867) si riferì sempre alla modesta cittadina tedesca come a un vero paradiso in Terra, grazie proprio alla presenza del laboratorio di Liebig. Lo stesso Gay-Lussac mandò suo figlio a Giessen per seguire studi di chimica e successivamente altri famosi chimici francesi, come Charles Frédéric Gerhardt, Henri-Victor Regnault e Charles-Adolphe Wurtz, studiarono in quella Università. Già agli inizi degli anni Trenta, Dumas e altri cominciarono a rendersi conto che la fama della chimica francese, che aveva attirato lo stesso Liebig un decennio prima, aveva oltrepassato il Reno.

Nella sua corrispondenza Dumas espresse più volte profonda preoccupazione per non essere in grado di restare al passo con il suo rivale a causa delle differenti situazioni istituzionali esistenti in Francia e in Germania; nelle lettere a Liebig, rivelava in maniera franca di voler avere una terza cattedra, quella alla Facoltà di medicina, per raggiungere un reddito che gli permettesse di mandare avanti, come attività indipendente, un laboratorio privato sullo stile di quello di Giessen, dal momento che nessuna delle tre cattedre ne aveva uno adatto né per il proprio lavoro né per potervi accogliere gli studenti più preparati. Nell'autunno del 1838, divenuto professeur alla Facoltà di medicina, Dumas aprì un laboratorio privato in una casa di rue Cuvier che funzionò interamente con i suoi fondi personali, finché dovette chiuderlo durante la Rivoluzione del 1848. Per quanto Dumas cercasse di prendere a modello per la sua impresa il laboratorio di Liebig, essa, non essendo collegata ad alcuna grande istituzione educativa, era destinata a non eguagliarlo.

Durante il breve periodo della Seconda Repubblica, altri tre chimici parigini ‒ Pelouze, Gerhardt e Wurtz ‒ aprirono indipendentemente propri laboratori privati adibiti all'insegnamento, al fine di trarne profitti. Tutti e tre erano ex allievi di Liebig e tutti e tre affermarono in maniera esplicita di seguire il modello di Giessen; tuttavia nessuna di queste iniziative durò più di qualche anno. Il primo laboratorio per l'insegnamento e la ricerca sul modello di Giessen che ebbe realmente successo in Francia fu quello fondato da Wurtz nel 1853, dopo essere stato nominato successore di Dumas alla Facoltà di medicina.

È significativo che per molti anni Wurtz fosse stato costretto a mandare avanti il laboratorio senza alcuna assistenza da parte del governo francese, nonostante le ripetute suppliche dell'illustre chimico. I suoi studenti erano tutti iscritti alla Facoltà di medicina e pagavano a Wurtz una tassa a parte per il laboratorio, cosa che era contro i regolamenti; ma su questo l'amministrazione chiuse benignamente un occhio. Wurtz, dunque, poté riprodurre le condizioni istituzionali raggiunte da Liebig nel decennio 1825-1835, ma non conseguì il suo obiettivo reale, quello di ottenere il patrocinio e il finanziamento del governo.

Ricapitolando, durante i decenni centrali del secolo, i più importanti chimici francesi scoprirono i vantaggi del modello tedesco d'insegnamento della chimica, ma nessuno riuscì a riprodurlo in Francia. Molti di loro percepirono con grande rammarico che il loro paese aveva perduto il ruolo guida nelle scienze, in particolare nell'allora fiorente branca della chimica organica.

La situazione in Gran Bretagna

di Alan J. Rocke

A grandi linee, la situazione in Gran Bretagna ebbe percorsi paralleli a quella del resto d'Europa. Anche qui, alla fine del XVIII sec., il sistema universitario era ancora antiquato e non molto orientato verso l'insegnamento delle scienze. Le due università statali inglesi, Oxford e Cambridge, servivano essenzialmente per l'educazione ecclesiastica, come 'scuole di buone maniere' per i figli dei signori anglicani e in parte per l'educazione professionale ‒ sebbene quella di Edimburgo fosse l'università britannica deputata agli studi di medicina e quella di Londra fosse la destinazione 'naturale' per chi volesse specializzarsi in legge.

Durante il XVIII sec., in Gran Bretagna la migliore preparazione in chimica era considerata quella delle scuole di medicina scozzesi e tale reputazione continuò anche nel secolo successivo con il laboratorio di Thomas Thomson (1773-1852) a Glasgow. Poiché l'Università di Oxford e quella di Cambridge dovevano conformarsi ai dettami della Chiesa d'Inghilterra, alcune sette dissenzienti formarono le loro accademie per l'insegnamento superiore e molte inserirono nei programmi materie moderne, tra cui le scienze, in maniera molto più accettabile rispetto a 'Oxbridge'. Citiamo, tra i tanti, solamente due nomi illustri che insegnarono in tali accademie: il chimico unitariano, studioso dei gas, Joseph Priestley e l'atomista quacchero John Dalton.

Agli inizi del XIX sec., in Gran Bretagna l'insegnamento delle materie di questo tipo era arretrato quanto nel resto d'Europa; per la maggior parte delle professioni scientifiche la preparazione era impartita per mezzo di apprendistati piuttosto che tramite un insegnamento formale con un indirizzo professionale. L'università non offriva buone opportunità per studiare le scienze e quindi molti scienziati inglesi provenivano dagli apprendistati: l'esempio di grandi chimici quali Humphry Davy ed Edward Frankland, entrambi apprendisti in farmaceutica, e del fisico-chimico Michael Faraday, apprendista rilegatore, illustrano chiaramente la situazione (dei tre, soltanto Frankland studiò all'università, in Germania). Al fine di fornire una migliore formazione tecnica agli artigiani, intorno al 1820 nacque e proliferò rapidamente un movimento di opinione per l'istituzione di un 'Mechanics institute' che, iniziato da riformatori scozzesi e appoggiato da liberali, da non conformisti e da filosofi utilitaristi, cercava di introdurre le conoscenze scientifiche nelle officine del paese, anche per migliorare le condizioni sociali sia della classe lavoratrice sia del paese nella sua totalità. Il movimento non riuscì a raggiungere questi obiettivi così avanzati, ma rappresentò un'importante transizione verso alternative più riuscite.

Un tentativo analogo è all'origine della Royal Institution, fondata a Londra nel 1800 dall'americano Benjamin Thompson, conte di Rumford (1753-1814), che intendeva istituire una specie di università tecnica e un museo a vantaggio dell'istruzione degli artigiani e degli operai. Tuttavia, Rumford partì per la Francia poco dopo la fondazione e, per gli scarsi finanziamenti privati e la mancanza di aiuti governativi, l'istituzione fu costretta a reperire fondi con qualunque mezzo a disposizione. Si salvò grazie alla fortunata acquisizione di Davy, giovane e avvenente, oltre che brillante scienziato e straordinario oratore; le sue conferenze vennero commercializzate con grande successo tra coloro che potevano permettersi di pagarne il prezzo. In breve, la Royal Institution divenne più un luogo di intrattenimento per l'alta società che un mezzo per fornire istruzione scientifica e tecnica alle masse. Ciononostante, Davy e i suoi successori, Faraday e Frankland, condussero ricerche di alto livello sotto l'egida della Royal Institution.

Fu essenzialmente per interrompere il monopolio dei gretti notabili di Oxbridge che un gruppo di filosofi radicali e utilitaristi, notevolmente influenzato dagli sviluppi della Scozia e della Germania, raccolse sottoscrizioni per fondare a Londra un'istituzione fortemente laica e moderna, allo scopo di servire la nascente media borghesia. Nacque così, nel 1828, la London University con un insegnamento basato sostanzialmente su conferenze ed esami scritti, secondo i metodi dei modelli scozzesi e tedeschi. Incapaci di bloccare l'iniziativa, i conservatori e gli anglicani, sempre a Londra, fondarono quasi contemporaneamente un nuovo King's College, beneficiando del decreto reale che era stato negato alla London University. Entrambe le nuove istituzioni svilupparono piani di studio con materie che fino ad allora erano state trascurate in Inghilterra, come, per esempio, lingue moderne, letteratura inglese, tecnologia e scienze. Nel 1837 le due istituzioni furono riunite per formare una sola entità con un nuovo statuto, la University of London, e l'omonima precedente istituzione fu quindi costretta ad assumere il nuovo nome di University College. Edward Turner, che aveva studiato a Gottinga, ricevette l'incarico di primo professore di chimica allo University College, e a lui succedette ben presto Thomas Graham; al King's College, invece, fu chiamato John F. Daniell.

Questi avvenimenti diedero impulso al movimento del 'declino delle scienze' i cui esponenti di punta, Charles Babbage, John Herschel e William Whewell, erano convinti che in Gran Bretagna le scienze, in particolare la matematica e la chimica, fossero state superate da quelle del Continente (soprattutto da quella tedesca). La loro battaglia culminò nella fondazione, nel 1831, della British Association for the Advancement of Science, modellata sulla più antica e simile Gesellschaft Deutscher Naturforscher und ärzte (Società dei medici e naturalisti tedeschi) e progettata per essere più moderna e professionale rispetto alla veneranda (e obsoleta) Royal Society.

Un ulteriore impulso alla chimica inglese venne dato dall'influenza di Liebig, che, agli inizi della sua carriera, insegnò a numerosi studenti britannici, come ai figli dei noti chimici William Henry e Thomson e ai giovani Robert J. Kane, William Gregory e Lyon Playfair. Alla fine degli anni Quaranta, inoltre, Liebig accettò nel suo laboratorio di Giessen, tra gli altri, Alexander W. Williamson e Frankland. Nel 1837 si recò in Gran Bretagna e vi ritornò nuovamente nel 1842 e nel 1844, suscitando un'eccellente impressione in tutto l'ambiente scientifico del paese, grazie al suo fascino personale, alla sua insuperata reputazione scientifica, agli alti livelli dei suoi metodi pedagogici (non ancora applicati in Gran Bretagna) e alla favorevole attenzione prestata al recente sviluppo delle sue idee sulla chimica agraria e sulla fisiologia.

Alcune indagini sull'insegnamento della chimica in Gran Bretagna, eseguite da Reid e Gregory all'incirca in questo stesso periodo, attirarono l'attenzione sullo stato delle istituzioni del paese nel campo dell'istruzione scientifica. Entrambi gli autori fecero notare l'assenza (e la necessità) di laboratori ispirati alla pedagogia di Liebig e considerarono vergognoso che gli studenti di chimica britannici dovessero ancora recarsi in Germania per gli studi superiori, come la maggior parte dei loro professori era stata obbligata a fare. Gregory condivideva la convinzione di Liebig che lo studio delle scienze naturali fine a sé stesso fosse l'unica fonte di scoperte utili.

In questo clima si rivelò relativamente facile per due ex allievi di Liebig ottenere il finanziamento per la fondazione di una Facoltà di chimica a Londra. L'idea fu accettata con entusiasmo persino dal principe Alberto, che si rivolse a Liebig perché gli indicasse qualcuno cui affidare la direzione della nuova istituzione; questi suggerì il nome di August Wilhelm von Hofmann (1818-1892), che dopo aver ottenuto il titolo di dottore di ricerca a Giessen, aveva appena occupato un posto di scarso rilievo come insegnante all'Università di Bonn. Hofmann accettò l'offerta e si trasferì a Londra nel 1845. Il nuovo Royal College of Chemistry nacque come istituzione privata che pubblicizzava esercitazioni pratiche di chimica per futuri farmacisti e artigiani, ma la realtà era ben diversa. Hofmann cercò di trapiantare il modello di Giessen sul terreno inglese orientandosi inizialmente soprattutto verso lo sviluppo delle basi di questa scienza, richiedendo il lavoro di laboratorio come parte essenziale dell'educazione scientifica e coinvolgendo gli studenti nel programma di ricerca del direttore. Si pensava che l'abilità nel risolvere problemi di chimica applicata sarebbe sopraggiunta come conseguenza naturale. Hofmann ebbe molto successo nell'attrarre al Royal College of Chemistry studenti britannici dotati e nel perseguire il suo programma di ricerca del tutto originale in chimica organica; tuttavia il College aveva un equilibrio finanziario precario e per i primi anni il suo futuro restò alquanto incerto.

Nel frattempo, a Londra era stato fondato il British Geological Survey associato a un Museum of Economic Geology, allo scopo di fornire pareri tecnici al governo. I sostenitori di queste istituzioni esercitarono pressioni politiche per trasformarle in una vera e propria accademia finanziata da fondi governativi, che era sempre mancata in Gran Bretagna. Questa proposta fu accettata subito dopo la Great Exhibition di Londra del 1851 (la cosiddetta Crystal Palace Exhibition) che si rivelò un enorme successo sia dal punto di vista finanziario sia per l'affluenza del pubblico. Il governo utilizzò quindi il ricavato per finanziare un'istituzione che in seguito si sarebbe trasformata in un'università nazionale di scienze e tecnologia. Formalmente fondata nel 1853, l'istituzione fu chiamata Government School of Mines e fu inserita all'interno di un nuovo Department of Science and Art. Il Royal College of Chemistry, nazionalizzato, divenne lo School's Chemical Department. Il principale sostenitore e promotore di tale cambiamento fu Playfair, l'ex allievo di Liebig che, fin dall'inizio, applicò le idee del suo celebre maestro. Analogamente alla University of London, il Department of Science and Art fu progettato come un insieme di facoltà affiliate, aperte a futuri membri istituzionali. Per i primi anni dalla fondazione, consistette in un gruppo di ricerca e non era ben inserito nel contesto istituzionale dell'epoca, tuttavia garantì il futuro del Royal College of Chemistry e quindi, indirettamente, di una riforma globale del sistema britannico di istruzione scientifica. Infatti il Department of Science and Art andò gradatamente trasformandosi in quello che, agli inizi del secolo successivo, sarebbe divenuto l'Imperial College of Science and Technology.

Anche Williamson, un altro studente di Liebig particolarmente dotato che aveva ottenuto un incarico di professore di chimica analitica e pratica allo University College, nel 1849 contribuì notevolmente al miglioramento dell'istruzione scientifica a Londra, assumendo la responsabilità del nuovo Birckbeck Laboratory, il primo laboratorio chimico di tipo accademico costruito ex novo con questa precisa finalità. Williamson ebbe un ruolo chiave nello sviluppo della teoria della chimica fornendo un contributo fondamentale alla teoria della struttura chimica elaborata da Friedrich August Kekulé (1829-1896) e insegnando per oltre 35 anni con notevole successo a numerosi studenti, per la maggioranza britannici.

Abbiamo visto che seguaci di Liebig come Gregory, Playfair, Hofmann e Williamson riuscirono a riformare il sistema di istruzione scientifica inglese negli anni Quaranta e Cinquanta del XIX sec. con il caloroso appoggio di personaggi politici altolocati, tra i quali il principe Alberto, che era di origini tedesche. Ancora un altro inglese di educazione tedesca, Frankland, svolse un ruolo fondamentale: il suo primo impiego al Museum of Economic Geology gli permise di entrare in contatto con Adolf Wilhelm Hermann Kolbe (1818-1884), uno studente di Wöhler e di Bunsen vissuto per breve tempo a Londra con un incarico di postdottorato. Sotto l'influenza di Kolbe, Frankland andò in Germania per studiare prima con Bunsen e poi con Liebig. Alla metà del XIX sec., un ricco mercante di Manchester finanziò una nuova università e nel 1851 la futura Università di Manchester ebbe la fortuna di assumere Frankland, il quale, in seguito, prese il posto di Faraday alla Royal Institution e di Hofmann al Royal College of Chemistry. Il suo successore a Manchester fu Henry E. Roscoe (1833-1915), che aveva studiato con Williamson e poi con Bunsen e che divenne ben presto famoso per meriti propri. Dopo un difficile inizio, Frankland e Roscoe riuscirono, grazie alla reciproca cooperazione, a far apprezzare la chimica dell'Università di Manchester in tutto il mondo. La tradizione fu continuata dall'espatriato tedesco Carl Schorlemmer (1834-1892), che ricoprì alla University of Manchester la prima cattedra di chimica organica istituita in Gran Bretagna, e al quale succedette poi William H. Perkin jr (1860-1929).

Ulteriori sviluppi in Germania e in Francia

di Alan J. Rocke

In Germania, nel frattempo, l'insegnamento della chimica era nuovamente in fermento. Alcuni storici sono giunti alla conclusione che la vera e propria esplosione di contributi prodotta dalla chimica accademica tedesca dopo il 1850 fosse direttamente legata ai cattivi raccolti, alle carestie e alle agitazioni sociali degli anni Quaranta del secolo, oltre che all'influenza di Liebig. In particolare essi sostengono che i governanti dei vari regni e principati tedeschi si convertirono alle idee di Liebig sulla chimica accademica e su quella agraria nella speranza di aumentare la produttività delle imprese industriali e dell'agricoltura e quindi prevenire future carestie e rivoluzioni. Studi posteriori hanno espresso dubbi su un'interpretazione così semplicistica della situazione tedesca, senza tuttavia confutare il suo impianto generale. In ogni caso, rimane il fatto che, dopo il 1850, numerosi Stati tedeschi presero decise iniziative per rafforzare sia lo studio della chimica sia quello delle altre scienze sperimentali.

La tendenza fu inaugurata dal Granducato del Baden, dove l'Università di Heidelberg cercò di attirare Liebig, Hofmann o Bunsen per occupare la cattedra di chimica. Liebig mise le Università di Heidelberg e di Monaco l'una contro l'altra e finì per accettare una munifica offerta del governo bavarese, che non comportava l'obbligo di fare lezioni di laboratorio. Hofmann si trovava ancora a Londra, così Bunsen rimase l'ultima scelta per l'Università di Heidelberg (1852). Solamente un anno prima il governo prussiano aveva convinto Bunsen a trasferirsi da Marburgo a Breslavia, con l'offerta di realizzare un nuovo istituto di chimica. Oltre all'edificio di Breslavia, negli anni Cinquanta i Prussiani costruirono altri istituti di chimica nelle Università di Greifswald, di Königsberg e di Halle. Nel 1854 a Baden fu realizzato un edificio appositamente per Bunsen, mentre il governo bavarese ne fece erigere uno per Liebig.

Questa, però, era soltanto la prima tappa. A partire dal 1861 il governo prussiano si impegnò in una lunga serie di conversazioni e trattative con Hofmann sperando di attirarlo nuovamente nella sua terra natia. Nel 1863 questi accettò un'offerta dell'Università di Bonn, che prometteva emolumenti principeschi e un grande nuovo istituto di chimica. Tuttavia, prima che si potesse trasferire a Bonn, i prussiani gli offrirono una cattedra a Berlino e, ancora una volta, un grande laboratorio da costruire secondo le sue preferenze. L'autorità di Hofmann sia a Berlino sia a Londra era talmente forte da permettergli di mantenere un diritto di scelta esclusivo per tutti e tre i posti (incluso il Royal College of Chemistry) fino al 1867, ma nel 1865 egli iniziò la sua nuova carriera all'Università di Berlino. L'Università di Bonn cercò allora di ottenere Kolbe, che si era recentemente trasferito da Marburgo a Lipsia poiché aveva ricevuto la promessa di un nuovo grande istituto; dopo il rifiuto di Kolbe si rivolse a Kekulé, un altro allievo di Liebig, che prese possesso del sontuoso edificio di chimica originariamente progettato per Hofmann. Frankland, che aveva strette relazioni con Bunsen, Liebig e Kolbe, in seguito succedette a Hofmann al Royal College of Chemistry.

È importante notare che i nuovi istituti di chimica tedeschi sorti negli anni Cinquanta e soprattutto negli anni Sessanta avevano dimensioni, strutture e attrezzature mai viste fino ad allora. Sembrava che questi palazzi dedicati alle scienze ‒ anche la fisica, la fisiologia e altre discipline condividevano questo momento fortunato ‒ spuntassero improvvisamente in tutta la Germania. Inoltre, mentre le scienze accademiche tedesche continuavano nel loro forte e rapido sviluppo, nel 1866 la Prussia mosse guerra all'Austria e nel 1870-1871 alla Francia. Le due vittorie riportate determinarono la formazione di un nuovo forte Impero germanico. In tutta Europa molti collegarono i due avvenimenti: la Germania aveva raccolto benefici militari grazie al lungimirante e totale appoggio alle scienze pure. In realtà la conclusione appare troppo semplicistica, dal momento che in questo processo erano state coinvolte l'industrializzazione, la prosperità economica, le politiche illuminate di modernizzazione, il notevole aumento delle iscrizioni degli studenti e, infine, una competizione generata dalla decentralizzazione degli ordinamenti politici tedeschi. Le vittorie militari della Prussia furono il risultato di un'accorta logistica e di un governo saggio, piuttosto che di una tecnologia avanzata e sicuramente le notevoli tecnologie militari non erano fondate sulle scienze di base dei laboratori universitari.

Tuttavia la versione semplificata di quest'idea si diffuse in particolare nella Francia sconfitta. Durante tutto il Secondo Impero di Napoleone III Bonaparte, i più importanti scienziati francesi, tra cui eccellenti chimici quali Dumas, Regnault, Louis Pasteur, Wurtz, Henri Deville Sainte-Claire e Berthelot, avevano protestato contro i bassi finanziamenti del governo, preannunciando disastri nazionali se le politiche di risparmio in campo scientifico fossero continuate.

In Francia, contrariamente alla Germania, non furono costruiti nuovi laboratori accademici e il bilancio ufficiale del governo per le scienze, non relativo agli stipendi, era molto vicino allo zero. Le attrezzature per la fisica della Sorbona e del Collège de France erano modestissime; l'École Polytechnique era l'ombra di sé stessa e soltanto la presenza stimolante di Pasteur e Deville Sainte-Claire salvarono l'École Normale dalla mediocrità. Alla Facoltà di medicina Wurtz riuscì a dirigere una straordinaria scuola di ricerca in chimica pura solamente gestendo il suo laboratorio didattico come attività collaterale non ufficiale. Deville Sainte-Claire e Pasteur si rivolsero direttamente a Napoleone III per ottenere una sovvenzione ad hoc allo scopo di finanziare il loro laboratorio di ricerca, e Dumas, il più grande chimico francese, si era dedicato da tempo alla politica.

Questa situazione inadeguata, secondo l'opinione di molti lungimiranti illustri uomini francesi, non era limitata soltanto alle scienze; infatti il noto filologo Ernest Renan (1823-1892) criticò aspramente ciò che egli definiva il carattere eccessivamente enfatico, teatrale e retorico di tutta l'istruzione superiore francese, asserendo altresì che la ricerca in nuovi campi veniva trascurata; nell'articolo L'instruction supérieure en France, son histoire et son avenir, pubblicato nel 1864 nella "Revue des deux mondes", scrisse che si trattava di una questione culturale e non semplicemente di una mancanza di fondi. Secondo Renan la Francia correva il rischio di diventare "una nazione di oratori e redattori, che non si occupa di problematiche fondamentali e del reale progresso della conoscenza" (Renan 1864, p. 73). Anche l'Exposition Universelle di Parigi del 1867 richiamò all'attenzione generale la necessità di riforme nel sistema d'istruzione francese; Liebig, in tale occasione, si recò a Parigi ed ebbe una lunga conversazione privata direttamente con Napoleone III.

Un certo miglioramento dell'istruzione scientifica accademica in Francia fu raggiunto verso la fine degli anni Sessanta del secolo, grazie all'attività riformista del ministro della Pubblica Istruzione Victor Duruy, che gradualmente costruì un sostegno politico al suo progetto di ottenere un nuovo afflusso di fondi, in parte commissionando una serie di rapporti ufficiali sullo stato delle scienze accademiche in altri paesi, in particolare in Germania. Questi rapporti documentavano quanto fosse diventata delicata la situazione della Francia rispetto ai suoi vicini. Duruy, inoltre, in occasione dell'Exposition del 1867, si consultò con Liebig e Hofmann e la sua soluzione alla crisi, rivelata l'anno successivo, fu l'istituzione di una École Pratique des Hautes Études che accorpava le istituzioni parigine di istruzione superiore già esistenti, con il preciso scopo di mettere l'accento sulle scienze di laboratorio e istruire i futuri studiosi. La parola pratique, in particolare, indicava la volontà di porre un'enfasi non sulle applicazioni pratiche, quanto invece sulla practica, ovvero sulla pedagogia di stile tedesco, basata sull'apprendimento per mezzo della reale esperienza di laboratorio piuttosto che tramite lezioni teoriche.

Napoleone III, sottoposto a pesanti pressioni politiche, approvò questa proposta e le lezioni ebbero inizio nel novembre 1868. Nonostante fosse solo una modesta iniziativa, l'École Pratique riuscì a raggiungere vari obiettivi, tra cui la costruzione di nuovi laboratori accademici e una rinnovata enfasi sulla ricerca in campi fino a quel momento inesplorati della vita universitaria francese. Tuttavia, Duruy fu obbligato a lasciare il ministero della Pubblica Istruzione nel 1869 e la sconfitta militare francese dell'anno successivo arrestò temporaneamente queste riforme, ma l'École Pratique sopravvisse.

Nell'ambiente della Terza Repubblica, erano state preparate le condizioni per effettuare profonde riforme poiché l'istruzione superiore era divenuta gradatamente sempre più centrale nei programmi delle élites politiche, specialmente dopo le elezioni del 1877, dominate dai repubblicani. In particolare, in conseguenza della nomina di Louis Liard a ministro della Pubblica Istruzione vi fu un cambiamento radicale con un forte incremento dei fondi universitari e delle iscrizioni e, finalmente, con la costruzione di nuovi e adeguati laboratori per l'insegnamento e la ricerca nel campo delle scienze fisiche. Verso la fine del XIX sec. furono creati centinaia di cattedre e posti di lavoro per personale di laboratorio. Il bilancio nazionale per l'istruzione superiore salì da circa 6 milioni di franchi nel 1870 a quasi 15 milioni nel 1890. Finalmente, nel 1896, le varie e disparate facoltà che formavano le accademie delle provincie vennero promosse università per meriti propri, in modo da poter meglio competere con le dominanti istituzioni parigine e (almeno in teoria) offrire una migliore qualità di insegnamento e ricerca. Eccellenti ricercatori quali Paul Sabatier (1854-1941) a Tolosa e François-Auguste-Victor Grignard (1871-1935) a Lione e a Nancy sono un indice della prosperità raggiunta dalla chimica nella provincia francese alla svolta del secolo. Ha inizio così, quindi, in Francia, l'era dell'istruzione di massa dell'epoca moderna.

In Germania, la 'seconda generazione' degli istituti chimici, costruita su così larga scala negli anni Sessanta del XIX sec., era ricca di studenti ambiziosi desiderosi di entrare nel mercato in espansione dei chimici e degli ingegneri chimici. Nel sistema universitario tedesco, ogni disciplina ‒ chimica, fisica, anatomia, patologia e così via ‒ generalmente aveva un solo direttore d'istituto, che occupava la cattedra di professore e dirigeva il personale più giovane e gli studenti. Nel frattempo, le scuole tecniche furono riorganizzate in modo che potessero collaborare alla promozione dell'industrializzazione; queste, per la maggior parte, si basavano su un modello 'dipartimentale' piuttosto che di 'istituto', e perciò erano notevolmente meno autoritarie e gerarchiche. In esse la ricerca non veniva enfatizzata e non si poteva ottenere il titolo di dottore di ricerca.

La prosperità economica dei primi anni Settanta del XIX sec. e le riparazioni di guerra ottenute dalla Germania dopo il conflitto vittorioso con la Francia condussero ad altri enormi e improvvisi passi avanti nello sviluppo universitario tedesco. Il successore di Liebig a Monaco fu Adolf von Baeyer (1835-1917), ex allievo di Kekulé e futuro premio Nobel, al quale fu dato un nuovo laboratorio, il più grande e costoso costruito fino ad allora, completato nel 1878 a un costo di circa 700.000 marchi. Progettato per accogliere 200 studenti alla volta, ebbe ben presto un eccesso di iscrizioni del 50%. Baeyer mantenne uno stretto controllo dell'istituto e un'impostazione quasi esclusivamente basata sulla chimica organica, anche di fronte ai nuovi ed eccitanti sviluppi della chimica fisica, inorganica, analitica e fisiologica. Tali caratteristiche ‒ una rigida gerarchia e la forte enfasi sulla chimica organica ‒ furono tipiche di questo periodo della storia della chimica accademica tedesca. Gradatamente, entrambe le peculiarità, inizialmente viste come elementi di forza, si rivelarono invece punti particolarmente deboli nel sistema tedesco di istruzione universitaria di questa disciplina.

Dopo la morte di Hofmann nel 1892, Emil Hermann Fischer (1852-1919), ex allievo di Baeyer, e altro futuro premio Nobel, fu chiamato alla cattedra di Berlino. Fischer notò il sorgere di incipienti problemi strutturali, in quanto la sua ricerca sui carboidrati era talmente complessa che non era possibile assegnarne parti ai laureandi come oggetto di tesi e i numerosi studenti avevano iniziato a esaurire le risorse. La sua soluzione al problema non fu il modello dipartimentale, che avrebbe previsto varie cattedre di professore nelle diverse sottospecializzazioni, ma piuttosto un solo direttore (egli stesso) con capi di sezione subordinati, che erano al di sotto del livello di professore. Il nuovo istituto di chimica di Berlino, costruito a cavallo dei secc. XIX e XX e costato non meno di 1,5 milioni di marchi, fu di gran lunga il più caro edificio di questo tipo al mondo e segnò la transizione alla 'terza generazione' di istituti tedeschi di chimica accademica. Tuttavia, il grado di gerarchizzazione attuato in questo laboratorio, e riprodotto ovunque in Germania, andò aumentando e con la gerarchizzazione comparve la rigidità. Conseguentemente, anche nel XIX sec. il sistema tedesco degli istituti prevalse, ma in seguito divenne un handicap per gli stessi scienziati tedeschi.

Dopo anni di agitazioni, nel 1899 le scuole tecniche tedesche ottennero finalmente il diritto di concedere il titolo di dottore di ricerca. Parallelamente a questi sviluppi, in tali istituzioni era andata aumentando l'enfasi sulla ricerca in nuovi campi, anche se le lauree e le cattedre delle facoltà tecniche non potevano competere con il prestigio delle università. Tuttavia l'organizzazione maggiormente diversificata e meno gerarchica di tali istituzioni sembrava più equilibrata di quella delle università per affrontare le sfide della chimica moderna. In sintesi, a partire dal 1900, l'egemonia accademica tedesca nella chimica organica e in quella generale, cominciò a mostrare segni di logoramento.

La professionalizzazione della chimica

di Robin Mackie, Gerrylynn K. Roberts

La nascita delle istituzioni chimiche e l'emergere di questa disciplina come professione sono unite da un legame complesso, visto che le prime furono create in numerosi paesi europei nel corso del XIX sec. e, alla fine del secolo, molti dei loro membri si consideravano chimici professionisti. Di conseguenza, per lungo tempo, si è data per scontata l'esistenza di un rapporto tra la creazione di tali istituzioni e il processo di professionalizzazione di questo campo di attività. Tuttavia, sia la natura di queste istituzioni sia il significato attribuito alla qualifica di chimico professionista variavano notevolmente nelle diverse nazioni.

Una delle tendenze più significative in atto a partire dalla metà del XIX sec. fu la creazione di associazioni nazionali dedicate allo studio di una disciplina particolare come la chimica, che stava assumendo sempre più un carattere internazionale. A partire dal 1841, anno di fondazione della British Chemical Society (nota fino al 1848 come British Chemical Society of London), anche in Francia, Germania, Russia, Stati Uniti, Danimarca, Svezia, Belgio, Finlandia, Norvegia, e all'inizio del XX sec. in Svizzera, Olanda e Italia, furono create le diverse società chimiche nazionali (o associazioni di carattere più limitato che avrebbero in seguito dato origine alle società nazionali). Queste associazioni non avevano tuttavia un carattere professionale, piuttosto servivano a formalizzare la presenza di una comunità chimica, composta da individui uniti da un interesse intellettuale comune e non da motivi di natura economica. Tale interesse finì per produrre un certo grado di uniformità istituzionale a livello europeo, benché ogni società traesse origine dalle diverse realtà locali. Al contrario, la tendenza allo sviluppo di un senso di identità professionale tra gli operatori del settore, riscontrabile in molte nazioni a partire dalla seconda metà del XIX sec., non seguì un unico modello internazionale, ma diede origine a soluzioni istituzionali assai diversificate.

Alcune di queste nuove società chimiche, come quella tedesca, presero a modello in maniera esplicita le società straniere; in altri casi, come in Francia e in Belgio, esse furono create per scopi diversi, subendo poi un rapido processo di adattamento al modello internazionale, che fu probabilmente alla base del loro successo. Tutte le società si proposero come scopo principale quello di favorire lo scambio di idee all'interno dell'élite scientifica e la maggior parte di esse (se non tutte) pubblicò un giornale o un bollettino che divenne rapidamente il più importante organo d'informazione specialistica a livello nazionale. Inoltre, la creazione di queste società fu percepita da coloro che vi parteciparono come una tappa importante nella storia dello sviluppo della chimica nel loro paese. A questo proposito si può parlare di un effetto a cascata, per cui la nascita di società nazionali nel centro dell'Europa si propagò rapidamente alla sua periferia. Infatti, la decisione di costituire questo tipo di organizzazione fu giustificata, soprattutto nel caso delle fondazioni che si istituirono più tardi, con la necessità di favorire il progresso scientifico e di difendere il prestigio internazionale del paese. Così, i promotori della Società norvegese si dichiararono orgogliosi di poter annunciare "la presenza in questa nazione di un gruppo di uomini che, per educazione e occupazione, si dedica interamente a questo campo di studi" (in Kragh 1998, p. 260). Infine, la creazione di una rete di società chimiche nazionali rese possibile una nuova forma di cooperazione internazionale. Se le figure di spicco della comunità scientifica avevano l'opportunità di operare all'interno di una 'Repubblica internazionale delle lettere' e di mettere a frutto i rapporti amichevoli con i colleghi, spesso conosciuti durante i periodi di studio all'estero, verso la fine del secolo si sviluppò anche una nuova rete di rapporti internazionali tra le diverse società. Le società nazionali divennero quindi un elemento essenziale dell'organizzazione dell'attività scientifica, favorendo sia la coesione interna delle comunità chimiche nazionali sia la comunicazione con quelle straniere.

La presenza di questi elementi comuni non deve tuttavia indurre a sottovalutare la portata delle differenze esistenti tra i vari paesi e, in particolare, di quelle relative alle dimensioni di tali società. La Società danese rimase un'associazione cittadina; quella italiana tentò invece, inizialmente con scarso successo, di unificare le società regionali, caratterizzate da gruppi sociali e tradizioni profondamente difformi. Le caratteristiche delle comunità chimiche di ciascuna nazione, e il ruolo assunto al loro interno dalle nuove società, diedero origine a differenze significative. La semplice appartenenza a queste organizzazioni della prima generazione non si trasformò mai in una qualifica professionale. La nascita di associazioni di natura esclusivamente professionale, laddove avvenne, si verificò più tardi. In Gran Bretagna, per esempio, la scarsa attenzione della Chemical Society verso i problemi riguardanti la professione portò alla creazione di un nuovo organismo, The Institute of Chemistry of Great Britain and Ireland (1877), incaricato esplicitamente di definire una categoria di chimici professionisti, attraverso la verifica di una serie di requisiti formativi. Anche in Germania, l'evidente riluttanza della Deutsche Chemische Gesellschaft a trasformarsi in organizzazione professionale portò alla fondazione di una nuova società, la Verein Deutscher Chemiker (1887), che aveva lo scopo di difendere gli interessi professionali della categoria.

Le differenze nella struttura organizzativa e istituzionale delle professioni ‒ che non riguardano esclusivamente la chimica ‒ hanno indotto alcuni studiosi a contrapporre la situazione creatasi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti a quella dei paesi dell'Europa continentale. Si è spesso fatto notare come nella maggior parte delle altre lingue europee non esista un esatto equivalente per il termine inglese profession; il tedesco Beruf, per esempio, è più simile all'inglese occupation. L'esistenza di tali differenze linguistiche è stata messa in relazione con una diversa concezione dell'idea di professione; secondo alcuni, lo sviluppo di professioni 'pure' è potuto avvenire solo nei paesi in cui è stato permesso a coloro che le praticavano "di costituire e controllare un mercato per le proprie competenze professionali" (Gispen 1988, p. 555), mentre molti Stati europei preferirono regolare questo mercato imponendo soluzioni di tipo burocratico. Cosicché si è potuto contrapporre il processo di professionalization tipico della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, a quello di Berufskonstruktion, riscontrabile in Germania, dove la professione chimica fu creata direttamente dall'alto, grazie all'intervento dello Stato e della grande industria. Anche nella lingua francese non esiste un esatto equivalente del termine inglese profession. In Francia, lo Stato svolse un ruolo fondamentale nel fornire il "sostegno fiscale, la legittimazione sociale e […] l'indipendenza intellettuale" (Geison 1984, pp. 3-4) necessari allo sviluppo delle diverse categorie professionali, la cui definizione fu determinata in gran parte, soprattutto in campo scientifico, dall'appartenenza a una particolare scuola.

Altri studiosi hanno preferito affrontare il problema secondo una prospettiva diversa, mettendo da parte le differenze concettuali per concentrarsi sulla professione in quanto occupazione. Partendo da questo presupposto, Ernst Homburg ha proposto di distinguere, nello sviluppo della professione chimica, due fasi successive. In una prima fase, la chimica si afferma come materia d'insegnamento, stimolando una nuova domanda di docenti. Il processo di professionalizzazione, tuttavia, è pienamente avviato soltanto con l'inizio della seconda fase, quando "vengono creati i primi 'posti da chimico' in campi diversi da quello scolastico, come, per esempio, nell'industria e nel settore pubblico" (Homburg 1998, p. 42). La maggior parte delle società chimiche fu fondata nel corso della prima fase, quasi sempre per iniziativa dei chimici accademici, e in alcuni paesi, come per esempio in Russia, la creazione di queste associazioni faceva parte di un programma volto ad affermare l'autonomia e il valore accademico della nuova disciplina.

La seconda fase del processo di professionalizzazione assunse, secondo Homburg, caratteristiche molto differenti nei vari Stati, come risulta evidente se si esamina l'andamento della domanda e dell'offerta sul mercato del lavoro. La domanda di chimici da parte dell'industria e dello Stato differiva enormemente da paese a paese, ma anche l'offerta di personale si presentava in modo profondamente disomogeneo. Certe mansioni, come le analisi pubbliche, che in alcune nazioni erano considerate uno dei compiti qualificanti della nuova professione, in altre si collocavano ai suoi margini o addirittura rientravano nelle competenze di un'altra categoria professionale.

Si deve tener conto inoltre dell'offerta di chimici specializzati e del modo in cui avveniva la loro formazione. In alcune nazioni europee, l'insegnamento della chimica fu inserito molto presto nei corsi universitari. In questi paesi, il dibattito tra i fautori della 'cultura scolastica' e i sostenitori della 'cultura di officina', particolarmente vivo tra gli ingegneri, coinvolse solamente in misura marginale la chimica. In altre nazioni, nelle quali l'istituto dell'apprendistato continuò a svolgere un ruolo importante nella formazione di una parte del personale chimico, in vista dello svolgimento di mansioni più specifiche, questo dibattito suscitò un'eco maggiore anche tra i chimici.

Oltre alla domanda di chimici specializzati e all'offerta fornita dai vari sistemi di formazione, occorre tener conto delle iniziative degli stessi chimici. Si pone così la questione dell'identità professionale: ci si può chiedere quando sia diventato possibile parlare di senso di appartenenza a una categoria professionale specifica e quali siano stati gli elementi che concorrevano a definirla. Andrew Abbott (1988) suggerisce di considerare la professionalizzazione come parte di un processo dinamico attraverso il quale ciascuna categoria professionale giunse a definire la propria area di competenza, la propria 'giurisdizione', entrando spesso in conflitto con le altre. In alcune nazioni, inoltre, la definizione della professione si basò su questo antagonismo non soltanto nei rapporti tra i chimici e le categorie rivali, ma anche all'interno della stessa comunità chimica. I professori di chimica, che operavano nelle diverse istituzioni scolastiche, si batterono per conquistare sbocchi professionali per i propri studenti, mentre gli imprenditori chimici si comportarono in modo incostante, condividendo in alcuni casi i giudizi del mondo accademico e, in altri, mettendo in dubbio la sua capacità di fornire risposte adeguate ai bisogni dell'industria. La nascita della professione chimica, dunque, risultò essere il prodotto dell'interazione di numerosi fattori.

Gran Bretagna: la Chemical Society

La Gran Bretagna fu la prima a fondare una società nazionale di chimica e a costituire un'organizzazione chimica nazionale esplicitamente rivolta alla difesa degli interessi della categoria. In effetti, nel caso della Gran Bretagna qualsiasi indagine sul processo di professionalizzazione della chimica nel XIX sec. deve necessariamente concentrarsi sulla nascita delle istituzioni chimiche, dato che questo è il modo in cui la questione fu posta dai più influenti chimici dell'epoca. Il cosiddetto modello anglo-americano di professionalizzazione, basato sulle caratteristiche assunte in Gran Bretagna dalle tre professioni liberali tradizionali, ovvero quelle ecclesiastica, medica e legale, pone come elementi distintivi di una professione l'autonomia dai controlli esterni e un elevato status sociale. Tali condizioni erano assicurate da procedure istituzionali deputate al controllo dell'idoneità (e della quantità) dei candidati, che comprendevano la verifica, in genere attraverso un esame, del possesso delle conoscenze teoriche necessarie e, in molti casi, delle esperienze compiute. I membri di una professione, inoltre, erano tenuti, secondo questo modello, ad adottare una concezione del dovere civico che li obbligava a guadagnarsi da vivere mettendo in pratica le conoscenze acquisite; per chi contravveniva a questa regola, erano previste sanzioni specifiche. Questi elementi furono intenzionalmente inseriti nella definizione del chimico professionista stabilita dall'Institute of Chemistry al momento della sua fondazione.

Con questo non intendiamo asserire che il modello delle professioni liberali fosse parte del processo di professionalizzazione in sé. In Gran Bretagna esisteva in effetti un modello alternativo di qualificazione professionale, diffuso soprattutto tra gli ingegneri, che prevedeva l'attestazione del raggiungimento di un certo livello di competenza pratica, basata più sulle conoscenze acquisite durante l'apprendistato che sugli studi accademici. A differenza del modello delle professioni liberali, inoltre, i chimici, nella loro ricerca di un riconoscimento professionale, non ritennero che l'adozione di quel modello implicasse automaticamente la creazione di un'istituzione dotata di un potere assoluto di controllo sull'esercizio della chimica. Gli affiliati all'Institute of Chemistry, infatti, rappresentavano soltanto una parte di quell'insieme molto più vasto di operatori nel settore, che costituiva la comunità chimica tardo-vittoriana. Molti tra coloro che rispondevano ai criteri formali di ammissione non avevano bisogno di superare un esame per svolgere un'attività professionale. Allo stesso tempo, i criteri di ammissione ne escludevano altri che avrebbero avuto il diritto, per la loro occupazione o per altri motivi, di essere riconosciuti come professionisti. Come nel caso delle professioni liberali, inoltre, lo Stato esercitò una certa influenza sul processo di professionalizzazione della chimica. La fondazione dell'Institute of Chemistry fu il risultato di una complessa serie di negoziati all'interno della comunità chimica britannica, per stabilire quali settori di essa ‒ in questo caso, gli accademici, i medici o gli analisti e i consulenti chimici ‒ fossero in possesso dei requisiti necessari a svolgere la professione di chimico nell'ambito di un nuovo regime legislativo riguardante l'applicazione di competenze professionali specifiche.

Dal punto di vista organizzativo, la fondazione dell'Institute fu determinata dal fatto che, da un certo momento in poi, la Chemical Society non fu più in grado di rispondere alle rivendicazioni contrastanti dei diversi settori che avevano portato alla sua creazione nel 1841, per favorire la coesione di una comunità chimica emergente. Benché il programma della Chemical Society comprendesse inizialmente obiettivi di vario genere, che rispondevano alle esigenze degli accademici, ma anche degli industriali, degli analisti e dei medici, questi furono ben presto messi da parte a favore di una promozione della ricerca scientifica pura, sostenuta fortemente dalla componente accademica, e attuata mediante una serie di convegni e di pubblicazioni. Lo spunto da cui ebbe origine il dibattito interno alla comunità, che avrebbe portato qualche anno più tardi alla fondazione dell'Institute of Chemistry, fu il varo di nuove misure legislative che prevedevano l'obbligo di una certificazione delle competenze chimiche, allo scopo di affrontare una serie di problemi sociali tipici dell'età vittoriana: il Pharmacy Act del 1868, il Sale of food and drugs act del 1872 e il Public health act del 1875. L'esistenza di questi obblighi di legge sollevò questioni molto sentite e già discusse nel dibattito interno alla comunità chimica, come, per esempio, quale settore dovesse essere considerato il custode di questa forma del sapere. Se fossero gli accademici o i tecnici i 'veri' professionisti e come dovesse avvenire la loro formazione. Gli accademici, pur riconoscendo il ruolo fondamentale della pratica ai fini della completezza dell'insegnamento, insistevano nondimeno sul primato del sapere teorico, ossia della scienza pura, posta alla base del programma di studi delle nuove facoltà create a partire dal 1870. Sviluppando una linea di pensiero nata in Germania durante il XVIII sec. e affermatasi in Gran Bretagna dal 1840 in poi, i chimici accademici sostenevano che l'insegnamento della scienza pura avrebbe fornito agli studenti una base solida che in seguito avrebbe permesso loro di lavorare in qualunque campo della chimica applicata. L'insegnamento dei metodi di analisi e di ricerca chimica era la pietra angolare del programma di studi scientifico. L'analisi chimica era anche al centro del dibattito sulla professionalizzazione, dato che le competenze richieste dalla nuova legislazione riguardavano essenzialmente questo aspetto della disciplina. Tuttavia, era anche necessario saper impiegare tali competenze in contesti molto specifici e non solo nell'ambito più generico e teorico del laboratorio accademico.

Se le eloquenti dichiarazioni dei chimici accademici a favore dell'insegnamento delle tecniche analitiche impartito nelle facoltà universitarie fossero state accolte, l'introduzione delle nuove norme avrebbe rappresentato per essi una splendida occasione. Per dirla chiaramente, stavano per essere creati numerosi posti da analista proprio in coincidenza con il moltiplicarsi delle facoltà universitarie in tutta la nazione. Per i chimici accademici, un'affermazione in questo campo era importante, quindi, per due motivi: non solo avrebbe permesso loro di ottenere il riconoscimento del valore pratico delle conoscenze acquisite e trasmesse dalle istituzioni universitarie, ma avrebbe anche garantito un impiego sicuro ai loro studenti, un elemento di cruciale importanza per la solidità di un corpo docente. I tecnici, al contrario, e in particolare gli analisti e i consulenti chimici, tendevano a relegare la scienza pura nel novero delle conoscenze generali, interessanti e prestigiose, senza dubbio, ma scarsamente utili dal punto di vista pratico; essi sostenevano che tra le condizioni di laboratorio e quelle che si verificavano nella realtà vi erano differenze talmente profonde da imporre l'obbligo di una preparazione pratica specifica a tutti i futuri chimici.

Una proposta avanzata all'interno della stessa Chemical Society per risolvere la questione fu quella di fissare una serie di requisiti specifici di ammissione per stabilire il livello di competenza professionale dei nuovi chimici praticanti. Tuttavia, ciò era in contrasto con l'etica della società, ispirata al modello della 'Repubblica delle lettere' e, di conseguenza, aperta a tutti gli individui che nutrivano un forte interesse per la chimica, e che i membri dirigenti, principalmente accademici, desideravano mantenere. La creazione dell'Institute of Chemistry, nel 1877, come organo istituzionale incaricato di stabilire e certificare l'idoneità dei chimici operanti in tutti i settori ‒ e non solo dei nuovi analisti ‒ fu incoraggiata dai più autorevoli accademici e dalla parte professionalmente più consapevole e dotata di un'istruzione accademica dei membri della società. In effetti, il settore accademico della Chemical Society si incaricò della qualificazione professionale degli operatori chimici e la definì in termini accademici. La conoscenza della chimica pura, insegnata nei corsi universitari e certificata dagli esami svolti dallo stesso Institute, divenne il requisito fondamentale per essere ammessi all'attività professionale. A partire dal 1883, i criteri divennero ancora più selettivi, fino a includere la frequenza a tempo pieno dei corsi diurni organizzati dalle strutture appartenenti a una lista approvata dall'Institute, escludendo in questo modo il folto esercito tardo-vittoriano degli studenti di chimica part time o dei frequentatori dei corsi serali. Le istanze dei tecnici furono riconosciute introducendo un periodo di tre anni di praticantato per l'ammissione all'Institute come membro a pieno titolo. Tuttavia, anche in questo caso, gli accademici riuscirono a difendere i propri interessi, dato che anche il tempo dedicato all'insegnamento e alla ricerca poteva soddisfare questo requisito. Il nuovo Institute appariva, insomma, chiaramente dominato dal settore accademico e il numero di iscritti rimase molto limitato fino alle modifiche del regolamento introdotte verso la fine della Prima guerra mondiale.

L'Institute sosteneva che la propria politica di qualificazione professionale rispondeva sia alle esigenze dei chimici industriali sia a quelle degli analisti che lavoravano come consulenti. In effetti, la maggior parte degli impieghi creati nell'industria britannica negli ultimi decenni del XIX sec. concerneva mansioni di tipo analitico. Tuttavia, proprio mentre l'Institute adottava criteri di ammissione fortemente restrittivi e basati sul possesso di titoli accademici, nel 1881, i chimici industriali fondarono una nuova associazione, incaricata di difendere gli interessi della categoria, ossia la Society of Chemical Industry.

Anche quest'ultima, però, sorta in origine sulla scia di alcune iniziative di carattere locale e aziendale, passò rapidamente sotto il controllo accademico, assumendo le caratteristiche di un'associazione dedita all'approfondimento dei problemi di carattere tecnologico. La nuova organizzazione avrebbe dovuto occuparsi delle questioni che non rientravano tra gli interessi della Chemical Society, ossia le applicazioni della chimica in campo industriale. Ciò implicava l'accettazione del modello accademico sostenuto dalla Chemical Society, secondo il quale la chimica industriale si basava sulle applicazioni in contesti specifici della scienza pura elaborata nelle università. Tuttavia, al di là di queste affermazioni di principio, l'opportunità di definire la propria identità professionale partecipando alle attività di un'associazione che contava fra i suoi membri industriali del settore sembra aver contribuito al successo della nuova organizzazione almeno quanto l'interesse per i problemi della chimica applicata. I rapporti tra la Society of Chemical Industry e l'Institute of Chemistry erano più complessi, dal momento che, secondo le intenzioni originarie di una parte dei suoi fondatori, la nuova Società sarebbe dovuta diventare un'organizzazione professionale separata, mirante a valorizzare il ruolo dell'esperienza pratica nell'attività industriale. Tuttavia la compresenza, nei consigli direttivi delle due strutture, di personalità scientifiche autorevoli consentì all'Institute di tentare, benché senza successo, d'introdurre l'obbligo di un esame in tecnologia chimica per i chimici industriali e di rimanere per tutto il XIX sec. l'unico organo autorizzato a certificare l'idoneità professionale dei chimici operanti in ogni settore.

A partire dal 1880, dunque, tutti i principali ambiti della comunità chimica britannica disponevano di un'associazione incaricata di difendere i loro interessi: la Chemical Society per il settore accademico, l'Institute of Chemistry per gli analisti e i consulenti indipendenti e la Society of Chemical Industry per il settore industriale. In quanto struttura che si era data la funzione di certificare l'idoneità professionale, l'Institute si distingueva dalle altre due organizzazioni, con le quali condivideva tuttavia l'orientamento alla massima valorizzazione della scienza pura, in un'epoca caratterizzata dalla rapida espansione delle sue applicazioni pratiche. Gli obiettivi più importanti dell'Institute erano di ottenere, con l'introduzione di procedure di qualificazione ufficiali, il riconoscimento della figura del chimico professionista, in grado di esercitare in tutti i settori in cui si rendevano necessarie competenze di natura chimica, e di attribuire un'identità professionale a tutti gli individui che si occupavano di questa disciplina, in primo luogo come chimici puri e secondariamente come tecnici, qualunque campo avessero scelto per mettere in pratica le loro conoscenze. Questa separazione istituzionale introdotta nell'ultima parte del XIX sec. tra i diversi settori della comunità, nel quadro di un modello dominato dai chimici accademici, si rivela, a un esame ravvicinato, meno netta di quanto si potrebbe supporre. La partecipazione incrociata era infatti molto diffusa tra i membri e, soprattutto, tra i dirigenti delle diverse istituzioni; questo fenomeno a sua volta rifletteva la pluralità di interessi e di attività svolte dai singoli individui: una situazione protrattasi almeno fino alla Seconda guerra mondiale. Data questa caratteristica della pratica della chimica in Gran Bretagna, era inevitabile che le tensioni tra i diversi settori della comunità rimanessero irrisolte e che molti problemi emersi nel corso degli ultimi decenni del XIX sec. fossero ancora oggetto di discussione nel secolo successivo.

Germania e Francia

A differenza della Gran Bretagna, in Germania la chimica esisteva come disciplina accademica molto prima della nascita delle istituzioni chimiche. Già nel corso del XVIII sec., i chimici tedeschi avevano svolto un ruolo fondamentale nella fusione della teoria e della pratica; ciò li aveva portati a rompere gli ultimi legami con l'alchimia e con i vecchi metodi artigianali, e ad attuare una rifondazione della disciplina quale scienza di utilità pubblica, in particolare nel quadro della tradizione cameralista. La chimica, la cui importanza era ampiamente riconosciuta in ambiti molto diversi, era insegnata come materia a sé in molte università tedesche. Durante la prima metà del XIX sec., professori come Stromeyer e Liebig portarono a termine una riforma dell'insegnamento di questa materia che attrasse un gran numero di studenti nelle loro facoltà, provenienti sia dalla Germania sia dall'estero e molti di essi divennero a loro volta insegnanti di chimica in altre città della Germania, dando origine a un corpo di chimici accademici con una carriera ben definita. Tuttavia, per tutta la prima metà del XIX sec., gli iscritti ai corsi di chimica non erano, per la maggior parte, aspiranti chimici, bensì studenti di altre facoltà, in particolare di farmacia e di medicina; soltanto dopo il 1840, grazie soprattutto all'opera di propaganda svolta da Liebig, il numero di coloro che intendevano laurearsi in chimica cominciò ad aumentare. I tentativi di accrescere le possibilità di impiego per i chimici al di fuori della carriera accademica, per esempio con la creazione, intorno al 1820, della categoria di Staatschemiker, ottennero scarsi risultati. In effetti si può cominciare a parlare di un processo di professionalizzazione della chimica in Germania solamente dal momento in cui inizia a manifestarsi una consistente richiesta di chimici da parte dell'industria.

Nella Francia del XIX sec., le strutture istituzionali giocarono un ruolo secondario nel processo di professionalizzazione della chimica che si mostrò sempre refrattaria al modello anglosassone di autonomia professionale, basato sul concetto di 'mercato' come elemento regolatore della domanda e dell'offerta di professionisti in grado di offrire servizi specifici alla clientela. Il compito di garantire lo status sociale dei chimici e di fornire loro un'identità professionale fu assunto invece dallo Stato e dalla sua burocrazia. In particolare, attraverso il sistema educativo pubblico, gerarchico e centralizzato, gli individui acquisivano la propria identità collettiva, definita in primo luogo dall'inserimento, come studente o come insegnante, in un corpo accademico dotato di un particolare status, e soltanto in un secondo momento dalla condivisione di una disciplina. I rapporti tra lo Stato e gli uomini di scienza cominciarono a modificarsi solamente dal momento in cui questi ultimi assunsero una posizione netta nei riguardi di una serie di riforme apportate al sistema educativo nella seconda metà del XIX sec., quando anche in Francia, come in altri paesi europei, il numero di studenti e la richiesta di chimici specializzati registrarono un rapido aumento.

Durante il periodo napoleonico tutte le scienze, compresa la chimica, e in particolare le scienze applicate, furono completamente integrate, a tutti i livelli, nella rigida gerarchia del sistema educativo francese; si ebbe così l'opportunità di guadagnarsi da vivere grazie agli studi di chimica che si erano compiuti. La carriera scientifica, però, dipendeva comunque dalla possibilità di entrare a far parte dell'élite intellettuale, ricorrendo all'appoggio di qualche eminente personalità scientifica o ai contatti personali con gli esponenti del mondo politico. Questa situazione cambiò dopo la riforma del 1821, quando l'Université de France fu posta sotto il controllo del ministero della Pubblica Istruzione e venne simultaneamente istituita una licenza di scuola superiore (baccalauréat) in scienze, come requisito indispensabile alla prosecuzione degli studi. A partire dal 1830, il possesso di una qualifica formale in una materia scientifica, ottenuta con un regolare esame, fu riconosciuto come titolo di merito per l'avanzamento nella gerarchia universitaria; nei decenni successivi, fino al 1870, si apriva così per gli scienziati la prospettiva di una nuova carriera, quella accademica.

Quest'ultima garantiva a coloro che l'abbracciavano un'identità professionale e lo status di funzionario pubblico, poiché in Francia questa scelta comportava l'assunzione di responsabilità specifiche verso lo Stato. Nelle sedi universitarie di provincia, in particolar modo, gli accademici avevano l'obbligo di contribuire allo sviluppo dell'economia locale ‒ agricola o industriale ‒, di migliorare il livello di istruzione del pubblico colto organizzando lezioni e conferenze sulla loro disciplina e di partecipare alle attività delle sociétés savantes del luogo. Con il tempo, l'esercizio di tali doveri fu visto sempre più dagli scienziati come un'inutile corvée, tanto da indurre un gruppo di accademici riformatori a intraprendere un'azione comune per tentare di elevare il livello delle istituzioni universitarie e creare per sé stessi un'alternativa al ruolo di funzionario pubblico, puntando al sostegno degli industriali per garantire la ricerca scientifica. I chimici accademici trovarono nella Germania, e nel crescente successo del suo modello di università basato sulla ricerca, l'esempio cui ispirarsi per riqualificarsi professionalmente e coltivare le relazioni con il mondo industriale. Il loro obiettivo era quello di migliorare il loro status professionale tramite la ricerca pura e applicata, invece che attraverso attività culturali e funzioni burocratiche.

In questo clima fu costituita, nel 1857, quella che sarebbe divenuta in seguito l'associazione nazionale dei chimici francesi, la Société Chimique de Paris. Le sue origini furono modeste: agli inizi si trattava infatti di un'organizzazione studentesca, che aveva lo scopo di aiutare i partecipanti nella preparazione degli esami. Tuttavia, già dal 1858 si decise di trasformarla in un'associazione più aperta, sollecitando l'adesione di alcuni noti esponenti del mondo accademico. A differenza della British Chemical Society, che aveva innanzi tutto lo scopo di definire un campo disciplinare, separandolo da diverse forme di attività pratica, l'obiettivo principale della Société Chimique era quello di allentare i legami con lo stato di una disciplina già esistente, orientandola verso la ricerca e le attività industriali. In altri termini, puntava a un riconoscimento dell'identità professionale dei suoi membri, in quanto scienziati e non funzionari pubblici. Come in Gran Bretagna, i soci erano in maggioranza accademici, benché non mancassero gli industriali e gli uomini di affari ma, a differenza della Gran Bretagna, e nonostante l'esistenza sin dal 1803 di una Société de Pharmacie, vi era anche un nutrito gruppo di farmacisti. Analogamente a quanto era avvenuto alla Chemical Society, una delle prime decisioni prese dalla nuova associazione fu quella di pubblicare una rivista dedicata alla divulgazione dei risultati più recenti della ricerca internazionale, in gran parte estratti di lavori tedeschi. L'orientamento più spiccato dell'associazione francese verso il mondo industriale, tuttavia, fece sì che la rivista riservasse, sin dal 1864, una crescente attenzione alla chimica applicata, che assunse in breve tempo un'importanza pari a quella della chimica pura.

Lo sviluppo del sistema educativo nella metà del secolo provocò un'espansione parallela dei potenziali aderenti alla nuova associazione. Tuttavia, fu solo negli ultimi decenni del secolo, in seguito a quella che viene generalmente descritta come una reazione alla sconfitta della Francia nel 1870, che si cominciò a riconoscere il valore della ricerca e l'insegnamento delle scienze applicate fu introdotto anche a livello universitario; nello stesso tempo, fu concessa una maggiore autonomia alle facoltà di provincia, che ottennero il permesso di accettare finanziamenti anche dai municipi o dai privati. La combinazione di queste due tendenze rappresentava una sfida per la vecchia struttura centralizzata del sistema universitario. Tuttavia, il rafforzamento e l'espansione delle istituzioni provinciali non eliminò del tutto la centralizzazione. L'importanza della componente industriale all'interno della Société Chimique aumentò considerevolmente, a causa sia dell'incremento costante, a partire dal 1880, di tecnici o di scienziati formatisi in provincia, sia del sostegno economico fornito all'associazione dalle maggiori imprese del settore. Nonostante l'importanza crescente dei membri provinciali, i parigini mantennero sempre il controllo del consiglio dirigente della Société Chimique e non riuscirono a convincere i soci provinciali ad aderire a un'unica comunità chimica nazionale. Oltre alle sezioni provinciali, esistevano infatti diverse società chimiche locali e quando, nel 1906, l'associazione nazionale sostituì il suffisso 'de Paris' con quello 'de France', molti membri delle società provinciali decisero di ritirare la propria adesione.

Oltre alle tensioni tra il centro e la periferia, la Société Chimique dovette affrontare anche quelle interne e, in particolare, il difficile compito di integrare gli interessi dei chimici industriali in un'associazione ancora largamente dominata dal settore accademico. I ripetuti tentativi di venire incontro alle richieste degli industriali ebbero però scarsi risultati, anche perché le numerose minacce di secessione avanzate da questi ultimi nel corso del XIX sec. non furono mai poste in atto. A quanto pare, industriali e accademici avevano un'opinione molto diversa riguardo a ciò che la scienza avrebbe dovuto offrire all'industria ‒ servizi di natura tecnica oppure innovazioni scientifiche.

Per quanto riguarda la professione chimica quale campo di occupazione, non c'è dubbio che anche in Francia, come negli altri paesi europei, il numero di chimici assorbiti dal sistema educativo (compreso l'insegnamento scolastico) e dall'industria aumentò considerevolmente nel corso del XIX sec., anche se non risulta molto chiaro chi svolgesse determinate operazioni. Tuttavia le istituzioni chimiche indipendenti ebbero un ruolo del tutto secondario nella formazione dell'identità professionale dei chimici. Se si esclude la figura del chimico accademico, la Société Chimique non intervenne affatto nella definizione dei diversi ruoli occupazionali. Nei confronti del mondo accademico, invece, essa contribuì alla diffusione di una mentalità orientata verso la ricerca, anche con un certo successo, ma le questioni riguardanti in senso più generale la professione del chimico non rientravano tra i suoi interessi. Né avrebbe potuto forse essere altrimenti nel contesto francese, dove il ruolo delle associazioni e degli scienziati deve essere considerato nel suo rapporto con lo Stato, e in particolare con un sistema scolastico pubblico, gerarchico e centralizzato. Nonostante il rilievo assunto dalla ricerca e la trasformazione dei rapporti tra gli scienziati e lo Stato intervenuta nell'ultima parte del XIX sec., le strutture tradizionali conservarono per intero la loro influenza.

Gli altri paesi europei

Analogamente alle società chimiche britannica, tedesca e francese, anche quelle sorte negli altri paesi europei nel corso del XIX sec. avevano interessi specifici e distinti. Tutte condividevano l'idea che l'obiettivo principale di ogni associazione dovesse essere la promozione della ricerca. Altre caratteristiche comuni erano l'importanza attribuita ai contatti internazionali, considerati essenziali per lo sviluppo di qualsiasi scienza nei diversi contesti nazionali, e la convinzione che, per essere ammesso a far parte della comunità scientifica internazionale, ciascun paese dovesse prima sviluppare il proprio settore di ricerca.

A differenza di Gran Bretagna, Francia e Germania, le comunità chimiche di nazioni come la Russia, l'Italia e i paesi scandinavi avevano dimensioni ridotte o erano geograficamente frammentate. Inoltre, le industrie chimiche avevano una minore importanza dal punto di vista economico, nonostante il rapido sviluppo delle industrie di trasformazione basate sulla chimica. In Belgio, per esempio, furono in effetti i chimici che lavoravano nell'industria dello zucchero da barbabietola a fondare per primi un'associazione, che sarebbe divenuta in seguito la Société Chimique nazionale, poi passata sotto il controllo del settore accademico. Occorre dunque concludere che, nonostante l'aumento significativo degli studi di chimica verificatosi in molti paesi europei nel corso del XIX sec., il numero di impieghi creati al di fuori del sistema educativo non fu sufficiente a innescare un effettivo processo di professionalizzazione dei chimici.

è evidente che sia in Germania sia in Francia, l'attività degli scienziati accademici era considerata, intorno alla metà del secolo, come una professione a tutti gli effetti, ma è altrettanto evidente che le associazioni, costituite sulla base di questo assunto, avevano anche lo scopo di favorire i rapporti con il mondo industriale attraverso lo sviluppo della ricerca. Il processo di professionalizzazione della chimica non si svolse dunque in queste nazioni con le stesse caratteristiche della Gran Bretagna, dove con il termine 'professionista' si intendeva indicare colui che percepiva un compenso in cambio della prestazione di un servizio, escludendo quindi i docenti universitari. La figura dell'analista indipendente è al centro di numerosi dibattiti sull'identità professionale dei chimici svoltisi in Gran Bretagna intorno alla fine del XIX sec., mentre è quasi totalmente assente nella letteratura francese e tedesca dello stesso periodo. Benché esplicitamente qualificato come 'professionale', il modello adottato dai chimici britannici non ebbe alcun seguito in Europa. Nel lungo periodo, nessuno dei modelli adottati nei diversi paesi europei si rivelò in grado di risolvere le contraddizioni dovute all'aumento dei chimici impiegati nell'industria, che rimasero per tutto il XIX sec. ai margini della comunità. Di conseguenza, furono lasciate irrisolte molte importanti questioni relative alle prospettive occupazionali dei chimici nel settore industriale che, con lo sviluppo dell'industria basato sulla ricerca scientifica, era destinato a crescere più rapidamente nel corso del secolo successivo.

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