L'Età dei Lumi: matematica. Gli sviluppi del calcolo in Gran Bretagna

Storia della Scienza (2002)

L'Eta dei Lumi: matematica. Gli sviluppi del calcolo in Gran Bretagna

Niccolò Guicciardini

Gli sviluppi del calcolo in Gran Bretagna

Un declino della matematica britannica?

Il metodo delle flussioni newtoniano, adottato dai matematici britannici del Settecento, non gode di grande considerazione: ricorre infatti nelle storie della matematica un giudizio sostanzialmente negativo sulle sorti del metodo che Newton consegnò ai suoi seguaci.

Il giudizio di Carl B. Boyer (1980) è drastico: la descrizione del funerale di Newton diventa emblema del declino della matematica britannica. Dirk J. Struik suggerisce un parallelo fra la decadenza della matematica tardo-alessandrina e la matematica britannica del Settecento: la Gran Bretagna, vittima della sua supposta superiorità culturale, politica ed economica ‒ di "una autosoddisfazione di natura profondamente sociale" ‒, coltivò una matematica caratterizzata da una "notazione inadeguata", tale da rendere "difficoltoso ogni progresso" (Struik 1981, p. 169).

Alla luce delle ricerche più recenti, i giudizi di Boyer e Struik non sono più proponibili, anche se va riconosciuta la superiore statura di matematici continentali quali Leonhard Euler (1707-1783), Joseph-Louis Lagrange (1736-1813) e Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) rispetto ai loro contemporanei britannici. D'altronde, un semplice elenco dei matematici attivi in Gran Bretagna nel Settecento motiva la necessità di approfondire la ricerca storica. Nel campo del calcolo, cui è dedicato questo capitolo, possiamo citare Abraham de Moivre, Brook Taylor, James Stirling, Roger Cotes, Colin Maclaurin, Thomas Simpson, John Landen ed Edward Waring, matematici sui quali gli studi storici scarseggiano. Tuttavia prima di tracciare una descrizione sommaria degli sviluppi del calcolo in Gran Bretagna è opportuno chiarire quali sono stati i presupposti che hanno reso possibile, fino a tempi recenti, un sostanziale disinteresse per l'opera dei continuatori di quel "metodo delle serie e delle flussioni" che Newton aveva scoperto negli "anni mirabili" della peste (1665-1666) e che aveva pubblicato soltanto nel 1704, in appendice all'Opticks.

Innanzitutto va osservato che per quanto riguarda la questione della supposta inferiorità della notazione newtoniana, causa (dicono alcuni) della sterilità della scuola britannica, si è vittime di un'illusione ottica. Dato che la notazione leibniziana ci è maggiormente familiare, ci troviamo più a nostro agio nel leggere le opere dei continentali. Inoltre tendiamo a farci un'idea troppo ottimistica dello stato in cui questa notazione si trovava nel Settecento, tendiamo cioè a proiettare nel passato ciò che la notazione leibniziana è divenuta dopo secoli di affinamento. Oltre a ciò, sarebbe possibile mostrare che la notazione flussionale era più flessibile di quanto in genere si ritiene e che matematici newtoniani ‒ come Brook Taylor (1685-1731) e Roger Cotes (1682-1716) ‒ sperimentarono interessanti variazioni e miglioramenti di tale notazione. Esisteva per di più la possibilità di passare facilmente da una notazione all'altra. Nelle corrispondenze fra i matematici newtoniani e quelli leibniziani ‒ per esempio, nella corrispondenza fra Abraham de Moivre (1667-1754) e Johann I Bernoulli (1667-1748) ‒ troviamo una miscela delle due notazioni, senza che ciò creasse particolari problemi di comprensione. Le opere britanniche venivano tradotte nelle lingue e nella notazione continentali come per esempio, il Treatise of fluxions (1742) di Colin Maclaurin (1698-1746) che fu tradotto in francese nel 1749. Le opere continentali venivano tradotte, con operazione inversa, in lingua e notazione inglesi. Per esempio, l'Analyse des infiniment petits (1696) di Guillaume-François-Antoine de L'Hôpital (1661-1704) venne tradotta nel 1730 da Edmund Stone (1695 ca.-1768), il quale nella Prefazione avvertiva il lettore, fornendo un vero e proprio manuale di traduzione fra lingue matematiche, di come avesse convertito le 'd' di Leibniz nei 'puntini' caratteristici della notazione newtoniana. Molti matematici britannici furono inoltre pronti nel riconoscere alcuni indubbi vantaggi della notazione continentale: imitando il simbolo leibniziano per il differenziale di ordine superiore dnx, Taylor sperimentava indici numerici per denotare le flussioni di ordine superiore, mentre il simbolo leibniziano per l'integrale, una 'esse' allungata (per summa) veniva sostituito, per esempio da Maclaurin, da una 'effe' allungata (per fluent).

Il confronto tra le due notazioni non è quindi un'operazione così scontata e semplice. Ciò che caratterizzò la scuola continentale non è tanto una notazione superiore, ma piuttosto la convinzione della superiorità dei metodi simbolici, della manipolazione algoritmica dei simboli, rispetto ai metodi geometrici. La generalità dell'algebra, il potere euristico del calcolo, la cogitatio caeca, la caratteristica universale, l'uso cieco del ragionamento simbolico che "libera l'immaginazione" dalla pesantezza della geometria tradizionale, sono temi che ricorrono frequentemente nella scuola continentale. Invece i newtoniani sottolineavano la continuità tra l'opera matematica di Newton e la tradizione della geometria classica, una continuità resa esplicita dalla struttura classicheggiante dell'opera maggiore di Newton, i Principia (1687). Inoltre, molti matematici britannici affermarono che l'uso dei simboli era giustificato laddove fosse possibile esibire un oggetto geometricamente visualizzabile come significato dei simboli stessi.

Quanto all'isolamento della scuola newtoniana ‒ un dorato isolamento che avrebbe causato il declino della matematica in Gran Bretagna ‒ va detto che questo fenomeno si verificò soltanto alla fine del Settecento, e, come si vedrà, non senza che alcuni protagonisti della cultura matematica britannica ne fossero amaramente avvertiti e si impegnassero a colmare la frattura che si era andata aprendo. Durante i primi tre quarti del secolo i Britannici, e in special modo gli Scozzesi (per ovvi motivi politici e culturali), furono in contatto con i continentali. Gli scambi furono a volte aspri, soprattutto durante la polemica fra Newton e Leibniz sull'invenzione del calcolo. A volte furono amichevoli: si pensi al carteggio fra Pierre Varignon (1654-1722) e Newton, ai rapporti fra Pierre Rémond de Montmort (1678-1719) ‒ attivo mediatore fra le due scuole durante gli anni della polemica ‒ e Taylor, al carteggio fra de Moivre e Johann Bernoulli, alla stima di Thomas Simpson nei confronti di Alexis-Claude Clairaut (1713-1765), alla notevole diffusione delle opere di Maclaurin sul continente, alle numerose traduzioni di opere matematiche in e dall'inglese. Il nazionalismo fu certamente presente, ma in misura minore rispetto ad altri periodi della storia britannica; pensiamo a certe opere pubblicate durante la Restaurazione, in particolare a quelle di John Wallis (1616-1703). Nonostante la polemica sull'invenzione del calcolo, i matematici britannici del Settecento rimasero per gran parte del secolo in contatto con i loro colleghi d'oltremanica. Tutta la cultura britannica era d'altronde interessata a tali scambi (si pensi alla cultura filosofica, o a quella musicale), ed è veramente improbabile che soltanto i matematici si siano chiusi in uno sterile isolamento laddove tutti gli altri attori della cultura britannica scambiavano idee con il Continente. Evidentemente troppi autori hanno fatto coincidere la storia dei rapporti fra matematici continentali e britannici con il periodo di guerra aperta che iniziò nel 1699, con l'accusa mossa a Leibniz di plagio del metodo delle flussioni newtoniano.

Un ultimo motivo che può avere indotto una valutazione riduttiva della matematica britannica del Settecento va rintracciato nella tendenza a sottovalutare la matematica applicata rispetto a quella pura. Nella Gran Bretagna del XVIII sec. hanno fortuna i costruttori di strumenti scientifici (i migliori e più richiesti d'Europa), sono attivi numerosi cartografi, esperti in fortificazioni, dighe, ponti, artiglieria, astronomi, ingegneri idraulici, ecc. Tutti partecipano al rinnovamento sociale ed economico del periodo hannoveriano. Gli editori di libri scientifici inondano il mercato di testi di carattere matematico rivolti al pubblico colto o all'artigiano. Nascono le prime riviste dedicate interamente alla matematica, dove accanto a problemi di carattere enigmistico trovano posto polemiche sui fondamenti del calcolo, almanacchi, osservazioni meteorologiche; la più nota, "Ladies' Diary" (fondata nel 1704), vivrà più di un secolo. Furono istituite società matematiche, in provincia si aprirono scuole esterne alle università dove era insegnata la matematica utile al commercio, alla navigazione, all'ingegneria. I protagonisti di quella che potremmo chiamare 'cultura matematica' diffusa s'identificavano con un nome: philomaths. Erano questi personaggi, spesso oscuri, i responsabili del radicamento della cultura matematica in Gran Bretagna, una matematica volta all'utile e alle applicazioni, di cui lo storico deve tener conto.

In definitiva si può affermare che il giudizio negativo sulla matematica britannica del Settecento è stato causato da una serie di pregiudizi: un pregiudizio sulla notazione e la sua importanza, una sopravvalutazione della portata della polemica sull'invenzione del calcolo, una convinzione che la scuola continentale, in quanto 'analitica', fosse di per sé superiore, ed infine una svalutazione della cultura espressa dalla matematica applicata.

La formazione leibniziana dei primi flussionisti

Come è noto, Newton scoprì il calcolo o, come egli lo chiamava, il "metodo delle serie e delle flussioni", negli anni Sessanta del XVII secolo. Fu infatti nel 1670 che Newton compose un grande, sistematico trattato che però vide la luce più di sessant'anni dopo, The method of fluxions and infinite series (1736). Per una complessa serie di motivi, egli tardò a pubblicare le sue scoperte matematiche: i suoi discepoli, come Nicolas Fatio de Duillier (1664-1753), John Craig (m. 1731) e David Gregory (1659-1708), dovevano corrispondere personalmente con lui al fine di catturare gli elementi del nuovo, prodigioso, metodo newtoniano. D'altronde è attraverso un carteggio favorito nel 1676 dall'allora segretario della Royal Society, Heinrich Oldenburg, che Leibniz poté ottenere due lettere nelle quali Newton presentava alcuni elementi del suo metodo. Tanta segretezza finì col nuocere a Newton ed ebbe in verità conseguenze tragiche dato che la polemica con Leibniz non avrebbe avuto luogo se egli avesse pubblicato subito il suo metodo.

Leibniz infatti, dal 1684 in poi, cominciò a divulgare il calcolo differenziale e integrale che aveva sviluppato durante il periodo parigino (1672-1676). Riviste come gli "Acta Eruditorum", i "Mémoires de l'Académie des Sciences" e il "Journal Littéraire", una rivista olandese, ospitavano articoli di Leibniz e dei suoi seguaci nei quali il lettore poteva trovare le regole e le applicazioni del calcolo leibniziano. Inoltre L'Hôpital pubblicava nel 1696 l'Analyse des infiniment petits, risultato delle lezioni sul calcolo differenziale impartitegli da Johann Bernoulli.

Ai primi del Settecento il calcolo di Leibniz era di dominio pubblico, mentre il metodo di Newton era pubblicato frammentariamente nelle opere di Wallis e in alcuni accenni obliqui contenuti nei Principia. Non deve stupire quindi che la formazione dei primi matematici newtoniani sia stata prevalentemente leibniziana. Essi trassero ispirazione soprattutto dagli "Acta Eruditorum" e dall'Analyse di L'Hôpital.

È questo il caso di John Craig, un matematico scozzese che, essendo in buoni rapporti con Newton, aveva avuto accesso ai manoscritti privati che questi custodiva nella sua stanza. Craig è autore di due trattati sulle quadrature (i primi trattati sul calcolo integrale), dal titolo Methodus figurarum lineis rectis & curvis comprehensarum quadraturas determinandi (1685) e Tractatus mathematicus de figurarum curvilinearum quadraturis et locis geometricis (1693). Entrambi erano scritti in notazione leibniziana. La notazione e le fonti citate da Craig erano prevalentemente continentali. Anche le note manoscritte sul metodo delle flussioni di un altro grande paladino di Newton, David Gregory, conservate nella biblioteca di Christ Church (Oxford), sono scritte in notazione flussionale, ma modellate e ispirate dagli articoli dei fratelli Jakob I (1654-1705) e Johann I Bernoulli, pubblicati sulle riviste continentali. È possibile moltiplicare le evidenze a sostegno del fatto che la formazione dei primi seguaci del metodo delle flussioni fosse leibniziana. John Harris (1666-1719), che ospitò nel suo Lexicon technicum (1704-1710) molti testi newtoniani e che si schierò a favore della filosofia naturale newtoniana, definisce i concetti fondamentali del calcolo in termini derivati da L'Hôpital. Lo stesso può essere detto della Fluxionum methodus inversa (1703) di George Cheyne o della Synopsis palmariorum matheseos (1706) di William Jones, editore delle opere matematiche di Newton. In queste opere, la 'flussione' di x, intesa da Newton come la velocità finita di accrescimento di una grandezza che varia nel tempo, è definita come una 'differenza infinitamente piccola', cioè come un leibniziano dx.

Il problema dei fondamenti: la polemica con Leibniz e con Berkeley

Questa situazione di confusione venne a cessare in conseguenza della polemica con Leibniz, che ebbe luogo nei primi decenni del XVIII secolo. Un primo effetto della polemica fu quello d'indurre Newton a pubblicare le sue opere matematiche. Nel 1704 comparve il Tractatus de quadratura curvarum e nel 1711 una serie di opuscoli, alcuni relativi al metodo delle flussioni. I newtoniani avevano quindi un modello a cui riferirsi.

Inoltre, nel corso della polemica, Newton cercò di distinguere quanto più nettamente possibile il suo metodo dal calcolo leibniziano, con l'aperto scopo di sostenere la superiorità del primo rispetto al secondo. Newton e i suoi seguaci ‒ quali John Keill (1671-1721), Taylor, e più tardi Maclaurin ‒ insistettero sui seguenti punti.

Secondo la versione dei partigiani di Newton, il calcolo di Leibniz era soltanto uno strumento adatto alla scoperta, ma non aveva una dignità scientifica. Esso, si ripeteva, consisteva in una cieca manipolazione di simboli, ma non era chiaro che cosa questi simboli significassero. In particolare il simbolo di differenziale, una grandezza diversa da zero ma che aggiunta a una quantità finita non la modifica, non poteva riferirsi a nessuna grandezza geometrica. Il metodo di Newton, invece, era ben fondato in quanto sempre traducibile in termini di grandezze geometriche finite: le quantità fluenti sono finite e anche le loro flussioni, o velocità di accrescimento. Newton inoltre, sempre secondo la versione dei suoi difensori, non impiegava nelle sue dimostrazioni un principio assurdo come il principio di cancellazione degli infinitesimi (x+dx=x), ma piuttosto un metodo dei limiti (il "metodo dei primi e ultimi rapporti"), che veniva presentato come una versione semplificata del 'metodo di esaustione' utilizzato da Archimede. Il metodo di Newton veniva quindi spacciato come una continuazione, un'estensione, di metodi accettati nella tradizione della geometria greca.

Furono sostanzialmente queste le argomentazioni messe in campo durante un altro periodo di crisi per la matematica britannica. Nel 1734, con The analyst, George Berkeley (1685-1753) accusò i matematici di commettere errori logici. L'obiettivo polemico di Berkeley erano proprio le definizioni dei termini fondamentali e le procedure argomentative adottate nel calcolo leibniziano e nel metodo delle flussioni newtoniano. Nell'Analyst si sosteneva che il ricorso agli infinitesimi (tanto i 'momenti' newtoniani, quanto i 'differenziali' leibniziani) era mal fondato, poiché non vi sarebbe alcun fondamento empirico nell'idea di una grandezza diversa da zero, ma più piccola di qualsiasi grandezza finita. Sappiamo che Newton, in alcune sue opere ‒ soprattutto in quelle scritte in polemica con Leibniz come l'Account to the commercium epistolicum (1715) ‒ aveva sostenuto che il suo metodo non era basato sugli infinitesimi ma piuttosto sulle fluenti, le flussioni e i limiti dei primi e ultimi rapporti. Berkeley faceva però osservare che anche il concetto di flussione ha una definizione empiricamente mal fondata. La flussione è definita da Newton come velocità istantanea di accrescimento di una grandezza fluente nel tempo. Secondo il vescovo anglicano noi abbiamo una determinazione empirica soltanto della velocità media, poiché possiamo misurare e percepire solamente intervalli finiti di spazio e di tempo. Anche i limiti di cui Newton si serviva erano messi sotto accusa nell'Analyst. Nella teoria dei "limiti delle quantità evanescenti" viene stabilito il limite a cui tende un rapporto fra due grandezze nell'istante in cui queste 'svaniscono' contemporaneamente. Ma, obiettava Berkeley, prima che le grandezze siano svanite il limite non è l'ultimo, quando sono svanite il limite è indeterminato (0/0). I leibniziani venivano invece messi di fronte all'obiezione secondo la quale la regola di cancellazione degli infinitesimi (x+dx=x) è valida soltanto se si accetta che dx sia uguale a zero. Tanto i newtoniani quanto i leibniziani avrebbero quindi basato i loro calcoli su nozioni empiricamente mal fondate e su procedure argomentative viziate da una fallacia suppositionis: alcune grandezze sarebbero considerate diverse da zero nella parte iniziale della dimostrazione, per poi essere uguagliate a zero negli ultimi passaggi deduttivi.

L'attacco sferrato da Berkeley suscitò grande scalpore. James Jurin (1684-1750), Benjamin Robins (1707-1751), Thomas Bayes (1702-1761), e altri, si schierarono a favore del metodo delle flussioni. L'effetto di questa polemica fu quello di far emergere un approccio ai fondamenti del calcolo newtoniano volutamente distinto dal calcolo leibniziano. Le sottili e temibili critiche dell'Analyst ‒ si sosteneva da parte newtoniana ‒ erano applicabili soltanto al calcolo di Leibniz.

La difesa più autorevole venne approntata da Maclaurin nel monumentale A treatise of fluxions (1742). Autorevole perché veniva dal titolare della cattedra di matematica dell'Università di Edimburgo e da colui che era riconosciuto, in campo matematico, come l'erede di Newton. Il Treatise si apre con un elogio della geometria degli Antichi e con una presa di distanza nei confronti del "metodo degli infinitesimi": non è infatti quest'ultimo il fondamento del calcolo delle flussioni. È piuttosto al 'metodo di esaustione' usato da Archimede che bisogna guardare per cogliere l'essenza del metodo newtoniano. Questo era stato ripetuto più volte; tuttavia Maclaurin procede a mostrare nei dettagli come la teoria newtoniana dei primi e ultimi rapporti possa essere ridotta a tecniche archimedee, a cui egli dedica la lunga introduzione al Treatise. Il verdetto di Maclaurin è drastico; i metodi di Archimede sono rigorosi, chi se ne è allontanato è caduto in errore: "Ma quando i principî e i metodi rigorosi degli Antichi […] furono abbandonati, divenne difficile per i Geometri stabilire dove ci si dovesse arrestare […] sicché sono rimasti vittime dei labirinti dell'infinito" (A treatise, p. 38).

Era un gioco facile, a questo punto, contrapporre al rigore di Archimede la spregiudicatezza di un autore continentale, Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657-1757), di cui Maclaurin cita lunghi passi dagli Éléments de la géométrie de l'infini (1727). È il concetto di infinito che in definitiva ha condotto i continentali a commettere errori in matematica che si sono poi propagati ad altri campi del sapere, "poiché la dottrina degli infiniti è intrecciata alle nostre speculazioni sulla geometria e sulla Natura" (A treatise, p. 39). Le speculazioni sugli infiniti mondi, sull'infinita divisibilità della materia (e da qui il rifiuto dell'"antica dottrina degli atomi"), sulle infinite gradazioni con cui avvengono le mutazioni in Natura (la "legge di continuità"), le gerarchie dei vortici infinitamente piccoli "a imitazione degli infinitesimi della geometria", sono rifiutate dal filosofo della Natura newtoniano.

Dopo aver rifiutato il metodo degli infinitesimi, Maclaurin procede alla pars construens. Egli, nei primi quattro capitoli, propone di partire dalle nozioni di moto, tempo, velocità istantanea, accettate come intuitive, e da una serie di assiomi concernenti il moto accelerato. Questa struttura assiomatica consente a Maclaurin di derivare gran parte dei risultati esposti nel Libro I del Treatise. Il Libro I è quindi interamente geometrico e può essere accomunato allo stile geometrico utilizzato in gran parte dei Principia di Newton. È stato però giustamente osservato che il Treatise consiste di due libri e che il secondo non è geometrico, bensì simbolico. Nel Libro II Maclaurin presenta l'algoritmo del calcolo delle flussioni con la caratteristica notazione a puntini. Egli però mette in chiaro che le procedure algoritmiche sono fondate sulle procedure geometriche del Libro I. Secondo Maclaurin, l'algoritmo di Newton non è quella cogitatio caeca lodata da Leibniz e dai suoi seguaci; è invece una procedura simbolica dotata di significato, che può essere tradotta in termini geometrici. I teoremi dimostrati simbolicamente nel Libro II contengono spesso rimandi al primo, volti a garantire l'interpretabilità geometrica dei simboli utilizzati.

Il Treatise of fluxions di Maclaurin dava una veste sistematica a idee profondamente radicate nella scienza britannica. In primo luogo rendeva possibile una comprensione dell'unità delle scienze matematiche; la matematica da Archimede a Newton era presentata come informata agli stessi metodi, concetti e procedure. In secondo luogo Maclaurin difendeva il classicismo condiviso da molti newtoniani, secondo i quali Newton era il riscopritore di un'antica saggezza. Le edizioni di Apollonio curate da Edmond Halley (1656-1742) e David Gregory, gli studi sui Porismi di Euclide di Mattew Stewart (1717-1785) e di Robert Simson (1687-1768) non erano imprese portate avanti per meri interessi filologici; si trattava di ricerche motivate dall'interesse scientifico di far rivivere la matematica degli antichi. In terzo luogo Maclaurin mostrava che il metodo delle flussioni aveva un contenuto oggettivo. Newton aveva aperto il Tractatus de quadratura curvarum affermando che fluenti e flussioni "hanno un'esistenza in rerum natura". Maclaurin, nel Libro II, mostrava nei dettagli che il simbolismo delle flussioni era dotato di un'interpretazione geometrica.

Si è detto che ai primi del Settecento i matematici britannici avevano, per quanto concerne il calcolo, una formazione leibniziana. Dopo la polemica con Leibniz sull'invenzione del calcolo e quella con Berkeley sui fondamenti, si assiste alla formazione di una metodologia newtoniana pensata in opposizione a quella seguita dai continentali. Il Treatise of fluxions di Maclaurin è il manifesto che sancisce la formazione della scuola newtoniana.

La scuola newtoniana: la fase di sviluppo e il declino

Dal 1700 al 1750

Il Treatise of fluxions non consisteva soltanto in una replica alle critiche sui fondamenti di Berkeley. In più di settecento pagine Maclaurin raccoglieva i risultati di decenni di ricerche sul metodo flussionale, sia puro sia applicato. Prima di procedere a una sommaria descrizione di queste ricerche è opportuno fare un passo indietro per dar conto dei precedenti successi ottenuti dalla scuola newtoniana nella prima metà del secolo. I principali protagonisti furono Cotes, de Moivre, Stirling e Taylor.

Cotes è ben noto come editore della seconda edizione dei Principia (1713), a cui attese dal 1709 al 1713. Nel 1707 era stato nominato Plumian professor di astronomia a Cambridge. Fu da subito un ardente difensore della scienza newtoniana e, con William Whiston (1667-1752), successore di Newton come Lucasian professor di matematica, iniziò un programma di lezioni di carattere sperimentale. Come matematico si concentrò sulla teoria dell'integrazione delle funzioni irrazionali. Egli espresse gli integrali, o secondo le sue parole le "forme delle fluenti", in termini di funzioni trigonometriche e della funzione logaritmica. Questo lo portò a concepire un'"armonia fra le misure degli angoli e le misure dei logaritmi". In una notazione innovativa, e per certi versi faticosa, aprì la strada alla comprensione della formula iy=ln(cosy+iseny). È interessante notare come Cotes arrivò a concepire la formula precedente. Egli s'interessò al calcolo dell'area della superficie di un ellissoide di rotazione e osservò che il risultato poteva essere espresso in due modi equivalenti; il primo in termini di logaritmi, il secondo in termini della funzione arcoseno. Eguagliando le due espressioni Cotes ottenne appunto il primo indizio dell'"armonia" fra la funzione logaritmica e le funzioni trigonometriche (un esempio che illustra come i risultati algoritmici del calcolo fossero allora intrecciati a ricerche geometriche). Nei suoi studi sulla teoria dell'integrazione egli arrivò a un risultato che, espresso analiticamente, equivale alla fattorizzazione di xnan, dove n è un intero positivo. Infine va ricordato che Cotes studiò tecniche approssimate di integrazione (gli si deve la cosiddetta 'formula di Newton-Cotes') e anticipò il metodo dei minimi quadrati. Tutti questi risultati furono pubblicati in un articolo comparso nelle "Philosophical Transactions" con il titolo Logometria (1717) e in un'opera postuma, l'Harmonia mensurarum (1722).

I risultati più importanti di de Moivre sono legati al calcolo delle probabilità. Qui vogliamo ricordare che, per quanto attiene al calcolo, egli ottenne la cosiddetta 'formula di Stirling per n!', sviluppò considerazioni simili a quelle di Cotes sugli integrali in termini di funzioni logaritmiche e trigonometriche ed espresse la formula che porta il suo nome: (cosx+isenx)n=cosnx+isennx.

James Stirling (1692-1770), un matematico scozzese di tendenze giacobite, dedicò i suoi primi studi alla classificazione delle cubiche, un argomento che Newton aveva affrontato in un'operetta stampata nel 1711. Stirling pubblicò nel 1717 Lineae tertii ordinis Neutonianae, un lavoro nel quale aggiunse quattro nuove specie di curve cubiche alle settantadue scoperte da Newton. A causa delle sue idee politiche, Stirling lasciò la Gran Bretagna per stabilirsi a Venezia. Questa fu un'occasione per stabilire contatti coi matematici continentali, che mantenne anche dopo il ritorno in patria: fra i suoi corrispondenti citiamo Clairaut ed Euler. Nel 1748 fu eletto membro della Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze) di Berlino, ulteriore testimonianza della fortuna della sua opera oltremanica. Dopo l'interesse per le cubiche, Stirling sviluppò importanti ricerche nel campo delle differenze finite e delle serie, che furono pubblicate nella Methodus differentialis (1730). Il problema principale di questo trattato è quello di accelerare la convergenza delle serie. Molte delle serie infinite allora note (per es., la famosa serie di Leibniz π/4=1−1/3+1/5−1/7+…) convergono molto lentamente: in altre parole è necessario sommare un numero molto grande di termini per ottenere l'approssimazione voluta. Nel manipolare le serie, Stirling spesso necessitava di tecniche di conversione tra fattoriali e potenze. Egli costruì tavole di conversione dove compaiono i cosiddetti 'numeri di Stirling di prima e seconda specie'. Si occupò anche di interpolazione delle serie. Per esempio, egli considerò la serie Tn+1=nTn, con T1=1 e si pose il problema di determinare il termine T3/2. Il suo risultato fu Γ(1/2)=√π. I suoi studi anticipano molti risultati concernenti la funzione gamma e le serie ipergeometriche. Come si vede, il giudizio secondo il quale la scuola newtoniana faceva affidamento soltanto su metodi geometrici è del tutto infondato.

Di un tenore altrettanto analitico sono le ricerche di Taylor, raccolte nella Methodus incrementorum directa et inversa del 1715, che fu, con ogni probabilità, una fonte di ispirazione per Stirling. L'approccio di Taylor al calcolo privilegiava lo studio delle differenze finite: egli riteneva cioè che convenisse acquisire una conoscenza approfondita del calcolo delle differenze finite prima di passare a considerare il calcolo infinitesimale. Come afferma in un saggio apparso nel 1717 nelle "Philosophical Transactions": "io penso che sia necessario considerare le proprietà degli incrementi in generale e dalle loro proprietà derivare una conoscenza perfetta del metodo delle flussioni" (An account of a book entituled 'Methodus incrementorum', pp. 339-340). L'opera più conosciuta di Taylor, la Methodus incrementorum, tratta appunto del calcolo degli 'incrementi', o, come diremmo noi, delle differenze finite; vi troviamo l'enunciato del teorema di Taylor, che è derivato da una formula caratteristica del calcolo delle differenze finite ‒ una formula di interpolazione che Newton aveva pubblicato nel lemma 5 del Libro III dei Principia. Anche se l'approccio di Taylor è originale, il suo teorema era in effetti nell'aria. Già Newton e James Gregory (1638-1675) lo avevano enunciato in manoscritti non pubblicati e Johann I Bernoulli aveva espresso nel 1694 una serie infinita equivalente a quella di Taylor. Fra i risultati di Taylor ricordiamo l'identificazione di una soluzione singolare di un'equazione differenziale, una formula per ottenere la relazione fra la derivata di una funzione e la derivata dell'inversa della stessa funzione, nonché i suoi studi sul centro di oscillazione e sulla corda vibrante. Tutti questi risultati erano ben noti ai matematici continentali: de Moivre, Montmort e Taylor ebbero una proficua corrispondenza concernente le serie infinite e il calcolo delle probabilità.

Altrettanto noto ai continentali fu il lavoro di Maclaurin. Abbiamo già discusso i suoi contributi al problema dei fondamenti; qui conviene ricordare il suo notevole contributo alla teoria delle serie. Egli applicò la cosiddetta serie di Maclaurin, un caso particolare della serie di Taylor, allo studio delle funzioni e caratterizzò in termini del tutto generali lo studio dei massimi, dei minimi e dei punti di flesso di funzioni infinitamente differenziabili, in termini delle derivate di ordine superiore. Questi studi furono ripresi da Euler e Lagrange. Ancor più noti e apprezzati furono gli studi relativi all'attrazione degli ellissoidi. Egli mostrò che un ellissoide di rotazione oblato è una forma possibile di equilibrio per una massa fluida omogenea posta in rotazione sotto l'azione della gravità; in questo contesto egli introdusse il concetto di superficie di livello che avrà una notevole rilevanza nella teoria del potenziale. I suoi studi furono apprezzati e ripresi da Clairaut. Nel Treatise of fluxions si trova inoltre la dimostrazione della formula di Euler-Maclaurin, che esprime il valore degli integrali definiti per mezzo di una serie i cui coefficienti sono i numeri di Bernoulli. Maclaurin studiò inoltre gli integrali ellittici; il suo lavoro su questo tema fu preso in considerazione da d'Alembert e generalizzato da Euler.

Dal 1750 al 1800

Due dei temi trattati da Maclaurin, gli integrali ellittici e l'attrazione degli ellissoidi, furono ulteriormente sviluppati da John Landen (1719-1790) e Thomas Simpson (1710-1761). Il primo è ancora oggi ricordato per la 'trasformazione di Landen', che fu utilizzata poi da Adrien-Marie Legendre (1752-1833) e che permette il calcolo dei suddetti integrali. Gli studi di Simpson sull'attrazione degli ellissoidi e sulla meccanica celeste sono invece meno noti; nonostante l'indubbia qualità matematica del suo lavoro, egli non fu in grado di dare un contributo decisivo al calcolo. Lo stesso si può dire di Edward Waring (1734-1798), un matematico che eccelse nella teoria dei numeri. Le Meditationes analyticae (1776) di Waring contengono molti teoremi sulle equazioni alle derivate parziali, ma si tratta di una ripetizione di quanto Euler aveva già realizzato. Landen, Simpson e Waring favorivano apertamente un approccio analitico al calcolo; Landen si fece portatore, nella Residual analysis (1764), di un tentativo di fondazione algebrica del calcolo che anticipa certi aspetti del programma fondazionale di Lagrange. Eppure essi non furono in grado di competere con i continentali. Nel Continente il calcolo era stato trasformato, sotto l'impulso delle ricerche di Euler, in qualcosa di radicalmente innovativo. Alla metà del XVIII sec. i continentali maneggiavano concetti e teorie nuovi: si pensi all'introduzione del concetto di funzione, di funzione in più variabili, delle derivate parziali e del calcolo delle variazioni. Per una complessa serie di motivi, a tutt'oggi oggetto del dibattito storico, i britannici non furono pronti ad accettare e incorporare queste innovazioni nel loro schema concettuale, il che portò a un progressivo isolamento nei confronti dei continentali.

I 'philomaths', la Royal Society e le scuole militari

Nella seconda metà del Settecento, i matematici britannici vennero a trovarsi in una situazione di difficoltà. Si è già detto dell'isolamento nei confronti del Continente ma anche in patria le cose non andavano meglio. La matematica era poco coltivata nelle università, con l'eccezione di Cambridge dove, a partire dal 1747, il tripos exam selezionava i migliori studenti in base a prove di matematica, che nei primi anni furono orali e in seguito divennero scritte. Inoltre la presenza a Cambridge di insegnanti quali Nicholas Saunderson (1682-1739), John Colson (1680-1760) e in seguito Waring, che coprirono la cattedra Lucasiana di matematica dal 1711 al 1798, garantì un buon livello di insegnamento. Questi tre studiosi, succedutisi sulla cattedra che era stata di Newton, favorirono un approccio al calcolo simbolico e algoritmico. Il gruppo di valenti matematici educati a Cambridge nella seconda metà del Settecento è numeroso: Samuel Vince, James Wood, Waring, John Rowning, George Atwood, Francis Maseres, Nevil Maskelyne, William Frend, John Brinkley, Henry Cavendish e Robert Woodhouse.

All'estero il prestigio della matematica era garantito, soprattutto a Berlino, Pietroburgo e Parigi, dalla posizione occupata dai matematici nelle accademie e nelle società scientifiche, mentre la Royal Society si dimostrava avara di riconoscimenti nei loro confronti. Il presidente Joseph Banks (1743-1820) orchestrò nel 1783 una campagna contro i soci matematici. Charles Hutton (1737-1823), un matematico eletto foreign secretary nel 1779, fu costretto a dare le dimissioni in seguito alle decisioni di un comitato che avrebbe rilevato alcune sue inadempienze; ne seguì una polemica molto aspra, definita allora come una guerra fra i 'discepoli di Linneo' e i philomaths. L'astronomo reale Maskelyne, Samuel Horsley (1733-1806) e altri matematici si ritirarono per protesta dalla Royal Society. Dietro queste schermaglie si celava una spaccatura fra i soci più altolocati, interessati alla storia naturale, alla botanica, alla zoologia, all'archeologia, e i philomaths, spesso di umili origini (Hutton era figlio di un minatore), interessati alla matematica applicata, all'ingegneria, alla costruzione di strumenti scientifici. La formazione di molti philomaths come Simpson, Landen e Hutton avvenne fuori dalle Università. Essi venivano dalla provincia, si erano formati come autodidatti e si consideravano colleghi e interlocutori degli artigiani costruttori di strumenti, dei commercianti, degli industriali, degli uomini d'armi interessati all'artiglieria e alla navigazione.

Erano spesso le scuole militari a offrire un lavoro ai philomaths. L'Accademia militare di Woolwich (fondata nel 1741) ebbe fra i suoi insegnanti di matematica John Muller, Simpson, Hutton, Olynthus Gregory, Peter Barlow. Nel Royal Military College di Sandhurst insegnarono Thomas Leybourn, James Ivory e William Wallace. L'ambiente delle accademie militari era pronto a valorizzare le competenze in matematica applicata. Molti fra i philomaths inseriti nelle accademie dettero contributi alla teoria delle fortificazioni o alla balistica riconosciuti all'estero. Il loro stile matematico era spesso molto vicino allo stile analitico dei continentali. Hutton, nel suo fortunato A mathematical and philosophical dictionary (1795-1796), alla voce 'Analisi' scriveva: "Se non potessimo guardare oltre il metodo degli Antichi, è probabile che, anche con la migliore genialità, non potremmo aver fatto che modeste scoperte, in confronto con quelle ottenute grazie alla moderna analisi" (I, p. 107).

Erano numerose le aperture nei confronti dei continentali dimostrate dai matematici delle accademie militari. Oltre al caso di Hutton, possiamo citare un periodico fondato da Leybourn nel 1795 intitolato "Mathematical and Philosophical Repository" che si distinse per la qualità dei lavori pubblicati da matematici di buon livello quali Hutton, Barlow, Olynthus Gregory, Charles Babbage, John Frederick William Herschel, George Peacock, Mary Somerville, John Toplis, Benjamin Gompertz e William George Horner. Inoltre troviamo spesso a partire dal 1807 l'uso della notazione differenziale. Sul "Repository" furono tradotte alcune memorie di Lagrange e di Legendre. Dalle scuole militari venne così un impulso importante diretto alla promozione della matematica applicata e alla presa di coscienza dell'importanza della matematica continentale.

Verso la riforma del calcolo britannico

I tempi erano maturi per una decisa azione di riforma del calcolo britannico. Questa azione fu intrapresa, come è noto, dalla Analytical Society di Cambridge, fondata nel 1812 da Babbage, Herschel, Peacock e altri giovani studenti i quali avevano alle spalle un lungo periodo di preparazione a quest'azione di rivolta contro ‒ come dicevano scherzosamente ‒ la dot-age (un gioco di parole in cui 'età del punto', ossia della notazione newtoniana, suona come 'dabbenaggine') dell'Università. Già Simpson, Landen e Waring avevano guardato con interesse al Continente e le scuole militari avevano fatto la loro parte. John Toplis (1774-1857), traduttore del Libro I del Traité de mécanique céleste di Laplace, scriveva nel 1805 un articolo intitolato On the decline of mathematical studies, and the sciences dependent upon them, in cui metteva a confronto la florida crescita della matematica in Francia con la deprimente situazione inglese. Nel 1808 John Playfair (1748-1819), in una recensione del Traité de méchanique céleste apparsa su "The Edinburgh Review", aveva stigmatizzato la decadenza degli studi e della ricerca in Gran Bretagna. Riferendosi al problema dei tre corpi e alla teoria delle maree, egli dichiarava con amarezza: "nell'elenco di matematici e filosofi verso i quali questa scienza [la trattazione matematica delle perturbazioni planetarie e dei moti mareali] è debitrice negli ultimi sessanta o settanta anni, non compare neppure un nome britannico" (Traité de méchanique céleste, pp. 279-280).

A molti era chiaro che si dovesse guardare alla Francia. La matematica francese godeva di uno stato di grazia; inoltre le grandi istituzioni di ricerca e di insegnamento francesi (si pensi all'École Polytechnique) le attribuivano un'importanza enorme. Sarebbe stato quindi naturale per i giovani soci della Analytical Society guardare alla matematica francese. La loro scelta cadde sul metodo algebrico degli operatori favorito dalla scuola lagrangiana e sarà questo metodo ‒ già difeso da Woodhouse nei Principles of analytical calculation (1803) ‒ a dominare in Gran Bretagna nella prima metà dell'Ottocento, dando numerosi frutti: basti citare le ricerche di Babbage, Herschel, George Biddell Airy, William Whewell, Augustus De Morgan e George Boole.

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