L'Età dei Lumi: la fine della conoscenza naturale 1700-1770. La pneumatica

Storia della Scienza (2002)

L'Eta dei Lumi: la fine della conoscenza naturale 1700-1770. La pneumatica

John G. McEvoy

La pneumatica

Prima del XVII sec. non esisteva una conoscenza approfondita delle proprietà fisiche dell'aria, la cui identità chimica fu esplorata a fondo solamente nel Settecento. Lo studio dell'aria ‒ la cosiddetta 'pneumatica' ‒ costituì un importante legame tra la Rivoluzione scientifica del Seicento e la Rivoluzione chimica del XVIII secolo. Infatti Boyle e Newton trasmisero ai chimici e ai filosofi della Natura del Settecento un modello teorico dell'aria come stato di aggregazione della materia che questi ultimi trasformarono, entro certi limiti, nel concetto di aria come sostanza chimica definita o come miscuglio di sostanze. I limiti erano riconducibili ai problemi empirici e concettuali posti dalla scoperta di nuovi corpi aeriformi, all'epoca chiamati "arie", e dal loro inquadramento in un sistema teorico e sperimentale stabilito. Questo processo di assimilazione era connesso ai più vasti sviluppi teorici e sperimentali dello studio del calore e dell'elettricità e dipendeva altresì dalla diffusione di nuovi strumenti d'indagine, ma anche da problemi più generali e rilevanti concernenti sia l'identità della chimica e i suoi rapporti con la filosofia della Natura sia l'utilità della scienza, la sua funzione sociale e il suo ruolo nel programma di miglioramento civile e di riforma tipico dell'Illuminismo. Considerata da questo punto di vista, la storia della pneumatica mette in luce la complessità e la molteplicità delle forze che determinarono la nascita e lo sviluppo della scienza moderna.

L'eredità del Seicento

Lo studio delle proprietà fisiche dell'aria svolse un ruolo centrale nella Rivoluzione scientifica e nei tentativi volti a sostituire le concezioni teleologiche della Natura con la filosofia meccanica. I filosofi meccanicisti rifiutavano la tesi, derivata dalla fisica aristotelica, secondo la quale l'innalzamento della colonna di mercurio nel tubo del barometro era causato dalla Natura che non contemplava la formazione di vuoti; nel 1660 Boyle dimostrò, con la sua pompa pneumatica, che la colonna di mercurio era sostenuta dalla pressione o dalla espansibilità dell'aria circostante. Boyle chiamò questa proprietà "elasticità" o "duttilità" dell'aria e la definì quantitativamente con una formula (pV=costante, essendo p la pressione e V il volume), che in seguito divenne nota come 'legge di Boyle' o 'legge di Mariotte'. In The general history of the air, pubblicata postuma nel 1692, Boyle operò una distinzione tra l'"aria permanente" e i vapori e le esalazioni che divenivano elastici soltanto episodicamente grazie all'azione di "agenti palesemente esterni"; inoltre, egli riteneva che l'elasticità fosse una proprietà essenziale e inalterabile delle particelle microscopiche dell'aria.

Nei Principia (1687) e nell'Opticks (1704) Newton sfidò la concezione essenzialistica dell'aria sostenuta da Boyle, attribuendo la sua elasticità a una forza repulsiva inversamente proporzionale alla distanza esistente tra i centri delle particelle che la costituivano, e agente soltanto tra quelle più vicine. Newton, inoltre, sostenne che quando le particelle si avvicinavano ancora di più le une alle altre, la forza di repulsione cedeva il posto a una forza di attrazione a corto raggio, responsabile dei fenomeni ottici, magnetici, elettrici e chimici. Secondo questo modello, le particelle dell'aria potevano esistere non soltanto allo stato 'libero', o 'elastico', ma, come quelle di altre sostanze, anche allo stato 'fisso' o 'combinato'. La concezione newtoniana dell'aria faceva parte di una più vasta, e a volte contraddittoria, filosofia della Natura, secondo la quale la Creazione provvidenziale di Dio era conservata e preservata grazie all'azione di molte e distinte sostanze eteree sottili ed elastiche, nonché dall'azione di forze di attrazione e di repulsione che agivano a livello microscopico. Nel Settecento le ricerche di pneumatica, insieme a quelle sul calore, sull'elettricità, il magnetismo e la chimica, fornirono diverse opportunità di applicare i principî generali della filosofia newtoniana della Natura.

La concezione essenzialistica di Boyle convalidava una dottrina ampiamente diffusa nel Seicento, secondo la quale l'aria era un'entità semplice e inalterabile, non suscettibile di combinarsi chimicamente con altre sostanze. Il fatto che alcuni fenomeni, quali la combustione e la respirazione, potessero realizzarsi soltanto in presenza dell'aria era spiegato ipotizzando l'esistenza in questo fluido di particelle estranee dotate di particolari proprietà chimiche, oppure con il moto meccanico delle sue stesse particelle. Allo stesso modo, si riteneva che le cosiddette 'arie fattizie', che si sprigionavano da diverse sostanze, fossero dovute semplicemente alla liberazione di aria dagli interstizi delle sostanze in cui essa giaceva intrappolata, piuttosto che alla generazione effettiva di nuova aria. La concezione di Boyle secondo cui l'aria 'permanente' era chimicamente inattiva s'integrò così nella sua più generale convinzione che le proprietà chimiche delle sostanze derivassero dalla struttura, dalla configurazione e dal moto meccanici delle particelle elementari di una materia indifferenziata. La filosofia meccanica negava la specificità chimica delle particelle elementari, in quanto costituenti ultimi della materia, e l'esistenza di elementi chimici inalterabili. All'inizio del XVIII sec., i chimici meccanicisti trasformarono i quattro elementi aristotelici ‒ terra, acqua, aria e fuoco ‒ in strumenti o agenti meccanici responsabili dei moti corpuscolari che provocavano i mutamenti chimici, ma non gli attribuirono un ruolo costitutivo in questi mutamenti. Come Boyle, Newton era dello stesso parere e per spiegare l'interazione chimica delle particelle elementari ipotizzò l'esistenza di forze microscopiche di attrazione e di repulsione. D'altro lato, la sua concezione aggregativa dell'aria, secondo cui l'elasticità aveva sede tra le particelle, eludeva l'obiezione rivolta all'idea che l'aria fosse un'entità chimica, implicita nella concezione di Boyle e per la quale l'elasticità era una proprietà essenziale delle particelle stesse. Verso la metà del Settecento, con lo sviluppo della chimica pneumatica, la concezione di Newton fu gradualmente assimilata da due distinte scuole di chimica, rispettivamente degli stahliani francesi e dei chimici pneumatici inglesi. Queste due diverse tradizioni si confrontarono nel corso della Rivoluzione chimica soprattutto attraverso l'opposizione tra i modelli contrastanti della concezione dell'aria elaborati da Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794) e da Joseph Priestley (1733-1804).

Gli sviluppi nel Settecento

Lo sviluppo della pneumatica nel XVIII sec. ebbe origine dalla interazione tra la filosofia newtoniana della Natura e i suoi orientamenti sperimentali. Newton dotò di 'principî attivi' la materia inerte così come era concepita dalla filosofia meccanicistica, identificandoli di volta in volta nella volontà di Dio, nelle forze microscopiche e in una o più sostanze eteree. Per spiegare la coesione, la capillarità, l'elasticità, l'attrazione chimica elettiva e un'ampia gamma di fenomeni ottici ed elettrici, Newton ipotizzò l'esistenza, accanto alla forza di attrazione universale, di una moltitudine di forze microscopiche di attrazione e di repulsione o di una serie di sostanze eteree repulsive. Benché la sua concezione dell'etere come causa della gravità implicasse che la natura fisica dell'etere stesso fosse qualitativamente differente da quella della materia ordinaria ponderabile, Newton riteneva che l'etere fosse identificabile con una forma più rara, sottile ed elastica di aria. I primi sostenitori delle tesi di Newton tentarono di eludere i molti problemi associati alla sua ontologia barocca, concentrandosi quasi esclusivamente sulle forze di attrazione a breve distanza. Tra il 1730 e il 1740, tuttavia, i filosofi newtoniani della Natura posero al centro dei loro interessi lo studio dell'azione e degli effetti delle forze di repulsione e, nel 1745, con la pubblicazione delle prime tesi newtoniane relative all'aria e all'etere, la loro attenzione si rivolse all'associazione dei fenomeni del calore, della luce, del fuoco e dell'elettricità con l'azione dei fluidi elastici imponderabili. Nei successivi tre decenni, l'ulteriore proliferazione di enti imponderabili ‒ come, per esempio, il flogisto e il calorico ‒ indusse i filosofi sperimentali a fare ricorso a un'interpretazione 'strumentalista' delle teorie scientifiche, concepite dunque come strumenti di predizione e di organizzazione dei fenomeni piuttosto che come mezzi per individuare le loro cause soggiacenti.

La pubblicazione, nel 1727, della Vegetable staticks di Stephen Hales (1677-1761) segnò una svolta decisiva per l'applicazione dei principî della filosofia newtoniana della Natura allo studio dell'aria. Secondo Hales, infatti, se l'aria fosse esistita soltanto allo stato elastico, la pressione, necessaria a contenere i considerevoli volumi d'aria che aveva estratto da alcune sostanze organiche e inorganiche, avrebbe distrutto tali sostanze. Hales risolse il problema distinguendo due stati di aggregazione dell'aria: uno "elastico" o "repulsivo", l'altro "fisso" o "attrattivo". Egli attribuì le più importanti ed essenziali operazioni della Natura alle "proprietà anfibie dell'aria". Sottolineando che l'aria, come altre sostanze chimiche, poteva esistere allo stato fisso, pose in rilievo anche l'importanza della sua azione repulsiva nella Natura. Hales sosteneva che l'incessante azione esercitata tra le particelle fortemente repulsive dell'aria e quelle attrattive della materia ordinaria era la fonte dell'ordine e dell'energia della Natura e una testimonianza della saggezza, del potere e della bontà dell'onnisciente Creatore. Richiamandosi alle speculazioni newtoniane sull'etere, la teoria delle due sostanze di Hales, che opponeva la materia attrattiva all'aria repulsiva, servì da modello alle teorie dei fluidi imponderabili del calore, dell'elettricità e della chimica.

L'importanza degli studi di Hales fu immediatamente riconosciuta da Jean-Théophile Desaguliers (1683-1744), che si servì delle sue ricerche sull'aria per giustificare l'equiparazione della forza di repulsione con quella di attrazione, che era considerata il "primo principio della Natura". Desaguliers sostenne che le particelle della materia si attraggono e si respingono simultaneamente tra loro; operò una distinzione tra i solidi, i fluidi elastici (le arie) e quelli non elastici (i liquidi), descrivendo le particelle della materia come centri di forze attrattive e repulsive. Il modello di forza presente nella teoria newtoniana fu esaurientemente sviluppato nell'opera di Ruggero Giuseppe Boscovich (1711-1787), il quale, tuttavia, esercitò un'influenza trascurabile sulla filosofia della Natura del Settecento.

Nel 1724 Herman Boerhaave (1668-1738) combinò le proprietà attribuite da Newton all'etere e da Hales all'aria nella sua concezione del 'fuoco elementare', o 'materia del calore', considerato come un fluido sottile ed elastico uniformemente distribuito in tutta la Natura. La teoria sostanzialistica del fuoco elementare di Boerhaave sfidava la teoria vibratoria di Newton e, nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta del XVIII sec., William Cullen (1710-1790) incorporò la concezione di Boerhaave nella sua teoria dell'etere chimico, basata anche sulla spiegazione dell'etere newtoniano di Bryan Robinson (1680-1754). Cullen negava che il fuoco fosse uniformemente distribuito in tutta la Natura, come sosteneva la dottrina di Boerhaave, e rifiutava la tesi di Hales, secondo cui l'aria era la sola sostanza che potesse assumere lo stato elastico, attribuendo invece l'elasticità alla presenza del fuoco. Analogamente alla teoria delle due sostanze di Hales, secondo cui, come già ricordato, la materia era attrattiva e l'aria repulsiva, per connettere i fenomeni termici e chimici alle trasformazioni degli stati di aggregazione della materia Cullen usò due parametri causali, cioè l'attrazione della materia ordinaria e la repulsione dell'etere. Joseph Black (1728-1799) adottò la concezione di Cullen in base alla quale il calore è la causa dell'elasticità e il principale agente dei fenomeni chimici, ma, a partire dalla metà degli anni Cinquanta del secolo, restrinse il campo delle sue ricerche concentrandosi, assieme ai suoi allievi, sullo studio del calore in relazione agli stati di aggregazione della materia e alle loro trasformazioni. Nel corso di queste ricerche Black e William Irvine (1743-1781) formularono le importanti teorie del 'calore latente' e del 'calore specifico'. Tuttavia, alla fine del secolo, nel clima di diffidenza nei riguardi delle ipotesi instaurato dai filosofi scozzesi del common sense, Black e i suoi collaboratori presero le distanze dalle speculazioni sull'etere, mantenendo una rigorosa neutralità tra la teoria vibratoria e quella sostanzialistica del 'fuoco elementare'.

Benché sostenesse di condividere quella stessa diffidenza, nella sua teoria chimica Lavoisier attribuì al calorico un ruolo sempre più importante. Nei primi anni Sessanta suppose che lo stato elastico fosse il risultato della combinazione tra la materia ordinaria e l'"etere calorico" o "materia del fuoco". Nel tentativo di formulare un'adeguata teoria dell'elasticità, Lavoisier si concentrò sulla chimica dei gas, l'argomento centrale della Rivoluzione chimica. A partire dagli anni Ottanta sostenne che lo stato fisico di un corpo era determinato dall'equilibrio tra la forza di attrazione che manteneva l'aggregazione e la forza di repulsione dell'onnipervasivo fluido igneo in cui era immerso. Come Cullen, Lavoisier credeva che attraverso lo studio della coesione di tipo attrattivo e del calorico di tipo repulsivo si sarebbe giunti alla formulazione di una scienza chimica quantitativa e predittiva, conforme alle leggi della meccanica celeste.

Nel corso della Rivoluzione chimica, l'individuazione di arie chimicamente distinte portò alla trasformazione della teoria caloricistica dell'aria nella teoria caloricistica dei gas. Già prima degli studi di Priestley e di Lavoisier, i filosofi della Natura avevano attribuito gli effetti chimici prodotti dall'aria atmosferica a particelle estranee disperse in essa o alle sue variazioni d'elasticità. Hales, nella Vegetable staticks, aveva affermato che "la nostra atmosfera è un caos, costituito non soltanto da particelle elastiche, ma anche da particelle aeree non elastiche, che fluttuano in essa in grande abbondanza" (ed. 1961, p. 179). In seguito alle indagini dei chimici pneumatici, l'aria atmosferica iniziò a essere considerata un miscuglio di arie chimicamente distinte. Questa concezione influenzò gli studi di John Dalton (1766-1844), il quale tentò di preservare il ruolo tradizionale del calorico come principio universale del calore e della repulsione, attribuendo l'azione indipendente e la reciproca penetrazione delle arie alle dimensioni specifiche delle loro particelle. Così, la teoria caloricistica dell'elasticità indusse Dalton ad assegnare un'importanza rivoluzionaria al significato chimico dei pesi delle particelle elementari o costituenti ultimi della materia. In questo modo la teoria caloricistica dell'elasticità, trasformata dalla Rivoluzione chimica, sopravvisse fino alla metà dell'Ottocento, quando fu gradualmente soppiantata dalla teoria cinetica dei gas.

La scienza pneumatica del XVIII sec. nasceva dal desiderio di Newton di assoggettare il discorso speculativo alla disciplina del ragionamento matematico e dell'indagine sperimentale; nel Settecento, infatti, lo sviluppo della filosofia sperimentale fu accompagnato dalla diffusione di nuovi strumenti d'osservazione, che facilitarono l'elaborazione di una filosofia della Natura più rigorosa e attenta ai dati quantitativi, così come dalla sua effettiva diffusione nella cultura illuministica. Gli ultimi anni del secolo videro lo sviluppo e la standardizzazione di barometri e di termometri più precisi e affidabili, che furono usati per misurare l'elasticità o la dilatazione e il contenuto di calore dell'aria. La pompa pneumatica fu utilizzata non soltanto come strumento di ricerca ma anche per le dimostrazioni; i professori e i pedagoghi più aggiornati e 'alla moda' non si limitavano a dissertare sulla natura dell'aria ma offrivano prove pratiche della sua esistenza, dimostrando che nel vuoto i gatti morivano soffocati e la fiamma delle candele si estingueva.

Per i chimici pneumatici, più interessati alle manipolazioni delle arie chimicamente distinte che alle proprietà fisiche dell'aria, era però più promettente e importante lo sviluppo della "vaschetta pneumatica", un recipiente pieno di liquido sopra il quale erano raccolte e manipolate le arie. La nascita e lo sviluppo di questo apparecchio ingegnoso rivelano la complessità degli esperimenti pneumatici, raggiunta grazie all'evoluzione dell'arte della fabbricazione degli strumenti, all'uso intelligente di utensili familiari anche di tipo domestico, come bicchieri, scodelle e tubi, usati ai fini dell'indagine scientifica, e, infine, alla comprensione teorica degli oggetti e delle prospettive di quest'indagine, oltre che alle opinioni più generali concernenti lo status epistemologico della scienza e del suo ruolo nella società.

La chimica pneumatica britannica

La nascita della chimica pneumatica settecentesca può essere fatta risalire al 1727, anno in cui Hales, nella sua Vegetable staticks, esortò i suoi colleghi chimici ad adottare "questo Proteo dei principî chimici, che ora si presenta allo stato fisso, ora a quello volatile" (pp. 178-180). Hales identificava con l'aria comune le arie prodotte dalla distillazione distruttiva o a secco di diversi composti e attribuiva tutte le altre proprietà, come la nocività e l'infiammabilità, ai fumi e alle esalazioni dispersi nell'aria. Egli considerava l'aria uno strumento più che un costituente dei mutamenti chimici e riconduceva fenomeni quali l'asfissia degli animali e l'esplosione del nitrato di potassio alle variazioni dell'elasticità dell'aria o a una sua improvvisa transizione dallo stato 'fisso' a quello 'libero'. Non pensava quindi che esistessero molteplici arie chimicamente distinte.

Black pubblicò il primo resoconto sull'esistenza di un'aria diversa dall'aria comune nel 1756; come Cullen, egli considerava la chimica una branca della filosofia della Natura ma ‒ anche su questo in accordo con Cullen ‒ riteneva che l'etere e le forze universali d'attrazione e di repulsione fossero cause troppo generali per spiegare la complessità e la specificità dei fenomeni chimici. In particolare, la chimica scozzese si concentrò sullo studio delle forze più specifiche dell'attrazione elettiva e del calore. Le ricerche di Black nacquero dal ruolo che lo studio di questa parte della chimica svolgeva nell'educazione medica e grazie a una campagna nazionale per il miglioramento economico e sociale della popolazione. Cercando un solvente più dolce dell'"alcale caustico" (idrossido di calcio), che era usato dai chimici del XVIII sec. per sciogliere i calcoli renali e vescicali, Black concentrò la sua attenzione sulla magnesia alba (carbonato di magnesio), dimostrando che la produzione di magnesia usta (ossido di magnesio) cui dava luogo la calcinazione della magnesia alba era accompagnata dalla liberazione di una grande quantità di una certa aria. In seguito Black dimostrò che la causticità degli alcali caustici ‒ per esempio della calce ‒ era neutralizzata dalla fissazione di quell'aria (in realtà anidride carbonica), che successivamente distinse dall'aria comune per il suo odore caratteristico, per la maggiore densità, per l'incapacità di dare luogo alla combustione e alla respirazione, e per il potere di precipitare l'acqua di calce (idrossido di calcio). Black usò l'espressione "aria fissa", con cui Hales aveva designato uno stato fisico dell'aria in generale, per indicare questa nuova specie chimica, confermando in tal modo che l'aria era un costituente, e non soltanto uno strumento, delle reazioni chimiche.

Nel 1764 David Macbride (1726-1778) osservò che la fermentazione e la putrefazione portavano alla produzione di aria fissa. In linea con la tesi di Hales, secondo cui l'aria allo stato fisso contribuiva all'"unione e alle forme di connessione" delle "parti costituenti dei corpi" (Vegetable staticks, p. 178), Macbride sostenne che l'aria fissa era "il cemento, o legame", tra i corpi, che preveniva la loro dissoluzione, decadenza e putrefazione; benché insistesse sulla necessità di distinguere l'aria fissa dall'aria comune, Macbride era ancora incerto se considerare l'aria fissa "un elemento naturale originario e distinto" o una modificazione del "fluido aereo universale" (Experimental essays, 1764, II, p. 272). La prima attestazione pubblica dell'esistenza di una molteplicità di corpi aeriformi chimicamente distinti fu fornita da William Brownrigg (1711-1800) in Extract from an essay, entitled 'On the uses of a knowledge of mineral exhalations', una relazione letta alla Royal Society nel 1741, ma pubblicata nelle "Philosophical Transactions" soltanto nel 1765. Brownrigg affrontò la chimica pneumatica da fisico illuminista interessato agli effetti medici dei vapori, o 'effluvi', presenti nelle miniere di carbone, che egli identificò con l''etere infiammabile' (anidride solforosa) o con l''etere nocivo' (ossido di carbonio). Usando una semplice analogia newtoniana, Brownrigg notò che "due fluidi elastici, benché entrambi dotati di qualità repulsiva, possono differenziarsi per altre qualità allo stesso modo in cui, come è stato constatato, si differenziano i fluidi non elastici come, per esempio, l'acqua e l'olio di vetriolo" (Extract, p. 238). Brownrigg formulò il programma di ricerca realizzato empiricamente per la prima volta da Henry Cavendish (1731-1810) e Priestley. Il primo chimico pneumatico inglese che riuscì a isolare e a esaminare diversi generi di arie fu Cavendish, che si concentrò sulla precisa identificazione delle specifiche proprietà dell'aria fissa (anidride carbonica) e dell'aria infiammabile (idrogeno), piuttosto che sul loro ruolo in particolari reazioni chimiche o in determinati processi fisiologici. Profondamente colpito dai risultati ottenuti da Cavendish, Priestley riuscì a preparare, isolare ed esaminare più di una dozzina di arie differenti. Egli studiò anche la 'diminuzione' e la 'corruzione' dell'atmosfera prodotta dalla combustione, dalla respirazione e da altri processi nocivi, come pure le fonti naturali di approvvigionamento, la "vegetazione" e il "moto incessante dei mari e dei laghi", che consentivano all'atmosfera di rigenerarsi e purificarsi, pubblicando i risultati complessivi di questi studi nel 1790 nei celebri Experiments and observations on different kinds of air and other branches of natural philosophy. L'identità di 'filosofo dell'aria' venne a Priestley dal suo interesse tipicamente teistico per gli agenti naturali, con l'intento di comprendere questi agenti nei termini dettati dalla sua epistemologia empirista e dalla metodologia induttiva, nonché dal desiderio di conciliare le conoscenze acquisite nel corso delle sue ricerche con i valori politici dell'individualismo liberale.

Cavendish inserì i suoi esperimenti pneumatici all'interno della teoria del flogisto, nella quale quest'ultimo era identificato con l'aria infiammabile che si liberava dai metalli posti a contatto con soluzioni acide diluite. Benché non concordasse con Cavendish sulla composizione chimica dell'aria infiammabile, Priestley ne adottò l'interpretazione della teoria del flogisto adattandola agli scopi delle sue indagini pneumatiche. Tuttavia, diversamente dai loro colleghi francesi, Priestley e Cavendish non erano interessati alla formulazione di un'esauriente teoria dei composti chimici e dei meccanismi di reazione e neppure all'integrazione della chimica nella filosofia della Natura. Eccettuato l'uso della teoria del flogisto, che entrambi tentarono invano d'isolare, Cavendish e Priestley ragionavano in termini di sostanze suscettibili di essere isolate e manipolate in laboratorio.

Le applicazioni della pneumatica

Come gli altri chimici pneumatici, Priestley era profondamente interessato alle applicazioni delle sue scoperte. Nella sua prima pubblicazione descrisse uno strumento piuttosto semplice per produrre a basso costo e in grande abbondanza acqua gassata con aria fissa che, secondo Macbride, era molto efficace contro lo scorbuto. Macbride, infatti, sosteneva che l'ingestione di aria fissa, sotto forma d'infuso di malto, servisse a curare lo scorbuto e altre malattie di natura 'putrida'. Tali questioni erano della massima importanza per la medicina illuminista inglese, che cercava nella scienza i rimedi per curare le malattie (febbri) della popolazione nelle città, sulle navi e nei campi militari. Benché agli inizi degli anni Novanta del secolo il ministero della Marina avesse deciso di usare il succo di limone per combattere lo scorbuto, una versione del congegno di Priestley divenne popolare con il nome di "gasogeno" nel mercato in espansione dei beni di consumo e delle terapie mediche. Anche l'"eudiometro" di Priestley, che attraverso la diminuzione di volume di un miscuglio di aria comune e di 'aria nitrosa' (ossido d'azoto) misurava il grado di purezza dell'atmosfera, svolse un ruolo importante nel movimento per la riforma sanitaria, per la pianificazione urbana e per il controllo sociale delle condizioni di vita della gente; quest'ultimo si richiamava al concetto illuminista secondo cui l'ambiente, e non il fato, svolgeva un ruolo decisivo nella conservazione e nel miglioramento della salute individuale e collettiva.

Questa utilizzazione tecnologica della pneumatica conquistò seguaci anche nel Continente. Nel corso degli anni Settanta del XVIII sec., in Austria e in Italia la tecnologia eudiometrica di Priestley fu sviluppata e modificata, tanto da acquisire un nuovo significato culturale e politico grazie agli studi di tre insigni philosophes, Marsilio Landriani (1751 ca.-1816), Felice Fontana (1730-1805) e Jan Ingen-Housz (1730-1799), che integrarono la meteorologia medica di Priestley nel programma illuminista di riforma anticlericale formulato da esperti e sostenuto dal potere e dal prestigio di despoti illuminati, come gli imperatori Giuseppe II d'Asburgo e Leopoldo II d'Asburgo (I come granduca di Toscana). Opponendosi alle superstizioni popolari e al potere del clero e dell'aristocrazia, Landriani a Milano e Fontana a Firenze (e a Parigi) integrarono l'eudiometro in un apparato di congegni meteorologici destinato a fornire le basi quantitative dello studio razionale e del miglioramento di ambienti malsani, come paludi, fogne, cimiteri, e della prevenzione di epidemie, cattivi raccolti e malattie mentali. Questo programma di controllo economico e sociale, realizzato attraverso l'amministrazione medica e l'igiene pubblica e diretto da esperti retribuiti dallo Stato, contrastava con le norme tradizionali che regolavano le pratiche inumatorie, agricole e mediche e suscitò contro Fontana e Landriani l'ostilità del clero e le calunnie degli antigiacobini.

Nel 1776 Ingen-Housz rivolse la sua attenzione agli aspetti problematici dell'eudiometro e alle cause dei suoi numerosi errori di misurazione. Insieme a Fontana, sottolineò la necessità di standardizzare le procedure sperimentali per ottenere dalle diminuzioni eudiometriche misure attendibili del grado di salubrità dell'aria. Con Tiberio Cavallo (1749-1809) elaborò un metodo eudiometrico che presentò come un perfezionamento del metodo di Fontana, ma la complessità del nuovo dispositivo richiedeva che, per produrre risultati attendibili, esso fosse adoperato da mani esperte; questa circostanza fu denunciata da Jean-Hyacinthe Magellan (João Jacinto de Magalhães, 1722-1790), per il quale il più semplice congegno di Priestley poteva essere facilmente usato dagli igienisti e dai medici, in genere inesperti. L'incapacità dei suoi utilizzatori d'individuare procedure standardizzate e di ottenere risultati omogenei finì però con il minare la credibilità dell'eudiometro. Nel 1783 il ricercatore ginevrino Jean Senebier (1742-1809) riuscì a elaborare le tecniche necessarie per renderlo utilizzabile anche da parte di persone inesperte. L'eudiometro medico fu comunque quasi completamente abbandonato alla fine degli anni Ottanta, quando i suoi utilizzatori riconobbero la validità delle asserzioni di Alessandro Volta (1745-1827), secondo il quale non tutte le qualità nocive dell'aria si rivelavano nella misurazione dell'aria nitrosa, ma soltanto il suo grado di flogisticazione, ossia di mancanza di ossigeno. Tuttavia, l'atmosfera seguitò a essere un oggetto privilegiato d'osservazione da parte dell'amministrazione sanitaria e di quella preposta al controllo sociale delle condizioni di vita collettive, come dimostra la costante ricerca di tecniche efficaci per misurare le proprietà delle arie nocive e per curare gli effetti medici e morali della scarsa ventilazione e del sovraffollamento nelle istituzioni sanitarie e nelle città.

In Gran Bretagna la medicina pneumatica illuministica raggiunse il culmine della notorietà nel 1797, anno in cui Thomas Beddoes (1760-1808) fondò a Bristol la Pneumatic Institution per studiare gli effetti delle diverse arie su alcuni disturbi comuni.

Come Priestley, Beddoes credeva che la medicina illuminista, attraverso il miglioramento delle condizioni materiali e del benessere psicologico, avrebbe favorito l'introduzione di riforme sociali e politiche. Sfortunatamente, le forze conservatrici, rappresentate tra gli altri da Edmund Burke (1729 ca.-1797) e dagli editori della "Anti-jacobin Review", per i quali l'Illuminismo nel suo insieme coincideva con un periodo di follie, d'illusioni e di vani entusiasmi a cui era necessario mettere fine al più presto, manipolarono la notizia riguardante gli stati di eccitazione provocati dall'ossido d'azoto (gas esilarante), rovinando la reputazione di Beddoes e inducendo Priestley a ritirarsi in esilio a Northumberland, in Pennsylvania.

Lavoisier e gli stahliani francesi

Un confronto dialettico molto simile si aprì anche in Francia, dove Lavoisier guidò l'introduzione di una serie di riforme in campo chimico, basate sull'integrazione dei risultati sperimentali della chimica pneumatica inglese nella cornice teorica della chimica analitica e della filosofia sperimentale continentali. La prima conquista decisiva della Rivoluzione chimica non risale al 1772, anno in cui Lavoisier spiegò i fenomeni della combustione e della calcinazione in termini di assorbimento dell'aria, ma a sei o sette anni prima, quando egli giunse alla conclusione teorica più generale secondo la quale l'aria svolgeva un ruolo costituente nelle reazioni chimiche. A questa conclusione Lavoisier arrivò senza conoscere le concezioni di Black, Cavendish e Priestley, e quasi dieci anni prima d'aver 'scoperto' l'ossigeno e individuato l'esistenza di differenti arie dotate di diverse proprietà fisiche e chimiche. Lavoisier riconobbe lo status chimico dell'aria richiamandosi alle ricerche dei chimici stahliani francesi della generazione che lo aveva preceduto. Infatti, mentre i loro colleghi inglesi superavano la problematica di Hales per dedicarsi all'esplorazione di una molteplicità di arie, gli stahliani francesi concentravano la loro attenzione sull'identità chimica dell'aria elementare.

Gli stahliani francesi, tra cui Guillaume-François Rouelle (1703-1770), Pierre-Joseph Macquer (1718-1784), Antoine Baumé (1728-1804) e Gabriel-François Venel (1723-1775), furono attivi nel corso dei decenni centrali del Settecento. Influenzati dalle concezioni di Georg Ernst Stahl (1660-1734), questi studiosi giudicavano insoddisfacente la chimica meccanicistica dell'inizio del secolo, che identificava i mutamenti chimici con il moto e la combinazione delle particelle costituenti la materia e trasformava i quattro elementi aristotelici in strumenti, o agenti meccanici, della produzione e della trasmissione dei moti corpuscolari. Stahl aveva contrastato gli eccessi speculativi di questa chimica riduzionista e aveva attribuito agli elementi tradizionali terra e acqua una funzione sia costitutiva sia strumentale nelle combinazioni chimiche, seguitando tuttavia a considerare gli altri due elementi tradizionali aria e fuoco semplici strumenti dei mutamenti chimici. Boerhaave aveva a sua volta ripreso la medesima tesi secondo cui l'aria e il fuoco svolgevano una funzione esclusivamente strumentale, gettando così le basi di un'ortodossia teorica che dominò le concezioni degli stahliani francesi per venticinque anni.

Rouelle esercitò la sua influenza sul pensiero degli stahliani francesi tenendo, tra il 1742 e il 1768, una serie di conferenze al Jardin du Roi di Parigi. Venuto a conoscenza dei risultati sperimentali ottenuti da Hales, decise di modificare il sistema di Stahl in modo da giungere al riconoscimento dell'attività chimica dell'aria; rifiutò inoltre la tesi di Stahl secondo cui il flogisto era una delle tre terre chimicamente attive, ritenendo che esso dovesse invece essere identificato con il fuoco elementare. Rouelle attribuì il duplice ruolo di strumenti fisici e di costituenti chimici ai quattro elementi, sostenendo che tutti e quattro potevano esistere sia allo stato fisso che allo stato libero. Nel 1753, operando all'interno di questa definizione della chimica, nell'articolo Chymie dell'Encyclopédie Venel affermò che l'aria svolgeva un ruolo importante in tutte le reazioni chimiche, nelle quali agiva secondo le stesse leggi degli altri elementi e che, inoltre, essa poteva essere manipolata come qualsiasi altra sostanza chimica. Nel periodo precedente al 1772 ‒ quando furono introdotte in Francia le opere di Black, Cavendish e Priestley ‒ gli studi di Venel ebbero un'importanza decisiva per l'elaborazione delle prime concezioni di Lavoisier sulla natura dell'aria.

L'inserimento dell'aria (e del fuoco) nella classe delle sostanze chimicamente attive diede origine a un radicale contrasto concettuale tra la tesi secondo cui una sostanza combinandosi chimicamente perdeva alcune proprietà specifiche, caratteristiche dello stato libero, e l'idea di Boyle secondo cui l'elasticità dell''aria permanente' era una proprietà essenziale e inalterabile delle sue particelle. Per risolvere questo dilemma, Rouelle, Macquer e Venel operarono una distinzione ontologica tra le proprietà fisiche e chimiche della materia, secondo cui le proprietà chimiche di una sostanza erano indissolubilmente legate alle sue particelle microscopiche, mentre le proprietà fisiche, che rivelavano il suo stato e variavano con esso, caratterizzavano lo stato di aggregazione contingente di queste particelle. Dal momento che, contrariamente a quanto supponeva Boyle, l'elasticità non era una proprietà inerente alle singole particelle aeree, ma, come aveva intuito Newton, una caratteristica del loro stato di aggregazione o di rarefazione, le singole particelle aeree potevano combinarsi chimicamente come quelle delle altre sostanze. Lo stesso valeva per il fuoco che, come sosteneva Boerhaave, allo stato di aggregazione era l'inalterabile trasformatore di tutte le cose dell'Universo, mentre allo stato individuale, come flogisto, svolgeva, secondo gli stahliani francesi, la funzione di costituente dei composti chimici.

Gli stahliani francesi usarono la distinzione tra le proprietà fisiche e chimiche della materia per difendere, in conformità agli ideali e alle aspirazioni dell'Illuminismo, la causa della chimica come metodo d'indagine specifico e autonomo, rifiutando il modello riduttivo di scienza sostenuto dai filosofi della Natura, secondo cui la chimica era una semplice attività manuale che nessuno studioso serio si sarebbe degnato di praticare. Richiamandosi all'ideale illuminista del lavoro come combinazione di teoria e di pratica e tentando di associare, da un punto di vista intellettuale e sociale, la chimica all'artigianato, Venel si contrappose a quelle che egli stesso definiva l'arroganza e l'egemonia dei filosofi naturali e dei chimici meccanicisti, che negavano la specificità e l'autonomia della chimica. All'inizio degli anni Sessanta del Settecento, al momento dell'intervento di Lavoisier, il dibattito scientifico era dominato dall'opposizione tra la chimica flogistica stahliana delle attrazioni microscopiche, in cui l'aria svolgeva la funzione di elemento chimico, e la filosofia della Natura basata sulla repulsione e associata a Boerhaave, che si concentrava sui cambiamenti di stato derivanti dagli effetti aggregativi della diffusione di aria e fuoco allo stato libero.

Fu Johann Theodor Eller (1689-1760) a fornire a Lavoisier il punto di partenza per le sue teorie sullo stato elastico, che, del resto, subirono anche l'influenza del celebre articolo Expansibilité del filosofo ed erudito Anne-Robert-Jacques Turgot (1727-1781), apparso nell'Encyclopédie nel 1756. Il modello termico dello stato elastico elaborato da Lavoisier, secondo cui l'aria era una sostanza resa gassosa mediante la sua combinazione con la materia del fuoco (calorico), era il risultato di una miscela rivoluzionaria tra la chimica stahliana e la filosofia della Natura di Boerhaave. Nei suoi primi manoscritti rimasti inediti, Lavoisier aveva rifiutato la concezione di Eller dell'unità della materia e della trasmutazione degli elementi a favore della tesi stahliana, per la quale esistevano molti elementi eterogenei. Lavoisier doveva molto alla tradizione stahliana; benché rifiutasse il flogisto, o l'esistenza di un principio d'infiammabilità che si liberava dai corpi durante la combustione, egli aveva adottato, come presupposto della teoria chimica basata sull'ossigeno, la tesi di Stahl secondo cui la calcinazione (dei metalli) era soltanto una lenta combustione. Come gli stahliani, Lavoisier sosteneva che il fuoco e l'aria erano sostanze chimicamente attive e difendeva la specificità qualitativa e l'autonomia della chimica e dei suoi elementi. Il metodo usato da Stahl per identificare il flogisto gli offrì inoltre un paradigma per lo studio dell'aria. Infatti, seguendo l'esempio di Stahl che aveva soggiogato lo sfuggente, non isolabile, principio d'infiammabilità identificando i suoi effetti e i modi necessari della sua trasmissione da una sostanza all'altra, Lavoisier cercò di soggiogare l'aria seguendo, teoricamente e sperimentalmente, il corso delle sue combinazioni chimiche e delle sue trasformazioni.

Tuttavia, Lavoisier superò la tradizione stahliana, come dimostra il suo relativamente scarso interesse per le teorie del flogisto e delle affinità che caratterizzavano quella tradizione. Lavoisier si considerava allo stesso tempo un filosofo della Natura e un chimico, e credeva che le sue scoperte avrebbero provocato "una rivoluzione nella fisica [cioè nella filosofia della Natura] e nella chimica". Egli ricondusse la chimica stahliana del flogisto e dell'aria alla fisica del fuoco di Boerhaave. Gli stahliani ritenevano che nella forma fissa, come flogisto, il fuoco elementare potesse perdere il suo potere repulsivo ed essere trasformato in materia ordinaria, soggetta alle leggi della combinazione chimica; Lavoisier, invece, pensava che il calorico non perdesse mai il suo ruolo di agente espansivo e repulsivo. A suo parere, infatti, la fissazione del calorico provocava la disgregazione, piuttosto che la condensazione, e la fissazione e la liberazione dell'aria davano luogo a fenomeni di aggregazione soggetti alla fisica del fuoco piuttosto che alla chimica del flogisto. Lavoisier aveva del resto definito implicitamente questo confine disciplinare, dichiarando di avere trasferito la fonte del calore nella combustione dal combustibile (flogisto) all'aria (calorico), dal momento che il fuoco era più abbondante in quest'ultima, la più disaggregata forma di materia.

Lavoisier, però, non poté sfuggire del tutto all'eredità stahliana dell'aria elementare. Nel 1776 era ancora impegnato nel tentativo di giungere a una concezione coerente dell'atmosfera, e si domandava se le diverse miscele aeriformi, sia naturali sia 'fattizie', fossero sostanze separate o modificazioni dell'aria atmosferica. All'inizio degli anni Ottanta era ormai giunto a una chiara concezione dell'esistenza di una molteplicità di fluidi aeriformi, ma la logica unitaria dell'aria elementare sopravviveva ancora nella sua concezione dell'ossigeno come principio universale dell'acidità e agente attivo di tutte le reazioni chimiche. Benché i chimici pneumatici inglesi avessero acquisito già da una decina d'anni una chiara concezione dell'esistenza di numerose arie, Priestley aveva abbracciato ‒ persino con più convinzione di Lavoisier ‒ la generica ontologia secondo cui esistevano pochi principî non isolabili, o elementi universali, che si combinavano tra loro in diverse proporzioni per formare tutte le sostanze naturali. Tuttavia, la tendenza più importante della ricerca chimica del Settecento prevedeva l'abbandono dell'ontologia metafisica dei principî generali a favore della nozione operativa in base alla quale gli elementi erano sostanze semplici, le più semplici che si potessero rinvenire nelle analisi di laboratorio. Si trattò di un processo lento, che giunse a compimento soltanto con il rifiuto sperimentale della teoria dell'acidità dell'ossigeno da parte di Humphry Davy e con il nuovo sistema chimico messo a punto da John Dalton nel suo New system of chemical philosophy (1808). Soltanto nel corso dei primi decenni del XIX sec., con gli studi di Dalton e di Joseph-Louis Gay-Lussac sulla legge della combinazione dei volumi, la chimica pneumatica divenne una branca secondaria della chimica ordinaria. Allo stesso tempo, l'influenza della pneumatica del Settecento seguitò a esercitarsi nell'Ottocento sotto forma di teoria caloricistica dei gas.

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