L'Italia romana delle Regiones. Regio II Apulia et Calabria

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Italia romana delle Regiones. Regio II Apulia et Calabria

Ettore M. De Juliis

Regio ii apulia et calabria

Con questa denominazione viene indicata la regio II nella suddivisione augustea dell’Italia antica (Plin., Nat. hist., III, 11, 103). Essa comprendeva un territorio molto più ampio dell’attuale Puglia, includendo anche parti della Basilicata, della Campania e del Molise.

È evidente che l’organizzazione augustea rispettava molto sommariamente la dislocazione storica delle antiche popolazioni che avevano occupato e ancora occupavano il vasto territorio compreso nella regio II. In esso, senza dubbio, il nucleo più compatto e consistente era formato dalle popolazioni iapigie, articolate ormai in due soli raggruppamenti: Apuli e Calabri con l’assorbimento nell’ambito dei secondi anche del municipio di Tarentum (Taranto). Malamente distribuiti tra la regio II e le altre regiones contigue, risultavano invece i Lucani, gli Irpini, i Frentani. Dell’antica denominazione della regione restava solo, probabilmente, una labile traccia nel termine latino Apulia, così trasformato attraverso un precedente assorbimento della cultura osca, avvenuto nella parte più settentrionale della regione e mai diffusosi, ufficialmente, a sud dell’antica Peucezia. Come questo, così anche gli altri due termini tradizionali, che stavano a indicare la parte settentrionale e quella meridionale della Puglia, Daunia e Messapia, dovevano essere caduti del tutto in disuso in età augustea. Per la Messapia, infatti, erano stati adottati i nomi dei due gruppi etnici più resistenti all’occupazione romana, i Salentini e i Calabri, prevalendo poi questi ultimi nella terminologia ufficiale.

A questa notevole eterogeneità etnica corrisponde un analogo miscuglio di culture, accentuate ancor più dagli spostamenti di popoli e dai mutamenti verificatisi in questa ampia porzione di Italia meridionale, nel corso di numerosi secoli, a partire dalla media età del Bronzo e per tutto il I millennio a.C. In un arco cronologico così ampio si sono succedute diverse culture con differenti articolazioni territoriali.

Partendo da una notevole omogeneità culturale, corrispondente all’Appenninico e al Subappenninico della media e tarda età del Bronzo, in cui si inseriscono elementi della civiltà micenea, si passa, durante il Bronzo Finale (XII-X sec. a.C.), a una prima frammentazione che prelude alla nuova situazione culturale propria dell’età del Ferro la quale persisterà senza mutamenti rilevanti, nell’area pugliese, fino all’età romana. In particolare, nella prima età del Ferro si assiste alla fioritura della civiltà iapigia, che interessa, con aspetti abbastanza uniformi, l’intera Puglia. Verso il confine occidentale, lungo la valle del Bradano, si sviluppa una cultura abbastanza affine alla precedente, quella enotria. L’alta Irpinia è interessata dalla cultura del tipo Oliveto-Cairano, mentre la valle caudina rientra nell’area culturale campana delle tombe a fossa del tipo Cuma-Torre Galli. Nell’età arcaica si definiscono meglio e si articolano gli aspetti culturali già avviati nel periodo precedente.

La civiltà iapigia della Puglia si differenzia, con manifestazioni affini, ma non identiche, nelle tre regioni storiche: Daunia, Peucezia e Messapia. Le ultime due, e specialmente la Messapia, risentono del forte influsso culturale proveniente dalle colonie greche del golfo di Taranto, soprattutto Metaponto e Taranto. Nell’ambito della civiltà daunia rientra ancora pienamente, in questo periodo, l’area melfitana, mentre un più autonomo sviluppo, se pure non privo di influssi dauni, si osserva nei centri dell’alta Irpinia e nell’area frentana. Aspetti culturali diversi e propri mostra, invece, l’area caudina che risente maggiormente degli influssi provenienti dalla costa campana.

Nel corso del V sec. a.C. e soprattutto nel IV avvengono i principali mutamenti, sia nell’assetto etnico, sia, di conseguenza, in quello culturale. Il moto di espansione delle genti di stirpe sabellica dalle sedi interne, appenniniche, verso le coste tanto del Tirreno quanto dell’Adriatico, apporta ampie trasformazioni in tutta l’area qui esaminata. La Puglia settentrionale interna vede pericolosamente intaccato il proprio territorio e la propria cultura dalla pressione dei Sanniti, riscontrabile nel settore nord-occidentale (Teanum Apulum, Lucera) e nell’area melfitana, che già intorno alla metà del V secolo sembra aver perduto gran parte del precedente carattere daunio. D’altra parte dal settore meridionale della regione avanza verso nord un decisivo influsso culturale ellenico, proveniente soprattutto da Taranto. Inoltre, a partire dagli ultimi decenni del IV sec. a.C., si assiste all’arrivo e all’occupazione stabile da parte dei Romani di una porzione del territorio daunio, prima attraverso le alleanze con Arpi, Tiati e Canusium (Canosa), quindi con la deduzione della colonia latina di Lucera (315 o 314 a.C.) e più tardi (291 a.C.) con quella di Venusia (Venosa), tra la Puglia e la Lucania. Da questo momento e da quest’area prende inizio il processo di romanizzazione dell’intera regione, che si fonde con l’ormai diffusa cultura ellenistica. Il processo di integrazione nel mondo romano delle culture e dei popoli preesistenti subisce una svolta decisiva in seguito alla guerra sociale (89 a.C.). Da quel momento tendono a scomparire completamente le differenze culturali tra le diverse aree comprese nell’ambito geografico della futura regio II, cosicché appaiono accomunati gli Apuli e i Calabri della Puglia propria, i Lucani e gli Irpini delle zone appenniniche, infine i Sanniti Frentani, localizzati nel territorio compreso tra i fiumi Fortore e Biferno.

Scavi e ricerche

Le ricerche e gli scavi in complessi di età romana nell’ambito della regio II sono ancora abbastanza rari, essendo stati privilegiati, in passato, gli aspetti della civiltà magno-greca e, più di recente, quelli relativi alle culture indigene.

All’estremità meridionale della Puglia è di un certo rilievo, ai fini della ricostruzione topografica di Taranto romana, l’indagine svolta in via Minniti, dove è stato messo in luce un lembo dell’abitato, ai limiti con la necropoli, riferibile alla colonia Neptunia del 123/2 a.C.

Interessanti sono anche i risultati di un’esplorazione sistematica effettuata dalla Scuola Britannica a Otranto, in via delle Torri, subito all’esterno delle mura aragonesi, dove, al di sotto di strutture bizantine e sopra una necropoli di età classica è stata individuata la strada di accesso alla città di età romana, fiancheggiata da una necropoli a incinerazione databile dal I sec. a.C. al II d.C., cui si riferiscono alcuni cippi funerari iscritti.

Uno scavo sistematico, di ampie proporzioni, è quello effettuato a Brindisi in via Cappuccini, dove è stata esplorata un’area di necropoli con tombe che vanno dall’inizio del III sec. a.C. al IV sec. d.C. A Canosa, nell’area del cosiddetto “tempio di Giove Toro”, sono state messe in luce strutture databili tra l’età augustea e il II sec. d.C. In provincia di Foggia il sito di gran lunga più esplorato e più noto di età romana è quello di Ordona. Finora è stato messo in luce gran parte del centro monumentale della città, la quale, a partire dalla ricostruzione iniziata nel II sec. a.C., dopo la distruzione annibalica, si sviluppa fino alla tarda antichità. Altri scavi di età romana, in provincia di Foggia, sono stati condotti ad Arpi (1971-72), a Teanum Apulum (1972-73), in una grande villa rustica dell’ager Herdonitanus (1972-73), nella villa di Agnuli, presso Mattinata (Gargano, 1975- 76), a Lucera e a Siponto (1980). Né bisogna dimenticare lo scavo subacqueo di una nave (1981-82), contenente un carico di centinaia di anfore vinarie, affondata presso le Isole Tremiti, intorno al 20 a.C.  Si può chiudere questa breve rassegna delle recenti ricerche sull’età romana, ricordando le indagini svolte a Venosa, relative ai primi due secoli della colonia latina (1973), a Melfi, contrada Leonessa, in una necropoli di età imperiale (1975, 1977), a Banzi, su strutture abitative riferibili soprattutto al II sec. a.C. (1982). Infine, passando dall’area melfese a quella irpina, ricordiamo la ripresa degli scavi nella città romana di Aeclanum e l’individuazione (1981) di strutture tardoromane, riutilizzate e in parte modificate dagli ultimi abitanti di Caudium, prima del definitivo abbandono della città, in età tardoantica.

Bibliografia

In generale si vedano i volumi della BTCGI.

Notizie preliminari di scavi:

CMGr 1970-85.

Ch. Delplace, Chronique des fouilles dans les Surintendances des Fouilles de la Basilicate et de la Calabre, de 1968 à 1972, in AntCl, 42 (1974), pp. 373-403.

G. Colonna (ed.), Scavi e Scoperte, in StEtr, 42 (1974), pp. 505-10, 515-36; 46 (1978), pp. 539-43, 548- 69; 49 (1981), pp. 451-94, 504-23; 52 (1984), pp. 447-90, 495-522.

M.W. Frederiksen, Archaeology in South Italy and Sicily, 1973-76, in Rep ALondon, 23 (1976-77), pp. 43-58.

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E.M. De Juliis, Un quindicennio di ricerche archeologiche in Puglia: 1970-1984, in Taras, 5 (1985), pp. 177-228.

Età romana:

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Pittura romana a Canosa, Canosa 1983.

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