L'Europa tardoantica e medievale. I territori entro i confini dell'Impero. La Penisola Iberica

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Europa tardoantica e medievale. I territori entro i confini dell'Impero. La Penisola Iberica

Stefano Del Lungo

La penisola iberica

Costituente l’estremità occidentale dell’Europa e separata dall’Africa settentrionale solo da uno stretto braccio di mare, dominato dai massicci montuosi di Calpe (Ceuta, Marocco) e Abila (Gibilterra, Spagna), ossia le cosiddette Columnae Herculis (Mela, Chor., I, 5, 27; II, 6, 95), l’unità geografica e politica della Penisola Iberica si compie con i Romani nel I sec. d.C. (sottomissione delle Asturie e della regione cantabrica), sotto la denominazione di Hispania o, meno comunemente, di Iberia, in uso soprattutto fra il V e il II sec. a.C. e riferita alla sola costa mediterranea.

La divisione augustea nelle province Tarraconensis, Baetica e Lusitania costituisce l’impianto politico-territoriale le cui linee-guida influenzano le vicende iberiche sino al completamento della Reconquista (presa di Granada, nel 1492) e alla formazione delle odierne nazioni di Spagna e Portogallo. Un primo passo significativo in questa direzione si compie con la costituzione, voluta dall’imperatore Diocleziano (284-304) a fini fiscali, della diocesi ispanica, nel senso di una “unità regionale” mediamente omogenea dal punto di vista etnico, linguistico e culturale. Il confine settentrionale con la diocesi gallica vindobonense (Vienne, Francia) si attesta sui Pirenei; a est vengono comprese le Isole Baleari e a sud la giurisdizione si estende anche in Africa, racchiudendo la provincia della Mauretania Tingitana, incentrata sulla capitale Tingis (Tangeri, Marocco) ed estesa dal porto mediterraneo di Melilla alla catena dell’Alto Atlante. La separazione di questo settore territoriale dalla diocesi d’Africa vera e propria (odierne Algeria, Tunisia e Libia) dipende forse dall’esigenza strategica di porre sotto il controllo di un’unica autorità di governo le terre sui due lati del fretum Herculeum (Stretto di Gibilterra), di importanza primaria nel garantire la sicurezza di entrambe le sponde contro il rischio di incursioni ai danni delle province europee o africane.

Il precedente costituito dall’invasione della Baetica, nel 40 a.C., da parte di Bogud, re di Mauretania partigiano di Antonio, conclusasi con il conferimento dello status municipale alla sola città di Tingis, e dalle ripetute incursioni di Mauri del Rif (Mazichi e Baquati) ai danni del settore centro-meridionale della Penisola Iberica (seconda metà del II - inizi del III sec. d.C.; CIL II, 1120, 2015, 4114; III, 5212- 5215; VIII, 2786, 9663), lascia comprendere le ragioni di un provvedimento in linea con gli assetti politici maturatisi poi nella Tarda Antichità e nel Medioevo e ponendo, per ragioni strategiche e di sicurezza interna, le condizioni per una presenza stabile degli Spagnoli sulla sponda africana con la costituzione, dal XVI al XIX secolo, di enclaves (tuttora rimangono quelle di Ceuta e di Melilla) e di una fascia territoriale di protezione denominata Marocco Spagnolo (1912- 56). Nella riorganizzazione dioclezianea il numero delle province della Penisola Iberica viene incrementato dal riconoscimento delle individualità etnico-culturali e quindi dal riconoscimento dell’autonomia amministrativa rispetto alla precedente Tarraconensis, per la Gallecia (dalle Asturie, attraverso il León sino alla riva destra del Duero), per la Carthaginensis (Aragona centro e sud-occidentale, media e bassa Castiglia, Mancha e Murcia, da Valencia a Cartagena) e per le Baleari.

La rottura del fronte renano nel 406 porta, nell’arco di cinque anni, i Vandali a costituirsi un regnum nelle province Tarraconensis, Carthaginensis e Baetica, e i Suebi, assieme ad alcuni gruppi di Alani, in quelle di Gallecia e Lusitania, seguiti fra il 414 e il 418 dai Visigoti, che si insediano nei territori tolosano (la Novempopulania) e narbonense (Septimiana). La mobilità, che caratterizza queste popolazioni in periodi di tempo relativamente limitati e su lunghe distanze, rende difficile individuare sul piano archeologico le evidenze che le rare fonti scritte lasciano talora intuire, menzionando l’occupazione di una città romana o di una regione. Dopo un periodo di scontri continui con i Visigoti (416-418), i Vandali, unitisi nel frattempo agli alleati Alani e sottomessi i Suebi, sotto la guida di re Gunderico (406-428) battono i Romani e conquistano Cartagena e Siviglia nel 425, guadagnandosi per un breve periodo il favore della popolazione locale con una sospensione temporanea dell’esazione fiscale imperiale, ma al tempo stesso avviando le prime persecuzioni contro i non ariani. Nel 429, succeduto nel comando Genserico, si trasferiscono in Africa, su sollecito, forse, del comes Bonifazio, conquistandosi un nuovo regno (429-533/4).

La penetrazione visigota nella penisola, per quanto non supportata al momento da prove materiali, avviene gradualmente nel corso del V secolo, compiendosi nella provincia Tarraconensis e comportando l’avvio dell’assorbimento dell’etnia suebica (compiutosi nel 584). Quel che prima rientrava nell’ambito di un’espansione verso sud-ovest del regno di Tolosa, dopo la dissoluzione di questo nel 507 (morte di Alarico II nella battaglia del Campo Vogladensi, odierna Vouillé, Francia), a seguito della conquista dei Franchi (con l’eccezione della Septimiana), diviene per i Visigoti unica direzione possibile da prendere, per garantirsi nuovamente la sopravvivenza e una terra in cui stabilirsi. Sin dalle prime fasi di questa nuova e più estesa occupazione della Penisola Iberica, compresa la parte meridionale, tenuta dai Bizantini dal 554 al 629, si riconosce una sostanziale continuità sia rispetto alle popolazioni locali, fortemente latinizzate, sia con il modello e la distribuzione degli insediamenti predisposti dai Romani (villae, latifundia e civitates), con abbandoni e cambiamenti di sede decisi solo sulla base di considerazioni produttive ed economiche.

Il processo si compie con l’annullamento del divieto ai matrimoni misti, deciso dai re Leovigildo (568/9-586) e Recesvindo (652-672), e con i provvedimenti volti a favorire la conversione delle comunità ariane al cristianesimo romano agli inizi del VII secolo. Tale processo si riflette anche nella mancata adozione di corredi funerari da parte dei membri dell’aristocrazia; nel passaggio dall’uso tradizionale, per le donne, dei gioielli e dell’abito sostenuto su ciascuna spalla da una coppia di fibule ad arco di bronzo (anche a forma di aquila), con l’aggiunta di altre due, al centro sul torace e sulla cintura; nell’uso, per gli uomini, di porre pochi oggetti e non le armi, nell’adozione delle sole fibbie circolari di piccole dimensioni e, talora, di fattura bizantina, e nella dislocazione delle necropoli in prossimità delle chiese e non isolate sul fianco di un’altura e nelle vicinanze di corsi d’acqua, con distinzione delle sepolture privilegiate. Proprio le chiese, costruite con materiale locale e di riutilizzo, sono costituite, nelle campagne, da edifici di dimensioni ridotte, con pianta a croce latina e unica navata. Le pareti, prive di decori, sono provviste di poche finestre a gola di lupo collocate in alto e, sulla fronte, in corrispondenza del timpano sopra l’unica porta di accesso, da un’apertura a forma di croce.

Il principio della sovranità elettiva, fondando in pratica la successione di un re in base a rapporti di forza, determina fra il governo di Gesalich (507-511), figliastro di Alarico II, e quello del generale Teudegesilo (548/9), un periodo di forte instabilità interna, segnata dall’opposizione dei vescovi cattolici e dei proprietari terrieri alla monarchia di impostazione ariana (ribellione di Cordova nel 554, consegnata nelle mani dei Bizantini). Solo la graduale conversione dei re, a iniziare da Reccaredo (586-601) e la definizione dei poteri detenuti dai vescovi nella gestione delle realtà locali, rispetto a una nobiltà fondiaria o derivata dagli uffici più elevati dell’amministrazione pubblica, dai gradi superiori dell’esercito o direttamente dalla corte, consentono di definire i rapporti di forza fra le diverse componenti della società. I concili, tenuti periodicamente, ma senza una cadenza fissa, a Toledo, la capitale del regno, a partire da Leovigildo, regolano di volta in volta le questioni politiche, economiche, sociali e religiose delle comunità, divenendo anche l’occasione per la risoluzione di contese e l’emissione di verdetti in appello, in aggiunta al lavoro svolto nei tribunali locali; per la promulgazione e l’aggiornamento della legislazione (il Liber iudiciorum o Lex Visigothorum, del 654) e per la regolazione delle emissioni monetarie in oro e argento, riproducenti l’immagine frontale del sovrano su entrambe le facce, circondata, sul recto, dal nome, seguito dal titolo (REX) e dal simbolo della croce, che viene a trovarsi sopra la testa, e, sul verso, dal medesimo emblema affiancato da un cognomen ex virtute (ad es., IUSTUS per Leovigildo, PATER PAUPERUM per Svintila), a sinistra, e dal nome della città nella quale è avvenuto il conio, a destra.

Il profilarsi sulle coste africane della minaccia musulmana viene colto a pretesto per perseguire la piena unità interna del regno visigoto, intensificando le conversioni forzose degli Ebrei, giungendo all’equiparazione fiscale delle componenti latina e germanica, e contenendo il fenomeno dell’espansione eccessiva del latifondo ai danni della piccola proprietà, responsabile della riduzione in servitù di parte della popolazione libera, a favore di un numero limitato di nobili (comites, duces), che dalla seconda metà del VII secolo acquisiscono nei concili maggiore potere decisionale rispetto ai vescovi, sino a influenzare direttamente l’elezione del re e a ribellarsi apertamente alla sua autorità. Questo indebolimento del potere regio sfocia nella nomina di Roderigo (709-711) ai danni del detronizzato Witiza. I figli di quest’ultimo, tramite l’appoggio del comes Iulianus, di cui le fonti non specificano l’identità ma si tratterebbe del governatore bizantino della fortezza di Septem (Ceuta), si accordano con gli Arabi, giunti nel frattempo alle coste atlantiche del Marocco (ar. Maghreb, “terra d’Occidente”). Il patto prevede la duplice alternativa di incursioni veloci, volte a saggiare le difese visigote e a creare una condizione di insicurezza costante, e di una vera e propria campagna militare per spodestare il re o privarlo della maggior parte del potere sul territorio.

Nel 709/10 una prima spedizione di limitata entità (appena 300 soldati e 100 cavalieri), comandata dal berbero Tarif ibn Malluk approda con navi bizantine a Punta Marroqui, dove fonda la base di Tarifa (distretto di Algeciras). La relativa facilità con cui si riesce a occupare i centri abitati della zona, colti impreparati, induce il califfo omayyade al-Walid I (705-715) ad autorizzare l’invio di un corpo d’armata più consistente, incaricando il suo luogotenente Musa ibn Nusayr dell’organizzazione e del supporto logistico. Tariq ibn Ziyad, governatore di Tangeri, ne prende la guida e nel 711, dopo aver preso posizione sul Mons Calpe, chiamato da questo momento in poi Gebel Tariq (da cui Gibraltar o Gibilterra), impegna in combattimento il re Roderico sulle rive del Guadalete. La decisiva vittoria riportata, grazie anche alla defezione di alcuni reparti dell’esercito visigoto, fedeli ai figli di Witiza, apre definitivamente la Penisola Iberica al dominio arabo, consolidato dalla caduta, nell’ottobre dello stesso anno, di Cordova e di Toledo. L’espansione verso nord si arresta nel 713 alle pendici meridionali dei Monti Cantabrici e ai confini delle Asturie, obbligando gli Arabi ad aggirare la valle dell’Ebro per poter raggiungere la Septimiana, in pieno territorio franco (721-726), e dirigersi alla volta delle Baleari (conquistate definitivamente nel 903) e della Sardegna. Dopo un primo periodo di assestamento dell’autorità di riferimento, alle dirette dipendenze del califfato (assassinio nel 715 di Abd al-Aziz, figlio di Musa e marito di Egilona, vedova di Roderico), si consolidano le conquiste con la costituzione di un emirato autonomo (755-929), sotto la dinastia degli Omayyadi, e successivamente di un califfato governato dai medesimi (929-1031), dagli Almoravidi (1088- 1146) e dagli Almohadi (1147-1269).

Mancando una conoscenza in dettaglio delle preesistenze visigote è difficile stabilire in quale misura si sia evoluta la proprietà fondiaria e, in generale, la distribuzione degli insediamenti nel territorio nell’VIII secolo, rispetto ai centri maggiori. La dissoluzione del sistema diocesano e del potere vescovile viene bilanciata dal costituirsi di numerosi emirati con giurisdizione locale, fondati su una nuova aristocrazia terriera che sembra generalmente integrarsi con la nobiltà germanica. Non si esclude persino un semplice passaggio di questa nel nuovo ceto musulmano, rinunciando a una parte dei propri beni per poter mantenere il resto. La ricerca archeologica documenta, a partire dal IX secolo, il proliferare di piccoli agglomerati sparsi, solitamente fortificati, posti in elevato e nei quali la torre è la componente architettonica principale, associando la funzione di postazione militare, con guarnigione permanente, e di magazzino per derrate. Si distinguono i sajra, piccoli complessi fortificati collocati di solito sulla cima di colline e in punti dove la visuale consenta di anticipare le mosse del nemico, dotati di cisterna, all’interno della corte, e delimitati da una cinta muraria, al di fuori della quale si sviluppa un abitato; la qubba (spagn. alcoba, “stanza da letto”), una torre a pianta quadrangolare, molto elevata e coronata da merlatura (ad es., l’Alcoba de la Torre, il Cubo de la Solana e l’Alcubilla del Marqués), che nella tipologia del X-XI secolo accoglie anche le stanze di un’abitazione; il qal'a (spagn. alcalá, “fortificazione”, “palazzo”), un edificio a torre di forma rettangolare non molto elevato, talora unito a un antemurale o a un recinto; il bury, una torre a uno o due piani, interna a un recinto di forma variabile, solitamente adattato nello sviluppo all’andamento delle curve di livello (a Covarrubias, Noviercas e Bordegores) e prototipo del vero e proprio castello; e, infine, l’al-tal’iyya, una torre di forma cilindrica e dalle dimensioni modeste, tanto da poter ospitare solo un ristretto numero di soldati. Tale torre, eretta in prossimità di un insediamento e in aperta campagna, è delegata alla trasmissione di messaggi tramite segnali di luce e di fumo.

Lo ḥiṣn qualifica un insediamento rurale difeso dalla posizione o dalla presenza di un elemento di fortificazione che ne delimiti lo sviluppo, accogliendo spazi aperti ed edifici di tipo residenziale o destinati a botteghe artigiane e magazzini, oltre alla moschea. Corrispondente talvolta al castrum noto nelle terre dell’Europa occidentale, acquisisce un connotato maggiormente militare, se si trova dislocato lungo una frontiera o in prossimità di un centro amministrativo. L’abitato per il quale si riconosce una vocazione mercantile è definito madīna, comprendente il quartiere commerciale vero e proprio e la qaṣba, o area residenziale. Le sue dimensioni possono variare a seconda che si sviluppi o meno attorno a un qaṣr, coincidente con il punto più elevato dell’insediamento, e vi risieda un governatore. All’interno di questa tipologia si riconoscono molteplici varianti, dovute all’adattamento delle nuove realtà insediative alle preesistenze, nonché all’evolversi del panorama politico, che vede gli Arabi dover affrontare la forte resistenza opposta nelle regioni montuose settentrionali dall’elemento romano-visigoto.

Ancora una volta, infatti, la maggiore e più tenace opposizione alla conquista dell’intera Penisola Iberica si incontra nelle Asturie, nel León e nella Cantabria (a cui aggiungere la Marca spagnola, creata nel 795 da Carlo Magno lungo la riva sinistra dell’Ebro) e laddove i Romani, agli inizi del I sec. d.C., avevano concentrato i propri sforzi militari per completare la sottomissione dell’Hispania, riunendovi tre legioni e stabilendo poi definitivamente il quartier generale di una di esse (la VII Gemina), dalla cui insegna avrebbe derivato il nome la regione del León, riparte il movimento di contrapposizione verso sud (vittoria di Ordoño I di León sull’emiro Muhammad I nell’854). Dall’unione della Galizia con le Asturie nasce il regno del León, con capitale nell’omonimo centro e comprendente nel X secolo anche la contea di Castilla. A ovest si costituisce la contea di Portogallo, al momento limitata al solo territorio circostante alla città di Oporto, nella bassa valle del Duero, primo nucleo di un regno indipendente che si costituisce a partire dal 1095. Infine, dalla Marca carolingia nascono nel IX e X secolo il principato di Catalogna con capitale a Barcellona, occupata solo per brevi periodi dagli Arabi (914 e 986) e successivamente inglobata nel regno di Aragona (1137), e il regno di Navarra, il cui sovrano Sancho III il Grande (1000-1035), annettendosi il León, la Castiglia e l’Aragona, oltre ai possedimenti in Guascogna, unisce sotto una sola corona tutti i territori riconquistati agli Arabi, creando le premesse per le successive dinastie spagnole, alla base della costituzione dei moderni Stati di Spagna e Portogallo, a ridosso di quella che viene definita la prima fase della Reconquista, coincidente con la presa definitiva di Toledo nel 1085.

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