L'Europa tardoantica e medievale. Il computo del tempo storico

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Europa tardoantica e medievale. Il computo del tempo storico

Paolo Delogu

Il computo del tempo storico

L’origine dei modi di computare il tempo storico in uso nell’età medievale e moderna va cercata nei cronografi e storici  che a partire dall’età costantiniana si adoperarono per mettere a punto una cronologia universale che doveva comprendere e integrare la tradizione storica biblico-cristiana con quella profana greca e latina fatta propria dall’Impero romano.

L’intera vicenda della storia umana venne fatta iniziare, coerentemente con la dottrina religiosa, dalla creazione del mondo (o di Adamo), di cui si cercò di stabilire la data precisa, utilizzando le suggestioni cronologiche che potevano essere tratte dalla Bibbia e agganciando a esse le cronologie delle altre tradizioni storiche, fondate sui regni orientali, sulla successione delle Olimpiadi greche e sugli anni trascorsi dalla fondazione di Roma. Questa ricerca, già in corso nel III secolo, ad esempio nell’opera perduta di Sesto Giulio Africano, venne sistematizzata nell’epoca costantiniana dal vescovo Eusebio di Cesarea (ca. 260-339/40 ca.) nei Chronica, che vennero tradotti in latino e continuati fino all’anno 378 da s. Girolamo (ca. 347-419/20) e furono alla base delle Historiae adversus paganos di Paolo Orosio (380/385 - post 418), che costituiscono la prima compiuta esposizione della storia universale nella linea descritta; essa contava 5199 anni dalla creazione del mondo (o di Adamo) alla nascita di Cristo, facendo cadere questa nell’anno 752 dalla fondazione di Roma. Il computo dalla creazione del mondo (era della creazione) conobbe peraltro consistenti varianti nelle diverse tradizioni culturali dell’Oriente cristiano: a partire dal VII secolo a Costantinopoli il suo inizio veniva posto 5508/9 anni prima di Cristo (era costantinopolitana); ad Antiochia a 5500 anni (era antiochena) e ad Alessandria a 5492 anni prima di Cristo (era alessandrina). Questo modo di determinazione del tempo fu usato a lungo solo nelle opere storiche; le registrazioni cronistiche correnti e soprattutto i documenti ufficiali e legali continuarono invece a essere datati secondo il tradizionale sistema romano, che indicava gli anni col nome dei consoli in carica, cui si aggiunse l’anno di regno dell’imperatore. Nella datazione dei documenti l’indicazione dell’anno corrente secondo l’era della creazione è attestata solo a partire dal X secolo; dall’area bizantina essa venne esportata in Russia, dove rimase in vigore fino all’anno 1700.

Per la datazione di documenti ufficiali o commemorativi (epigrafi) e talvolta per la determinazione di festività ecclesiastiche come la Pasqua, nella Tarda Antichità si fece ricorso anche a un sistema di determinazione del tempo storico che prendeva la data di avvento al potere dell’imperatore Diocleziano (il 29 agosto 284) come inizio di un’era cronologica (era di Diocleziano); essa fu usata soprattutto in Egitto, ma si diffuse anche in Italia e in altri Paesi dell’Occidente nel IV e V secolo. Questi sistemi di determinazione del tempo storico furono messi in discussione e progressivamente soppiantati, almeno in Occidente, da quello elaborato a Roma nel 525 dal monaco Dionigi il Piccolo (exiguus), che assunse la nascita di Cristo, da lui posta al 25 dicembre del 753 dalla fondazione di Roma, come inizio di una nuova era (era cristiana, o era dell’Incarnazione), il cui anno primo corrispondeva dunque al 754 dalla fondazione di Roma. Dionigi il Piccolo fu indotto a quest’innovazione dall’esigenza di disporre di un calendario che consentisse di prevedere la data della Pasqua in modo univoco in tutto il mondo cristiano. Com’è noto, la Pasqua cristiana viene celebrata la prima domenica dopo il plenilunio seguente all’equinozio di primavera. Per stabilire il giorno in cui cade anno per anno bisogna quindi prevedere la cadenza delle domeniche secondo il calendario solare e quella dei pleniluni secondo il calendario lunare. Fin dal III secolo erano state messe a punto differenti tecniche di calcolo che determinarono già dal IV secolo sostanziali diversità nella data di celebrazione della Pasqua tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa romana. Dionigi il Piccolo adottò un sistema di computo che combinava un ciclo solare di 28 anni, dopo il quale i giorni della settimana tornano a cadere nello stesso giorno del mese, con un ciclo analogo di 19 anni relativo alle fasi della Luna, e calcolò un grande ciclo pasquale facendolo iniziare nell’anno della nascita di Cristo e giungere al 532 (risultante dalla moltiplicazione di 28 x 19); a esso fece seguire il computo per un secondo ciclo relativamente agli anni dal 532 al 626. Con ciò egli collegò il calendario della principale festa cristiana con un riferimento cronologico di grande significato simbolico, rifiutando di servirsi dell’era di Diocleziano che precedentemente era stata utilizzata come supporto in alcuni computi pasquali in Oriente, per non associare la ricorrenza religiosa alla memoria di quel persecutore dei cristiani.

L’era cristiana trovò impiego fin dal VI secolo in Italia, anche se non per la datazione di atti e documenti ufficiali. La sua conoscenza si diffuse in Occidente nel VII secolo, parallelamente alle tabulae Paschales, le tabelle cioè contenenti i dati che concorrevano alla determinazione della data della Pasqua secondo l’uso romano. Nell’VIII secolo il monaco anglosassone Beda, che proseguì il computo dionisiano calcolando la data della Pasqua per gli anni dal 725 al 1063, si servì dell’era cristiana anche come griglia cronologica della sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum. Quest’uso divenne normale nell’annalistica franco-carolingia e attraverso di essa si affermò successivamente come sistema cronologico ordinario delle scritture storiche del Medioevo occidentale. Il riferimento all’era cristiana si trova anche nella datazione dei documenti privati in Francia dall’VIII secolo e poco dopo in Germania. Invece, nei documenti ufficiali delle autorità pubbliche esso compare più tardi, non prima della fine del IX secolo. La stessa cancelleria papale non lo adottò definitivamente che nel X secolo. In Spagna, dove dal III secolo gli anni erano calcolati secondo un’era particolare – l’era di Spagna, che prendeva inizio dal primo gennaio del 716 dalla fondazione di Roma (= 38 a.C.), cioè dall’anno in cui, completata la conquista romana della penisola, vi fu importato il calendario giuliano –, l’era cristiana fu adottata solo nel 1180 in Catalogna, nel 1350 in Aragona, nel 1383 in Castiglia, León e Andalusia, nel 1422 in Portogallo. Comunque anche negli altri Paesi dell’Occidente la datazione degli atti privati secondo l’era cristiana non si diffuse realmente che a partire dall’XI secolo. Nel mondo bizantino la datazione con gli anni di Cristo si affiancò a quella dalla creazione solo dopo la costituzione dell’Impero latino d’Oriente (1204), che importò a Costantinopoli gli usi europei. L’era di Diocleziano, dopo aver ricevuto una sorta di cristianizzazione nel VII secolo, quando venne chiamata “era dei martiri”, in riferimento alle persecuzioni messe in atto dall’imperatore, venne progressivamente abbandonata anche nell’Oriente greco, restando in uso solo tra i copti egiziani fino ai tempi moderni.

La datazione degli atti

Già si è detto che nella Tarda Antichità e per gran parte del Medioevo gli atti delle autorità pubbliche (diplomi, leggi) e i documenti con valore legale (atti notarili) vennero normalmente datati con l’indicazione dell’anno di regno del sovrano regnante e con l’indizione. Quest’uso risale alla Novella 47 di Giustiniano del 537, che disponeva che gli atti ufficiali dovessero indicare l’anno di regno, il nome dell’imperatore, quello dei consoli, l’indizione, il mese e il giorno. Dal 566, da quando cioè l’imperatore Giustino II assunse la dignità consolare, che da allora venne riservata ai soli imperatori, il riferimento ai consoli fu sostituito nell’impero bizantino da quello all’anno del consolato dell’imperatore (che iniziava il primo gennaio successivo alla data di avvento al potere) e del suo postconsolato (corrispondente ai successivi anni di governo). Quest’uso, peraltro, venne abbandonato probabilmente nel X secolo, lasciando in vigore solo l’indicazione dell’anno di impero. La datazione con gli anni di regno venne accolta nei regni barbarici occidentali, facendo però riferimento al sovrano locale, e rimase poi fondamentale elemento di datazione degli atti pubblici per tutto il Medioevo. Nelle cancellerie imperiali e regie gli anni di regno vennero contati a partire dal giorno dell’elezione o dell’incoronazione del sovrano; più raramente da quello della morte del predecessore. La cancelleria papale, a partire da Adriano I (772-795), datò con l’anno di pontificato del papa regnante, a decorrere solitamente dal giorno della sua consacrazione (più raramente da quello dell’elezione). L’indizione, che ebbe vasto impiego nelle datazioni medievali, traeva  origine da una pratica fiscale instaurata da Diocleziano nel 297 che raggruppava gli anni in cicli di 15, corrispondenti all’intervallo tra due successive determinazioni dei ruoli delle imposte; all’interno di ogni ciclo gli anni venivano numerati da 1 a 15, ricominciando quindi da 1. Il computo dell’indizione in uso nel Medioevo prendeva origine dal secondo ciclo indizionale, iniziato sotto Costantino il primo settembre 312. Peraltro sia nell’Impero tardoantico che nel Medioevo, le datazioni esprimevano soltanto il numero progressivo dell’anno all’interno del ciclo, ma non il numero del ciclo; l’indizione può dunque essere riferita alla cronologia assoluta solo quando sia accompagnata da altre indicazioni cronologiche.

Il calendario

Il calendario in uso nel Medioevo occidentale rimase quello definito dalla riforma voluta da Giulio Cesare (calendario giuliano), con un anno di 365 giorni e 6 ore, per recuperare la quale frazione ogni 4 anni si aggiungeva un giorno al mese di febbraio. L’anno era diviso in 12 mesi di diversa lunghezza. La determinazione dei giorni continuò a lungo a essere fatta col sistema romano (calende, none e idi), ma già dal VI secolo si cominciò anche a indicare i giorni del mese col loro numero progressivo; dal VII secolo si diffuse anche l’uso di designarli facendo riferimento alle festività ecclesiastiche e alla commemorazione dei santi. Caratteristica è la cosiddetta consuetudo Bononiensis, attestata nell’Italia settentrionale fin dal IX secolo e più tardi anche in Francia e Germania. Il mese era diviso in due metà; nella prima (mens intrans) i giorni erano numerati progressivamente, mentre nella seconda (mens exiens) regressivamente. Il raggruppamento dei giorni in settimane fu introdotto nel IV secolo per disposizione dell’imperatore Costantino. I giorni della settimana venivano indicati come feria prima, secunda, ecc., a partire dalla domenica, secondo la tradizione giudaico-cristiana; oppure col riferimento agli dei della tradizione pagano- romana, cui nei Paesi di lingua germanica vennero sostituiti quelli degli dei corrispondenti; le denominazioni Sabbatum e dies Dominica erano usate in entrambe le consuetudini.

L’inizio dell’anno

L’inizio dell’anno variava nei diversi sistemi di computo in uso nel Medioevo. Si danno, a seguire, i riferimenti essenziali.

- Era dalla creazione del mondo: nella versione costantinopolitana l’anno iniziava il primo settembre, come l’anno indizionale. Quest’uso fu seguito in tutte le regioni dell’impero bizantino, anche in Italia. Nella versione antiochena, l’anno iniziava il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione. Nello stile bizantino il numerale dell’anno era in anticipo di una unità rispetto a quello moderno dal primo settembre al 31 dicembre.

- Era cristiana: l’inizio dell’anno era fissato in giorni diversi, anche se tutti individuati in rapporto alla venuta di Cristo nel mondo, dando luogo a differenti stili di calcolo.

- Stile della Natività: l’anno iniziava il 25 dicembre. Questo stile fu usato soprattutto a Roma nei documenti papali. Le datazioni secondo questo stile presentano il numerale dell’anno aumentato di una unità rispetto al computo moderno dal 25 al 31 dicembre.

- Stile dell’Incarnazione: l’anno iniziava il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, quando il Verbo si era incarnato. Il numerale dell’anno poteva essere calcolato in due modi diversi: nel “modo pisano” l’anno primo dell’era cristiana veniva fatto iniziare dal 25 marzo precedente la Natività (cioè dal 25 marzo dell’1 a.C.); pertanto dal 25 marzo al 31 dicembre il numerale dell’anno è superiore di una unità a quello del computo moderno, mentre coincide con questo dal primo gennaio al 24 marzo; nel “modo fiorentino” il primo anno dell’era cristiana veniva fatto iniziare il 25 marzo dell’1 d.C.; l’indicazione dell’anno coincide perciò con quella del computo moderno dal 25 marzo al 31 dicembre, mentre è in ritardo di una unità dal primo gennaio al 24 marzo.

- Stile della circoncisione: l’anno iniziava nella ricorrenza della circoncisione di Cristo, il primo gennaio. Questo stile corrispondeva all’antica consuetudine romana di fare iniziare l’anno; peraltro nel Medioevo fu meno usato dei precedenti. Solo dal XV secolo si diffuse nelle cancellerie degli Stati italiani. Venne adottato dalla cancelleria pontificia durante il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585) e successivamente si impose in gran parte dei Paesi europei in connessione con la riforma calendariale promossa da quel papa, divenendo l’unico stile usato nell’epoca moderna.

Altri stili di più limitata diffusione furono il cosiddetto “stile veneto”, che faceva iniziare l’anno il primo di marzo, posticipando il cambiamento del numerale di due mesi rispetto a quello moderno, e il cosiddetto “stile della Pasqua”, o “francese”, attestato appunto in Francia fino al 1564, che però aveva lo svantaggio di fare iniziare l’anno con una festa mobile, dando di conseguenza durate diverse agli anni.

Anche l’indizione iniziava in giorni diversi nelle varie tradizioni. L’indizione bizantina iniziava il primo settembre; l’indizione bedana o costantiniana o cesarea il 24 settembre; dal IX secolo ricorre anche una indizione romana che iniziava il 25 dicembre, come l’anno secondo lo stile della Natività. Essa venne adottata dalla cancelleria pontificia a partire dall’XI secolo e dal XIII secolo progressivamente si affermò fino a divenire nei tempi moderni la sola utilizzata nelle datazioni ecclesiastiche.

Bibliografia

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F. Dölger - J. Karayannopulos, Byzantinische Urkundenlehre, I. Die Kaiserurkunden, München 1968.

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P.-J. Schuler, s.v. Chronologie, C. Historische Chronologie: Westliches Abendland, in LexMittAlt, II, 1983, coll. 2037-2040 (con bibl. ult.).

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