L'Ottocento: biologia. Microscopia e istologia

Storia della Scienza (2003)

L'Ottocento: biologia. Microscopia e istologia

Brian Bracegirdle

Microscopia e istologia

Microscopi

All'inizio dell'Ottocento, il microscopio composto era ancora largamente insoddisfacente, poco pratico e, benché utile per lavori a bassi ingrandimenti, permetteva di ottenere solo immagini di scarsa qualità ad alti ingrandimenti. Ciò spiega perché alcuni scienziati lavorassero con il solo microscopio semplice (a lente singola), mentre altri addirittura preferivano farne a meno, come nel caso di Marie-François-Xavier Bichat (1771-1802), nel suo lavoro del 1800 (Traité des membranes en général et diverses membranes en particulier), cui si fa risalire la nascita dell'istologia. A partire dalla metà degli anni Venti dell'Ottocento furono compiuti progressi, si costruirono microscopi più maneggevoli e si iniziò a lavorare alla produzione di minuscoli obiettivi non più solo a lenti singole, ma anche a doppietti acromatici, in grado di correggere l'aberrazione cromatica; anche l'interesse crescente per l'istologia determinò una forte richiesta commerciale di strumenti in grado di offrire immagini di migliore qualità.

Fu Joseph J. Lister (1786-1869), un mercante di vini londinese, a scoprire come produrre lenti completamente corrette. Lister aveva commissionato nel 1826 un microscopio dotato di obiettivi acromatici che egli stesso aveva progettato sulla base di osservazioni empiriche. Le immagini ad alti ingrandimenti così ottenute risultarono di qualità molto più elevata che in passato. Nel 1827 egli scrisse un saggio (Notice of some microscopic observations of the blood and animal tissues) insieme con Thomas Hodgkin (1798-1866), in cui definì accuratamente per la prima volta la struttura delle fibre muscolari umane e delle cellule del sangue, osservata usando questo strumento: si trattava del primo saggio moderno di istologia. In seguito Lister condusse una serie di esperimenti, giungendo a scoprire come correggere due difetti che affliggevano l'ottica microscopica: l'aberrazione cromatica (per cui colori diversi raggiungono fuochi diversi ad alti ingrandimenti) e, ben più grave, l'aberrazione sferica (per cui parti diverse di una lente producono fuochi diversi ad alti ingrandimenti), pubblicando i risultati delle sue ricerche nel 1830. Tale data segnò l'inizio dell'uso del microscopio in lavori scientifici ad alti ingrandimenti.

Strumenti con obiettivi acromatici, ma non in grado di correggere l'aberrazione sferica, erano molto usati in Germania, e grazie a essi furono condotte ricerche istologiche originali; ci sarebbero voluti altri vent'anni, tuttavia, perché il microscopio si affermasse definitivamente. Obiettivi acromatici per microscopi, di notevole perfezione, furono costruiti anche da Giovanni Battista Amici, che nel 1847 inventò l'obiettivo a immersione omogenea.

Un ostacolo alle ricerche istologiche era costituito dalla mancanza di tecniche adeguate per la preparazione dei tessuti. I primi microscopisti ponevano direttamente il campione da osservare, intero, sotto le lenti del microscopio e solo più tardi ne iniziarono a tagliare e osservare parti o sezioni. Iniettare sostanze colorate nei vasi degli organi induriti era utile per individuarne i percorsi, ma non mostrava molto altro, soprattutto se il campione era spesso e, quindi, opaco. Negli anni Venti dell'Ottocento questi metodi erano noti ed era conosciuto anche il microtomo, strumento usato dai produttori di vetrini commerciali per amatori, in genere per tagliare sezioni di pezzi di legno. Si trattava di una procedura valida, ma lo strumento non era tenuto in grande considerazione dagli scienziati, che preferivano tagliare sezioni a mano servendosi di un rasoio. La maggior parte di essi si limitava, infatti, a schiacciare frammenti di tessuto fra i vetrini, o a isolarne frammenti, per ottenere uno strato abbastanza sottile da potervi vedere attraverso ad alti ingrandimenti.

Dato che uno strato di tessuto fresco non trattato, quale era quello che veniva sottoposto all'indagine microscopica, è quasi completamente incolore, inizialmene esso permette di vedere ben poco; solo con grande pazienza e attenzione, variando l'inclinazione dello specchio sottostante, diventa possibile individuare alcuni dettagli. In questo modo il lavoro progredì nel corso degli anni Trenta e, nonostante solo pochi studiosi, la maggior parte dei quali in Germania, si dedicassero a questo tipo di ricerche, si accumularono molte conoscenze nuove. In particolare, la scuola fondata da Johannes Peter Müller (1801-1858) a Bonn e poi a Berlino attrasse molti allievi, fra questi Friedrich Gustav Jacob Henle (1809-1885), che pose le basi del lavoro sugli epiteli, e Theodor Schwann (1810-1882), pioniere della teoria cellulare.

Le loro ricerche furono divulgate in un'importante serie di articoli e libri, per la maggior parte efficacemente illustrati. Ciononostante, poiché il lavoro era basato su preparati a fresco, quindi facilmente deperibili, pochi altri scienziati poterono verificare personalmente i risultati; i più dovettero necessariamente affidarsi alle interpretazioni altrui. Occorreva una tecnica per ottenere, da tessuti e organi deperibili, preparati permanenti per il microscopio e, affinché questo importante risultato potesse essere raggiunto, si doveva individuare un metodo per prolungare la vita dei campioni. Un campione di tessuto prelevato da un organismo comincia immediatamente a deteriorarsi, anche se al momento del prelievo è in perfetto stato. Può disidratarsi e restringersi; può andare incontro ad autolisi per azione degli enzimi del tessuto stesso; in esso, inoltre, avvengono scambi osmotici e può essere aggredito da funghi e batteri. Uno solo di questi fattori è sufficiente ad alterare il tessuto sicché l'immagine visibile al microscopio sarà quella di un tessuto in condizioni patologiche. Il bisogno immediato era dunque quello di prevenire tutto ciò, attraverso un processo che sarà poi detto di 'fissazione'.

Il primo metodo utilizzato per indurire i tessuti fu la bollitura, ma non era possibile applicarlo ai piccoli campioni di tessuto su vetrino. Per diversi anni allo scopo di preservare i tessuti fu usato l'alcol, che continuò a essere impiegato in microscopia anche durante il XIX secolo. L'acido acetico era adoperato da tempo, sotto forma di aceto, per conservare i cibi, ma quando Jacob Augustus Lockhart Clarke, nel 1851, lo mescolò con l'alcol per fissare il midollo spinale, fu segnato l'esordio del processo di fissazione. Il triossido di cromo fu impiegato come fissativo da Adolph Hannover (1814-1894) nel 1840, ma ci volle molto tempo perché il suo uso si diffondesse. Analogamente, il cloruro di mercurio fu introdotto per la prima volta in istologia nel 1846, ma non divenne di uso comune fino agli anni Settanta. Altre sostanze, come il tetrossido di osmio e la formaldeide, sarebbero diventate importanti, ma non prima ‒ rispettivamente ‒ degli anni Ottanta e Novanta.

Ancora più importante fu trovare un modo per includere il preparato fissato in un materiale durevole, così da rendere il vetrino davvero permanente, disponibile per essere analizzato da più studiosi. Già nel 1795 Abraham Ypelaar usò a questo scopo una resina, la trementina veneziana, anche se poi tenne nascosta la scoperta per ragioni commerciali. Vetrini permanenti montati con resina furono prodotti a partire dal 1830 ca., quando fu introdotto come montante il balsamo del Canada. Queste produzioni, paradossalmente, non furono pensate inizialmente per la ricerca, ma per preparati commerciali, da vendersi insieme al microscopio agli amatori inglesi, che volevano qualcosa da osservare con il loro nuovo ‒ e costoso ‒ 'giocattolo'. Il materiale non ebbe subito grande diffusione, perché era ancora un segreto commerciale; solo nel 1835 il metodo fu apertamente descritto da Andrew Pritchard (1804-1882), e poté così essere ampiamente utilizzato nei vetrini commerciali prodotti in Inghilterra e altrove a partire da quel periodo. All'inizio il campione montato sul vetrino veniva immerso nella resina fusa, in seguito il balsamo del Canada fu regolarmente usato in soluzione fredda in svariati tipi di solventi. Furono impiegati l'etere e l'essenza di trementina, finché lo xilene non divenne il solvente di uso comune; la possibilità di immergere il campione in una soluzione a temperatura ambiente, molto più sopportabile per un materiale delicato di un'immersione nel balsamo a 65° ca., costituì un progresso importante.

Un ulteriore passo in avanti fu compiuto con l'impiego della resina in soluzione: il tessuto veniva in questo modo schiarito, cioè il suo indice di rifrazione veniva alterato in modo da avvicinarsi molto di più a quello dei vetri fra i quali era montato. Il processo si compiva prima che la resina fosse aggiunta, producendo immagini assai più chiare. A partire dagli anni Quaranta, divennero facilmente reperibili, e più economici, vetrini migliori ‒ che infine si stabilizzarono sulla misura, ancora oggi standard, di 25×76 mm ‒ e sottili vetrini coprioggetto di qualità superiore. Intorno al 1855, le tecniche e i materiali descritti erano largamente impiegati nelle ricerche. Tuttavia solo pochi fra gli articoli in cui erano riportati i risultati degli esami condotti al microscopio contenevano dettagli sulle tecniche impiegate. L'opera di Clarke (Researches into the structure of the spinal chord, 1851) rappresenta un'importante eccezione, così come un articolo sull'orecchio interno, Recherches sur l'organe de l'ouïe des mammifères, scritto nel 1851 da Alfonso Corti (1822-1876).

Intorno alla metà degli anni Cinquanta, anche il microscopio era stato ulteriormente perfezionato. Gran parte del progresso compiuto era dovuto al lavoro dei manifatturieri inglesi, in concorrenza per assicurarsi una quota di mercato in un settore particolarmente redditizio come quello amatoriale. Modelli sempre più elaborati e accessori sorprendenti furono prodotti a partire dalla metà del secolo e per oltre ottant'anni. La maggior parte di coloro che, con questi strumenti, intraprendeva una ricerca qualsiasi si dedicava in modo particolare a isolare dettagli sempre più fini dei gusci delle diatomee; queste alghe monocellulari dovevano esercitare sugli amatori un fascino che perdura, sebbene affievolito, fino ai nostri giorni. Questa situazione, tipica dell'Inghilterra, fu del tutto improduttiva da un punto di vista scientifico, stimolò tuttavia le imprese costruttrici di strumenti ottici a produrre obiettivi di qualità sempre migliore, con capacità di risoluzione via via più elevata, e stativi molto più stabili e comodi. Così, in Inghilterra divennero frequenti microscopi straordinariamente elaborati, che offrivano la più alta risoluzione raggiungibile; lo strumento era, dunque, di per sé stesso un fine.

Sul Continente, specialmente in Germania, il microscopio era concepito soprattutto come uno strumento per accumulare conoscenze sui minimi dettagli dei tessuti, e successivamente dei materiali inorganici: si cercava di produrre a costi modesti strumenti di base che potessero essere ampiamente utilizzati in lavori originali. Molti scienziati che lavoravano in Inghilterra si erano formati in Europa e adottarono questi stativi che divennero ben presto sinonimo di microscopio professionale, contrapposto a quello amatoriale. Grazie a questi fattori l'Inghilterra ebbe a disposizione obiettivi capaci di una risoluzione sempre più perfetta, ed esercitò una certa influenza sui produttori di altri paesi. Nel 1850 la risoluzione dei migliori obiettivi inglesi ad alto potere di ingrandimento, capaci di correggere l'aberrazione cromatica e sferica, offriva ormai prestazioni certamente equivalenti a quelle di un moderno obiettivo da 4 mm. Si trattava di un livello perfettamente adeguato per osservare la struttura dei tessuti e degli organi, anche se limitato solamente agli strumenti più costosi.

A metà Ottocento le parti meccaniche dei migliori microscopi erano dunque senz'altro moderne quanto alla tipologia, e molto più facili da usare rispetto a quelle di cinquant'anni prima; anche le prestazioni ottiche ad alti ingrandimenti erano decisamente migliorate rispetto a quelle di inizio secolo. Molto era stato scoperto in istologia, ed erano stati scritti testi e importanti articoli che esponevano le nuove conoscenze. Le tecniche di preparazione dei tessuti per l'indagine microscopica dovevano, tuttavia, percorrere ancora un lungo cammino prima di raggiungere qualche risultato di utilità generale. Alcune facoltà di medicina inglesi istituirono corsi pratici di istologia, seguendo l'esempio tedesco; il primo manuale di istologia pratica, A practical treatise on the use of the microscope, fu pubblicato in Inghilterra nel 1848 da John T. Queckett, professore presso il Royal College of Surgeons, che qui raccolse la sua ampia collezione di preparati.

In quegli stessi anni, Rudolf Virchow (1821-1902) aveva intrapreso le sue ricerche destinate a rivoluzionare lo studio dell'istologia e della medicina. Respinte nel 1847 le prime ipotesi di Matthias Jacob Schleiden (1804-1881) sull'origine delle cellule per generazione spontanea, nel 1855 egli riformulò il celebre aforisma omnis cellula e cellula, ben presto ampiamente accettato. Di lì a poco il suo libro, Die Cellularpathologie in ihrer Begründung auf physiologische und pathologische Gewebelehre (La patologia della cellula in base al suo fondamento nella istologia fisiologica e patologica, 1858), portò definitivamente la patologia al livello della cellula: le malattie sono perturbazioni delle cellule, le quali nascono tutte le une dalle altre e dipendono dai processi intracellulari per la determinazione delle loro funzioni. Le basi della vita e della malattia risiedevano dunque interamente nella cellula.

Il lavoro di Virchow diede inizio, in Germania e all'estero, a un gran numero di ricerche che imposero il microscopio come strumento principale della biologia e della medicina. Intorno al 1860, esso era dunque uno strumento ormai perfezionato, facilmente reperibile e relativamente economico. Contemporaneamente erano stati compiuti progressi nella preparazione dei tessuti da esaminare e l'importanza dello strumento per la ricerca scientifica era comunemente riconosciuta. A quella data, oltretutto, il potere di definizione dell'obiettivo del microscopio poté essere oggettivamente misurato grazie al lavoro svolto da Friedrich Adolph Nobert (1806-1881). Egli tracciò bande di righe sempre più fitte su una serie di vetrini campione, offrendo standard pratici di definizione accurati e imparziali, spingendo i produttori a ottenere risultati migliori dai loro calcoli. Mancava tuttavia, per l'ottica microscopica, un quadro teorico di riferimento capace di guidare la ricerca di sistemi a definizione sempre più elevata: i costruttori di lenti procedevano perlopiù 'a occhio'.

Tutto ciò cominciò a cambiare nella seconda metà dell'Ottocento. Carl Zeiss, che aveva stabilito la sua officina a Jena nel 1846 e dal 1856 vendeva microscopi composti di tipo Oberhauser, capì che era necessario seguire l'esempio di Edmund Hartnack nello sviluppare obiettivi a immersione. Fallì nel suo tentativo di costruirli, e riconobbe allora la necessità di analizzare da un punto di vista scientifico l'intera questione degli obiettivi per microscopio. Nel 1865 Zeiss ottenne la collaborazione di Ernst Abbe, che era stato nominato professore presso l'università locale nel 1864; i metodi di lavorazione delle lenti furono dunque razionalizzati e da allora in avanti la produzione fu pianificata.

Nel 1873 Abbe pubblicò la sua fondamentale teoria della formazione dell'immagine al microscopio per diffrazione (Beiträge zur Theorie des Mikroskops und der mikroskopischen Wahrnehmung, Contributi alla teoria del microscopio e alla percezione microscopica), che costituì, nonostante alcune perplessità iniziali, soprattutto in Inghilterra, la base di ogni lavoro ulteriore sull'argomento. Il suo concetto di apertura numerica come metodo oggettivo di misurazione della risoluzione di un obiettivo è in uso ancora oggi. Per produrre gli obiettivi progettati da Abbe, però, era necessario disporre di una scelta di vetri ottici molto più ampia rispetto a quella disponibile prima degli anni Settanta. Otto Schott allestì allora una vetreria speciale a Jena, e intorno al 1880 produceva in abbondanza questo tipo di vetri, pronti per la preparazione della serie di obiettivi disegnati da Abbe. Questi enunciò la sua rilevante teoria nel 1879, la prima serie di obiettivi apocromatici fu pronta nel 1886. Ciò che non fu subito chiaro a tutti i concorrenti che cercarono di fabbricare le loro serie di sistemi ad alta correzione era che, in aggiunta ai vetri speciali, erano indispensabili uno o due elementi tratti dalla fluorite, un minerale disponibile in Natura; comunque, tutte le scorte europee conosciute di questo minerale erano state di fatto comprate in blocco da Zeiss.

In appena un quarto di secolo a partire dal 1860, la progettazione e la produzione di componenti ottici per il microscopio erano state rivoluzionate. Chi poteva disporre di quest'ottica otteneva ad alti ingrandimenti risultati eccellenti, tanto che il loro uso divenne pressoché obbligatorio. Tuttavia, la maggior parte degli addetti ai lavori doveva continuare a lavorare con l'ottica acromatica ordinaria, le cui prestazioni erano peraltro molto migliorate grazie al lavoro di Abbe. L'introduzione degli obiettivi a immersione, intorno al 1870, e di quelli a immersione omogenea, qualche anno dopo, rivoluzionò la potenza del microscopio in modo imprevedibile.

Dopo il 1860, la tecnica fotografica fu applicata al microscopio e divenne così possibile e agevole attraverso la microfotografia comparare i risultati della microscopia in modo molto più oggettivo di quanto non si riuscisse a realizzare con i disegni. Quando, negli anni Settanta, furono introdotte le emulsioni su lastra secca, la tecnica fu adottata su scala più vasta. A fine Ottocento l'uso di illustrazioni a tono continuo come corredo di saggi e libri stava diventando la norma, e si trattava di una grande risorsa in una materia come la microscopia così legata all'osservazione.

Microtomi

I metodi di preparazione dei tessuti per l'osservazione al microscopio si erano anch'essi evoluti rispetto al 1860, grazie soprattutto allo sviluppo del 'microtomo'. Il primo a utilizzare questo termine fu Charles-Louis Chevalier nel suo libro del 1839 sulla microscopia, Des microscopes et de leur usage, con il quale designava strumenti come il coltello a doppia lama del tipo Valentin, e, più in generale, ogni strumento per effettuare sezioni sottili per indagini microscopiche. I microtomi, inventati in Inghilterra nel Settecento, prima che fosse proposto questo nuovo nome, erano stati chiamati 'tagliatori di sezioni' o 'macchine da taglio'. Negli anni Trenta dell'Ottocento solo tre tipi di microtomo venivano effettivamente utilizzati. Uno fu costruito e utilizzato da Pritchard, il quale fornì superbi vetrini di sezioni di legno ai suoi clienti. Con esso era facile tagliare un ramoscello, ma non avrebbe funzionato con nulla di più morbido. Un tipo di microtomo simile a quello di Pritchard fu ideato da James S. Bowerbank nel 1834; il terzo, di cui però non si hanno informazioni, da Jackson. Un microtomo più importante, inventato da Adolf Oschatz nel 1843, fu descritto nel 1866 da Pieter Harting nel suo libro Das Mikroskop: in esso il campione si alzava contemporaneamente alla sua pinza, diminuendo così le alterazioni causate dalla necessità di regolare questo dispositivo. Tale punto evidenzia un requisito importante per un microtomo. Fino agli anni Ottanta dell'Ottocento i campioni venivano trattenuti in un contenitore mentre una lama veniva fatta scivolare sulla loro porzione terminale in modo da tagliare una sezione abbastanza sottile da potervi vedere attraverso (0,01 mm ca. di spessore). Quando la lama urtava il campione, questo tendeva a piegarsi in maniera elastica, formando un cuneo e non una sezione, e quindi a strapparsi. Nell'intento di riposizionare il campione sul supporto, si alterava ulteriormente la sezione, sia nello spessore sia nella regolarità.

Negli anni Cinquanta furono progettati diversi microtomi, tra cui quello chiamato in seguito 'microtomo a mano', che consisteva di un cilindro dotato di coperchio che veniva tenuto in mano per controllare il taglio del rasoio; sarebbe stato impiegato in lavori meno importanti per più di un secolo. Bisogna poi menzionare un microtomo progettato per tagliare materiali difficili come il midollo spinale: montava lastre speciali, scelte in base al materiale da sezionare, per contenere il campione lateralmente mentre era colpito dalla lama. Il suo inventore, H.D. Schmidt, che lavorava negli Stati Uniti, lo impiegava per fare ricerche sul fegato.

Durante gli anni Sessanta il microtomo cominciò a essere considerato da molti ricercatori uno strumento indispensabile, anche se era ancora piuttosto rudimentale, a eccezione di quello descritto da Rivet nel 1868. In esso il campione veniva sollevato attraverso un piano inclinato, ma in più montava la lama in un supporto bloccato, conferendogli una rigidità maggiore rispetto al passato. Questo modello sarebbe diventato la base degli strumenti molto più progrediti degli anni successivi.

Tecniche istologiche

La colorazione istologica

Nel 1870, anche l'uso dei coloranti conobbe un rapido sviluppo. Fino agli anni Cinquanta, quando William H. Perkin scoprì il primo colorante sintetico derivato dal catrame di carbon fossile, la malveina, i soli colori disponibili per migliorare la visibilità del materiale montato erano poche tinture vegetali e, inoltre, non si sapeva bene come usarle. Solo un colore, la cocciniglia, ottenuta da insetti emitteri originari dell'America Meridionale, era normalmente utilizzato. Negli anni Sessanta divennero disponibili alcuni coloranti sintetici, come il blu di Parigi, la fucsina basica e l'acido picrico, che furono impiegati nella colorazione dei tessuti. Per lo stesso scopo, inoltre, fu usato con successo l'estratto del legno di campeggio (ematossilina) unito a un mordente. Nel 1867 fu impiegata per la prima volta la colorazione doppia, che permise di evidenziare insieme, sullo stesso vetrino, particolari diversi di un tessuto.

L'immagine microscopica aveva bisogno di una risoluzione adeguata all'ingrandimento utilizzato, ma richiedeva anche un sufficiente contrasto che permettesse all'osservatore di vedere ciò che veniva rivelato. Il compito delle colorazioni era proprio di produrre questo contrasto. Dato che negli anni Sessanta la risoluzione di un microscopio di media qualità era perfettamente adeguata a rivelare tutti i dettagli necessari al lavoro istologico, il miglioramento del contrasto rappresentò dunque un grande progresso. Nel decennio successivo furono poi messi a punto numerosi nuovi coloranti, alcuni dei quali sarebbero stati utilizzati a lungo: tra gli altri, il violetto di metile, la safranina, il blu di metilene, la fucsina acida, il bruno di Bismarck e il rosso neutro. Ugualmente importante fu la scoperta del differenziamento del colore, che consisteva nel tingere in eccesso e poi rimuovere il colorante superfluo con un acido debole, per ottenere un campione colorato in modo migliore. Particolari meriti in questo campo ebbe Paul Ehrlich (1854-1915), il quale introdusse un certo numero di coloranti, analizzò gli effetti della maggior parte di quelli in uso e nel 1881 utilizzò l'olio di anilina mescolato al blu di metilene per colorare per la prima volta il bacillo della tubercolosi. Si trattava di un risultato della massima importanza. I batteri, per le loro dimensioni, erano proprio ai limiti della risoluzione anche del microscopio più avanzato, quello messo a punto da Abbe negli anni Ottanta. Perché fosse possibile effettuare ricerche sui loro effetti patologici, era decisivo evidenziarli con la colorazione e il giovane Ehrlich si dimostrò all'avanguardia in questo campo. In particolare, egli sperimentò a partire dal 1879 l'uso dei coloranti sul sangue e dette prova di comprenderne, almeno in parte, la complicata chimica. Gli strisci di sangue colorato assunsero presto un ruolo determinante nella diagnosi delle malattie; in questo modo potevano, infatti, essere riconosciute sia le cellule normali, sia quelle in condizioni patologiche. All'inizio del Novecento queste tecniche si sarebbero rivelate di inestimabile valore nello studio delle malattie tropicali.

Un grande lavoro fu realizzato anche in istologia, parallelamente allo sviluppo dello stativo e dell'ottica del microscopio, e delle tecniche di taglio. Negli anni Settanta venivano applicate normalmente solo tecniche di taglio piuttosto rudimentali, perché si trattava di una procedura lenta e spesso incerta. Se fosse stato possibile sostenere un tessuto in tutta la sua struttura, poi tagliarlo in sezioni sottili ‒ mantenendole in sequenza per avere una successione ordinata di parti di tessuto (come quando si taglia una pagnotta di pane) ‒ allora si sarebbe potuta acquisire una grande quantità di conoscenze sulla struttura tridimensionale degli organi e dei tessuti. Questo risultato fu concretamente raggiunto entro la metà degli anni Ottanta, non in seguito a una ricerca mirata ma grazie ad alcune scoperte in parte casuali.

Metodi d'inclusione

Nel 1870 l'utilità del microtomo cominciava ormai a essere ammessa da molti istologi, ma lo strumento rimaneva insoddisfacente. Il suo difetto principale era la mancanza di un sostegno che bloccasse sullo strumento il pezzo di tessuto, sicché questo si torceva quando il coltello lo toccava e le sezioni ne risultavano deformate o sfilacciate. In genere ci si limitava a includere il tessuto in un materiale di supporto: per esempio, una carota cruda o il midollo di sambuco. L'oggetto, inserito in una lunga guaina di materiale di supporto, veniva poi legato con una cordicella e lasciato in alcol per circa un quarto d'ora, in modo che si gonfiasse per far presa sul campione. L'alcol lubrificava il coltello e con un po' di pratica si potevano ottenere in questo modo sezioni piuttosto buone.

Nel 1869 Theodor Albrecht Edwin Klebs (1834-1913) sperimentò l'impiego di un diverso tipo di materiale da inclusione: la paraffina. Egli preparò un cilindro di paraffina, vi inserì un filo metallico caldo, tolse il suo campione dall'alcol e lo immerse nella cera fusa nel foro centrale. Negli anni Quaranta, Queckett iniettava abitualmente sego fuso attraverso i bronchi per facilitare il taglio dei polmoni iniettati, anche se non rivelò questo metodo nel suo trattato sull'uso del microscopio. Il preparatore inglese di vetrini commerciali C.M. Topping nello stesso periodo riuscì a ottenere in modo analogo i suoi superbi e nitidi preparati di polmone iniettato ed è possibile che avesse imparato il metodo proprio da Queckett.

È stato descritto l'uso di molti altri materiali di inclusione: per esempio, stearina, albume d'uovo sodo, una mistura di colla di pesce e glicerina, ma Klebs rese famosa l'inclusione in paraffina, e il metodo da lui adottato divenne la norma per alcuni anni. Tale tecnica rimaneva tuttavia sostanzialmente deludente, poiché offriva al tessuto solo un sostegno esterno, lasciando che le strutture interne collassassero le une sulle altre. È per questa ragione che fu ideato il microtomo per tessuti congelati, che raggiunse la massima popolarità negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta. Se un blocco di tessuto è semplicemente congelato, è sostenuto in tutta la sua struttura e resiste alla distorsione nel taglio. In inverno un piccolo pezzo di tessuto poteva essere congelato in una mistura di ghiaccio e sale, e poi tagliato con un microtomo ordinario. Non si trattava affatto di un'idea nuova, dato che era stata utilizzata da François-Vincent Raspail nel 1825 e da Benedict Stilling nel 1842; tuttavia, era nuova la procedura di tagliare blocchi congelati di tessuto con utensili specificamente adattati allo scopo.

Nel 1871 William Rutherford pubblicò un rendiconto del suo microtomo modificato per ottenere sezioni congelate (On some improvements in the mode of making sections of tissues for microscopical observation). Il suo microtomo era immerso in un bagno di ghiaccio e sale; in questo modo era possibile avere sezioni di buona qualità di vari organi in soli sedici minuti. Strumenti di questo tipo cominciarono allora a diffondersi, alcuni usavano ghiaccio e sale ma molti impiegavano come agente di raffreddamento l'etere, che poteva essere adoperato tanto in estate quanto in inverno. Bisognava prestare una particolare attenzione a elaborare misture che sostenessero il pezzo di tessuto senza congelarlo a tal punto da renderlo soggetto a frantumarsi durante il taglio. Miscele contenenti glicerina, gomma arabica e gelatina risultarono alla fine vincenti e permisero un ulteriore miglioramento degli strumenti da taglio, che continuò fino alla fine del secolo e oltre, soprattutto per ciò che concerne la modalità di sostegno della lama e del campione, e il raggiungimento di una maggiore precisione.

I microtomi di questo tipo divennero talmente specializzati che la loro manifattura arrivò a costituire una sezione particolare dell'industria, insieme ai microtomi destinati a essere usati con altre tecniche. Per quanto riguardava i microtomi per tessuti congelati, con l'avvento delle macchine frigorifere intorno al 1890 e dunque con una scorta assicurata di ghiaccio, l'utilizzazione delle versioni a etere divenne sempre più raro, fatta eccezione per i circuiti amatoriali. Questi strumenti rimasero in uso per preparazioni molto rapide di campioni di tessuto prelevati da pazienti sottoposti a interventi chirurgici, per avere una diagnosi più certa, e inoltre anche nel campo dell'istochimica, perché l'impiego di solventi, inevitabile con il metodo della paraffina, poteva alterare la disposizione dei componenti cellulari.

Dato che l'interesse per l'uso della paraffina si era concentrato sulla sua funzione di mezzo d'inclusione per i campioni, non vennero esplorati altri possibili impieghi pratici del materiale fino al 1881, quando il processo di infiltrazione, che prevede l'impiego di paraffina in soluzione, fu descritto indipendentemente da Giesbrecht e Bütschli. Alcuni tentativi in questo senso erano stati effettuati fin dal 1870, quando Salomon Stricker propose, per l'inclusione del campione, una miscela di olio e cera (probabilmente cera d'api), ma suggerì anche che il tessuto dovesse essere mantenuto in essenza di chiodi di garofano dopo la disidratazione, finché non fosse lavato e potesse dunque essere immerso nella miscela. Stava per individuare il metodo dell'infiltrazione, secondo il quale il campione di tessuto doveva essere immerso nella cera e tenuto al caldo; non ci sono dati, però, che consentano di affermare che Stricker abbia mai compiuto questo passo.

Nel 1881 il cloroformio era ormai un solvente comunemente usato per la paraffina e la cera fu sempre più impiegata in soluzione e non semplicemente fusa. Quando il solvente evaporava, si formava un blocco che aveva proprietà adatte al taglio. Si produssero numerosi saggi che esaminavano in dettaglio il procedimento, mostrando che il valore della scoperta era stato subito riconosciuto. Un piccolo contributo, tuttavia molto importante, fu offerto in merito da Walter H. Gaskell, il quale suggerì che le sezioni di cera accartocciate fossero poggiate sull'acqua tiepida perché si stendessero. Naturalmente il procedimento non offriva di per sé sezioni in serie: a mano a mano che venivano tagliate, potevano sempre confondersi, finendo fuori sequenza anche troppo facilmente. Fu nel maggio del 1882 che uno studente di Cambridge, W.H. Threlfall, notò che se la cera era della giusta consistenza in relazione alla temperatura del taglio, la sezione aderiva solo alla parte tagliente della lama, e se veniva lasciata lì la sezione successiva aderiva alla prima, e così via, fino a ottenere un nastro di cera di sezioni. Era una scoperta di grande importanza per il futuro dell'uso del microscopio in biologia e in medicina: si può dire che da questa scoperta derivò larga parte del valore della tecnica microscopica quale si è sviluppata successivamente.

I progressi nell'indagine microscopica

Questa tecnica di taglio, seriale, rimaneva lenta da realizzare, ma Threlfall e il suo compagno di studi, Caldwell, continuarono a progettare e costruirono il primo microtomo automatico veramente efficace. Bisogna precisare che il primo microtomo automatico in assoluto era stato pensato per tagliare solo sezioni di legno, ed era stato costruito intorno al 1770 sotto la direzione di John Hill; ma aveva una struttura complicata, non era affidabile nell'uso e per questo fu presto abbandonato.

Questi strumenti erano piuttosto complessi, ma furono immessi sul mercato in una versione commerciale nel 1885 dalla Cambridge Instrument Company, che produceva 100 sezioni al minuto sotto forma di nastro. Il sostegno permetteva di orientare il blocco a svariate angolazioni rispetto alla lama e l'apparecchio produceva in un pomeriggio lo stesso numero di sezioni per cui in precedenza occorreva un mese. Tuttavia la fabbricazione di questo microtomo comportava costi elevati e fu soppiantato da un altro tipo realizzato dalla stessa ditta nel medesimo anno. Si trattava del Cambridge rocking microtome, il più famoso microtomo che sia mai stato costruito. Era stato disegnato da Horace Darwin, il figlio minore del celebre Charles, che comprò una quota della ditta quando questa fu costituita nel 1880. Il suo strumento tagliava senza difficoltà nastri di sezioni di uno spessore di 0,002 mm, era semplice nell'uso e nella manutenzione; utilizzava un rasoio ordinario e il nastro di sezioni cadeva sul piano sotto il suo stesso peso mentre altre versioni prodotte nello stesso periodo necessitavano di elaborate bande mobili. Non aveva un supporto orientabile, ma questa lacuna fu presto colmata, e nel 1900 fu introdotto un nuovo modello di microtomo che garantiva una rigidità ancora maggiore e che rivoluzionò il modo di tagliare. Il progetto originale era così soddisfacente che negli anni Sessanta del Novecento poté essere facilmente adattato per tagliare sezioni di soli 0,000025 mm di spessore per l'osservazione al microscopio elettronico. Furono proposti anche altri modelli di microtomo. Il microtomo automatico Minot, che montava il blocco su guide di scorrimento verticali, in uso già nel 1887, ebbe un buon successo commerciale e nel 1892 fu adattato per ottenere sezioni più sottili. Un altro modello accolto con favore fu quello con un piano inclinato per sollevare il campione, offerto da molti fabbricanti il più importante dei quali fu la Jung, ditta tedesca che si specializzò in questi strumenti nei tardi anni Ottanta, quando essi divennero così complessi che per la loro produzione furono necessari impianti diversi da quelli utilizzati per i microscopi.

Nel 1890, il microscopio era ormai perfezionato al punto da fornire immagini della migliore risoluzione possibile in base alle conoscenze tecniche del periodo, anche se per un contrasto ottico adeguato si sarebbe dovuto attendere fino agli anni Quaranta del Novecento. Era prodotto in grandi quantità, spesso grazie a macchinari automatici, a ogni possibile livello di raffinatezza, ed era diventato di uso comune in tutte le branche della medicina e della biologia, nonché nelle ricerche geologiche. Le tecniche per fissare i tessuti, tagliarli, colorarli (per ottenere un adeguato contrasto nell'immagine) e montarli su vetrino erano pressoché perfette. La fotografia era ampiamente usata per illustrare le scoperte scientifiche, e un cospicuo numero di lavori veniva pubblicato in gran parte del mondo. Le facoltà di medicina dovettero includere l'istologia pratica nei loro curricula, e le nuove scienze della batteriologia, delle malattie tropicali e della citologia poterono svilupparsi grazie ai progressi delle tecniche istologiche.

L'istologia nelle università

A partire dagli anni Quaranta del XIX sec. si cominciò a prestare attenzione all'aspetto funzionale per spiegare come agissero i vari elementi che costituiscono un tessuto e alcune facoltà di medicina, soprattutto in Germania, istituirono corsi di istologia pratica. Nel 1842 James Piaget riassunse in un suo lavoro (Report on the chief results obtained by the use of the microscope in the study of human anatomy and physiology) le conoscenze strutturali accumulate fino ad allora, ma non fu in grado di dire nulla dell'orecchio interno o delle terminazioni nervose, perché la loro struttura rimaneva inaccessibile. Il primo testo inglese di anatomia microscopica scritto da Arthur H. Hassall (1817-1894) si intitolava The microscopic anatomy of the human body, in health and disease ed era composto di due volumi, pubblicati nel 1846 e nel 1849, illustrati da eccellenti tavole a colori, la maggior parte delle quali mostra solo le diramazioni dei vasi nelle preparazioni per iniezione. Retrospettivamente, non c'è dubbio che questo interesse per le preparazioni per iniezione abbia rallentato per anni il progresso dell'istologia; vetrini di questo genere sono esteticamente apprezzabili, ma rivelano pochi dettagli istologici. Per esempio, ancora negli anni Settanta, Jozef Hyrtl (1810-1894), un insigne professore di anatomia, continuava a produrre bellissimi campioni multiiniettati non avendo difficoltà a venderli; nel 1873 scrisse un libro sulle sue tecniche, allora già completamente superate, dal titolo Lehrbuch der Anatomie des Menschen (Trattato di anatomia umana).

Negli anni Quaranta i microscopi erano molto più facilmente reperibili in Europa, anche se i produttori inglesi controllavano ancora la maggior parte del mercato. Alcuni di loro offrivano stativi meno complicati, più adatti alle ricerche quotidiane degli scienziati, ma dopo il 1850 la maggior parte dei professionisti scelse quelli tedeschi perché più economici e funzionali. Negli anni Cinquanta le tecniche per ottenere preparati istologici non erano molto diverse da quelle in uso un secolo prima, ma erano molto più diffuse. Rimaneva tuttavia possibile osservare un gran numero di dettagli contando solo su applicazione e pazienza. Cicli di lezioni di istologia divennero sempre più comuni, anche in Inghilterra, dove Queckett, per esempio, teneva corsi teorici e pratici di ottimo livello al Royal College of Surgeons.

Il primo libro di testo di istologia nella sua forma moderna fu il manuale di istologia umana (Handbuch der Gewebelehre des Menschen), pubblicato da Rudolf Albert von Kölliker nel 1852; esso forniva soltanto descrizioni approssimative, per esempio sulla struttura della retina, ma date le conoscenze dell'epoca non avrebbe potuto fare altrimenti. L'occhio umano rimane tutt'oggi difficile da analizzare dal momento che si trovano raramente campioni freschi, ed è ancora comunque complicato ottenere una buona fissazione. Fu necessario molto lavoro negli anni Cinquanta e Sessanta, prima che fosse possibile offrire una descrizione strutturale dettagliata del tessuto nervoso; furono avviate ricerche che si rivelarono infruttuose, e vennero compiuti errori, a causa delle mediocri tecniche di preparazione.

La seconda edizione del testo di Kölliker nel 1859 offrì un'analisi migliore della struttura della retina, ma solo il libro di Stricker, Handbuch der Lehre von den Geweben des Menschen und der Thiere (Manuale di teoria dei tessuti nell'uomo e negli animali), pubblicato negli anni 1869-1872, cominciò a descriverla in maniera adeguata. Progressi del genere dovevano molto ai continui miglioramenti delle capacità del microscopio, ma anche allo sviluppo delle tecniche di impregnazione metallica su tessuti meglio fissati. L'italiano Camillo Golgi fu un illustre specialista in questo campo; scoprì nel 1873 il metodo della impregnazione cromo-argentica (la cosiddetta 'reazione nera'), che rese noto a un vasto pubblico nel suo volume del 1886. Fu presto seguito dallo spagnolo Santiago Ramón y Cajal, che migliorò il metodo di Golgi e dette nel 1896 la sua classica illustrazione della struttura della retina nei vertebrati.

A livello degli studi di medicina ordinari, l'offerta di insegnamenti in istologia e istologia pratica e gli esami in queste materie divennero obbligatori nel curriculum medico inglese solo nel 1886, in ritardo rispetto alle altre facoltà di medicina europee. William Sharpey lavorò all'University College di Londra per quarant'anni, dal 1834 al 1874, e si impegnò per ottenere il riconoscimento dell'importanza dell'istologia; grazie al suo operato, alla suddetta Università gli allievi ebbero l'obbligo di studiare fisiologia pratica ‒ che a quei tempi comprendeva in gran parte istologia ‒, e naturalmente questo fu un grande stimolo anche per gli insegnanti. Un altro celebre studioso, Michael Foster (1836-1907), lavorò nel dipartimento di Sharpey prima di trasferirsi a Cambridge a insegnare fisiologia. Il Royal College of Surgeons richiese lo studio di tale materia dopo il 1872 e da questo momento in poi la situazione dell'insegnamento dell'istologia in Inghilterra resse vittoriosamente il confronto con quella tedesca.

Negli Stati Uniti le facoltà di medicina tardarono a comparire: quella della Johns Hopkins University fu attivata nel 1893, ma già più o meno dal 1882 un corso di istologia di livello soddisfacente veniva impartito nell'Università del Michigan.

In Europa la guerra franco-prussiana e la sconfitta della Francia nel 1870 provocarono molti cambiamenti nell'approccio verso la medicina e le sue scienze. La tecnica tedesca della raccolta di dati per una successiva analisi, allo scopo di favorire nuove scoperte, divenne dominante in tutta Europa. In Germania insegnamento e ricerca procedevano di pari passo: i professori erano pagati dallo Stato per formare medici, e per farlo in maniera appropriata dovevano essere a conoscenza dei progressi scientifici. A partire dalla fine degli anni Ottanta la Germania divenne la meta per chi volesse approfondire la ricerca post laurea in medicina, e l'influenza di chi aveva lavorato nelle università tedesche si diffuse ben presto nei rispettivi paesi di provenienza. Nella Germania di fine Ottocento, la ricerca istologica era inquadrata in istituti organizzati che producevano un flusso continuo di lavoro. In altri paesi la situazione era molto diversa: le ricerche originali erano in buona parte opera di individui isolati, che lavoravano in genere in dipartimenti scarsamente attrezzati.

Le tecniche istologiche facilitarono lo svolgimento di gran parte del lavoro, tuttavia i risultati ottenuti prima che il microscopio o il microtomo fossero stati adeguatamente perfezionati mostrarono che molto poteva essere scoperto anche con attrezzature più modeste. D'altra parte, l'esplosione di scoperte dopo il 1885 e la velocità con la quale si susseguirono derivarono essenzialmente dall'ottenimento di sezioni seriali di tessuto e dalla differenziazione del colore. Quando alla fine dell'Ottocento emersero le nuove fondamentali scienze della batteriologia, della citologia e delle malattie tropicali, tutto ciò che era stato fatto per settant'anni nel campo dell'ottica microscopica, nello sviluppo degli stativi e del microtomo, delle preparazioni istologiche e delle tecniche di catalogazione operò all'unisono e portò frutti straordinari.

Bibliografia

Bracegirdle 1978: Bracegirdle, Brian, A history of microtechnique, the evolution of the microtome and the development of tissue preparation, London, Heineman, 1978 (2. ed.: Lincolnwood (Ill.), Science Heritage, 1986).

‒ 1987: Bracegirdle, Brian, Famous microscopists. Joseph Jackson Lister, 1786-1869, "Proceedings of the Royal microscopical society", 22, 1987, pp. 273-297.

Hartley 1993: Hartley, Walter G., The light microscope. Its use and development, Oxford, Senecio, 1993.

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