L'Età dei Lumi: le scienze della vita. L'evoluzione delle scienze biomediche nel Settecento

Storia della Scienza (2002)

L'Eta dei Lumi: le scienze della vita. L'evoluzione delle scienze biomediche nel Settecento

François Duchesneau

L'evoluzione delle scienze biomediche nel Settecento

Nella storia delle scienze, come in altre sfere dell'interpretazione storica delle conoscenze, vi sono pregiudizi radicati; uno di essi, di matrice positivista, pretende di fissare nel tempo una soglia di scientificità al di sotto della quale si costruiscono le teorie riguardanti un insieme di fenomeni naturali e si sviluppano le esperienze secondo i criteri di validazione scientifica. A monte di questo periodo, invece, saremmo in presenza di uno stadio prescientifico di concetti concernenti questo stesso insieme di oggetti, caratterizzato da osservazioni talvolta abbondanti o ragionevoli, ma che sfuggono al quadro ordinatore di uno sperimentalismo metodico e critico. In epoca prescientifica risaltano, comunque, alcune geniali anticipazioni che ci si affretta a interpretare nei termini di metodi e dottrine più recenti: gli uni e le altre sarebbero dunque prefigurati storicamente all'interno di sistemi di conoscenza precedenti, che afferiscono all'ordine delle speculazioni metafisiche piuttosto che a quello della scienza fondata in senso razionale e sperimentale. Una volta adottata questa visione, è agevole ricondurre all'Ottocento e addirittura alla sua posterità più recente lo sviluppo della biologia come scienza, da un lato, e l'avvento di una medicina sperimentale o fondata sulla sperimentazione, dall'altro.

Volendo sottrarsi a questa concezione riduzionista del divenire delle scienze del vivente, non resta che ripensare il Settecento biomedico in modo differente. Alla luce di una simile revisione, questo secolo non appare più come un periodo essenzialmente prescientifico, dominato dalla pratica di una storia naturale di tipo puramente descrittivo e classificatorio, privo di una base teorica sufficiente e quindi sprovvisto di un autentico potere predittivo ed esplicativo. E nemmeno appare più come un periodo connotato da una semplice curiosità sperimentale, dedito al mero inventario delle forme molteplici del vivente, in tutti i continenti, e incapace di uno sviluppo analitico delle conoscenze; un periodo in cui il metodo clinico, fondamento della medicina scientifica, non avrebbe conquistato nulla di più di una modesta porzione del suo campo di applicazione, riducendosi a tentativi individuali, relativamente isolati e ancora tributari, in parte, dei dogmi esplicativi delle antiche tradizioni mediche.

La storiografia relativa al Settecento biomedico è debitrice del lavoro esemplare svolto da alcuni pionieri, in particolare Jacques Roger. La sua importante opera, Les sciences de la vie dans la pensée française du XVIIIe siècle, ha inaugurato un ricco filone di ricerche che hanno inventariato le conoscenze sul vivente nell'età dei Lumi, nell'ottica di una comprensione più integrale e oggettiva del loro contesto ‒ culturale, sociale, politico ed epistemologico ‒ e del loro stile metodologico, alla luce dei modelli predominanti all'epoca nelle scienze empiriche della Natura. I capitoli che seguono illustrano i diversi aspetti di questa storia, ma secondo modalità originali che riflettono la trasformazione degli approcci storiografici e l'arricchimento epistemologico conosciuto di recente dagli studi sulle scienze del vivente nel Settecento.

L'inventario planetario delle forme viventi

Le collezioni che rappresentano le diverse specie animali e vegetali e le istituzioni responsabili di assicurarne la conservazione e la gestione costituiscono nel Settecento gli strumenti privilegiati per la conoscenza delle forme viventi, sebbene le finalità perseguite possano superare ampiamente l'ambito dell'opera scientifica propriamente detta. Sono infatti state sottolineate a buon diritto l'estrema varietà dei motivi che inducono alla costituzione di collezioni e la non minore varietà degli oggetti considerati (Daston 1988). Secondo la celebre tesi di Michel Foucault esposta nel saggio Les mots et les choses (1966), in questo periodo, nei luoghi destinati ad accogliere le collezioni, si sarebbe fatta strada l'ambizione di offrire una rappresentazione per quadri della Natura stessa, in contrasto con gli obiettivi che si erano prefissati i precedenti cabinets de curiosités. È opportuno quindi privilegiare piuttosto una concezione che attesti l'innesto di tradizioni e di finalità in un processo di transizione orientato verso esigenze più prossime alle ricerche di carattere sistematico.

Sebbene le collezioni private siano spesso all'origine delle grandi istituzioni pubbliche, per esempio quella del medico Hans Sloane (1660-1753) che fa da base alla costituzione del British Museum nel 1759, talvolta è arduo distinguere tra le modalità di comunicazione pubbliche e private. È comunque palese, per esempio secondo l'Encyclopédie (1751-1765), che l'intento di esibire la Natura in forma di spettacolo si coniuga in maniera abbastanza diretta al desiderio di promuovere la storia naturale facilitando l'osservazione dei prodotti della Natura. Secondo Louis-Jean-Marie Daubenton (1716-1800), che si esprime a proposito della sistemazione dei cabinets nel secondo tomo (1749) della Histoire naturelle di Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788), la preoccupazione dominante di fornire, nell'erbario e nella collezione di esemplari di animali morti, il riflesso di una classificazione per generi e specie deve adattarsi all'esigenza di una disposizione estetica.

Sul finire del secolo, la volontà di rigore tassonomico tende a prendere il sopravvento nel discorso dei naturalisti, ma per dare spazio a una critica che l'opera Études de la Nature di Jacques-Henri Bernardin de Saint-Pierre (1737-1814) illustra in modo esemplare. È un atteggiamento critico che investe sia l'artificio di sottrarre gli esemplari al loro ambiente vitale, sia gli effetti di distorsione dipendenti dalle tecniche di conservazione. Ne consegue il progetto di ricostruire gli ambienti naturali sia nell'orto botanico sia nel serraglio di animali.

Subordinati in un primo tempo alle esigenze della farmacopea medica, gli orti botanici diventano luoghi di formazione in storia naturale e, per questa ragione, tendono a organizzarsi in modo tale da riflettere l'ordine del sistema classificatorio adottato, con una prevalenza dell'ordine linneano via via che quest'ultimo è assunto come termine di riferimento. Secondo la felice formulazione di Jean-Marc Drouin, "l'orto botanico era veramente un 'libro vivente' in cui l'organizzazione concettuale del vegetale poteva introdursi in modo visibile". Ma quest'ordine finisce necessariamente per essere asservito a modifiche imposte dalle esigenze ecologiche delle piante e dalle finalità sociali e culturali degli orti botanici. Del resto, l'orto botanico risponde a fini d'innovazione, come illustrano l'introduzione dei vegetali esotici e i progetti di 'acclimatazione', un concetto che fa la sua comparsa nella voce Botanique (1751) dell'Encyclopédie.

Una finalità pratica evidente è quella di selezionare e sviluppare varietà utili, un impegno che sembra contraddire almeno in parte l'obiettivo di giungere alla compilazione di un inventario scientifico, come segnala Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) nella Flore française (1777-1778). Ora, le finalità utilitarie e quelle scientifiche sembrano conciliarsi nella giustificazione delle trasformazioni istituzionali determinate dalla Rivoluzione francese, in particolare del Jardin du Roi che diventa Muséum National d'Histoire Naturelle (1793), con l'installazione di una sezione dedicata interamente agli animali. Si conferma quindi il ruolo svolto da queste istituzioni come 'strumenti di ricerca' nell'inventario delle forme viventi su scala planetaria.

Quale che sia la 'cittadinanza' metodologica dei naturalisti, che siano sostenitori di categorie tassonomiche o di narrazioni descrittive, nulla si rivela più costante nel Settecento della volontà di redigere il 'catalogo' delle forme viventi. Questo catalogo risponde a una triplice finalità: utilitaria, poiché si tratta di scoprire vegetali che presentino una diretta utilità per l'uomo; epistemologica, poiché si devono individuare quei legami, ancora ignoti, fra i vegetali che consentano di ricostruire il sistema della Natura e di analizzare le proprietà dei diversi segmenti dell'insieme; teologica, poiché si vuole giustificare l'intelligenza creatrice svelando l''equilibrio della Natura'.

Lo svedese Linneo (Carl von Linné, 1707-1778), che esorta i suoi discepoli a organizzare spedizioni di ricerca in tutte le aree geografiche, nella Philosophia botanica (1751) espone un metodo d'indagine e di registrazione delle scoperte che permette di sintetizzare le conoscenze acquisite in seguito all'osservazione. Gli strumenti tassonomici della storia naturale sono quindi costituiti da una nomenclatura binomia e da un sistema di classificazione fondato sugli organi riproduttori dei vegetali. In effetti, se i viaggi d'esplorazione al principio del secolo sono frutto di iniziative individuali, in seguito si intensifica la consuetudine delle grandi spedizioni politico-scientifiche alla volta di destinazioni lontane. La messe d'informazioni botaniche e zoologiche raccolta durante spedizioni dalle molteplici finalità, per esempio quelle guidate da Louis-Antoine de Bougainville (1729-1811), James Cook (1728-1779), Jean-François de Galaup conte di La Pérouse (1741-1788) o Antoine-Raymond-Joseph de Bruni d'Entrecasteaux (1737-1793), fu imponente e interessò i ricercatori delle principali nazioni europee. Il risultato più significativo di questi viaggi fu il notevole incremento del numero di specie inventariate, soprattutto in ragione della ricchezza maggiore dei territori in tal modo coperti. Un'altra ripercussione fu la crescente disseminazione di specie, sia volontaria che involontaria, fra territori, con importanti conseguenze per l'agricoltura e la farmacopea, ma anche con molteplici effetti sulla variazione e l'alterazione degli ecosistemi. Una questione importante concerne il contributo complementare, difficile da distinguere, delle ricerche degli studiosi in seno alle istituzioni scientifiche e della partecipazione dei naturalisti viaggiatori al progresso delle conoscenze. La palese importanza dell'inventario delocalizzato risiede soprattutto nell'aver considerato le varietà locali che, secondo la filosofia dominante del tempo, consentono di stabilire la struttura essenziale della specie e le sue condizioni ambientali, e di registrare le conoscenze empiriche locali relative alle specie indigene. Così, la ricchezza e l'originalità delle analisi tassonomiche proposte da Michel Adanson (1727-1806) nelle Familles des plantes (1763) dipendono in buona parte dai dati raccolti nella sua Histoire naturelle du Sénégal (1754).

La classificazione delle forme viventi rappresenta una delle principali poste in gioco delle scienze della vita nel Settecento. Essa si riallaccia al tema dell'esplorazione empirica di queste forme, suscettibile di svelare un ordine immanente della Natura ed è resa, tra l'altro, infinitamente più ampia grazie alla copertura di aree geografiche molteplici. Se la tassonomia fa ancora riferimento all'ideale aristotelico di una determinazione delle forme sostanziali tramite il 'genere prossimo e la differenza specifica', prende tuttavia le distanze nei confronti di questo modello in ragione di una determinazione fondamentalmente empirica dei generi o delle composizioni gerarchiche di tipi, anch'essi suscettibili di molteplici divisioni secondo le caratteristiche che sembrano prevalenti sul piano funzionale.

In botanica, il secolo si apre con le notevoli divergenze tra i sistemi di classificazione proposti da Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708), Augustus Quirinus Rivinus (1652-1723) e John Ray (1627-1705). Tutti privilegiano la funzione riproduttiva, ma riunendo le forme in gruppi secondo caratteristiche distinte.

Quanto alle classificazioni zoologiche, in un primo tempo sono fortemente influenzate dalla tradizione aristotelica, arricchita tra i naturalisti inglesi dalla volontà di tenere conto delle ricerche anatomiche degli autori moderni sull'organizzazione interna. La svolta decisiva è segnata dalla prima edizione del Systema naturae (1735) di Linneo, che in botanica propone una nuova ripartizione in classi, ordini e generi, ma soprattutto offre una chiave d'interpretazione del sistema sessuale delle piante che consente di identificare in modo oggettivo e sistematico le diverse specie. La classificazione zoologica si costruisce sulla distinzione delle caratteristiche organizzative, sugli organi di assimilazione nutritiva e di locomozione. Via via che il Systema naturae si diffonde, soprattutto in Francia, a partire dal 1744 grazie a Bernard de Jussieu (1699-1777), il mondo scientifico si divide tra sostenitori e detrattori di Linneo. L'opposizione più significativa al sistema linneano è incarnata da Buffon e dalla sua cerchia attiva al Jardin du Roi e all'Académie Royale des Sciences. Egli respinge un sistema che privilegia ‒ malgrado il rifiuto delle forme sostanziali da parte dei filosofi empiristi John Locke (1632-1704) ed Étienne Bonnot de Condillac (1715-1780) ‒ un'unica organizzazione sistemica fondata naturalmente. Buffon, al contrario, è favorevole a una tenue gradazione delle forme, che ingloba le specie e addirittura le categorie tassonomiche superiori alla specie. Alla scelta di un solo criterio discriminante ‒ la struttura degli organi riproduttori nelle piante ‒ egli sostituisce l'uso combinato di un gran numero di criteri e di elementi di organizzazione, ivi comprese le caratteristiche etologiche e ambientali. Il naturalista francese fa riferimento a un ordine funzionale di rapporti che gli esseri viventi intrattengono con l'uomo piuttosto che ad analogie strutturali ritenute artificiali. Al 'sistema' viene opposto il 'metodo' che tiene conto di una matrice complessa di caratteristiche biologiche.

Daubenton, stretto collaboratore di Buffon, rivendica proprio questo tipo di approccio magistralmente illustrato nelle Familles des plantes di Adanson. Il grado di massima compiutezza raggiunto da questa tradizione di ricerca si può individuare nell'opera di Antoine-Laurent de Jussieu (1748-1836), che fonda le sue nomenclature su insiemi di rapporti, presentandone tuttavia lo sviluppo gerarchico in strutture funzionalmente essenziali e non essenziali, e aprendo in tal modo la strada all'applicazione di rapporti d'ordine simili a quelli che governano il regno animale di Georges Cuvier (1769-1832).

In definitiva, i tentativi messi in atto per rappresentare un sistema conforme al metodo naturale approdano all'applicazione di modelli diversi: per esempio, nel caso di rappresentazioni di organizzazioni raffiguranti uno sviluppo lineare e gerarchico, che l'analisi illustra dal complesso al semplice, come quello che Lamarck applica nella Flore française e che trasferisce alle serie animali perfezionandolo con l'aggiunta di nuove divisioni analitiche. La svolta trasformista nella sua stessa opera lo condurrà in seguito a capovolgere l'ordine lineare degli ordinamenti strutturali, istituendolo secondo la progressione dal semplice al complesso. Vengono elaborati altri modelli di rappresentazione dell'ordine, che privilegiano disposizioni conformi all'analogia delle reti, delle configurazioni geografiche, dei rami d'albero: sono tutti tentativi diretti a concepire un ordine razionale che comprenda le specie naturali.

Nel Settecento, il rapporto tra le forme viventi e la loro origine temporale, sia a titolo individuale nell'embriogenesi, sia a titolo collettivo nell'apparizione e nell'alterazione delle specie, è oggetto di una problematica assai complessa. Le tesi avanzate e i modelli sviluppati formano insiemi teorici che svolgeranno un ruolo cruciale nell'evoluzione della biologia nel secolo seguente. La questione dell'origine degli esseri viventi e delle forme specifiche solleva particolari difficoltà nel contesto di una fisica meccanicista. Nell'epoca in cui i modelli di cosmogenesi meccanicista tendono a tradursi in ricerche sulle trasformazioni storiche della Terra, la spiegazione della genesi delle forme viventi finisce per essere, in un certo senso, liquidata in seguito al ricorso alle ipotesi preformiste che valorizzano l'idea di una preesistenza delle serie di organismi sotto forma di germi 'incapsulati' dal momento iniziale della loro creazione. I fossili, interpretati come resti di organismi e non più come produzioni minerali, a questo punto vengono a essere integrati nell'approccio fisico-teologico in autori quali John Woodward (1665-1728).

Ma la teoria della Terra, incorporando quella delle forme viventi, è priva di riferimenti cronologici in rapporto all'apparizione dei diversi fenomeni e le ipotesi esplicative hanno piuttosto il tenore di speculazioni fortemente asservite a opzioni metafisiche. Nel quadro preformista ancora in auge si inseriscono tuttavia fattori di contingenza storica che influiscono sullo sviluppo delle serie. Nelle Lettres philosophiques (1729) dello svizzero Louis Bourguet (1678-1742), si suppone, con una sfumatura leibniziana, che i germi preformati dei diversi tipi di organismi siano dotati di un 'meccanismo organico' che consente loro di sviluppare in modo autonomo le strutture organiche dell'essere vivente compiuto: di qui un margine di adattamento alle circostanze ambientali.

Con spirito del tutto differente Linneo e i suoi discepoli presumono la possibile origine delle nuove specie per ibridazione da specie preesistenti. La trasformazione delle prospettive coincide tuttavia con l'ampia sintesi operata da Buffon, il quale articola in maniera inedita la teoria della generazione, quella della Terra e delle forme viventi, e la concezione plurifattoriale e contingente di specie che si sviluppano in un ambiente geologico e geografico in trasformazione. Nel Premier discours della Histoire naturelle (1749) Buffon sostituisce alla comprensione formale e astratta delle realtà naturali un'assunzione empirica dei rapporti spazio-temporali che implicano le individualità concrete.

Questo approccio gli permette di sviluppare, nel Second discours, una teoria che descrive la trasformazione graduale del rilievo terrestre sulla base dell'applicazione di cause attuali. Inoltre, la sua teoria della generazione reintegra l'epigenesi, presumendo un'interazione dinamica e organogenetica tra le 'molecole organiche' e i 'modelli interni', che riproducono le forme parentali tramite la mediazione di un campo di microforze attrattive e repulsive attribuibili alla specie delimitata empiricamente; essa si definisce secondo le sue caratteristiche integrali sviluppate entro un ambiente fisico particolare e variabile, e secondo la sequenza degli individui che la rappresentano attraverso la linea di riproduzioni successive. Questo approccio, in seguito, si estende fino a considerare i generi e le famiglie, che sono interpretati come insiemi di specie legate da un'origine storica comune e risultanti da processi degenerativi indotti da variazioni geografiche e climatiche. La sintesi di Buffon è portata a compimento nelle Époques de la nature (1779), dove le diverse tesi sono correlate a valutazioni dedotte sperimentalmente riguardo alla durata e ai fattori delle alterazioni successive che investono gli insiemi delle forme naturali. In definitiva, attraverso questa via si definisce il quadro di un immenso programma di ricerche che le scienze nate alla svolta del XIX sec. faranno proprio.

La teoria pretrasformista ereditata da Buffon instaura interessanti alleanze con la riemergente epigenesi e le fisiologie vitaliste che si affermano in ambito tedesco. La storia naturale, intesa quindi come Naturgeschichte (storia della Natura) e non più come semplice Naturbeschreibung (descrizione della Natura), sostituisce al processo di evoluzione degenerativa ‒ che faceva risalire l'alterazione delle forme viventi all'effetto di un meccanismo speciale delle forze in gioco ‒ un processo che rende progressivamente più complesse queste forme in seguito all'azione di principî vitali specifici. In una forma estrema, questa tendenza darà spazio alle speculazioni della Naturphilosophie (filosofia della Natura) e alle teorie biogenetiche che a essa si richiamano; in una forma più critica e restrittiva, fornirà un quadro euristico alle ricerche empiriche sulla relazione dinamica delle forme viventi nello spazio e nel tempo.

L'analisi dell'organizzazione vitale

I fisiologi del Settecento attingono come fonte metodologica alla iatromeccanica, il cui modello iniziale deriva dal microstrutturalismo che dominava le ricerche empiriche di Marcello Malpighi (1628-1694). Si fa strada un'idea di organismo che si compone di un insieme di piccole macchine dotate di strutture e proprietà specifiche; dalla combinazione di questi elementi dipende l'esercizio delle funzioni complessive dell'animale o della pianta.

In quest'epoca l'analisi microscopica si concentra sulla fibra come struttura primordiale di una pluralità di organi: lo schema esplicativo prevalente è quello della scomposizione in microparti (resolutio ad minutum) che si presumono concatenate e operanti secondo i postulati di una fisica meccanicista. Questa concezione riduzionista dell'organizzazione vitale si coniuga il più delle volte con tesi preformiste in rapporto alla generazione delle forme viventi: le piccole macchine integrate preposte allo sviluppo sotto forma di organismi complessi sarebbero preesistenti in germi 'incapsulati' contenuti tanto nell'uovo quanto nello spermatozoo.

Nei primi decenni del secolo, il microstrutturalismo s'incarna in dottrine più raffinate dal punto di vista epistemologico: è questo il caso, per esempio, delle teorie fisiologiche di cui Herman Boerhaave (1668-1738) e Friedrich Hoffmann (1660-1742) realizzano la sintesi e che serviranno come base ai principali sistemi rappresentativi della fisiologia dell'Illuminismo. Le indicazioni metodologiche fornite da Boerhaave, precisamente nelle Institutiones medicae (1708), suggeriscono un'analisi che prenda le mosse dagli effetti osservabili legati alle diverse strutture, allo scopo d'interpretarli, trasponendoli sotto forma di movimenti risultanti dai micromeccanismi che si presumono all'opera. Tuttavia, mentre quest'analisi richiederebbe una discriminazione sempre più sottile fra le strutture immanenti ai diversi solidi e ai diversi fluidi e una rigorosa identificazione delle proprietà che emergono dai microdispositivi ai diversi stadi d'integrazione organica, Boerhaave tende a generalizzare l'analogia del sistema vascolare a tutti i sistemi organici e a uniformare le spiegazioni funzionali collegate a quest'unico modello. Anche nel caso di Hoffmann, l'obiettivo consiste nello sviluppare i modelli fisico-chimici più idonei a rappresentare il meccanismo vitale. Il tipo di spiegazione che va elaborando, presuppone un principio materiale di animazione delle strutture organiche. Questo principio, di cui l'etere costituisce il referente analogico, è particolarmente presente nel fluido nervoso il quale, esercitando la sua azione dentro e attraverso la molteplicità di strutture solide di tipo vascolare, produce nel parenchima interessato effetti contrattili che determinano, a loro volta, i processi fisiologici emergenti.

Nella sintesi teorica Medicinae rationalis systematicae (1718-1740), è la dinamica delle interazioni multiple fra i componenti sottili dei solidi e dei fluidi dell'organismo a fornire il canovaccio delle spiegazioni causali ipotetiche attribuibili alle proprietà funzionali che si osservano nei diversi organi. Hoffmann è incline a concepire forze organiche specifiche che si ricollegano ai microdispositivi integrati costitutivi dell'organismo, forze che innescano le stimolazioni della vis nervosa che si esercita a partire dai componenti più sottili dei fluidi vitali.

È significativo che i sistemi iatromeccanicisti abbiano generato la loro antitesi, ossia la fisiologia animista di Georg Ernst Stahl (1660 ca.-1734). Nella Theoria medica vera (1708), l'autore tratta della corruttibilità intrinseca dell'organismo in quanto macchina materiale, aggregato instabile di miscele chimiche soggette a una rapida dissoluzione. La vita dipende dal potere di preservare questo meccanismo complesso e d'iscrivervi il perseguimento di una serie di atti funzionali che costituiscono la finalità dell'organismo. In primo luogo è necessario all'economia organica un atto che conservi il sangue; questo atto, compiendosi nella circolazione e nelle secrezioni ed escrezioni che ne risultano, preserva la miscela sanguigna e, di conseguenza, l'integrità strutturale e funzionale di tutte le altre parti. Quanto all'agente sotteso alla conservazione dell'organismo e all'esecuzione armoniosa dei suoi atti funzionali, Stahl non può immaginarlo diverso da un''anima' che attua un disegno di organizzazione vitale in un contesto di perpetua alterazione, formando, connettendo e salvaguardando l'economia globale delle micromacchine costitutive del corpo organico. La disposizione e la composizione interna delle parti finiscono naturalmente per essere subordinate all''atto architettonico' che si determina secondo le finalità strumentali della loro integrazione nell'organismo complessivo. In questa prospettiva, è opportuno ricondurre l'insieme delle funzioni fisiologiche, che si situa al di fuori dell'ordine del meccanismo vitale, ai poteri dell'anima.

Il conflitto tra le concezioni iatromeccaniche tarde e l'animismo riflette la parzialità di costruzioni teoriche a priori, che tentavano di tracciare la forma di un'analisi integrale dei processi vitali. La fisiologia cercherà di superare l'aporia di questi sistemi antinomici appoggiandosi a modelli più circoscritti e ipotizzando forze vitali specifiche delle strutture organiche studiate.

Se Francis Glisson (1597-1677), in margine alla iatromeccanica dominante, ha concepito l'idea di irritabilità ritenendola una proprietà vitale decentrata nelle microparti dell'organismo e nelle loro fibre costitutive, l'inserimento e l'interpretazione di questa proprietà nell'ambito di una vasta sintesi meccanicista devono attendere la svolta del XVIII sec. con gli scritti De praxi medica (1696) e De fibra motrice et morbosa (1702) di Giorgio Baglivi (1668-1707). Quest'ultimo concepisce una organogenesi a partire dal sangue da un lato, e dalla linfa e dal succo nervoso dall'altro; si generano così due tipi di fibre, carnose e membranose, elementi strutturali di due ampie aree tessutali che inglobano, da una parte, gli organi nervosi e sensibili, dall'altra, gli organi muscolari e motori. I movimenti ritmici di uno dei sistemi, derivanti dalle membrane cerebrali, in particolare dalla dura madre, provocano la stimolazione della vis insita propria delle fibre elementari dell'altro sistema.

Se le microstrutture sono concepite alla stregua di piccole macchine di tipo diverso, le loro proprietà vitali appaiono come "incognite esplicative" (Duchesneau 1982). D'altronde, la ricomposizione dell'organismo complesso e dei processi che lo caratterizzano non può essere l'oggetto di una derivazione meccanicista; solo il ricorso all'osservazione permette di constatare a posteriori i risultati ultimi dell'organogenesi.

Si deve ad Albrecht von Haller (1708-1777) la ricostituzione della fisiologia sulla base delle proprietà emergenti della combinatoria fibrillare. La metodologia halleriana è degna di nota, in quanto abbina vivisezione e autopsia, stimolazione chimica e intervento chirurgico; associa osservazioni e approcci teorici; si avvale della sperimentazione per fondare un insieme di concetti esplicativi. A partire dalle esperienze compendiate nel De partibus corporis humani sensilibus et irritabilibus (1753), Haller stabilisce una sottile discriminazione delle parti che sottendono le proprietà funzionali distinte dell'irritabilità e della sensibilità. Si adopera quindi per costruire una teoria fisiologica il cui oggetto è ormai decentrato sotto forma di macchine fibrillari diverse, analizzate secondo le proprietà strutturali e fisico-chimiche che le caratterizzano, ma soprattutto secondo l'emergenza delle forze (vires) fisiologiche loro proprie e che soltanto l'osservazione discriminante consente d'identificare come altrettante 'incognite esplicative' di tipo newtoniano.

Su tale base e ispirandosi alla modellizzazione della fisiologia come anatome animata che risponde alle norme di un meccanismo speciale, Haller ambisce a fornire la rappresentazione combinatoria delle strutture organiche superiori e delle funzioni che ne discendono. La fibra appare come un elemento irriducibile all'ordine fisico dei suoi componenti ma, come accade in una costruzione geometrica, quest'elemento va a integrarsi ad altri dello stesso ordine per formare strutture più complesse, mentre nello stesso elemento fibrillare risiede una potenza omologa a quella che si esprime dentro e attraverso gli insiemi di fenomeni che ne derivano. Se quindi la sensibilità caratterizza le fibre nervose, le funzioni sensorio-motrici dipendono dalla struttura integrale del sistema nervoso che è associato in modo concomitante e armonioso all'attività cosciente del soggetto.

Da questo punto di vista Haller si oppone a qualsiasi teoria dell'attività sensoriale concepita come 'funzione infracosciente' che si esercita nelle parti disaggregate del sistema. Nella sua opera principale, Elementa physiologiae corporis humani (1757-1766), come pure nei contributi più tardi, per esempio nei Suppléments dell'Encyclopédie, Haller illustra una discriminazione per stadi delle forze fisiologiche attinenti alle fibre elementari, secondo la loro specificità propria e secondo i sistemi più o meno complessi che le inglobano e ne sovradeterminano il funzionamento. Ma le incertezze teoriche che Haller non arriva a risolvere in merito alla ragione sufficiente dell'irritabilità, al rapporto tra la forza nervosa e la sensibilità cosciente, permettono ai suoi successori di procedere nelle numerose generalizzazioni analogiche che saranno all'origine dei principali dibattiti sulle forze vitali nella seconda metà del Settecento. D'altronde, le obiezioni sollevate contro le tesi e le sperimentazioni halleriane susciteranno notevoli divergenze metodologiche sulle osservazioni realizzabili e le inferenze teoriche che ne potevano scaturire.

A questo proposito sono significative, fra l'altro, le controversie che opposero Haller al medico viennese Anton de Haen (1704-1776) e al fisiologo scozzese Robert Whytt (1714-1766). Nel primo caso si fronteggiano le visioni antagoniste di una fisiologia fondata sulla sperimentazione delle proprietà fibrillari e di una medicina clinica concentrata sui fenomeni di devianza funzionale dei sistemi organici attribuibili alle patologie. Whytt invece interpretava tutti i movimenti organici come reazione di un active sentient principle agli effetti di stimolazione che colpivano la totalità o una parte del sistema nervoso, in alcuni casi di funzionamento spinale, o addirittura di funzionamento ancora più segmentario. In particolare, egli negava le vires insitae delle parti elementari che Haller riconnetteva a meccanismi speciali, mentre quest'ultimo contestava ciò che gli appariva come un riaffiorare dell'animismo di Stahl e una rinuncia alle pratiche di sperimentazione rigorosa. Resta il fatto che le divergenze, di crescente ampiezza, che s'iscrivono nel quadro empirico e teorico delineato da Haller, tracciano le linee di forza delle dottrine successive fino all'avvento della biologia come scienza all'inizio dell'Ottocento.

Il vitalismo ‒ a patto che si accetti questo termine polisemico ‒ ha origine dalle insufficienze, constatate o presunte, dei modelli meccanicisti nel rendere conto dei processi integrati dell'attività vitale; secondo il percorso individuato da François Azouvi, ne consegue l'istanza, a fini esplicativi, di principî specifici o di forze vitali che compongono, animano e regolano i processi fisiologici e che, alla stregua dell'anima stahliana, resistono alla malattia e alla morte, verso le quali tende spontaneamente la natura instabile e corruttibile dei corpi organici.

Nella messe di sviluppi analogici a cui danno spazio le analisi condotte da Haller, le dottrine vitaliste emergono quasi simultaneamente nella Scuola di Montpellier e precisamente con Paul-Joseph Barthez (1734-1806), nella Scuola scozzese con John Hunter (1728-1793), e nella Scuola di Gottinga con Johann Friedrich Blumenbach (1752-1840) e i suoi principali discepoli. Questi approcci vitalistici condividono un certo numero di elementi metodologici e teorici, ma a causa delle significative divergenze instaurano tradizioni distinte che improntano le concezioni relative all'organizzazione e al funzionamento vitale sul finire dell'Ottocento. Barthez, Blumenbach e Hunter concordano sul fatto che l'analisi dei fenomeni fisiologici e patologici sul piano dei sistemi integrati non può effettuarsi pienamente qualora ci si limiti a localizzarne le condizioni di emergenza nelle proprietà attribuibili alle microstrutture organiche. Secondo il nuovo orientamento, l'analisi e la spiegazione devono tradurre l'ordine teleologico che si esprime nei fenomeni della totalità organica; questi fenomeni d'integrazione funzionale presuppongono un certo tipo di disposizione formatrice e regolatrice.

Si ottengono in tal modo concetti di principe vital, di Bildungstrieb, di living principle, che devono essere precisati entro modelli specifici, relativi, per esempio, alle sinergie e alle simpatie organiche, alle forze derivate dal principio architettonico che si manifestano nelle strutture organiche specializzate (contrattilità, irritabilità, vita propria degli organi, sensibilità), ai processi di conservazione dipendenti da particolari poteri d'azione. Questi sistemi di principî e di forze o proprietà subalterne svolgono una duplice funzione: fornire ragioni sufficienti che consentano di ordinare i dati relativi ai processi fisiologici integrati; rappresentare il potere autonomo della Natura vivente che si esercita nella formazione e nell'animazione delle strutture organiche. Una volta descritte le caratteristiche comuni, si definiscono le divergenze.

Nei Nouveaux éléments de la science de l'homme (1778), Barthez tratta i processi complessi secondo una procedura analitica, ripromettendosi di formulare 'leggi' che rappresentino la correlazione osservabile tra i fenomeni. I suoi concetti esplicativi rimandano a proprietà olistiche dei sistemi rivelate dall'analisi degli effetti funzionali. La sensibilità generale e le simpatie nervose, quindi, gli offrono un oggetto privilegiato d'investigazione. Blumenbach ambisce a combinare un'analisi halleriana delle strutture elementari e delle proprietà che ne emergono con una concezione dell'epigenesi come modalità di spiegazione della formazione e rigenerazione organiche. Questa visione è sviluppata nella memoria Über den Bildungstrieb und das Zeugungsgeschäfte (Sull'impulso formativo e la funzione riproduttiva, 1781), laddove il concetto di Bildungstrieb, nell'ottica dell'autore, rappresenta una disposizione architettonica sufficiente a produrre questi effetti morfogenetici, e immanente ai materiali organici da cui derivano l'organismo complesso e le sue forze specifiche. Il Bildungstrieb determina quindi l'interpretazione delle forze specifiche da cui dipendono le diverse proprietà funzionali.

Quanto a John Hunter, egli si richiama a una concezione monadica del principio vitale, che esercita una duplice azione, preservatrice e attiva, all'interno dei composti organici elementari. Ne conseguono poteri d'azione propri di questi composti, la cui integrazione spiega i sistemi funzionali di livello superiore. I processi di generazione e di crescita costituiscono la base di ogni attività fisiologica; si presume che processi complessi, come quelli della sensibilità nervosa, emergano dai dispositivi organici integrati che armonizzano i loro poteri d'azione. Da questo punto di vista le funzioni metaboliche complesse risultano dalle funzioni elementari, costituendo la ragione determinante dell'organizzazione vitale. Sarebbe erroneo supporre che il vitalismo così concepito dipenda essenzialmente da sopravvivenze metafisiche nel pensiero sperimentale moderno: si tratta piuttosto di un complesso di strategie analitiche relative all'ordine funzionale che si manifesta in modo gerarchico e integrato negli organismi viventi.

La teoria della generazione e della formazione dell'embrione, al principio del Settecento, è stata dominata in modo quasi incontrastato dalle concezioni preformiste che si erano sviluppate a partire dalle ricerche di Jan Swammerdam (1637-1680), di Malpighi e di Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723), fra i tanti naturalisti appassionati di osservazioni al microscopio e pronti a subordinare la produzione degli esseri viventi a un ordine meccanico incarnato nelle leggi generali della Natura. Macchine complesse della Natura, gli esseri viventi avrebbero origine da semi 'incapsulati' raffiguranti in miniatura, fin dall'origine, la complessità integrativa degli organismi poi formatisi nel corso dei secoli.

Le due varianti principali di queste preesistenze soggette a un semplice sviluppo, o 'evoluzione', si riconnettono all'ovismo, che le fa risalire alla formazione originaria delle uova femminili ‒ tesi dominante tra i successori di Swammerdam e di Malpighi ‒ o all'animalculismo che li ricollega alla formazione originaria degli animalculi spermatici, la cui esistenza era stata rivelata da Leeuwenhoek e da Nicolaas Hartsoeker (1656-1725).

Il preformismo ovista e la corrispondente teoria della preesistenza dei germi incapsulati sono magistralmente esposti nel trattato di Antonio Vallisnieri (1661-1730) Istoria della generazione dell'uomo (1721). L'autore sostiene, in particolare, che nessun principio meccanico o metafisico può rendere conto dell'epigenesi, come modalità di composizione dell'organismo a partire dagli elementi di un ordine di complessità nettamente inferiore; in questo contesto la spiegazione preformista appare l'ipotesi più semplice e soddisfacente.

Un'analoga argomentazione a sostegno di tale ipotesi si ritrova, per esempio, nei Mémoires pour servir à l'histoire des insectes (1734-1742) di René-Antoine Ferchault de Réaumur (1683-1757). Manca tuttavia l'osservazione che consentirebbe di svelare la presenza stessa dell'embrione non fecondato nel corpo luteo delle presunte uova; e si spiega così la compensazione di questa lacuna empirica mediante deduzioni speculative. La preesistenza del germe nella serie inscatolata degli spermatozoi è un'idea che deriva senz'altro da Leeuwenhoek, il quale tenta di associare una molteplicità di argomenti e di osservazioni per consolidare questa teoria. Ma essa assume un'impronta caratteristica con l'ovovermismo che si sviluppa, com'è noto, nell'opera di George Garden (1649-1733), Hartsoeker e Nicolas Andry (1658-1742), secondo i quali l'evoluzione degli embrioni a partire dagli elementi preformati del seme maschile presuppone un meccanismo di penetrazione nell'uovo e un condizionamento vitale che l'uovo fornisce sia nel caso dei vivipari sia in quello degli ovipari.

Se l'esordio del secolo è segnato dalla disaffezione nei confronti dell'animalculismo, l'ovismo continua a dominare pur senza una conferma empirica sufficiente; suscita, tuttavia, sempre più obiezioni fondate tanto sul riconoscimento della complessità inerente ai processi generativi, quanto sullo scetticismo verso ogni sistema fisico-teologico della Natura che liquida indebitamente la ricerca di meccanismi autonomi in grado di rendere conto della formazione degli organismi.

Al 1740 risalgono le sorprendenti osservazioni di Charles Bonnet (1720-1793) e di Abraham Trembley (1710-1784), rispettivamente sulla partenogenesi degli afidi e sulle rigenerazioni, inspiegabili in senso meccanico, del polipo d'acqua dolce (Hydra viridis). Questi fenomeni offrono immediatamente il destro per condurre ricerche empiriche che suscitano nuove ipotesi di spiegazione sulla plasticità e la polivalenza funzionale della materia vivente. Le ricerche più celebri furono quelle di John Turberville Needham (1713-1781) sulle generazioni spontanee che l'effetto del calore sembra produrre sulla materia organica in ambienti sterili, e sulle rigenerazioni di organismi disseccati: Rotiferi, alghe del genere Nostoc, anguillula del frumento, ecc. Tutte queste ricerche miravano a dimostrare l'esistenza di una 'forza interna espansiva', di una 'facoltà generativa' e di una 'forza vegetativa' specifica che si esercitava in ogni punto della materia, capace di produrre le combinazioni organiche più complesse.

A fronte di quest'apertura programmatica della teoria, il preformismo ‒ soprattutto nelle Considérations sur les corps organisés (1762) di Bonnet ‒ si munisce d'interpretazioni più complesse sulla preesistenza di germi onnipresenti nella struttura e suscettibili di esprimersi rigenerando o riproducendo organismi conformi al tipo specifico. Il ritorno dell'epigenesi, a metà del secolo, è il risultato di una congiuntura complessa in cui intervengono indiscutibilmente dottrine antimeccaniciste come quella di Stahl, ma anche concezioni del sistema della Natura che danno spazio a forze specifiche sul tipo dell'attrazione newtoniana e all'autonomia dinamica delle sostanze composte, secondo l'idea di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716).

Le scoperte empiriche relative alla generazione e alla rigenerazione dei viventi animali contribuiscono, da parte loro, al cambiamento di modello, senza che un paradigma riesca ad avere il sopravvento sull'altro in modo definitivo. Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759) è il primo a ristabilire, nella Vénus physique (1745), una spiegazione epigenetica della riproduzione; egli suppone una forza d'attrazione esercitata, nella mescolanza dei semi, da particelle omologhe che conservano la memoria della composizione degli organi dai quali provengono. Questa concezione dà spazio a fenomeni che il preformismo arrivava a spiegare con difficoltà, per esempio la trasmissione di tratti ereditari che derivano dalle due linee parentali e la formazione contingente di mostri. Certo, le proprietà attrattive delle monadi fisiche coinvolte in processi di questa natura devono essere interpretate per analogia con desideri, avversioni, funzioni mnemoniche; sebbene si sollevino difficoltà epistemologiche, di fronte all'inefficacia esplicativa delle ipotesi avverse è comunque opportuno soppesarne vantaggi e svantaggi.

Una variante molto diversa di questo tipo di approccio si riscontra in Buffon, il quale esclude che le particelle elementari abbiano poteri di tipo psichico, ma le caratterizza come 'molecole organiche' che si associano secondo la forza di penetrazione esercitata dalle matrici o dai 'modelli interni' inerenti ai composti organici preliminari.

Il suo collega di sperimentazioni e pratiche d'osservazione al microscopio, Needham, denuncerà la distanza insufficiente di questo modello dal preformismo, insistendo sul ruolo organogenetico delle forze espansive di cui sono dotate le particelle elementari e che determinano effetti contingenti di vegetazione in un sistema della Natura fondamentalmente dinamico. In un certo senso, in queste dottrine più speculative che empiriche si esercita l'influenza di modelli fisico-chimici d'ispirazione newtoniana e di modelli più dinamici e organicistici ereditati dalla tradizione leibniziana.

La vera nascita dell'epigenesi scientifica coincide con le osservazioni e le teorie esposte nella Theoria generationis (1759) di Caspar Friedrich Wolff. Analizzando i fenomeni di assimilazione e disassimilazione propri dei corpi organici in formazione, l'autore presume che operi una vis essentialis che non rientra nei processi fisico-chimici. Questa forza realizza l'organogenesi secondo un ordine determinato, a prescindere dal fatto che le forze di tipo meccanico si esercitano dentro e sui prodotti della formazione iniziale in modo da presiedere alla trasformazione e al funzionamento degli organi costituiti.

Il preformismo nella sua fase tarda subisce notevoli adattamenti, che approdano a teorie in cui le divergenze tendono a riassorbirsi. Questo ciclo è inaugurato dai tentativi effettuati da Bonnet per superare la difficoltà intrinseca all'epigenesi di concepire l'individuo vivente come un tutto strutturale e funzionale sufficientemente integrato fin dal primo momento della formazione.

In una serie di scritti, dalle Considérations sur les corps organisés alla Contemplation de la nature (1764), alla Palingénésie philosophique (1769), Bonnet sviluppa la sua ipotesi relativa a un 'fondo preesistente di organizzazione' inerente ai germi molecolari e concomitante al possesso di principî psichici elementari. Questo tipo di germi, che è preferibile raffigurarsi inscatolati secondo l'ordine delle generazioni successive, richiede una preordinazione secondo il tipo organico considerato che non si può far derivare dalle leggi della natura inorganica.

Queste leggi invece intervengono, secondo l'ipotesi di Bonnet, nei processi di evoluzione e di espressione strutturale dei germi non osservabili e producono, per derivazione contingente, gli organismi osservabili nell'ordine naturale; essendo conformi ai tipi specifici originari, questi organismi incarnano di conseguenza le variazioni individuali più diverse.

Le opinioni di Bonnet, essendo orientate in questa direzione, finiscono per influenzare l'interpretazione delle esperienze condotte dal suo corrispondente Haller, in particolare sull'uovo della gallina e sulla formazione del pollo. In un primo tempo Haller aveva oscillato tra preformismo animalculista ed epigenesi, in seguito aveva attraversato una fase di scetticismo giustificata dalla disillusione di fronte alle insufficienze delle tesi di Buffon.

Nei suoi studi relativi all'embriogenesi del pollo, che si fondano su notevoli protocolli sperimentali (Sur la formation du coeur dans le poulet, 1758; Commentarius de formatione cordis in ovo incubato, 1767), Haller adotta come ultima risorsa il principio della disparità tra esistenza e percettibilità, un principio che gli consente di descrivere le fasi osservabili e di ricollegarle a ragioni sufficienti ritenute conformi alla tesi di una struttura organica preesistente. Nel corso del suo lavoro sperimentale, riscontra un'apparente continuità tra la membrana vitellina e le pareti intestinali del feto, il che lo induce ad aderire a una sorta di preformismo ovista che ammette meccanismi evolutivi sui generis delle membrane e quindi del feto.

Le difficoltà di quest'interpretazione, che presuppone una continuità primordiale fra le reti vascolari che emergono distintamente, si manifestano nelle critiche dei contemporanei, soprattutto quelle di Wolff, esposte nella Theoria generationis e nella Theorie von der Generation (1764). L'autore contesta tanto il postulato teorico, ossia il principio di visibilità potenziale, quanto la deduzione sperimentale relativa alla continuità delle membrane. Le repliche finali di Haller ratificano un preformismo di principio, sviluppando al tempo stesso constatazioni desunte dalle esperienze realizzate senza addentrarsi nelle implicazioni teoriche che ne sarebbero conseguite.

Il naturalista italiano Lazzaro Spallanzani (1729-1799), nel Prodromo di un'opera da imprimersi sopra le riproduzioni animali (1768), studia le riproduzioni apparentemente anormali negli organismi relativamente complessi, riproduzioni che a priori sembrano contravvenire all'ipotesi canonica. Egli dimostra empiricamente la regolarità dei processi in atto secondo la proiezione dell'ordine strutturale da attualizzare. Su queste basi Spallanzani mette in discussione sia l'epigenesi sia il preformismo classico, considerando l'uovo alla stregua del germe e ammettendone lo stato iniziale indifferenziato come un'apparenza fondata.

Nelle Dissertazioni di fisica animale, e vegetabile (1780) cerca di stabilire, tramite le condizioni sufficienti e necessarie dell'embriogenesi, la prova dell'intervento di un'organizzazione preliminare; la dimostrazione empirica della preesistenza ovista assume quindi la forma di una ricerca sull'inseminazione artificiale. Nell'ambito di questi studi, dato che gli spermatozoi erano considerati inerti a causa delle tecniche di filtrazione adottate, il seme maschile è ridotto al ruolo di attivante fisico-chimico, quindi non è l'elemento biologico attivo che partecipa alla strutturazione iniziale dell'organismo; questa strutturazione, che si presume già presente se non percettibile, sembra tradursi in una forza formatrice specifica sottesa all'embriogenesi.

A parte l'esclusione di qualsiasi mescolanza effettiva di seme e il presupposto di una struttura complessa di base, si fa palese l'avvicinamento a una concezione vitalistica ed epigenetica della riproduzione come quella sviluppata da Blumenbach nella sua celebre memoria Über den Bildungstrieb und das Zeugungsgeschäfte. In effetti l'autore mantiene sostanzialmente il rapporto tra le proprietà funzionali emergenti e le microstrutture integrate dell'organismo, secondo le caratteristiche della fisiologia halleriana, ma fa dipendere la strutturazione iniziale dell'organismo da una disposizione architettonica inerente alla mescolanza dei semi, una sorta di principio vitale che incarna il progetto organizzativo del tipo specifico da cui deriverebbe la formazione dell'organismo completo. Il Bildungstrieb sarebbe anche all'origine delle vires insitae che si esercitano dentro e attraverso le strutture integrate dell'organismo, forze intrinseche su cui le circostanze esterne determinano variazioni individuali.

L'indagine storica relativa agli aspetti principali della teoria dell'organizzazione vitale nel Settecento rivela comunque un progressivo distacco dal modello meccanicista centralizzato dell'essere vivente che caratterizzava i discendenti immediati del cartesianesimo. Attraverso contributi come quelli di Denis Diderot (1713-1784), Johann Gottfried Herder (1744-1803), Immanuel Kant (1724-1804) e Georges Cabanis (1757-1808), per citare soltanto alcuni dei protagonisti attivi in campo filosofico, si sviluppa una ricerca indirizzata verso nuovi concetti chiave per una teoria orientata in questo senso.

Attraverso questa ricerca si viene a delineare una concezione del vivente sostanzialmente fondata su una decentralizzazione strutturale e funzionale dei fenomeni vitali verso le microparti. Sono parti sottoposte a processi fisici e chimici sui generis, animate da forze vitali suscettibili di produrre effetti architettonici e adattativi; la concatenazione e l'integrazione di queste forze permetterebbero il formarsi di organizzazioni complesse. La produzione di queste organizzazioni si può interpretare come espressione diacronica ‒ e di fatto contingente e variabile ‒ di germi (Keime) e di disposizioni (Anlagen) che riflettono l'ordine di composizione dei tipi organici principali e li adattano a contesti naturali in perpetuo mutamento.

In questo quadro teorico viene dato ampio spazio all'inventario empirico e sperimentale delle forme viventi e delle correlazioni fenomeniche più o meno regolari a cui sono ridotti, per l'ignoranza delle cause profonde, le proprietà e i processi che le determinano. L'interpretazione di fenomeni complessi di questa natura richiede inoltre il ricorso ‒ se non altro a fini euristici ‒ a una proiezione di rapporti teleologici sulle connessioni osservate; si punta infatti all'obiettivo di rappresentare l'ordine inerente agli organismi viventi in conformità ai caratteri di una interpretazione riflessiva, di cui Kant parla nella Kritik der Urteilskraft (Critica del giudizio, 1790), e di individuare modelli analogici di quest'ordine.

Il profilo della ricerca sperimentale

I modelli teorici contraddittori che abbiamo individuato, ben lungi dall'ostacolare la prassi sperimentale o dal sostituirsi a essa, la stimolano sotto molti aspetti e ne risultano a loro volta modificati. Nelle tecniche sperimentali che caratterizzano la ricerca, si rivela uno sviluppo su tre fronti: l'osservazione comparata di processi che si attuano sia nei vegetali sia negli animali, da un lato nell'ambiente naturale, dall'altro in ambienti modificati e controllati artificialmente che preannunciano il laboratorio delle epoche più recenti; la vivisezione; una combinazione dei due modelli precedenti, con l'applicazione degli strumenti di misura disponibili.

Nella prima metà del secolo, l'esempio per eccellenza di queste pratiche è costituito dai lavori descritti nelle opere Vegetable staticks (1727) e Haemastaticks (1733) di Stephen Hales (1677-1761). Per determinare la pressione sanguigna, Hales introduce dispositivi sperimentali connessi a tubi di vetro disposti verticalmente che gli consentono di redigere tavole statistiche relative alla pressione arteriosa o venosa di una serie di animali in diverse parti della rete. Essendo interessato ai fattori suscettibili di influenzare la funzione circolatoria, Hales, sulla base di una valutazione quantitativa, fissa alcuni parametri relativi alle pulsazioni cardiache, nonché alle azioni vasodilatatrici e vasocostrittrici nelle reti periferiche, e stabilisce la correlazione fra questi diversi parametri e le caratteristiche comparate degli animali.

Contemporaneamente le ricerche dei botanici, con il supporto dell'osservazione al microscopio, si orientano sempre più verso le strutture organiche complesse; una scelta, questa, che solleva il problema del grado di analogia tra le funzioni degli organismi vegetali e quelle degli organismi animali. A queste tendenze si riallacciano gli obiettivi delle ricerche sperimentali che vengono condotte da Hales nel campo della fisiologia vegetale: egli misura, infatti, l'assorbimento e l'eliminazione dell'acqua nelle piante e analizza, inoltre, la traspirazione delle foglie. I suoi lavori gli permettono di dimostrare le modalità di ascensione della linfa e di confutare di conseguenza l'ipotesi di una circolazione vegetale. Adottando un modello meccanicista di tipo newtoniano, Hales cerca di concepire l'inversione delle forze d'attrazione e di repulsione tra le particelle dell'aria, a seconda che essa sia considerata allo stato libero o a quello fisso, ossia integrata ai solidi organici. Negli ultimi decenni del secolo la scoperta della fotosintesi a opera di Joseph Priestley (1733-1804), Jean Senebier (1742-1809) e Jan Ingen-Housz (1730-1799) ‒ trasposta nella terminologia analitica della chimica di Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794) ‒ appare ispirata ai modelli sperimentali forniti da Hales nella chimica pneumatica.

A partire dalla metà del secolo le grandi sperimentazioni fisiologiche, basate essenzialmente sulla vivisezione, si concentrano in particolar modo sulle proprietà vitali halleriane, l'irritabilità e la sensibilità; si cerca di ricollegarle alle diverse strutture organiche, tentando anche di spiegarne sia gli effetti, sia il principio di produzione a partire dall'organizzazione delle microstrutture. È evidente che queste preoccupazioni analitiche, come pure l'ambivalenza dei modelli esplicativi proposti, sollecitano ricerche sperimentali importanti, soprattutto nell'ambito della fisiologia dei sistemi neurologico e muscolare. Anche i grandi dibattiti teorici sulla spiegazione della generazione e lo sviluppo degli organismi complessi sono all'origine di ricerche empiriche di alto livello sulle modalità riproduttive degli organismi elementari e sull'embriogenesi.

Contrariamente all'opinione corrente, i fisiologi del XVIII sec. tendono a fondare le loro ricerche sull'osservazione rigorosa e sulla sperimentazione analitica, nei limiti della strumentazione e dei modelli fisico-chimici a loro disposizione. Alcuni sistemi organici sono oggetto di una determinazione dei parametri quantitativi. Oltre alle prime misure tentate da James Keill (1673-1719), e alle esperienze di Hales, le ricerche di Daniel Bernoulli (1700-1782) e di François Boissier de Sauvages (1706-1767), tra le altre, stabiliscono una misura della forza esercitata dal cuore nella propulsione del flusso sanguigno. Questa determinazione di parametri, allo stesso modo della determinazione di altre caratteristiche del sistema circolatorio, suscita critiche, quali quelle di Jean-Baptiste Sénac (1693-1770), volte a mettere in guardia gli studiosi sull'impossibilità di quantificare i fattori di fenomeni tanto variabili. Il sistema nervoso è oggetto di analisi anatomiche accurate nel momento in cui sono avviate le riflessioni teoriche sulle proprietà funzionali delle parti elementari dell'organismo. Il meccanismo della trasmissione nervosa rimane allora oggetto di ipotesi volte ad adattare la teoria degli 'spiriti animali' ai modelli meccanici o chimici che sembrano più adeguati. La discriminazione analitica e sperimentale dell'irritabilità e della sensibilità e la ricerca di modelli per renderne conto, sia da parte di Haller sia dei suoi oppositori e dei suoi successori, porta agli sviluppi più interessanti che riguardano, in particolare, l'effetto della stimolazione elettrica sulle proprietà fibrillari e sulla rete nervosa. Le esperienze realizzate da Felice Fontana (1730-1805) secondo un approccio halleriano, gli permettono di formulare, nel 1775, le sue leggi sulla persistenza dell'irritabilità e sulla relazione tra la stimolazione e i tempi di latenza e di recupero. Allo stesso modo, Luigi Galvani (1737-1798) sperimenta metodicamente i modi di azione dell'elettricità animale e il ruolo presunto di quest'ultima sulla conduzione dello stimolo nervoso. L'eredità di Haller consiste, in generale, nelle pratiche di analisi sperimentale sistematiche e coerenti che fanno scuola e trasformano profondamente la fisiologia, determinando il suo profilo metodico più recente. Un tale approccio caratterizza, in particolare, ricerche come quelle effettuate da Spallanzani sulla digestione gastrica, per le quali egli porta a compimento le esperienze precedenti di Réaumur sullo stesso argomento.

In seguito all'avvento della chimica analitica sul finire del Settecento, prende piede un nuovo tipo di ricerca sperimentale che preannuncia il programma di fisiologia generale ‒ destinato ad affermarsi nel secolo seguente ‒ al quale la teoria cellulare fornirà il quadro di riferimento. A questo proposito si possono evocare, in particolare, gli ultimi lavori di Spallanzani, che approdano alla pubblicazione curata da Senebier dei Mémoires sur la respiration (1803). Oltre alla funzione respiratoria polmonare, Spallanzani evidenzia in questo contesto, sulla base della dimostrazione sperimentale, l'assorbimento dell'ossigeno da parte delle strutture tessutali.

I Mémoires appaiono interessanti per più di un motivo: rappresentano una tappa significativa nell'analisi dei processi chimici della respirazione dopo Lavoisier; rivelano la preoccupazione di associare strettamente le modalità di spiegazione fisico-chimiche, la descrizione dei processi funzionali e il riferimento alle categorie della storia naturale comparata; illustrano abbastanza adeguatamente l'analisi dei fenomeni organici, così come sarà integrata in seguito al quadro metodologico della biologia sperimentale; infine, coincidono con un periodo di revisione della fisiologia, che si concentra sempre più sullo studio dei processi caratteristici delle strutture fondamentali ed elementari del vivente, cercandovi l'espressione delle leggi che determinano i fenomeni generali della vita.

Qual è lo stato della ricerca quando Spallanzani si impegna in questa direzione? Dopo i lavori di Adair Crawford (1748-1795) e di Lavoisier, non sussistono più dubbi sul fatto che la funzione respiratoria si compie mediante un processo di combustione. In seguito al Mémoire sur les altérations qui arrivent à l'air dans plusieurs circonstances où se trouvent les hommes réunis en société (1787), Lavoisier delinea una duplice reazione che coinvolge l'aria vitale: l'ossigeno può effettivamente combinarsi sia con il solo carbonio, sia con il carbonio da una parte e l'idrogeno dall'altra, per formare 'gas acido carbonico' (anidride carbonica e acqua).

La collaborazione con Armand Séguin (1767-1835) a partire dal 1790 lo induce a mantenere l'ipotesi della combustione polmonare totale e, contemporaneamente, a confermare la duplice affinità dell'ossigeno con l'idrogeno e il carbonio. Peraltro, già dal 1785, Lavoisier sostiene una teoria delle funzioni che si potrebbe definire 'metabolica'. Osservando che il consumo di ossigeno aumenta durante la digestione, l'esercizio fisico e nell'esposizione al freddo, Séguin e Lavoisier concludono che "la macchina animale è governata da tre regolatori principali: la respirazione, che consuma idrogeno e carbone e fornisce il calorico; la traspirazione, che aumenta o diminuisce a seconda che vi sia la necessità di apportare più o meno calorico; infine la digestione che restituisce al sangue ciò che perde in seguito alla respirazione e alla traspirazione" (Séguin, Premier mémoire sur la respiration des animaux, p. 580).

Nel 1790 Séguin costruisce un modello per spiegare la combustione lenta nei polmoni; il processo chimico dominante è la combustione dell'idrogeno carbonato attraverso l'ossigeno con produzione nei polmoni di gas acido carbonico e di acqua; come corollario, la colorazione rosso vivo del sangue arterioso si spiega con la sottrazione di idrogeno. Questo modello indirizzerà i successivi lavori dei due scienziati (Mendelsohn 1964). Senza un rifiuto di qualsiasi ipotesi di assorbimento parziale dell'ossigeno attraverso il sangue con conseguente formazione di diossido di carbonio, si tratterebbe unicamente di un fenomeno incidentale. Certo, i due ricercatori hanno individuato la formazione di acqua e diossido di carbonio sull'intera superficie cutanea concludendone che la secrezione dell''umore idrocarbonato' non riguarda soltanto il parenchima polmonare, tuttavia non arrivano a dedurne una vera e propria combustione respiratoria nei tessuti cutanei, perché questa nozione avrebbe rimesso in discussione la loro concezione struttural-funzionale della regolazione nella macchina animale.

È opportuno segnalare, in questo contesto, anche le obiezioni sollevate dal fisiologo vitalista Christoph Girtanner (1760-1800) e la tesi contraria a Séguin sviluppata da Jean-Henri Hassenfratz (1755-1827). Nei suoi Mémoires sur l'irritabilité, considérée comme principe de vie dans la nature organisée (1790), Girtanner sostiene che l'ossidazione come mutazione specifica dei determinanti chimici si esercita nell'insieme dei processi circolatori e secretori. Attraverso Alexander von Humboldt (1769-1859) la tesi di Girtanner influenza Spallanzani e non appare senz'altro eccessivo cogliervi il rapporto metodologico con i modelli esplicativi di tipo halleriano, a parte la deformazione vitalistica posthalleriana da cui lo scienziato italiano rimase indenne.

Influenzato da Joseph-Louis Lagrange (1736-1813), Hassenfratz nel 1791 sostiene la tesi di una dissoluzione completa dell'ossigeno respiratorio nel sangue; sulla base di esperienze in vitro dimostra la colorazione vermiglia del sangue ossigenato, da cui desume la diffusione dell'ossigeno attraverso le pareti alveolari dei polmoni. La prosecuzione dell'analisi sul terreno sperimentale richiederà la separazione dei gas contenuti nel sangue e la dimostrazione della loro modalità di combinazione chimica con i tessuti nelle diverse fasi del processo circolatorio. Spallanzani in realtà va oltre le implicazioni della tesi di Hassenfratz, in quanto intende trattare la respirazione come una funzione metabolica generalizzata alle strutture tessutali. La sua ricerca si concentra specificamente sull'assorbimento di ossigeno e sulle sue modalità organiche; la "scorciatoia" che pretende d'imboccare consiste in uno studio sperimentale su quest'assorbimento nelle diverse classi di animali, a partire da quelle in cui l'organizzazione dell'apparato respiratorio è rudimentale o inesistente. Quindi Spallanzani concepisce una respirazione tessutale generale che prosegue normalmente fintantoché la disorganizzazione dei tessuti non ne provoca la cessazione. Al di là delle controversie contemporanee, lo studio dell'apparato nelle forme inferiori del regno animale consente di far variare, in un certo senso, le condizioni che determinano il fenomeno, allo scopo di spiegare un processo generale di assimilazione e disassimilazione chimica.

Uno degli ordini di fenomeni più caratteristici è quello delle letargie di animali ibernanti, perché comprende variazioni naturali nella concatenazione delle condizioni che determinano il processo circolatorio e fornisce osservazioni comparative su questi animali "nella duplice condizione di una vita desta e attiva, e in quella di una morte apparente" (Mémoires sur la respiration, p. 104). L'obiettivo della ricerca consiste quindi nello stabilire con rigore un'analogia fondamentale tra gli animali che non respirano e quelli che respirano, sulla base di una legge secondo cui "l'organo della pelle assolve in certo qual modo le funzioni dei polmoni" (ibidem, p. 113). Attraverso osservazioni condotte sui vermi relative alla produzione di acido carbonico in atmosfere dove è presente idrogeno o azoto, Spallanzani definisce in modo indiretto, ma apparentemente adeguato, la tesi dell'assorbimento organico di ossigeno che ricollega all'attività inerente alle strutture elementari degli organismi.

Per meglio identificare il significato biologico di questo processo, egli estende la validità dell'analogia respiratoria proseguendo l'analisi sui diversi tipi di organizzazione vitale e sui diversi organi degli organismi complessi; ne conseguono, tra l'altro, importanti esperienze sulle chiocciole assimilate a veri e propri eudiometri. Spallanzani collega alla sospensione delle funzioni vitali in stato di letargo l'interruzione della combustione respiratoria specializzata. Ora, l'esperienza dimostra che al di là della dose consumata dall'animale allo stato di vita attiva, una modesta porzione di ossigeno è sufficiente a mantenere in vita l'animale durante il letargo. Il consumo di ossigeno è proporzionale alla crescita della temperatura; inoltre, una volta sospesa la respirazione attraverso l'organo specifico, si determina costantemente una modesta decomposizione dell'aria comune con produzione corrispondente di acido carbonico.

Spallanzani quindi suppone che l'ossigeno sia assorbito dai tessuti, anche per un certo lasso di tempo dopo la morte, a condizione che essi abbiano conservato una sufficiente integrità, e verifica che la teoria chimica della respirazione si applica perfettamente al caso di queste strutture organiche elementari. Il calore fa aumentare la circolazione dei fluidi negli animali in letargo, "poiché la forza chimica attira l'ossigeno" (ibidem, p. 56), e la quantità di ossigeno precedentemente fissata nelle fibre si decompone; ne deriva una carenza funzionale di ossigeno che provoca il risveglio dell'organismo.

L'eliminazione dell'acido carbonico è funzione del potere di fissare l'ossigeno nelle diverse parti interessate, perché questa fissazione determina l'irritabilità delle strutture organiche elementari ‒ in altre parole la loro attività funzionale ‒ e questa a sua volta provoca l'eliminazione polmonare o cutanea di questo gas. L'assorbimento di ossigeno, secondo la dottrina di Lavoisier, comporta la liberazione del calorico, ma poiché l'ossigeno penetra nel sangue, la diffusione del calorico prosegue in tutto il sistema circolatorio, mantenendo così relativamente costante il calore negli organismi dotati dell'apparato polmonare vero e proprio degli animali a sangue caldo. La temperatura degli animali a sangue freddo, poco diversa da quella dell'aria ambiente, si spiega senz'altro con l'assorbimento più lento di ossigeno e con la parte relativamente più importante assegnata alla respirazione membranosa.

Tre argomenti riassumono l'inferenza induttiva che scaturisce dalle esperienze effettuate: l'ossigeno è l'agente chimico che anima gli organi irritabili e in ultima analisi le fibre organiche; la sospensione della respirazione negli animali letargici è legata funzionalmente alle carenze della disassimilazione; l'assorbimento di ossigeno attraverso le membrane tessutali in assenza di un apparato respiratorio autonomo rivela un'organizzazione primordiale delle funzioni vitali. La regolazione respiratoria, in quanto indizio di questa organizzazione, è suscettibile di determinare il rapporto struttura-funzione negli organismi del tipo dei Protozoi. In quelli più complessi l'azoto, l'idrogeno e il diossido di carbonio si assimilano nella struttura fibrillare dei diversi organi; quest'accumulazione produrrebbe una saturazione letale, se la circolazione degli umori non ne determinasse il trasferimento verso la periferia del corpo. Questa circolazione dipende dal movimento del cuore se l'organizzazione è sufficientemente complessa, da una contrattilità fibrillare più diffusa se l'organizzazione è più rudimentale. La cessazione dell'attività respiratoria determina la latenza di questo processo di circolazione generale. Se si suppone una sospensione prolungata dell'alimentazione, l'accumulazione delle sostanze tossiche si stabilizza; la circolazione, non essendo più necessaria per disassimilarle dall'organismo, può rallentare al massimo, e l'agente chimico della contrattilità fibrillare può essere provvisoriamente assente senza che le strutture si disintegrino.

Certo, la stagnazione dei liquidi vitali non potrebbe prodursi senza comportare alla lunga questo tipo di disintegrazione. Spallanzani ammette anche che la temperatura ambiente non deve abbassarsi al di sotto di una soglia vitale che corrisponde alle condizioni 'metaboliche' minime richieste per mantenere in vita l'animale. Questa soglia non è affatto identica nei diversi animali ibernanti, quindi è necessario postulare un movimento invisibile dei fluidi organici e il persistere di una proprietà di contrattilità fibrillare a un livello attenuato.

In definitiva, collegare la respirazione all'assorbimento di ossigeno attraverso i tessuti e iscrivere le reazioni chimiche produttrici di diossido di carbonio nella struttura organica elementare dei tessuti, equivale a promuovere una determinata concezione dell'integrazione organica.

Se abbiamo definito incidentalmente come 'metabolici' i fenomeni coinvolti, questo significato era attribuito in senso metaforico. Allora, la ricerca di concetti appropriati a una teoria fisiologica non potrebbe assumere l'andamento di un'esposizione di analogie? Lo sforzo di esplorazione sperimentale dei fenomeni respiratori, nel caso di Spallanzani, si appoggia a un gioco di analogie di questo tipo: analogia tra respirazione e assimilazione, tra forza di assimilazione e irritabilità fibrillare, tra operazioni organiche elementari e processi chimici integrati, tra forme diversificate dell'organizzazione vitale e combinazioni di meccanismi chimici corrispondenti delle strutture fibrillari specifiche. La serie di osservazioni e di esperienze realizzate è destinata a ridurre le analogie a rapporti chiari d'identità, mediante l'astrazione delle condizioni di eterogeneità che potrebbero apparire fra i termini delle analogie. L'astrazione è debitamente controllata e la clausola ceteris paribus è usata con rigore; la serie delle esperienze è anch'essa concepita in modo tale da scartare le molteplici ramificazioni delle alternative teoriche, a parte l'ipotesi più conforme ai fatti-principî.

Alla luce di questi diversi parametri, siamo di fronte a un esempio notevole della metodologia sperimentale nei modi in cui si sviluppa nelle scienze della vita del Settecento.

La medicina in trasformazione

In uno dei campi di applicazione privilegiati delle conoscenze sul vivente, nel Settecento si assiste se non alla nascita almeno al diffondersi deciso e irreversibile di una formazione medica subordinata all'osservazione clinica. A questo proposito si possono evocare fattori sociali, politici ed economici legati allo sviluppo di una società preindustriale maggiormente urbanizzata, con ospedali e ospizi, politiche statali di sanità pubblica, interpretazione dei fenomeni epidemici e scoperte terapeutiche. Si può anche far riferimento al nuovo quadro dei saperi e dei metodi costituitivi della Rivoluzione scientifica, ivi compreso il nuovo scenario della storia naturale e delle scienze fisiologiche.

Nei primi decenni del secolo Boerhaave, i cui discepoli si spargeranno per tutta l'Europa, imposta il suo insegnamento all'Università di Leida secondo un modello di formazione clinica fondato sull'osservazione di casi nell'ambiente ospedaliero, che prevede una descrizione seguita da diagnosi, prognosi, terapia adottata e successiva autopsia. Lo spartiacque tra questa protoclinica e la clinica propriamente detta si situa indubbiamente negli effetti di un numero rilevante di casi, nella volontà non tanto di confermare un sapere canonico quanto piuttosto di sviluppare un sapere diverso tramite l'inferenza induttiva, e di non servirsi più dell'anatomia patologica con finalità di conferma dottrinale ma in funzione di spiegazioni causali e ritrovati terapeutici.

In particolare, i discepoli di Boerhaave che si stabilirono a Edimburgo resero il Royal Infirmary un centro di diffusione del sapere clinico in cui erano incoraggiati lo studio analitico dei sintomi, l'integrazione delle pratiche con una formula pedagogica volta all'interpretazione dotta dei fenomeni, l'organizzazione rigorosa dell'ospedale ormai centrato sulla sua missione medica.

A Gottinga, sotto l'influenza di Haller, è l'approccio sperimentale a orientare la formazione clinica verso la considerazione dei dati empirici emersi da una pratica diversificata. A Vienna, nel contesto di una metropoli importante, Gerard van Swieten (1700-1772) e Anton de Haen sono incaricati dall'imperatrice Maria Teresa di procedere a una riforma del sistema ospedaliero e della formazione medica nello spirito dell'Illuminismo.

Se pure l'osservazione dei sintomi si raffina e si afferma il ricorso agli strumenti di misurazione, la correlazione delle osservazioni in vivo e post mortem non è ancora concepita come metodo analitico. In questa cornice, l'analisi esplorativa delle lesioni cardiache e polmonari mediante percussione, esposta da Leopold Auenbrugger (1722-1809) nel suo Inventum novum ex percussione thoracis humani (1761), non determina alcuna prassi sistematica.

Pavia è teatro di una svolta cruciale in questa storia: quando Simon-André Tissot (1728-1797) diviene direttore del locale Ospedale San Matteo e docente di medicina pratica, vi organizza la formazione secondo i principî esposti nel suo Essai sur les moyens de perfectionner les études de médecine (1785). Il suo successore a Pavia, Johann Peter Frank (1745-1821), nel 1795 assume la direzione degli ospedali di Vienna instaurandovi i principî di questa clinica rinnovata, dove gli studenti sono coinvolti nelle osservazioni diagnostiche e nelle indicazioni terapeutiche, e l'anatomia patologica, sulla scia di Giambattista Morgagni (1682-1771), consente la correlazione tra sindromi e lesioni organiche. Ancor prima della Rivoluzione francese, la formazione clinica si configura in forme moderne negli ospedali parigini; il periodo rivoluzionario, dopo l'abolizione di tutte le istituzioni dell'Ancien Régime, vede il costituirsi di nuove scuole di medicina e lo sviluppo sistematico delle migliori pratiche di osservazione e ricerca clinica, che, nell'opera di Marie-François-Xavier Bichat (1771-1802), sottendono il progetto di creazione di un'anatomia generale.

Il secolo dei Lumi segna l'affermazione di una nuova disciplina medica, l'anatomia patologica. Fin dalle ricerche anatomiche rinascimentali si era arrivati a correlare i casi patologici osservati e i tratti anormali rivelati dalla dissezione post mortem, ma è la sistematizzazione di questa correlazione a sollevare una serie di difficoltà. La situazione dialettica della questione è raffigurata dall'opposizione tra iatromeccanica, che fa derivare la malattia da una disfunzione dei micromeccanismi fisiologici, ed empirismo medico, nel solco di Thomas Sydenham, che cerca di descrivere i sintomi osservabili che caratterizzano l'essenza fenomenica delle malattie, prescindendo da qualsiasi esplorazione anatomica rigorosa del meccanismo vitale.

Il superamento di questo stadio è avviato da studiosi come Giovanni Maria Lancisi (1654-1720) e Ippolito Francesco Albertini (1662-1738), i quali sono interessati in particolare alle malattie del cuore e dei vasi e tentano di fondare, sulla conoscenza delle alterazioni anatomiche svelate dall'autopsia, la base causale dei sintomi patologici. Ora, questa ricerca presuppone la mediazione, in buona parte non ancora acquisita, di una fisiologia in grado di spiegare l''animazione' delle strutture anatomiche.

L'ampia sintesi pubblicata da Morgagni nel 1761, De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, fonda l''anatomia d'organo'; attraverso raccolte eccezionali di osservazioni, rivolte non più ai casi rari ma alle patologie comuni, l'anatomista padovano ricollega la fenomenologia clinica osservata nel paziente vivo a cause organiche rivelate dall'autopsia. La struttura alterata in seguito a condizioni complesse esterne e interne all'organismo determina gli effetti patologici attraverso processi di tipo fisico e chimico dipendenti dall'organo leso. Il De sedibus racchiude un gran numero d'identificazioni di sindromi divenute successivamente dati acquisiti dalla medicina scientifica.

Tra i successori immediati di questa corrente metodologica si annoverano diversi anatomisti, tra cui John Hunter, con le sue ricerche sulla differenziazione delle patologie organiche in base alle zone tessutali coinvolte. In seguito, con i discendenti di Hunter e sulla scorta della sistematizzazione testimoniata dall'opera di suo genero Matthew Baillie (1761-1823), l'anatomia patologica giunge ad assumere il ruolo di disciplina autonoma, al centro della teoria e della pratica mediche. La volontà d'innalzare lo studio delle malattie a un livello convincente di scientificità si manifesta nei tentativi di considerare i fenomeni patologici all'interno di una classificazione che riproduca l'ordine di generazione razionale delle malattie complesse a partire da quelle semplici.

Philippe Pinel (1745-1826), per esempio, nel suo intento di costituire una nosografia conforme al canone dell'analisi condillachiana, è indotto ad analizzare in qualità di medico, da un lato, il registro dei sintomi, dall'altro lato, quello delle modificazioni delle strutture anatomiche da cui la malattia deriva la sua origine causale. Il modello analitico giunge a perfetto compimento nel momento in cui Bichat, nella sua Anatomie générale (1801), definisce come ragione sufficiente dei fenomeni patologici le alterazioni sia fisiche che chimiche, sia vitali che funzionali, riguardanti i tessuti che compongono in modo differenziato gli organi del corpo vivente. L'anatomia patologica, concepita in questi termini, diventa la pratica dotta, fondatrice di una nuova patologia strettamente connessa con l'istologia e, ben presto, con la citologia.

In materia di terapeutica, sulla scorta della ricostruzione di Andreas-Holger Maehle, lo sviluppo delle nuove idee non procede affatto secondo un andamento lineare. Matura gradualmente il distacco dalla terapeutica tradizionale modellata sulla patologia umorale di Galeno; la concezione della malattia e delle sue varietà si adatta a tendenze che appaiono di volta in volta antagoniste o convergenti. È questo il caso della nosologia moderna derivante dall'empirismo medico di Sydenham; essa aspira a classificare le malattie secondo il modello delle tassonomie vegetali, prendendo in considerazione le costellazioni di sintomi che le caratterizzano e tentando di correlarle a prognosi e indicazioni terapeutiche che sembrano in rapporto con esse, sia empiricamente sia tramite deduzione analogica. Procedendo in questa direzione si ottengono le nosologie più importanti, associate ai nomi di François Boissier de Sauvages e di William Cullen (1710-1790). Questa corrente subisce in modo significativo l'influenza della iatromeccanica e della iatrochimica; l'attenzione non si concentra più sulle alterazioni qualitative che colpiscono gli umori, fondamento della fisiopatologia e della terapeutica tradizionali, bensì sulla costituzione e le modificazioni delle strutture organiche nell'interazione con i fluidi, anch'essi analizzati secondo le loro caratteristiche meccaniche e chimiche specifiche. L'evoluzione della disciplina si attua anche in un senso relativamente diverso con lo sviluppo delle fisiologie vitalistiche e l'individuazione delle proprietà e delle forze vitali, le quali, implicando l'integrazione delle funzioni, sono de facto responsabili delle disfunzioni che alterano l'integrità organica.

Se i processi circolatori servono da modello per interpretare i processi normali e patologici, le dottrine della sensibilità, effetto emergente legato alle strutture neuromuscolari, tendono a prendere il sopravvento costituendo il fondamento di diversi sistemi terapeutici. Il più celebre, ma non l'unico, di questi sistemi fu senz'altro dovuto a John Brown (1735-1788), che riconduceva tutti i fenomeni vitali alle modalità di una funzione generale di eccitabilità e concepì una terapeutica basata sulle indicazioni derivanti dalle varietà di 'stenie' e 'astenie'.

In questo stesso periodo si collocano le sperimentazioni soggettive di Samuel Hahnemann (1755-1843) che costituiscono il fondamento dell'omeopatia. Si sviluppano parallelamente osservazioni farmacologiche sistematiche, in particolare sulle proprietà dei vegetali esotici, e si effettuano sperimentazioni sul valore dubbio di certi medicamenti e dei trattamenti che questi rimedi consentono. L'esempio per eccellenza di questa modalità operativa è rappresentato da Felice Fontana che si dedica allo studio tossicologico dei veleni e dei loro presunti antidoti. La nascita della clinica e dei suoi luoghi istituzionali di pratica medica, insieme all'integrazione della nosologia classificatoria con l'approccio anatomopatologico, determinano un contesto di osservazioni comparative su popolazioni di casi similari, un contesto particolarmente favorevole alla valutazione dei trattamenti e alla sperimentazione farmacologica. Tuttavia sussistono e s'intensificano in margine a quest'approccio ‒ che alcuni studiosi definiscono 'positivo' ‒ modelli interpretativi che condividono le concezioni speculative della Naturphilosophie.

Epoca di grandi cambiamenti, il secolo dei Lumi si conferma senz'altro tale in rapporto alla psichiatria, come hanno dimostrato i lavori di Roy Porter. La svolta decisiva determinatasi nella fisiopatologia meccanicista induce a trattare le affezioni mentali, quali la mania e la melanconia, come sindromi di origine somatica, suscettibili in linea di principio di trattamenti specifici, a meno che non siano malattie ritenute incurabili. Il rapporto tra follia e psichismo è considerato inerente a condizioni organiche avverse che ostacolano il funzionamento normale della mente nel concepire idee, formulare giudizi o determinarsi ad agire. È questa l'essenza degli insegnamenti di Boerhaave, di Hoffmann e dei loro discepoli; in tale cornice l'attenzione dei medici si concentra sempre più intensamente sull'analisi delle perturbazioni che colpiscono il sistema nervoso.

La tradizione animista che discende da Stahl ‒ e s'incarna nell'opera di Boissier de Sauvages ‒ sembra suggerire al contrario che i fenomeni patologici in questione si riferiscono all'anima come principio regolatore e direttivo delle funzioni organiche. Tuttavia, la grande svolta che indirizza la psichiatria dal 'trattamento psichico' al 'trattamento morale' deriva da un approccio empirico ai processi di conoscenza che li fa scaturire, per complicazione progressiva, dall'associazione di idee sensibili, dall'attenzione modificata, dall'abitudine come principio generatore d'inferenze intellettuali. La sfera dei fenomeni cosiddetti morali s'iscrive quindi per progressione analogica nell'ordine dei fenomeni naturali. Come già si era notato in precedenza, le funzioni fisiologiche si ricollegano contemporaneamente a principî vitali inerenti alle strutture organiche complesse, mentre lo psichismo si segnala sempre più come effetto emergente da un funzionamento vitale integrato. È proprio questa tesi a ispirare l'approccio adottato in Francia dagli Idéologues in merito al rapporto tra fisico e morale nell'uomo, e a questa corrente di pensiero si riallaccia il Traité médico-philosophique sur l'aliénation mentale ou la manie (1801) di Pinel, probabilmente l'opera più rappresentativa dell'approccio morale nella terapeutica psichiatrica. Questo tipo di approccio presuppone l'osservazione dei comportamenti e l'evocazione degli stati di coscienza dei malati mentali ospitati in strutture specializzate, dove il trattamento si fonda in gran parte sull'intervento 'morale' dei clinici, un intervento diretto alla dissociazione dei fantasmi patologici, nonché al condizionamento e alla ricostituzione delle abitudini di vita in un ambiente di ricovero umanizzato. Un'evoluzione analoga si produce con diverse varianti negli altri paesi europei.

In materia di epidemiologia e di medicina sociale, il Settecento vede sopravvivere la concezione sydenhamiana dell'epidemia come contagio di affezioni patologiche acute imputabili a diatesi atmosferiche e climatiche, mentre il vero agente patogeno continua a non essere identificato. L'apporto terapeutico essenziale di Sydenham era consistito nel sostituire il trattamento freddo a quello caldo del vaiolo ottenendo notevoli successi. Le autorità statali, secondo il modello del dispotismo illuminato, cercheranno di contenere le epidemie formalizzando l'osservazione delle condizioni climatiche e meteorologiche, la dichiarazione e la descrizione delle patologie secondo i luoghi e i tempi di apparizione e le fasi di evoluzione, la compilazione di dati statistici sulla morbilità e di tavole di mortalità, la definizione di regole di politica sanitaria.

La principale innovazione terapeutica riguarda la pratica dell'inoculazione nel caso del vaiolo, il maggior flagello epidemico dell'epoca. Sul finire del secolo a questa tecnica, promossa grazie al patrocinio di sovrani e di potenti, subentra la vaccinazione, il cui principio è fissato da Edward Jenner (1749-1823). Gli obiettivi del progresso e della trasformazione dell'umanità nello spirito dell'Illuminismo si traducono in progetti di riforma delle istituzioni sanitarie e di miglioramento delle condizioni igieniche e di vita. Questi progetti danno luogo ad analisi e raccomandazioni che rispecchiano programmi teorici e pratici di ampio respiro, come quelli sviluppati dai medici riformatori e promotori di politiche di sanità pubblica: Tissot per il Cantone del Vaud, Frank per gli Stati della corona austriaca, o Cabanis per la Francia rivoluzionaria.

Il concetto di organizzazione vitale: Blumenbach e Kant

Volendo adottare un punto di vista sintetico sull'evoluzione delle concezioni scientifiche relative al vivente nel Settecento, appare quasi obbligato il ricorso al prisma epistemologico definito da alcuni filosofi dell'Illuminismo. Esamineremo quindi il modello, delineato da Kant, dei fondamenti di una possibile scienza della vita in un importante momento di svolta dell'indagine empirica e teorica. Questa posizione si riconduce alla fisiologia posthalleriana d'ispirazione vitalistica ed epigenetica; Blumenbach, al quale Kant amava richiamarsi, intendeva combinare un'analisi di tipo halleriano sulle strutture complesse e le forze derivate con un'ipotesi epigenetica sulla formazione e la rigenerazione organica. Il suo concetto di Bildungstrieb inserisce la disposizione architettonica come potenzialità entro una forza speciale secondo l'analogia prospettata dalle proprietà newtoniane. Il Bildungstrieb determina l'interpretazione delle forze particolari che associano l'autoregolazione funzionale e l'immanenza alle strutture organiche complesse in divenire.

Questo quadro teorico e metodologico definisce i modelli che Blumenbach applica non solo al divenire degli organismi individuali ma anche a quello delle specie. Secondo il De generis humani varietate nativa, le principali variazioni di carattere adattativo che coinvolgono i vari tipi di organismo consistono in alterazioni degli effetti per così dire programmati del Bildungstrieb rispetto ai tipi considerati. Questo preordinamento è frutto di un potere finalizzato a produrre un dato tipo di organizzazione delle operazioni vitali, ma non si tratta di un'organizzazione preesistente in seno alle strutture organiche originarie; essa interviene in seguito alla trasformazione vitale di queste strutture e ciò presuppone che sia attivo un potere architettonico destinato a provocare l'integrazione e l'adattamento dinamico delle strutture alle condizioni di attualizzazione del nisus. Di conseguenza, è impossibile determinare a priori le strutture del divenire che ne risultano, o addirittura presumere che siano predeterminate; bisogna limitarsi a constatare a posteriori che il potere d'invenzione delle forme viventi è regolato secondo progetti o piani organizzativi caratteristici dei tipi dati. Questi progetti o piani ammettono unicamente alcune alterazioni strutturali o funzionali circoscritte dell'organizzazione vitale, pena l'estinzione della specie.

Proprio questo tipo particolare di concezione epigenetica è associata da Kant a una riflessione epistemologica sul divenire dei corpi organizzati e sulla costituzione dei modelli richiesti per darne spiegazione. I principali sviluppi dell'epigenesi biologica legati a Kant, in margine all'elaborazione di una filosofia della conoscenza, si possono individuare in una serie di scritti che confluiscono nelle tesi esposte nella Kritik der Urteilskraft. Anche nella memoria Über den Gebrauch teleologischer Principien in der Philosophie (Sull'uso di principî teleologici nella filosofia, 1788), il filosofo identifica i presupposti di un'analisi epigenetica valida dei corpi organizzati, presupposti che consistono nel presumere un preordinamento funzionale dei poteri epigenetici inerenti ai semi (germi e disposizioni) in rapporto ai tipi di organizzazione che essi sono suscettibili di produrre. Qualsiasi tipo di organizzazione deriva da una struttura organica preliminare secondo un processo autonomo di produzione, ma questo processo si attua in conformità all'ordine inerente al tipo di organizzazione interessata. "Per quanto mi riguarda ‒ afferma Kant ‒ deduco ogni organizzazione di esseri organizzati (tramite la generazione), e deduco le forme ulteriori (di questo tipo di realtà naturale) secondo le leggi di sviluppo graduale di disposizioni originarie […] che sono inerenti all'organizzazione di una certa progenie. Come essa abbia avuto origine, è un problema che si colloca interamente al di fuori dei limiti di qualsiasi fisica umanamente accessibile, limiti entro i quali ho ritenuto di dovermi mantenere" (Gesammelte Schriften, p. 179). Ne consegue indubbiamente che la comprensione dell'ordine di determinazioni predominante nella genesi di esseri organizzati sfugge alle facoltà dell'intelletto allorché si tenta di spiegare i fenomeni secondo le leggi generali conformi ai principî dell'ordine fisico. Questa genesi può essere compresa soltanto a condizione di presupporre all'origine dei processi di formazione un principio regolatore capace d'integrare una pluralità di meccanismi della Natura entro un piano di strutturazione organica e funzionale che produca effetti finalizzati.

È evidente che l'adesione di Kant all'epigenesi comporta una versione della teoria in cui i processi di formazione sono vincolati a un preordinamento tendenziale dell'ordine strutturale e funzionale integrato costitutivo di ogni tipo di essere vivente. In quest'ottica, la teoria epigenetica con cui il filosofo tedesco può sentirsi in sintonia comporta necessariamente una rappresentazione analogica degli agenti suscettibili di portare a compimento una simile costruzione ‒ e soprattutto una rappresentazione analogica del 'progetto organizzatore' immanente a questi agenti. Se tale progetto deve corrispondere rigorosamente all'ordine sviluppato dai fenomeni risultanti dal processo di formazione e, dunque, deve dimostrarsi conforme ai dati dell'esperienza, non può che essere rappresentato secondo modelli teleologici.

È sufficiente, in questa prospettiva, richiamarsi ai passi della Kritik der Urteilskraft relativi alla determinazione degli esseri organizzati come fini naturali, dove si precisa che se una cosa si produce naturalmente, è necessario che "[le sue parti] si leghino a formare l'unità del tutto in modo da essere reciprocamente causa ed effetto della loro forma" (ed. Verra, p. 241). Questo implica, all'inverso, che l'idea del 'tutto' così rappresentata determini i giudizi attraverso i quali un intelletto come il nostro concepisce il legame tra le parti dell'organismo, ovvero le sue modalità d'integrazione strutturale e funzionale.

Questa idea del 'tutto' è assimilabile per correlazione a un principio di autoproduzione del vivente, infatti come fine naturale l'essere organizzato si organizza esso stesso. Il potere di autorganizzazione trascende le proprietà di una forza motrice i cui effetti sono rigorosamente interpretabili in termini di determinazioni fisico-meccaniche; è assolutamente necessario far ricorso a un concetto di forza formatrice (sich bildende Kraft) che attui il proprio modello nella realizzazione, nella conservazione e nella riproduzione di una struttura organica integrata. Si tratta di un'esigenza a priori del giudizio riflettente per un intelletto che comprende, in un certo senso, dall'interno ‒ vale a dire nel loro principio d'integrazione ‒ i fini della Natura che gli esseri organizzati rappresentano. Questo è l'enunciato del principio: "un prodotto organizzato dalla Natura è quello in cui tutto è reciprocamente scopo e mezzo" (ibidem, p. 245). Ora, questo principio deve tradurre i dati dell'esperienza relativi agli esseri organizzati e fornire un fondamento universale e necessario alla rappresentazione dell'ordine (nexus finalis) delle determinazioni strutturali e funzionali che in essi si realizzano. Tuttavia, questo fondamento non può essere altro che un principio regolatore e nient'affatto determinante per l'elaborazione dei giudizi che articolano il legame tra i fenomeni in questione. Il Bildungstrieb blumenbachiano e il suo ruolo nella spiegazione dei fenomeni della generazione e del funzionamento organico soddisfano abbastanza correttamente questo principio, che elimina dall'interpretazione degli esseri organizzati ogni elemento puramente accidentale e ogni processo puramente meccanico che non rientrerebbe nel disegno immanente della forza formatrice. Come modello teorico il Bildungstrieb permette, a conti fatti, di applicare il principio regolatore della finalità interna degli organismi all'analisi delle funzioni vitali, a partire dalla loro origine nel processo di formazione iniziale del corpo organizzato fino alla loro piena attualizzazione nell'organismo compiuto.

Sul piano metodologico Kant, sulle orme di Blumenbach, si dichiara interessato a ricercare la spiegazione meccanica dei processi naturali, inclusi quelli che caratterizzano il vivente, spingendosi il più lontano possibile; ma questa scelta dev'essere abbinata al ricorso a principî di tipo teleologico in tutti i casi in cui si tratta di concepire l'ordine specifico d'integrazione dei fenomeni vitali. "Affinché dunque l'osservatore della Natura non lavori in pura perdita ‒ sottolinea Kant ‒, bisogna che egli, nel giudizio delle cose di cui il concetto è indubbiamente fondato su fini della Natura (gli esseri organizzati), si basi sempre su qualche organizzazione originaria, che si vale di quel meccanismo per la produzione di altre forme organizzate, o per sviluppare la propria in nuove forme (che derivano però sempre da quello scopo e gli sono conformi)" (ibidem, p. 283). Ne deriva la necessaria combinazione delle concatenazioni meccaniche e di un progetto originario di ordinamento funzionale nella concezione stessa degli esseri organizzati e, di conseguenza, nell'analisi dei loro fenomeni caratteristici. La ragione sufficiente dell'organizzazione e dell'integrazione particolare delle determinazioni meccanico-fisiche che essa provoca, tuttavia, non può che essere posta a fondamento di qualsiasi analisi sotto forma di principio regolatore della spiegazione. Se quindi ammettiamo quest'anticipazione causale di ordine teleologico a fondamento di ogni fenomeno di formazione organica, come possiamo rappresentare le opzioni di base in materia di teoria della generazione?

La tipologia proposta da Kant può essere ricostruita nel modo seguente: in primo luogo, si profila la dicotomia tra generatio equivoca e generatio univoca; la prima forma di generazione presuppone la produzione di una forma organica unicamente a partire dal gioco delle determinazioni causali della materia inorganica. Questa opzione è scartata in quanto assurda. La generazione univoca presume una produzione dell'organico a partire dallo stesso, ma può essere generatio heteronyma se sviluppa un potenziale di trasformazione iniziale tale che possano derivarne organismi di tipo molto diverso. Kant immagina questo modello organico unico (Urbild) all'origine delle forme viventi più diverse, le quali corrispondono a differenti specificazioni del potenziale di una sich bildende Kraft originale che incarna questo disegno organico multiplo. Ma l'esperienza ci induce a respingere quest'ipotesi, privilegiando piuttosto la tesi di una generatio homonyma che realizza prodotti sufficientemente simili nel quadro degli archetipi potenziali di specie diverse. Dunque, conviene richiamarsi all'opzione della generazione univoca omonima per valutare le ipotesi che possono rendere conto del preordinamento potenziale delle formazioni organiche e, al tempo stesso, della differenziazione di queste ultime in varietà multiple.

Kant elogia Blumenbach per aver costruito il suo modello di epigenesi dissociando il Bildungstrieb da una forza formatrice semplicemente meccanica (Bildungskraft), che dev'essere senz'altro ammessa ma che non potrebbe rientrare nel "principio per noi impenetrabile di una organizzazione originaria" (ibidem, p. 300). È questo principio di preformazione generica a determinare potenzialmente l'attività formatrice del Bildungstrieb e a giustificarne la funzione regolatrice rispetto ai processi subordinati attribuiti al gioco integrato delle forze materiali specifiche, ivi comprese quelle della degenerazione evolutiva e della produzione di varietà.

L'integrazione di tesi epigenetiche analoghe a quelle di Blumenbach nel pensiero di Kant permette di precisare le caratteristiche del modello evolutivo a esse associato. Il filosofo tedesco tratta l'epigenesi come un preformismo generico di germi e di disposizioni che implicano il progetto virtuale del tipo di organismo da produrre. Questo disegno organizzatore racchiude in sé la possibilità di variazioni individuali; in alcuni fattori esterni, in effetti, esse possono svolgere un ruolo incidentale nella produzione di totalità organiche che comportano un'integrazione causale reciproca delle loro parti. Il Bildungstrieb appare, quindi, sia come agente naturale di produzione del vivente sia come principio regolatore che assicura il mantenimento di un'armonia interna relativa delle sue strutture e delle sue operazioni, al di là dell'azione di fattori perturbativi responsabili di innescare il processo di variazione adattativa all'interno del quadro specifico.

La formazione di queste varietà rappresenta una forma di perdita di potenziale di cambiamento nei tipi subalterni in rapporto agli archetipi che rappresentano il potenziale originario. Evoluzione significa sia la specializzazione delle strutture e dei processi derivati sia la loro degenerazione, se si fa riferimento al potere architettonico e regolatore correlativo delle forme originali. Kant, in definitiva, concepisce l'organizzazione vitale in una prospettiva di soluzione delle antinomie del meccanicismo e della teleologia 'vitalista', del preformismo e dell'epigenesi. Sul piano epistemologico, la tesi insieme riflessiva e normativa esposta dal filosofo può servire a caratterizzare sia il punto di convergenza dei principali sviluppi prodottisi nella scienza del vivente nell'Età dei Lumi sia, in buona parte, i fondamenti teorici sui quali si svilupperà la nascente biologia.

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