L'Età dei Lumi: matematica. Architettura e struttura fra tradizione e scienza della costruzione

Storia della Scienza (2002)

L'Eta dei Lumi: matematica. Architettura e struttura fra tradizione e scienza della costruzione

Joël Sakarovitch

Architettura e struttura fra tradizione e scienza della costruzione

Il mondo dell'architettura e quello scientifico si fiancheggiano, pur comunicando poco, fino a un periodo relativamente recente. Il confronto tra i due mondi, la cui ricchezza va di pari passo con la sua eccezionalità, avviene dunque al confine tra due universi, che nel XVIII sec. s'ignorano ancora ampiamente, e riguarda alcune operazioni architettoniche straordinarie, alcuni problemi particolari e alcune figure individuali. Il mondo dell'edilizia è infatti caratterizzato più dal tradizionalismo che dall'inventiva, dall'inerzia più che dalla rapidità di evoluzione. I suoi schemi mentali pesano quanto i materiali utilizzati nei cantieri e si evolvono con la stessa velocità con cui si muovono i mezzi da trasporto dell'epoca.

I procedimenti di costruzione non subiscono mutamenti significativi fino al XIX secolo. Nel secolo dei Lumi, nell'edilizia tradizionale non appare alcun elemento nuovo ‒ se si escludono alcuni miglioramenti nel taglio della pietra ‒ e le macchine impiegate derivano da quelle dei Romani. Eugène Viollet-le-Duc, per esempio, nel suo Dictionnaire raisonné de l'architecture française du XIe au XVIe siècle (1854-1868) segnala l'esistenza di una gru del XIV sec. che rassomigliava a quella utilizzata nel XVIII.

La situazione del Settecento soffre, più che altro, del confronto con il secolo successivo. Durante l'Ottocento, infatti, la Rivoluzione industriale produce una rivoluzione delle tecniche di costruzione, dei materiali e dell'organizzazione del cantiere, che trasformerà la città moderna: l'uso delle armature metalliche e poi del cemento armato, dell'asfalto e del bitume per il rivestimento delle strade, dell'illuminazione a gas nelle città, delle condutture per l'acqua potabile, del riscaldamento centralizzato, la caduta dei prezzi dei materiali da costruzione e l'aumento della loro resistenza, la meccanizzazione dei cantieri (il primo caso riguarda la costruzione del porto di Plymouth nel 1805-1806) e l'utilizzo delle prime macchine da cantiere (per es., l'adozione del sistema di sollevamento a vapore in Gran Bretagna all'inizio del secolo, o della scavatrice meccanica Otis negli Stati Uniti nel 1836), e così via. L'Ottocento sarà inoltre caratterizzato dalla frattura tra architetti e ingegneri. Quanto più l'evoluzione del mondo delle costruzioni appare al profano spettacolare, rapida, multiforme ed evidente nel XIX sec., tanto più essa rimane discreta, nascosta e sotterranea nel XVIII secolo. Occorre allora mettere in evidenza quei primi cambiamenti che renderanno possibile lo sviluppo della rivoluzione del secolo a venire.

Il mondo delle realizzazioni architettoniche del Settecento non è insensibile al vasto movimento d'idee del suo tempo. Prendono corpo, lentamente e frammentariamente, ramificazioni di quelle che potremmo definire 'scienze intermedie', che si propongono di utilizzare gli sviluppi della scienza ‒ in primo luogo il calcolo infinitesimale e la fisica newtoniana ‒ per trattare teoricamente i problemi incontrati nel processo di edificazione. Simultaneamente, si formano e si organizzano gli attori privilegiati di questa scienza intermedia: gli ingegneri. Questa evoluzione avviene principalmente in due campi: la meccanica e lo studio della resistenza dei materiali da una parte, e la geometria dall'altra. Essa tende alla trattazione teorica di problemi pratici, ossia all'applicazione delle teorie note o del metodo scientifico a problemi concreti. Prima di esaminare questo doppio movimento, tuttavia, è necessario precisare rapidamente le condizioni della produzione architettonica, in particolare le teorie architettoniche allora in voga, l'organizzazione della professione e l'evoluzione delle tecniche di cantiere.

La produzione architettonica

Le teorie architettoniche

Ciò che caratterizza nel modo migliore l'Europa architettonica del secolo dei Lumi è il fatto che essa, stanca, almeno in parte, degli eccessi del Barocco e stimolata dalle recenti scoperte archeologiche, opera un ritorno all'Antico. I ritrovamenti archeologici di questo secolo, in primis quelli di Ercolano e di Pompei, di Paestum, o che avvengono in Grecia, risvegliano un nuovo interesse per l'Antichità e danno origine a un'abbondante letteratura. Indipendentemente dalle considerazioni sugli stili architettonici, che non rientrano nell'ambito di questo scritto, le riscoperte legate a questa moda avranno un'influenza profonda sull'edilizia dell'epoca, dal momento che l'interesse per l'Antico era fondato su un'archeologia più scientifica rispetto a quella del Rinascimento. Due aspetti ci interessano in modo particolare. Da una parte, i visitatori sono stupiti dalla solidità dei monumenti antichi: gli architetti, gli ingegneri, i fisici o i chimici tentano di scoprire il segreto delle malte romane, dando un primo impulso alle ricerche sulla composizione del cemento a partire dalla metà degli anni Sessanta del secolo. Dall'altra, il gusto per l'Antichità rivisitata condurrà alcuni architetti a tentare sintesi costruttive innaturali, tra le quali il Panthéon di Parigi è l'esempio più noto.

Si può dire che l'architettura francese del XVIII sec. ha inizio con il rifiuto del progetto per il Louvre presentato da Gian Lorenzo Bernini nel 1667, rifiuto che rappresenta la critica del Barocco italiano, per promuovere un ritorno al classico. Il Settecento francese vede anche l'apparizione dei primi teorici del razionalismo in architettura. René Frémin (1672-1744), nei suoi Mémoires critiques d'architecture (1702), critica l'architettura gotica per quanto riguarda la decorazione, ma le riconosce una logica e una capacità strutturali superiori all'architettura classica. Il padre gesuita Marc-Antoine Laugier (1713-1769), pur non essendo architetto, accende un vivo dibattito ed esercita un'influenza profonda con il suo Essai sur l'architecture del 1753, difendendo la tesi che la bellezza ha le sue regole derivate dall'adattamento alla funzione. Ponendo in primo piano la ragione, le sue teorie non potevano che essere in consonanza con quelle dei filosofi illuministi. Nella seconda metà del secolo si impose a poco a poco l'idea che la decorazione fosse subordinata alla struttura portante e che l'architettura fosse principalmente l'arte di costruire secondo l'oggetto, il soggetto e il luogo.

La professione

L'architetto si trova al confine fra tre attività: artistica, commerciale e tecnica. D'origine sociale meno elevata rispetto all'ingegnere, l'architetto fa in generale una carriera più modesta; alla fine del XVIII sec., quella dell'architetto è ancora una professione rara in Europa e per giunta mal definita. Gli architetti sono imprenditori e promotori: alcuni sanno arricchirsi considerevolmente, abbassando i costi di costruzione e approfittando abilmente dei movimenti speculativi. In Francia, l'architetto è parigino (anche se a Parigi le opere edilizie costituiscono soltanto il 10-20% del totale nazionale) e si contano solamente una trentina di architetti del re, il cui titolo è protetto a partire dal 1717. In Inghilterra il titolo è ancora più vago e la fondazione del Royal Institute of British Architects, che esclude gli addetti al computo metrico e gli imprenditori, risale soltanto al 1834. In tutta Europa, la distinzione tra architetto e imprenditore avviene soltanto nel XIX secolo.

Nel Settecento, le professioni di architetto e di ingegnere sono ancora vicine. Christopher Wren (1632-1723), così come Claude Perrault (1613-1688), ha una formazione non di architetto ma di scienziato. Jean-Rodolphe Perronet (1708-1794) ha una formazione di architetto e Claude-Nicolas Ledoux (1736-1806) comincia la sua carriera esercitando il mestiere di ingegnere. James Bridley (1716-1772), ingegnere dei canali in Inghilterra, non è un teorico, ha una preparazione acquisita sul campo, e John Smeaton (1724-1792), una delle figure di spicco dell'ingegneria britannica, è un autodidatta. Se durante il XVIII sec. la formazione degli ingegneri è istituzionalizzata in tutta l'Europa continentale, quella degli architetti resta, invece, essenzialmente un apprendimento sul campo, più o meno diretto dalle accademie.

In Francia la formazione degli architetti è affidata all'Académie d'Architecture, creata da Jean-Baptiste Colbert (1619-1683) nel 1671 e di cui Nicolas-François Blondel (1618-1686) fu il primo direttore e il primo professore d'architettura. Blondel, così come i suoi successori, impartisce all'epoca il solo corso pubblico di architettura, controllato dall'Académie, fino a quando, nel 1743, Jacques-François Blondel (1705-1774) fonda l'École des Arts e inaugura il primo corso privato d'architettura, ritenendo lacunoso quello dell'Académie. Nel 1790, nei suoi Mémoires sur l'architecture Jean-Baptiste Rondelet (1743-1829) si lamenta ancora del fatto che l'unico corso di architettura tenuto dall'Académie sia consacrato esclusivamente alla decorazione e si propone di aggiungervi altri due corsi, di cui uno dedicato alla costruzione.

Anche in Italia la formazione degli architetti avviene attraverso le accademie: la più celebre è l'Accademia di San Luca, fondata nel 1577. In ogni caso, a partire dalla seconda metà del XVIII sec., la necessità di riorganizzare l'insegnamento dell'architettura si impone in tutti i paesi europei.

Nella cultura inglese, varie istituzioni private si occupano della formazione degli architetti, in particolare attraverso viaggi di studio. Ciò vale per la Society of Dilettanti, fondata nel 1734, per l'Antiquarian Society e, in seguito, per l'Academy of Arts, fondata nel 1768, che organizza tour a Roma. Nel 1791 un gruppo di architetti sostenuto dalla Society of Civil Engineers di Smeaton fonda l'Architect's Club, con un programma innovatore.

Le tecniche di costruzione

Nel XVIII sec., in seguito alle guerre o agli incendi, in Europa si costruisce molto, ma si costruisce generalmente in fretta, a costi minimi, e la qualità è del tutto disomogenea, spesso molto inferiore a quella del secolo precedente. Londra rappresenta un caso un po' particolare: il grande incendio del 1666 distrusse 13.000 case e una cinquantina di chiese. All'incendio fece seguito una massiccia ricostruzione, in generale a costi limitati. Anche Pietroburgo divenne un vasto cantiere e, sotto la direzione di Bartolomeo Francesco Rastrelli (1700-1771), architetto delle imperatrici Anna Ivanovna ed Elisabetta, le tecniche di costruzione, anche se non originali, assunsero una qualità eccellente. In Italia, l'edilizia civile è attiva quanto quella religiosa. A Parigi, il secolo vede l'inizio dell'edilizia privata su grande scala, la moltiplicazione delle case d'affitto e, nella seconda metà del secolo, di molti hôtels particuliers; gli edifici ordinari si deteriorano velocemente e altrettanto velocemente sono restaurati. I materiali impiegati sono molto vari: quasi sempre (in oltre il 90% dei casi) si usa il gesso, anche all'esterno delle costruzioni, ma talvolta, come materiale di riempimento, sono utilizzate addirittura ossa.

L'evoluzione tecnica del cantiere è modesta, se confrontata con quella del secolo successivo, ma non è affatto trascurabile. Occorre soprattutto segnalare il miglioramento del materiale da costruzione e i primi tentativi di modificare l'organizzazione dei cantieri.

La tecnologia del cemento (torrefazione dell'argilla calcarea) emerge tra il 1770 e il 1830 dalla tecnica della calce (calcinazione del calcare). Se i progressi più spettacolari si verificano all'inizio del XIX sec. ‒ in termini di riduzione dei costi e di un enorme aumento della resistenza delle malte ‒, le ricerche sperimentali in questo campo sono iniziate alla fine del XVIII secolo. Smeaton, dopo aver diretto l'ampliamento del porto di Dover e aver partecipato alla costruzione del ponte di Londra, nel 1756 è incaricato di costruire il faro di Eddystone. A questo fine egli svolge vari esperimenti sulle qualità delle calci, giungendo alla conclusione che le migliori calci idrauliche sono ottenute a partire da un calcare contenente tra il 5% e il 20% di argilla. In Inghilterra lo sviluppo dei canali genera una richiesta enorme di calce idraulica che, a sua volta, dà impulso a esperimenti in questo campo: James Parker brevetta il 'cemento romano' nel 1796. Un saggio dell'architetto francese Antoine-Joseph Loriot (1716-1782), alla metà del secolo, anch'esso dedicato alla 'malta romana', suscita entusiasmo per questa calce apparentemente molto resistente, ma che in realtà invecchia male e quindi si rivela un notevole fallimento. In ogni caso, l'argomento appassiona tutta l'Europa scientifica durante l'ultimo terzo del secolo, dando vita a un dibattito tra chimici e meccanici: i primi sostengono che la forza della calce deriva dall'additivo chimico aggiunto, i secondi dalle modalità della sua applicazione.

Nel XVIII sec. il calcestruzzo, composto di calce e pietrame, ha una reputazione piuttosto cattiva. Bernard Forest de Bélidor (1697-1761), che nell'Architecture hydraulique ne propone l'uso per le fondamenta, rappresenta un'eccezione fra i tecnici di inizio secolo. Nel 1783, Joseph-Mathieu Sganzin (1750-1837) sperimenta con successo l'impiego di un calcestruzzo composto di calce, pietra e cocci di tegola o surrogato di pozzolana, per le fondamenta di un pilone del vecchio ponte di Cahors, per poi ripetere l'esperienza a Le Havre nel 1785 e a Cherbourg nel 1787. Il calcestruzzo conoscerà tuttavia un vero e proprio sviluppo soltanto nel secolo successivo, in particolare con Louis-Joseph Vicat (1786-1861).

I progressi nella fabbricazione del vetro risalgono al XVII sec., ma nel Settecento un abbassamento dei costi di produzione permette l'uso in grande scala del vetro piatto. Sollecitate dalle richieste di Versailles, a partire dal 1695 le vetrerie di Saint-Gobain fabbricano vetro a costi relativamente bassi; da ciò deriva un cambiamento nella progettazione degli appartamenti, in quanto si possono illuminare le stanze più in profondità; un'altra conseguenza di questa diminuzione dei costi è la moltiplicazione dei bow-windows, in Inghilterra, a partire dal 1750 circa. Anche il legno, senza dubbio il materiale da costruzione più antico, sarà utilizzato dai costruttori del XVIII sec. che riusciranno a sfruttarlo fino al limite delle sue possibilità. Ne sono esempi spettacolari i ponti costruiti da Johann Ulrich Grubenmann (1709-1783), carpentiere svizzero che unisce una notevole abilità artigianale a una grande conoscenza dei materiali. In particolare, egli realizza in Svizzera il ponte di Sciaffusa sul Reno, costruendo due archi con campate di 52 e 58 m; inaugurato nel 1758, il ponte sarà incendiato dalle truppe francesi nel 1799. Il ponte di Wettingen, che ha una campata di 61 m, sarà il più grande d'Europa. Per comprendere l'eccezionalità di queste imprese tecniche, bisogna ricordare che le dimensioni di queste campate corrispondono al limite massimo raggiungibile dai ponti di muratura dell'inizio del XIX secolo. La sala di esercizi di Darmstadt, costruita nel 1771, detenne il record di portata delle travature di legno (42,5 m), fino a quando, nel 1818, Augustín José Pedro Betancourt (1758-1824) ne costruì una a Mosca, per lo zar Alessandro I, di forma circolare con travature di 150 piedi (45 m) di portata.

Una cupola di legno che ha detenuto a lungo il record del più grande spazio coperto di Francia è la cupola della Halle au blé. Questa costruzione circolare era stata progettata da Nicolas Le Camus de Mézières (1721-1789) nel 1763; divenuta insufficiente, si rivelerà indispensabile coprire anche la corte centrale circolare. Tra i diversi progetti proposti, sarà infine scelto, nel 1783, quello di Jacques-Guillaume Legrand (1743-1808) e Jacques Molinos (1743-1831); gli architetti parigini riscoprivano così, in un certo senso, la "impalcatura a legnetti" di Philibert Delorme (1510 ca.-1570). La modernità di questa volta deriva dalla sua leggerezza, dalla rapidità di esecuzione, dal basso costo e dalla trasparenza della copertura. Thomas Jefferson (1734-1826), che fu architetto prima di diventare presidente degli Stati Uniti, la considerò come "la più bella cosa del mondo" e avrebbe voluto imitarla per il Campidoglio di Washington. La rapidità con cui un incendio distrusse la cupola nel 1802 finì tuttavia per dare un potente impulso alla diffusione dell'architettura metallica in Francia.

L'uso del metallo non è una novità del XVIII sec.; i ramponi di metallo dell'Antichità, i tiranti nelle chiese gotiche, le catene e gli anelli per rinforzare le cupole nel Rinascimento, per non parlare del colonnato di Perrault al Louvre o la cattedrale di St. Paul di Wren, dimostrano che il metallo aveva acquisito un certo credito nell'architettura già prima del periodo che qui ci interessa. In ogni modo, in questo campo come in molti altri, il Settecento giocherà un ruolo di cerniera preparando il terreno agli sviluppi futuri dell'architettura metallica, che costituirà una delle caratteristiche del secolo successivo.

All'inizio del XVIII sec., trattando il minerale di ferro con il carbon fossile al posto del carbone di legna, il padrone delle fonderie Abraham Darby I (1677-1717) riuscì a ridurre sensibilmente il costo di produzione della ghisa, contribuendo così alla Rivoluzione industriale. Tra il 1777 e il 1779, il suo discendente Abraham Darby III (1750-1789), realizzò, su progetto dell'architetto Thomas Pritchard (1723-1777), il ponte di Coalbrookdale, sul Severn, che costituì il vero e proprio atto di nascita dell'architettura metallica. Costruito in prossimità delle loro fonderie, il ponte fu una vetrina per i Darby e, resistendo a una forte piena nel 1795, divenne celebre a livello internazionale. Il ponte di Sunderland, realizzato da Rowland Burdon e inaugurato nel 1796, è la prova dei progressi conseguiti in questo campo; per la portata (quasi 72 m), per la rapidità d'esecuzione (la volta fu assemblata in dieci giorni), per la leggerezza dell'arco (260 t, laddove quella di Coalbrookdale pesava una volta e mezzo di più per una portata di 30 m), per la tecnica di montaggio (che evitò d'interrompere il traffico fluviale) e per il contenimento dei costi (30.000 sterline), il ponte di Sunderland lasciò intravedere le immense possibilità del nuovo materiale.

La ghisa ha una resistenza alla compressione sessanta volte superiore a quella della pietra calcarea, mentre il ferro resiste bene alla trazione. A Coalbrookdale, il ponte è trattato come una struttura portante di legno, con le tecniche di assemblaggio di carpenteria (coda di rondine, incastratura a maschio e a femmina, ecc.), mentre a Sunderland l'arcata è costituita da 6 archi composti da 105 pannelli di ghisa che lavorano come conci assemblati da listelli piatti di ferro battuto. Come noterà Rondelet, in questi due esempi si sostituisce semplicemente un materiale nuovo a uno vecchio, senza tenere conto delle sue qualità specifiche.

L'architettura metallica è il risultato di un duplice effetto dell'industrializzazione: la produzione di ghisa, da una parte, e i nuovi bisogni provocati dall'industrializzazione stessa, dall'altra. Il successo dell'impiego della colonnina di ghisa è legato alla comparsa delle nuove macchine per filare il cotone che necessitano, a partire dal 1780, di uno spazio più grande. A Salford, presso Manchester, nel cotonificio di Philips & Lee costruito tra il 1799 e il 1801 da Matthew Boulton (1728-1809) e James Watt (1736-1819), sono impiegate per la prima volta colonne di ghisa e travi di ferro, secondo una tecnica che si svilupperà nel XIX sec. e che consente di costruire un edificio di dimensioni considerevoli per l'epoca (42,6 m di lunghezza, 12,8 m di larghezza su sette livelli). In esso compaiono già gli elementi principali dell'architettura industriale del XIX sec.: struttura di metallo, volte dei piani di mattoni e numerosi livelli. È per la realizzazione delle filande inglesi che viene sperimentata la costruzione del soffitto formato da quarti di volta di mattoni sostenuti da travi metalliche, principio costruttivo che sarà ripreso nella regione parigina a partire dalla Restaurazione.

L'uso del metallo sarà di grande utilità anche nella lotta contro gli incendi. Traumatizzata dal grande rogo di Londra, l'Inghilterra, anticipando l'Europa continentale nel suo sviluppo industriale, avverte per prima l'esigenza della prevenzione dei rischi d'incendio. L'utilizzazione del metallo è quindi fortemente favorita dalle compagnie d'assicurazione inglesi anche perché l'introduzione di macchine a vapore aumenta il rischio d'incendi nei laboratori; per questo, a partire dall'ultimo decennio del XVIII sec., nelle grandi manifatture inglesi la ghisa sostituisce il legno. Sempre per evitare rischi d'incendio, i mulini vengono ricostruiti di ghisa: quello di Ditherington vicino a Shrewsbury è il primo edificio con un'armatura interamente di ghisa. Anche il mattone è preferito al legno dagli assicuratori inglesi. Il suo prezzo diminuisce di un terzo tra il 1750 e il 1790, prima di crollare con l'industrializzazione del XIX secolo.

Su tale argomento, in Inghilterra vengono condotti diversi studi; nel 1778 lord Mahon presenta alla Royal Society of Arts il progetto di un soffitto resistente al fuoco. Nel 1792-1793, un comitato di architetti inglesi, sotto la direzione di Henry Fox Holland (1740-1806), intraprende una serie di ricerche per confrontare i materiali dal punto di vista della velocità di propagazione degli incendi. Questi sforzi si riveleranno fruttuosi, infatti, a partire dal 1760 il numero di assicurati raddoppia ogni vent'anni e il numero d'incendi si riduce a un terzo. La distruzione del tetto del Théâtre Français, a Parigi, causata da un incendio nel 1781, convince Victor-Nicolas Louis (1731-1800) a ricostruire con ferro battuto ‒ tra il 1787 e il 1790 ‒ l'armatura che sostiene il soffitto, costruito a sua volta con terracotta, al fine di isolare la sala dal fuoco.

Nei grandi cantieri del XVIII sec., l'industrializzazione nascente influenza l'organizzazione del lavoro. Perronet, per esempio, uomo di notevole precisione nei preventivi e nei progetti, concepisce i suoi cantieri come laboratori di manifattura, con un'organizzazione dei procedimenti, una spartizione dei compiti e una divisione del lavoro. Non diversamente, i cantieri di Smeaton sono diretti da un resident engineer, locuzione da lui stesso inventata nel 1768. I cantieri del secolo dei Lumi forniscono inoltre l'occasione di effettuare esperimenti audaci. Alla metà del secolo, lo svizzero Charles Labelye inaugura, per la fondazione dei piloni del ponte di Westminster sul Tamigi, il metodo a cassone galleggiante; per questo stesso cantiere, un orologiaio di nome James Valoué inventa una macchina per tagliare i pali sott'acqua; Louis-Alexandre de Cessart (1719-1806) sperimenta, nel 1782, un sistema di rivestimento di pietra per la diga di Cherbourg, procedimento costoso realizzato soltanto parzialmente e rivelatosi in realtà poco efficace, ma che resta emblematico dell'epoca. In Francia, nel 1762, l'ingegnere militare Jean-Gaffin Gallon (1706-1775) realizza esperimenti sulla resistenza dei mattoni. Parallelamente allo sviluppo degli studi teorici sulla resistenza dei materiali, si diffondono gradualmente nei grandi cantieri le prove di controllo della qualità.

Architettura e scienza della costruzione

Nel Settecento, la meccanica e lo studio scientifico della resistenza dei materiali si sviluppano in maniera considerevole grazie all'uso del calcolo differenziale e, in particolare, ai lavori di Jakob I, Johann I e Daniel Bernoulli, di Gottfried Wilhelm Leibniz e di Leonhard Euler. Per quanto riguarda i rapporti tra architettura e meccanica, le difficoltà incontrate nei cantieri hanno stimolato soprattutto la ricerca e la sperimentazione delle tecniche costruttive, portando alla progressiva integrazione nella pratica di alcuni trattati teorici.

I cantieri 'sperimentali' del XVIII secolo

Se, nella sua globalità, il campo delle costruzioni è caratterizzato da una forte diffidenza nei riguardi della teoria e dei calcoli matematici, alcuni cantieri particolari diventeranno terreno privilegiato per il confronto tra approcci teorici e attività edilizia.

Come esempio dei problemi che si potevano incontrare, vanno ricordate le cupole di S. Maria del Fiore a Firenze e di S. Pietro a Roma. In genere, le cupole sottopongono i tamburi a una spinta che tende a produrre fratture e a rovesciare i pilastri che li sostengono (tanto meno efficaci, quanto più alti e relativamente snelli). Il problema risiede principalmente nella trasmissione al suolo dei carichi generati dalla cupola e dal tamburo. Se il Pantheon di Roma ha ben resistito all'usura del tempo, ciò è dovuto al fatto che il tamburo poggia su muri a raggiera che formano nicchie interne e funzionano da contrafforti.

Nella prima metà del XVIII sec., le due famose cupole rinascimentali presentano deformazioni della struttura portante tali da far temere per la loro sopravvivenza. Le scelte delle autorità responsabili sono rivelatrici della mentalità dell'epoca e testimoniano l'aumentare del riconoscimento della nascente scienza della costruzione. A Firenze, nel 1693, il granduca Cosimo III riunisce una commissione comprendente architetti, tra cui Carlo Fontana (1634-1714), e scienziati, tra i quali Vincenzo Viviani e Giovan Battista Nelli, suo discepolo. A Roma, il papa Benedetto XIV affida nel 1742 a tre matematici, il gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich e i due minimi francesi Thomas Le Seur e François Jacquier, il compito di accertare la gravità della situazione e trovare soluzioni pratiche. Queste iniziative contribuiranno fortemente a dare impulso alle ricerche sulla statica delle volte e delle cupole, soprattutto in Italia. Come scrive Edoardo Benvenuto, questi studi costituiscono "un punto di svolta tra due ere: l'una in cui tradizione e pregiudizio dominavano l'arte della costruzione, e l'altra in cui le nuove teorie, elaborate dai matematici e fisici nelle accademie e nei laboratori, hanno la possibilità di dare il loro contributo" (Benvenuto 1991, p. 371).

A Firenze, Fontana e gli architetti propongono il cerchiaggio del tamburo della cupola con catene in ferro. Tale soluzione è combattuta da Nelli, il quale sostiene che i danni constatati sono dovuti a un affossamento delle fondamenta e non a forze laterali esercitate dalla cupola; in queste condizioni un eventuale incatenamento, appesantendo il carico, avrebbe piuttosto contribuito ad accelerare il processo di degradazione dell'edificio. In realtà le analisi di Nelli erano fondate sulle nozioni erronee di statica delle volte, elaborate a partire dal Quattrocento da Leon Battista Alberti, Vincenzo Scamozzi e Alessandro Cecchini.

A Roma, i tre matematici elaborano un modello semplice del comportamento statico dell'edificio nel suo insieme, al quale essi possono applicare le leggi della meccanica. Le loro conclusioni, allarmiste, provocano una vasta polemica, in seguito alla quale il papa incarica Giovanni Poleni (1683-1761) di studiare la questione. Nel 1748, Poleni pubblica un trattato che fa il punto, in modo del tutto esauriente, della scienza della costruzione dell'epoca, basandosi in particolare sulle memorie di Philippe de La Hire (1640-1718), Parent e Couplet. Egli constata che la forma della cupola di Michelangelo ‒ la cui sezione contiene interamente una catena ‒ non presenta gravi carenze strutturali. Egli propone quindi una serie di misure per arrestare la degradazione dell'edificio, tra cui il cerchiaggio del tamburo e della cupola a differenti altezze determinate con precisione. L'intervento di Poleni rappresenta senza dubbio la prima applicazione riuscita della statica e della meccanica delle strutture vincolate a un problema concreto di costruzione.

La costruzione a Parigi della chiesa di Sainte-Geneviève ‒ durante la Rivoluzione francese divenuta il Panthéon ‒ fornisce un buon esempio dell'ambiguità dei rapporti tra scienza e architettura nel XVIII secolo. Avviato da Jacques-Germain Soufflot (1713-1780) nel 1757-1758, il cantiere concluderà i lavori solo nel 1813; nel 1776 si constata che alcuni pilastri e alcune colonne cominciano a deteriorarsi, già quando i sottarchi e i pennacchi sono disarmati, ossia molto prima che inizino i lavori per il tamburo della cupola. Nel Panthéon si verifica la concentrazione di tutti i problemi che gli edifici illustri dell'epoca possono presentare: fondamenta insufficienti, pietre di debole resistenza, giunti ridotti al minimo per ragioni d'economia, tiranti e armature metalliche inseriti nella pietra, volte piatte, e così via. A tutte queste difficoltà di carattere costruttivo, Soufflot ne aggiunge un'altra, di natura teorica o concettuale. Egli ha infatti l'ambizione di riunire, in uno stesso edificio, la leggerezza della costruzione gotica e la purezza dell'architettura greca. Marc-Antoine Laugier, nel suo Essai sur l'architecture (1753), scriverà che "Le volte ne saranno perfettamente rinforzate, ma nessuno percepirà in che modo lo siano. Niente all'esterno rivelerà lo sforzo e la resistenza. Lo spettatore non avrà alcun elemento per constatare la debolezza o la forza degli archi di sostegno" (ed. 1755, p. 298). Ciò esprime chiaramente l'importanza e l'influenza delle teorie architettoniche allora in voga. La chiesa di Sainte-Geneviève diventa allora, per questo tentativo di sintesi tra principio costruttivo gotico ed estetica greca, l'edificio emblematico dei teorici francesi dell'architettura. Perrault aveva d'altra parte già sottolineato la doppia influenza greco-romana e gotica del colonnato del Louvre, resa possibile grazie all'uso di armature metalliche. Soufflot stava appunto dirigendo i lavori di rifacimento del colonnato del Louvre, allorché fu designato come architetto della chiesa di Sainte-Geneviève.

In seguito alle difficoltà del cantiere del Panthéon, in Francia vengono intraprese numerose esperienze di resistenza dei materiali, in particolare da Émiland-Marie Gauthey (1732-1806), Soufflot, Perronet e Rondelet. Furono create diverse macchine, principalmente per provare la resistenza alla compressione delle pietre utilizzate nella costruzione. Queste esperienze seguono quelle inaugurate da Pieter van Musschenbroek (1692-1761), che intraprese i primi studi sulla resistenza alla compressione, poi ripresi da Pierre-Simon Girard e Charles-Augustin Coulomb (1736-1806). È questa molteplicità di esperienze costruttive che caratterizza, più della reale applicazione di una teoria della costruzione, il XVIII secolo.

I ponti

Dalla fine del XVII sec., si cerca di minimizzare l'impatto dell'acqua sui piloni e sui massicci ponti dell'età classica; per evitare questi problemi, si costruiscono ponti con piloni meno numerosi e più snelli, che sostengono archi ribassati in modo che la strada resti orizzontale. L'apice di queste trasformazioni è raggiunto da Perronet con il ponte di Neuilly in cui i piloni hanno aperture di 1/11, laddove quelle dei ponti classici variavano da 1/4 a 1/6: i piloni si comportano come colonne isolate e il piano stradale come una trabeazione di peristilio. C'è dunque un'analogia molto forte tra i principî costruttivi adottati da Perronet per i suoi ponti e quelli seguiti da Soufflot al Panthéon. Non è dunque sorprendente il fatto che il primo difendeva il secondo, né il fatto che il ponte di Neuilly fu oggetto di attacchi, molto simili a quelli che colpivano il Panthéon, riguardo alla supposta esilità dei pilastri. D'altra parte è per difendere Perronet che Gaspard-François-Clair-Marie Riche de Prony (1755-1839) redige i due opuscoli in cui è riportata una delle prime applicazioni dell'analisi matematica alle opere d'arte, incarnando così la nuova figura dell'ingegnere che utilizza metodi fondati sulla scienza.

La statica delle volte

Per Vitruvio è la geometria, e non la statica, che fornisce le regole più semplici per costruire gli archi. In Guarini, Nicolas-François Blondel o Fontana, per citare solo alcuni nomi, si nota una totale assenza d'interesse per la statica e la resistenza dei materiali. Prima del XVII sec., i costruttori non disponevano, per stabilire le dimensioni degli edifici, che di 'regole' estremamente semplici, puramente geometriche e (nel migliore dei casi) empiriche. Claude-Antoine Couplet (1642-1722), ancora nei primi decenni del Settecento, propone la regola cosiddetta 'di Leonardo', secondo la quale un arco non avrebbe potuto spezzarsi se la corda dell'arco esterno non avesse toccato l'arco interno. L'interesse di Leonardo da Vinci per la statica degli archi resta d'altra parte quasi un'eccezione fino all'inizio del XVIII secolo. La 'regola di Derand' permette di dimensionare i piedritti di una volta indipendentemente dalla loro altezza. Malgrado fossero aberranti, le regole di Derand e di Leonardo, lodate durante tutto il XVII sec., sono ancora largamente apprezzate nel secolo successivo.

È in ogni caso il XVIII sec. che scopre allo stesso tempo l'interesse e le difficoltà dei problemi costruttivi di archi, volte e cupole. Due questioni stimoleranno la riflessione: il problema della forma ottimale di una volta ‒ che viene studiato ispirandosi alla resistenza di un uovo ‒ e quello, a priori più semplice, dei muri di sostegno.

Il Traité de mécanique (1695) di de La Hire è considerato il primo approccio matematico alla costruzione di archi e volte. Tuttavia, secondo l'osservazione dura ma pertinente di Johann I Bernoulli, l'accademico francese "ha intravisto qualche cosa [il calcolo infinitesimale]", non comprendendo però ciò che ha intravisto. È questa la ragione per cui, benché de La Hire vi si avvicini molto nel suo trattato, è l'inglese David Gregory (1659-1708) a fornire la prima dimostrazione della relazione tra la catenaria e la statica degli archi.

Più che il trattato del 1695, la memoria di de La Hire Sur la construction des voûtes dans les édifices, presentata nel 1712, avrà il maggior impatto da un punto di vista pratico per tutto il corso del XVIII secolo. In base alle proprie osservazioni empiriche, de La Hire ritiene che, nel momento della rottura, una volta si scompone in tre parti da considerarsi come blocchi omogenei; egli trascura la presenza di forze di attrito tra tali blocchi, dato che il piano di rottura forma un angolo di 45° con l'orizzontale. Cercando "l'equilibrio tra la potenza [che si esercita] contro il braccio [di una] leva a gomito e lo sforzo del piedritto sull'altro braccio della leva" (Sur la construction, 1731, p. 72), egli fornisce la formulazione algebrica dell'equilibrio delle forze attraverso un sistema di equazioni che permette di determinare lo spessore cercato dei piedritti. In seguito egli presenta la traduzione grafica della formulazione algebrica e il disegno progettuale della soluzione teorica.

Successivamente ripresa e approfondita da Bélidor, da Antoine de Chézy (1718-1798) o da Sganzin, la teoria di de La Hire sarà anche vivamente criticata, in particolare da Gauthey, che considerava arbitraria la tripartizione dell'arco.

A partire dagli anni Settanta, l'argomento è trattato da una vasta letteratura, anche se il contributo più importante è senza dubbio la memoria di Coulomb, presentata nel 1773. Egli non sceglie a priori la posizione dei giunti di rottura, ma la determina attraverso un calcolo dei massimi e dei minimi "facendo attenzione all'attrito e alla coesione". Il modello teorico prevede allora una rottura quadripartita dell'arco; soprattutto, prendendo in considerazione l'attrito, Coulomb arriva a prevedere non solo la possibilità di scivolamento dei conci gli uni sugli altri, ma anche la possibile rotazione dei conci in chiave, intorno a un asse appartenente o all'intradosso o all'estradosso dell'arco. Questo modello teorico è peraltro molto più conforme rispetto a quello di de La Hire alle esperienze condotte da Danisy sugli archi a scala ridotta (anche se troppo piccola) e presentati all'Académie des Sciences di Montpellier nel 1732, esperienze di cui Coulomb era certamente a conoscenza.

Coulomb, seguito da Leonardo Salimbeni in un'opera del 1787, mostra inoltre che la coincidenza tra la curva delle pressioni e quella dei centri di gravità implica che questa curva sia una catenaria soltanto nel caso di una volta infinitamente sottile. Al contrario, nella pratica, l'equazione differenziale della curva dell'intradosso è funzione dello spessore della volta e conserva una forma più generale di quella della catenaria, anche se lo spessore è costante.

Il lungo elenco di pubblicazioni riguardanti la stabilità degli archi e delle volte durante l'ultimo quarto del XVIII sec. (possiamo citare quelle di Charles Bossut, Anton-Maria Lorgna, Fontana, Salimbeni, o Prony) dimostra l'interesse del mondo scientifico per l'argomento; l'opera di Lorenzo Mascheroni (1750-1800), del 1785, rappresenta una sorta di sintesi di queste ricerche e la messa a punto quasi definitiva dei metodi di calcolo dei punti di rottura.

Architettura e geometria: una teoria generale delle arti della costruzione

"La bella concezione di Monge, relativamente alla geometria descrittiva […] in realtà non è altro che una teoria generale delle arti della costruzione", scriverà Auguste Comte nel suo Cours de philosophie positive. Certo la geometria descrittiva fornisce un bell'esempio, allo stesso tempo, dello spirito del Settecento francese, dei rapporti tra architettura e matematica e del ruolo giocato dalle prime scuole di ingegneri nell'elaborazione di una teoria matematica. Essa permette, inoltre, di analizzare con precisione come una teoria geometrica emerga da una pratica professionale e di legare così la storia di una disciplina matematica a quella di un'attività pratica.

La geometria descrittiva è la teoria su cui si basa la rappresentazione di un oggetto tridimensionale attraverso il trittico piano-sezione-proiezione, ossia in particolare la rappresentazione dello spazio utilizzata dall'architetto o più generalmente dalle diverse corporazioni di mestiere legate all'edilizia. Le lezioni tenute nel 1795 da Gaspard Monge (1746-1818) all'École Normale dell'Anno III e all'École Centrale des Travaux Publics ‒ che avrebbe preso il nome di École Polytechnique un anno più tardi ‒ segnano l'atto di nascita della geometria descrittiva. Questa teoria geometrica è la conclusione di un processo di evoluzione, ossia l'ultimo perfezionamento delle tecniche grafiche anteriori che compaiono, per esempio, nei trattati di carpenteria o di gnomonica, ma la cui fase più riuscita e più compiuta si trova nei trattati di taglio delle pietre. Nello sviluppo della teoria, possiamo distinguere quattro momenti.

I trattati di taglio delle pietre

La costruzione a chiave è una tecnica ‒ di punta fino al XVIII sec. ‒ in cui convergono problemi di carattere geometrico e statico, per non parlare dei problemi di carattere estetico o economico, che sono spesso determinanti nella costruzione di un edificio o di un'opera d'arte.

Fondamentalmente, la difficoltà posta dalla costruzione di una volta o di una qualsiasi opera a chiave è principalmente di ordine statico: il primo obiettivo è di risolvere un problema di completamento o di copertura. Secondo una definizione comunemente attribuita a Perrault, la stereotomia è "l'arte di servirsi della pesantezza della pietra contro sé stessa e di farla sostenere dallo stesso peso che la fa cadere". Questa definizione è dunque espressa in termini di meccanica delle volte. Tuttavia, in questo tipo di attività, la forma dei conci è essenziale; la geometria sottintesa è una geometria al servizio della statica della volta, una geometria costruttiva nel senso vero del termine. Ciò al punto che i trattati di taglio delle pietre sono quasi interamente dedicati alla determinazione geometrica dei conci costitutivi delle volte e di altre strutture a chiave.

Il primo trattato di taglio delle pietre è pubblicato nel 1567 da Philibert Delorme, nell'ambito del suo trattato Le premier tome de l'architecture. Due manoscritti spagnoli risalgono ugualmente alla fine del XVI sec., quello di Alonso de Vandelvira, e quello di Ginés Martínez de Aranda. Il Seicento, l'età d'oro dell'architettura a chiave in Francia, sarà particolarmente fecondo di trattati francesi di stereotomia, con le pubblicazioni di Girard Desargues, matematico e architetto, Mathurin Jousse, capomastro, François Derand, architetto e professore di matematica, Abraham Bosse, incisore su rame. Guarino Guarini (1624-1683) pubblica nel 1671 una voluminosa opera in latino, Euclides adauctus et methodicus mathematicaque universalis, nella quale un libro è dedicato al taglio delle pietre, argomento ripreso nell'Architettura civile, pubblicata nel 1737, più di 50 anni dopo la sua morte. Nel XVIII sec., i principali trattati sono quelli di Jean-Baptiste de la Rue (1728) e di Amédée-François Frézier (1682-1773) che inaugura ciò che Gino Loria (1921) definisce la "stereotomia scientifica".

Una disciplina scolastica

La necessità di migliorare la formazione teorica degli ingegneri si era fatta sentire in Francia, come nel resto d'Europa, dalla metà del Settecento: l'apertura quasi simultanea dell'École du Génie di Mézières, dell'École de Ponts et Chaussées e dell'École de Marine non è certamente fortuita. Ciò che è caratteristico, invece, dell'École du Génie di Mézières, è lo spazio accordato nel curriculum degli allievi all'insegnamento della stereotomia, spazio che va ben oltre l'aspetto strettamente utilitario di una tecnica di costruzione già in declino. L'obiettivo essenziale di questo corso è una formazione di geometria e di visione nello spazio. Quando il diciottenne Monge arriva, nel 1764, a Mézières, la stereotomia ha già lo statuto di disciplina scolastica. Monge diviene gradualmente responsabile dell'insieme degli insegnamenti scientifici dell'École, oltre che del disegno, della prospettiva, della proiezione delle ombre e del taglio delle pietre.

I metodi geometrici del taglio delle pietre

Monge avrebbe introdotto la locuzione "geometria descrittiva" soltanto nel pieno delle riforme pedagogiche che egli propose sotto la Convenzione. A Mézières, egli definisce con "teoria del taglio delle pietre" gli strumenti geometrici propri della disciplina che verrà insegnata una ventina d'anni più tardi all'École Polytechnique. Si tratta di una teoria geometrica applicabile a diversi problemi, pratici o astratti, ma che non concerne più il taglio delle pietre, diversamente da quanto avviene, per esempio, nell'opera di Frézier. Il nome stesso della sua cattedra a Mézières rappresenta dunque in maniera esplicita l'origine della geometria descrittiva. Diversi elementi giustificano questa filiazione.

Il primo elemento deriva dal fatto che il tagliatore di pietra lavora sulla massa, partendo da un oggetto tridimensionale. Contrariamente al carpentiere, per costruzioni edilizie o nautiche, e al calderaio, che si occupano dell'esterno, ossia della superficie del volume da realizzare, il tagliatore di pietre ha di fronte, come il geometra, una porzione di spazio a tre dimensioni. È lui a decidere (o quasi) la direzione e il punto d'arrivo degli spostamenti dello scalpello nella materia. C'è dunque una corrispondenza tra la situazione materiale del tagliatore di pietra e la situazione astratta del geometra, corrispondenza che è specifica della stereotomia. La seconda ragione che giustifica l'espressione "teoria del taglio delle pietre" deriva dal modo in cui Monge trascrive, sul piano geometrico, la corrispondenza sopra indicata. Monge fornisce infatti una definizione teorica della nozione di superficie, in termini di direttrice e di generatrice, che deriva direttamente dalla maniera in cui questi elementi sono realizzati dal tagliatore di pietra. Infine, il 'tratto' del tagliatore di pietra (ma, in questo caso, anche del carpentiere) e la teoria di Monge fanno, per ragioni diverse, lo stesso uso dell''assonometria', che presuppone la ricerca di un'economia di percorso. Monge, per ogni argomento che tratta, si limita soltanto agli elementi strettamente necessari alla sua dimostrazione, senza preoccuparsi della 'rappresentazione' dei volumi stessi.

La nascita della geometria descrittiva

All'epoca della creazione dell'École Polytechnique, Monge fonda la geometria descrittiva vera e propria: una teoria geometrica diventa il veicolo della formazione ‒ considerata basilare ‒ degli ingegneri nel campo del disegno e della visione nello spazio. Il trasferimento a una disciplina astratta, coerente e scolastica, della funzione formatrice riservata alla stereotomia presso l'École du Génie di Mézières è possibile soltanto perché anche la geometria descrittiva riesce a teorizzare e a spostare dalla pratica alla costruzione astratta la tappa essenziale della scoperta di nuovi volumi. La geometria descrittiva permette, infatti, di procedere gradualmente in questa ricerca, con l'aiuto di qualche semplice principio e di alcuni strumenti algoritmici. Concettualizzando e teorizzando le tappe percorse per arrivare alla scoperta delle forme, la geometria descrittiva indica le operazioni geometriche che sono necessarie per la determinazione di un oggetto. Così essa non si accontenta di rappresentare gli oggetti, ma tratta anche le costruzioni geometriche che sono state necessarie a ottenere il risultato. Essa permette in tal modo di passare da un metodo d'insegnamento a piccoli gruppi, che caratterizza l'École du Génie di Mézières, all'insegnamento in grandi aule ad anfiteatro, con lezioni frontali, esercitazioni pratiche e teoriche che coinvolgono quattrocento studenti.

Ponendo la geometria descrittiva come disciplina principe della prima École Polytechnique, Monge si presenta come l'erede degli enciclopedisti. In primo luogo, egli estende la sfera della scienza unificando il disegno e la matematica, i due rami principali della formazione degli ingegneri nel XVIII secolo. Al disegno, linguaggio universale per eccellenza, la geometria descrittiva unisce l'universalità della scienza. In secondo luogo, la geometria descrittiva risponde alla necessità, molte volte sottolineata dai filosofi dei Lumi, di una combinazione tra conoscenze teoriche e abilità pratica. Infine, essa risponde a un nuovo problema di scolarizzazione.

Il corso di Monge, diretto risultato di una geometria pratica elaborata nel mondo dell'edilizia, contribuirà, indirettamente, al mutamento di mentalità, che avviene all'inizio del XIX sec., tra i matematici francesi e rinnoverà gli studi di geometria ispirando direttamente i lavori di Jean-Victor Poncelet (1788-1867).

Conclusioni

Se la geometria di Monge fornisce un esempio di teoria matematica nata nel mondo dell'edilizia, essa avrà invece, contrariamente alle speranze del suo fondatore, soltanto una minima influenza sulle applicazioni concrete nell'organizzazione del cantiere. La situazione della meccanica è più delicata; l'apporto essenziale del XIX sec. alla teoria del comportamento meccanico delle volte sarà l'attenzione rivolta all'elasticità, che consente a Louis-Marie-Henri Navier (17851836) d'integrare e correggere le formule di Coulomb. Ma se il risveglio d'interesse per questo aspetto complesso della teoria è tardo, la sua presenza nei cantieri risale all'architettura gotica. La qualità degli edifici romani derivava dalla grande stabilità dei sostegni, dalla resistenza del cemento e dalla muratura in blocco delle volte, che rendevano l'insieme dell'edificio un tutto solidale. Nell'architettura gotica, invece, l'edificio conserva una certa elasticità; per fare alcuni esempi: le nervature sostengono la volta senza essere solidali con essa, gli archi, senza chiave, permettono uno spostamento di ciascuna delle loro metà senza fratture, gli archi rampanti non sono impegnati nei pilastri e restano liberi di scorrere.

Il problema dell'elasticità consente di misurare la distanza tra le pratiche costruttive e le elaborazioni teoriche. Nel Settecento, le reticenze del mondo dell'edilizia di fronte alla nascita di una scienza della costruzione, peraltro ancora molto in ritardo rispetto alle competenze pratiche sviluppate nei cantieri, non sono dunque sorprendenti. Comprendiamo lo scetticismo di quelli che affermano che "se si è potuto concepire, progettare ed eseguire la cupola di S. Pietro senza matematici e in particolare senza la meccanica di cui si è fortemente entusiasti in questi giorni, si potrà certo anche restaurarla senza dover ricorrere in primo luogo ai matematici e alla matematica" (Klemm 1966, p. 158); per non parlare dell'aforisma dell'ingegnere autodidatta Thomas Tredgold (1788-1829), "la stabilità di un edificio è inversamente proporzionale alla scienza del costruttore", o dello scritto di Charles-François Viel (1745-1819), intitolato De l'impuissance des mathématiques pour assurer la solidité des bâtimens (1805). Non è sorprendente inoltre, in queste condizioni, che le ricerche di Coulomb incontrino poco interesse tra i costruttori prima del XIX secolo.

Tuttavia, nel corso del Settecento, le tecniche si trasformano in scienze applicate anche nel mondo dell'edilizia; la nozione stessa della natura di un oggetto scientifico si evolve. La volta ne è un buon esempio: dopo due millenni e mezzo di soluzioni architettoniche, essa diventa un problema scientifico. Il secolo dei Lumi cerca di far giocare un ruolo pratico alla scienza, di far progredire le arti meccaniche attraverso la scienza, di utilizzare il calcolo infinitesimale per risolvere problemi "puramente e semplicemente pratici", come dice Bélidor. Durante questo periodo di transizione tra il 'mondo del pressappoco' e l''universo della precisione', per riprendere la formula di Alexandre Koyré, il mondo dell'edilizia è scisso fra tradizione e innovazione.