L'Italia romana delle Regiones. Regio XI Transpadana: Aosta

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Italia romana delle Regiones. Regio XI Transpadana: Aosta

Liliana Mercando

Aosta

Colonia augustea (Augusta Praetoria Salassorum) dedotta nel 25 a.C. (Strab., IV, 6, 7), dopo che i Romani ebbero superato la resistenza dei Salassi, agguerrita popolazione che occupava tutta la valle.

La conca di Aosta fu abitata a partire dal III millennio, come attestano gli importanti ritrovamenti di Saint-Martin de Corléans e le stele antropomorfe di eccezionale interesse. La città romana fu fondata in una zona pianeggiante alla confluenza della Dora Baltea con il torrente Bouthier, in un punto di interesse strategico anche dal punto di vista viario, quale importante nodo nelle direttrici verso l’Alpis Graia et Poenina, che di certo ricalcavano percorsi precedenti. Non si conoscono finora, se si escludono poche tracce, insediamenti di età repubblicana.

La città augustea fu organizzata secondo un tipico impianto urbanistico, in cui al cardo maximus e al decumanus maximus si affiancava una serie di assi viari paralleli e ortogonali, formando una rete urbana regolare con insulae rettangolari a modulo costante, variabili però in corrispondenza dei grandi monumenti pubblici, quali, per esempio, il foro e gli edifici di spettacolo, dove l’area occupa più insulae. Agli assi principali (che non si incrociavano in modo simmetrico secondo il sistema canonico, bensì spostandosi verso ovest) corrispondevano gli ingressi alla città, che si aprivano nella cortina muraria, mentre all’attacco degli assi minori corrispondeva una torre a pianta quadrata. Le mura, rinforzate da contrafforti interni e rivestite all’esterno in blocchetti di travertino, correvano lungo il perimetro rettangolare della città e sono in gran parte conservate. Le torri erano distribuite a intervalli regolari, in rapporto alla rete viaria; erano aggettanti verso l’interno della città, munite di finestre e strutturate a due piani: si ricordano la Torre Pailleron, la Torre Bramafan e la Torre del Lebbroso, restaurate agli inizi del XIX secolo.

In corrispondenza del decumanus è tuttora visibile, a est, la monumentale porta praetoria, costruita con blocchi regolari di conglomerato; è dotata di tre fornici (uno centrale più ampio, carraio, tra due minori), del cavaedium ed è fiancheggiata da due possenti torri rettangolari. Restano in facciata alcuni tratti di decorazioni architettoniche con mensole e cornici. Della porta decumana, contrapposta sul lato occidentale, si è ricostruita in parte la pianta a seguito di scavi effettuati in anni recenti; se ne è così potuto notare il carattere più modesto e l’analogia con la porta principalis dextera (a sud), conservata soltanto in fondazione. Dalla porta principalis sinistra (a nord), a un fornice, la direttrice del cardo proseguiva verso settentrione, dirigendosi poi verso l’Alpis Poenina, più ad est.

Il foro si trova nella metà nord della città, non in posizione centrale, ma spostato verso occidente; è delimitato dal cardo e dal decumanus e recintato da un bel criptoportico che corre su tre lati creando una zona ben definita. Si ritiene che la sistemazione dell’area, pur programmata nella pianificazione urbana della colonia, si sia protratta nel corso del I sec. d.C. comprendendo edifici cultuali (uno o due templi affiancati) e forse una basilica, ipotizzata da C. Promis (1862) verso il decumanus maximus. Non lontano dal foro era situato un notevole impianto termale con un ampio calidarium biabsidato. L’angolo nord-est dello spazio urbano, fiancheggiato dalle mura, era destinato agli edifici di spettacolo. Dell’anfiteatro (86 ™ 76 m) sono tuttora visibili alcune arcate, inserite in strutture recenti; sono in pietra appena sbozzata, come le semicolonne tuscaniche che le fiancheggiano; per tale motivo è stata individuata un’analogia con monumenti di età claudia. Probabilmente un porticato, corrispondente alla porticus post scaenam del teatro, collegava l’anfiteatro con quest’ultimo, contiguo a sud e non lungi dalla porta praetoria. Del teatro si conservano notevoli resti, tra i quali emerge la monumentale e scenografica facciata in pietra, con tre filari sovrapposti di finestre di diversa tipologia, interrotti da robuste lesene verticali che segnano tutta la fronte fino agli archi di base e che sono probabilmente funzionali anche al rinforzo della struttura architettonica. Si rileva la testimonianza di porticati laterali alla cavea atti a raccordare l’ambiente esterno a quello interno, che si ritiene potesse essere dotato di una copertura stabile.

Dell’apparato scenico, più malridotto, si riconosce la decorazione a colonne corinzie. Come è parso finora evidente, l’area a nord del decumanus maximus era destinata all’edilizia pubblica; nella zona a sud erano invece distribuiti gli isolati abitativi, oggetto di recenti e intense indagini di scavo. Sono attestate sia le domus a peristilio, con vani pavimentati a mosaico, che sono più frequenti lungo il citato decumanus, sia i modelli di edilizia intensiva, localizzati nelle aree periferiche. È stato possibile verificare che già in età augustea esistevano abitazioni nell’area meridionale, anche se un maggiore sviluppo edilizio è attestato tra la fine del I sec. d.C. e la metà circa del II sec. d.C., in parallelo all’incremento demografico. Tra i reperti venuti in luce si segnalano le ceramiche e i vetri; meno numerose, ma altrettanto interessanti, le piccole sculture ornamentali in bronzo. Materiali analoghi e piccoli rilievi in osso provengono dalle necropoli, situate fuori le mura, oltre le porte e lungo le strade che dalle stesse si dipartono. Sono più numerose le tombe a incinerazione (a cremazione diretta); nel corso del II sec. d.C. si inserisce il rito dell’inumazione, che caratterizza il periodo più tardo (III-IV sec. d.C.).

Fuori del circuito murario, non lungi dall’imponente porta praetoria, è tuttora conservato l’arco onorario di Augusto, privo tuttavia dell’attico, che andò distrutto insieme con l’iscrizione dedicatoria: non è quindi possibile conoscere l’altezza originaria del monumento, uno dei più importanti in Piemonte. L’arco a un fornice, molto ampio, con ghiera a tre fasce, si inserisce tra i due piedritti con alto zoccolo; su questo posano due colonne lisce con capitello corinzio, che sostengono la trabeazione dorica, aggettante nella parte centrale. Due nicchie rettangolari sono ricavate negli spazi tra le colonne: non se ne conosce la precisa destinazione; a causa della scarsa profondità si è ipotizzata una decorazione pittorica o a rilievo.

Bibliografia

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