L'Età dei Lumi. Introduzione. L'Età dei Lumi: tempi, luoghi e modi

Storia della Scienza (2002)

L'Eta dei Lumi. Introduzione. L'Eta dei Lumi: tempi, luoghi e modi

John L. Heilbron

Introduzione. L'Età dei Lumi: tempi, luoghi e modi

La divisione del tempo in secoli e della conoscenza naturale in discipline, così come compare in questo volume, obbedisce a criteri di convenienza che presentano non trascurabili vantaggi, sebbene ottenuti talvolta a costi elevati. Il primo paragrafo è dedicato appunto a esaminare il problema se 'diciottesimo secolo', o altra formula simile, sia appropriato per indicare un 'periodo' particolare nella storia delle acquisizioni della conoscenza naturale. Interrogativi analoghi investono poi le strutture istituzionali e, più in generale, l'interazione tra la conoscenza e le società che l'hanno prodotta.

Aspetti fondamentali

La periodizzazione

A parte la Pasqua cristiana, da sempre inevitabilmente rapportata alla figura di Cristo, la datazione degli eventi della storia con l'apposizione Anno Domini non divenne di uso comune prima dell'anno 1000. Per ragioni polemiche, la Riforma protestante assunse l'arco temporale del secolo misurato sulla base di tale datazione come unità significativa per gli studi storici. Quando poi la storia generale moderna raggiunse la maturità in Germania, nei decenni intorno al 1800, adottò l'arbitrario sistema della periodizzazione di dieci in dieci anni inventata in funzione delle controversie religiose. Nel momento in cui scegliamo questo tipo di periodizzazione, dobbiamo distinguere due fasi. La prima è rappresentata dai tanti volumi della Geschichte der Künste und Wissenschaften (Storia delle arti e delle scienze), pubblicata a Gottinga a partire dagli anni intorno al 1800, che segnava il limite cronologico da essa trattato con l'indicazione di un secolo: "dalla loro rifondazione alla fine del XVIII secolo". L'organizzazione interna dei volumi, tuttavia, non fa caso ai secoli. Le opere per noi di interesse più immediato ‒ la Geschichte der Chemie (in tre volumi, 1797-1799) di Johann Friedrich Gmelin e la Geschichte der Physik (in otto volumi, 1801-1808) di Johann Carl Fischer ‒ pongono una frattura significativa intorno al 1770. La seconda fase, in cui viene esaltato il valore di un secolo in quanto tale per il variegato sviluppo da esso espresso, ha visibilmente inizio con un'opera in tre volumi pubblicata sotto gli auspici della Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze) di Berlino nel 1800-1801. Sicuramente il suo autore, Daniel Jenisch, voleva convincere il lettore della novità del suo progetto di presentare "l'indubbia importanza di un periodo ben definito della storia umana, ossia del XVIII sec., in tutta la sua specificità culturale, e di esaminarlo secondo le sue idee di umana perfezione" (Geist und Charakter des achtzehnten Jahrhunderts, I, p. IV).

Secondo Jenisch, la maggior parte del XVIII sec. aveva goduto di uno sviluppo relativamente pacifico delle tendenze progressiste messe in moto dall'invenzione della stampa, dalla scoperta dell'America e dalla riforma del cristianesimo. Non poteva tuttavia nascondersi la realtà dei fatti: negli ultimi tre decenni del secolo, lo sviluppo fece un balzo in avanti, e non tanto pacificamente; in quegli anni gli uomini "si mossero con forza, quasi fossero elettrizzati a compiere la loro corsa con energia raddoppiata" (ibidem, p. 5). La metafora ‒ elettrizzati all'azione ‒ non avrebbe potuto essere usata prima della metà del XVIII sec., e noi possiamo assumerla come una metafora dell'epoca. Al pari dell'elettricità, che di norma fluiva dolcemente ma poteva anche, in condizioni straordinarie create magari in una nube temporalesca, scoppiare di colpo sotto forma di fulmine, il XVIII sec., per la maggior parte tranquillo e progressivo, si concluse con la Rivoluzione francese.

Jenisch non pensava certo che un secolo significativo nella storia fosse racchiuso esattamente in cento anni. "Per uno storico, 'secolo' significa piuttosto la somma di cause ed effetti che sono stati importanti per il progresso dell'umanità durante un periodo così rilevante". Come un singolo individuo, un secolo cresce d'età. L'umanità era nell'Ottocento più progredita che nei secoli precedenti, come l'uomo è più completo di un bambino. L'umanità europea, s'intende. "L'Europa soltanto è la sede della scienza, del gusto e dell'arte, della civiltà e del dominio della legge". È arrivata a questo culmine durante il XVIII sec., "ben a ragione chiamato il secolo dei Lumi, della luce dell'Illuminismo […] la splendida luce della conoscenza della verità". In nessun'altra epoca erano stati fatti saltare così tanti errori e pregiudizi, "in nessun altro periodo il genere umano ha espresso in maniera così generalizzata e con tanta varietà la sua vitalità intellettuale e morale e la sua Bildungskraft o vigore culturale" (ibidem, pp. 18-21).

La persistenza dell'idea che un secolo abbia, più o meno, uno spirito peculiare e una propria personalità induce a pensare che, come la botanica di Linneo, esso possieda qualche attributo naturale nascosto. La scansione della storia politica puntata sugli anni 1615, 1715, 1815 e 1915 produce tre secoli, ciascuno dei quali ha una sua unità e un suo carattere. La storia della scienza ha stabilito alcune cesure intorno al 1550, al 1660, al 1770 e al 1870. Probabilmente un centinaio d'anni permette a tre successive generazioni di assumere una dopo l'altra un ruolo dominante e di realizzare una dialettica hegeliana da una sintesi all'altra. In ogni caso, si possono individuare uno o più XVIII secoli significativi per la storia della scienza. Quello adottato in questo volume rispecchia probabilmente nella maniera più appropriata la situazione della fisica: esso va dal consolidamento e dalla diffusione della filosofia naturale di Newton intorno al 1700 al suo culmine nella prima sintesi quantitativa, quel modello standard della scienza fisica che è il sistema degli imponderabili, un secolo dopo o poco più. Questo periodo vide anche lo sviluppo del calcolo come uno strumento analitico valido per tutto e la sua riuscita applicazione formale alla meccanica generale e alla meccanica celeste; il ristagno del movimento accademico; l'ingresso della scienza sperimentale nelle università; un vasto arricchimento della natural knowledge, della 'conoscenza naturale', conseguito grazie a strumenti sempre migliori e a esplorazioni via via più accurate.

Questi progressi sarebbero apparsi improbabili agli studiosi che conclusero la loro carriera intorno al 1700. Se il matematico John Wallis, uno dei fondatori della Royal Society di Londra negli anni Sessanta del Seicento, può essere una voce rappresentativa, essi percepirono una svolta intellettuale e generazionale al passaggio del secolo. Scrivendo a Leibniz, nel 1697, Wallis osservava: "In questi nostri tempi, che stanno chiudendo un'epoca, la conoscenza, nei suoi molteplici aspetti, ha avuto un grande e persino insperato impulso; un livello di crescita che è improbabile possa essere mantenuto dopo la scomparsa imminente dei fini intelletti a cui dobbiamo tutto questo". Il mondo era saturo di novità. "La novità della disciplina non stimolerà più come prima le giovani menti a calcare le orme dei loro predecessori" (Iliffe 2000, p. 452). Gli studiosi dell'Ottocento, per parte loro, avevano un'assoluta consapevolezza dell'unicità della loro epoca. Erano gli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione francese; certi scrupoli che per i loro nonni avevano avuto peso, non avevano alcun significato per loro. Newton aveva chiuso i suoi monumentali Principia con un riferimento a Dio, "discutere del quale partendo dall'apparenza delle cose fa certamente parte della filosofia naturale" (ed. Cajori, p. 546). Pierre-Simon de Laplace, che diede i ritocchi finali alla cosmologia newtoniana, spiegò a Napoleone, quando questi gli fece notare l'assenza della divinità dal suo lavoro di studioso, che lui non aveva bisogno di una simile 'ipotesi'.

Il XVIII sec. in senso letterale ‒ cioè gli anni che vanno dal 1700 al 1800 ‒ costituisce dunque un periodo accettabile per lo storico di alcuni settori della conoscenza naturale. Il 'secolo' più ampio che va dal 1660 al 1770 sarebbe stato un periodo anche migliore per il presente volume. Esso vide lo spostamento definitivo del centro della conoscenza naturale dall'Italia all'Europa del Nord, ossia, grosso modo, da protagonisti prevalentemente cattolici a protagonisti in prevalenza protestanti, dalle indagini osservazionali a quelle sperimentali, dai gruppi e dalle accademie di vita breve a stabili società di studiosi, e, in alcuni centri all'avanguardia, dall'esterno all'interno di scuole superiori e università. Il secolo successivo, dal 1770 al 1870, include la maggior parte della storia della quantificazione delle scienze fisiche; dell'ascesa e della caduta del sistema degli imponderabili e della sua sostituzione con la spiegazione dinamica del calore, della luce, dell'elettricità e del magnetismo; dello sviluppo della chimica da raccolta di formule discrepanti a solida disciplina accademica; delle prime applicazioni riuscite della scienza accademica alla tecnologia; dell'unificazione delle ricerche sulle forme viventi sotto il nome complessivo di 'biologia'; dell'ascesa e caduta della bio-geofisica olistica proposta da Alexander von Humboldt. Tuttavia, l'uso della datazione nella forma dell'Anno Domini ci spinge a un'innaturale preferenza per i secoli che cominciano, o quantomeno sono vicini, a un anno che termina con due zeri.

Come Jenisch, noi dividiamo il nostro 'XVIII secolo' in due grosse parti intorno all'anno 1770 circa. È il tempo della scoperta dei diversi tipi di gas, che influì profondamente non soltanto sulle teorie, ma anche sulle applicazioni della filosofia naturale, della chimica, e di quelle che anacronisticamente possono essere dette scienze della vita.

Gli autori delle storie della fisica e della chimica di Gottinga attribuiscono alla scoperta dei nuovi tipi di gas l'ingresso della scienza in un'era moderna; altrettanto fanno gli storici della fisica e della chimica del XIX sec. che si sono occupati della periodizzazione della loro disciplina. Gli studi di pneumatica ‒ per dare al nuovo settore di ricerca il suo nome proprio ‒ puntavano molto sulla strumentazione e la tecnica sperimentale e richiedevano un'accuratezza tutta particolare nel calcolare il peso di piccole quantità di materia. I ricercatori nel campo della pneumatica giocarono un ruolo importante nella quantificazione della scienza fisica, nella formazione del sistema degli imponderabili e nella costruzione di fruttuose connessioni tra le branche della conoscenza naturale, dall'anatomia (come nei lavori di Luigi Galvani) alla chimica (Joseph Priestley e Antoine-Laurent Lavoisier), alla meteorologia (Jean-André Deluc e John Dalton), fino alla fisica (Alessandro Volta). Per coincidenza, la cesura intorno all'anno 1770 è avvalorata dal completamento del principale motore dell'Illuminismo, l'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert; dall'esaltazione della filosofia naturale grazie allo spirito geometrico; dalla diffusione delle migliorie tecnologiche intese a riparare i danni causati e a correggere i punti deboli messi in luce dalla guerra dei Sette anni, e dall'abolizione della Compagnia di Gesù, con la chiusura o la trasformazione dei suoi collegi, nei quali buona parte dei filosofi naturali e dei matematici dei paesi cattolici si erano formati.

Queste spiegazioni volte a giustificare la scelta di prendere in considerazione i cento anni e poco più che hanno inizio intorno al 1700, con una svolta di rilievo intorno al 1770, si riferiscono esclusivamente all'ambito della conoscenza naturale in contesto europeo. Non perché altre culture non possedessero conoscenze naturali utili e significative; non possiamo qui seguire Jenisch nel suo arrogante eurocentrismo. Non ci occupiamo della conoscenza naturale extraeuropea soltanto perché essa ha influito poco sugli sviluppi in Europa nel XVIII secolo. Missionari ed esploratori importarono molti elementi che erano nuovi per gli europei, e alcuni autori di satira politica e sociale come Voltaire fecero uso della figura dello straniero evoluto per mascherare i loro attacchi ai costumi e ai governi d'Europa. Tuttavia, sia i viaggiatori sia i riformatori erano europei ed esponevano i loro resoconti e le loro satire nel linguaggio dell'Occidente.

La storiografia contemporanea si è impegnata molto nell'esame dei contesti locali in cui la conoscenza naturale si formò e delle modalità con le quali si diffuse. La conseguente enfasi sulla costruzione locale di fatti, sulle difficoltà e perfino impossibilità di riprodurre uno strumento o un esperimento senza istruzioni dirette dalla persona che l'aveva costruito oppure eseguito, ha fatto concentrare l'attenzione sugli aspetti contingenti e costruiti della conoscenza nascente e su quelli dogmatici e autoritari della sua accettazione. Questo approccio 'costruttivista', che trova la sua base teorica nelle filosofie di Ludwig Wittgenstein, Ludwig Fleck, Thomas Kuhn e Michel Foucault, e le sue realizzazioni più significative nei lavori di Stephen Shapin, Simon Schaffer e Bruno Latour, ha avuto il merito di indirizzare la ricerca sul lavoro quotidiano dei laboratori, delle biblioteche e dei giardini botanici. Ma poiché rifiuta di tener conto della scienza attuale nella ricostruzione della scienza precedente, esso non è stato in grado di spiegare in maniera convincente come o perché conoscenze costruite e situate in ambiti locali ricevano un'accoglienza diffusa e duratura. Valutare credenze e pratiche del passato sulla base di convinzioni e informazioni attuali è spesso un peccato minore che trascurare il ruolo, nella costruzione della conoscenza, di caratteristiche del mondo che non sono soggette alla volontà umana.

Gli inventori della bottiglia di Leida operarono avendo in mente idee incompatibili con le spiegazioni del fenomeno in seguito elaborate da Benjamin Franklin. Ciononostante, la bottiglia trasmise all'abate Jean-Antoine Nollet ‒ le cui teorie avevano guidato gli inventori ‒ la stessa sgradevole scossa che diede a coloro che aderirono alle teorie di Franklin. Non c'era bisogno di particolari istruzioni per riprodurre l'effetto: chiunque, con una bottiglia e una macchina elettrica, poteva ottenere scariche a proprio piacimento, semplicemente elettrificando la bottiglia piena per metà d'acqua nella maniera più naturale ‒ tenendola in mano e stando in piedi sul pavimento. Quanto alle teorie della bottiglia, quella di Franklin ottenne rapidamente l'assenso dei filosofi naturali, e da allora ha mantenuto la sua validità. La maggior parte delle acquisizioni di conoscenza naturale durante il nostro 'XVIII secolo lungo' hanno seguito lo stesso cammino della bottiglia di Leida: conseguite in un luogo specifico in particolari condizioni locali, si diffondevano immediatamente attraverso una rete di accademici e di pubblicazioni, e si raccomandavano e imponevano grazie ai loro effetti evidenti. La pila di Volta fu subito riprodotta dovunque, "esattamente e ripetutamente" a partire dai resoconti scritti dell'esperimento, da filosofi di varie tendenze, illuminati e romantici, sebbene, diversamente dal caso della bottiglia di Leida, la facilità di riproduzione dell'esperimento non originò una teoria univoca sui fenomeni osservati.

La terminologia

Un capitolo centrale nella nostra rassegna di filosofia naturale porta il titolo di 'Luce, calore, elettricità e magnetismo'. Dato che le stesse parole potrebbero essere usate come titoli di capitolo in un moderno manuale di introduzione alla fisica, la loro adeguatezza alla classificazione delle conoscenze durante il XVIII sec. potrebbe apparire discutibile. In effetti, un accostamento e un'uguale trattazione di luce, calore, elettricità e magnetismo non sarebbero stati possibili nel Settecento. Già intorno al 1750, tuttavia, molti manuali di filosofia naturale dedicavano una sezione a ciascuno di questi temi, raccolti sotto la rubrica physica particularis. Si trattava di una classificazione che distingueva i fenomeni riguardanti particolari tipi di sostanze dagli attributi del corpo in generale, come il peso, la gravitazione e l'impenetrabilità. Questi ultimi erano materia della physica generalis. La differenza con la terminologia contemporanea appare evidente a proposito dell'elettricità e del magnetismo che, come parti dell'elettromagnetismo, sono oggi considerati proprietà della materia non meno generali della gravità. Le sottoclassificazioni della physica particularis, dunque, vanno intese come descrittive dei fenomeni più che capaci di illustrarne le cause. Così la causa della sensazione di calore, che molti filosofi naturali del XVIII sec. riconducevano a una speciale sostanza calorica, è ora considerata come una modalità di moto della materia ordinaria. Analogamente, i titoli dei nostri paragrafi su 'astronomia, geodesia e cartografia' corrispondono all'uso del XVIII sec., salvo però per la cartografia, che come parola non fu adoperata prima del 1837, anche se come attività, nel senso del disegno di carte geografiche, aveva un nome e un ruolo importante nella conoscenza naturale del Settecento.

Nomi di livello più alto per le scienze trattate nel presente volume (matematica, fisica, chimica, biologia) sollevano problemi quando riferiti alla prima Età moderna. I termini (a parte 'biologia') erano già presenti in tutte le lingue europee, ma, poiché i loro significati cambiarono radicalmente nel corso del XVIII sec., risultano spesso fuorvianti. Passando a un livello ancora più alto della terminologia, 'scienza' pone una difficoltà particolare, visto che ordinariamente indicava sia la conoscenza generale, come scientia e Wissenschaft, sia la conoscenza particolare, come quella derivante dall'esperienza in senso lato. Così, nel senso della conoscenza teoretica c'erano accademie della scienza (ma anche delle scienze), e in quello della conoscenza pratica c'erano le scienze della scrittura, della navigazione, dell'agricoltura e così via. Di qui la scelta di usare natural knowledge ('conoscenza naturale') ‒ il neologismo che la Royal Society adottò per definire il suo oggetto di ricerca ‒ anziché scienza, per indicare l'informazione e la comprensione del mondo posseduta dai filosofi naturali del XVIII secolo.

Il rischio di un serio anacronismo aumenta quando lo storico cerca un nome per coloro che studiavano, diffondevano o contribuivano al progresso della conoscenza naturale. Il termine inglese scientist ('scienziato') è particolarmente infelice, in quanto né la parola né il concetto esistevano durante nessun plausibile XVIII secolo. Quando fu introdotto in Inghilterra, intorno al 1840, scientist indicava una persona che condivideva gli obiettivi della British Association for the Advancement of Science, fondata nel 1831. I beneficiari di questo neologismo rifiutarono comunque di adottarlo, perché per gli 'uomini di scienza' (men of science), come preferivano definirsi, esso suonava troppo affine, per esempio, a 'dentista', ovvero un praticante pagato per una professione sgradevole. Il filosofo naturale del XVIII sec. prediligeva invece fregiarsi dell'appellativo di amatore, di una persona cioè che coltivava la scienza per sé stessa piuttosto che per trarne guadagno, diversamente da quanto fanno gli scienziati della nostra epoca, per i quali 'amatore' equivale a 'dilettante' e quindi incompetente. La maggior parte dei filosofi naturali, eccetto forse alcuni astronomi e qualche membro stipendiato delle accademie di Parigi, Berlino e Pietroburgo, coltivava le scienze esclusivamente per il piacere personale. Alla domanda 'qual è la tua professione', lo scienziato del XVIII sec. avrebbe risposto medico, avvocato, sacerdote, militare, gentleman. Soltanto pochi di loro avrebbero menzionato una delle specifiche linee di ricerca legate a un'affiliazione disciplinare come è implicito nella parola scientist (o gli equivalenti francese e tedesco scientifique e Naturwissenschaftler che, al pari di scientist, apparvero per la prima volta nel XIX sec.): astronomo, geografo, ingegnere, chimico e simili. Di conseguenza, anche il concetto di 'comunità scientifica' non ha molto senso per il XVIII secolo.

Gli errori e gli anacronismi connessi all'uso di 'scienziato' possono essere evitati impiegando piuttosto filosofo naturale per la professione in generale, e matematico, astronomo, chimico, anatomista, o storico naturale per riferirsi agli specialisti di particolari settori di ricerca. In Inghilterra, physicist ('fisico') è un termine molto esposto a rischi interpretativi; apparve insieme a scientist e ugualmente non incontrò favore per certe assonanze con tradesman ('mercante'). Così, l'equivalente inglese di physicien, fisico e Naturkundiger o Naturforscher ‒ tutti termini entrati in uso nel XVIII sec. ‒ è natural philosopher ('filosofo naturale'). E anche questo non rende tuttavia il senso dell'evoluzione del significato dei termini nel corso del tempo: un fisico ‒ uomo o donna (c'erano anche donne tra i filosofi naturali del XVIII sec.) ‒ coltivava infatti la fisica, ma la sua attività andò mutando radicalmente nel corso del secolo.

La fisica

All'inizio del XVIII sec. physics, physique, fisica, physica, Naturlehre, indicavano lo studio del mondo naturale in generale. Includevano non solo le materie che oggi associamo alla moderna disciplina, quali meccanica, ottica, elettricità, magnetismo e calore, ma anche meteorologia, geologia, geografia, fino a comprendere (la scala gerarchica è in accordo con la tradizionale classificazione della conoscenza da Aristotele a Descartes) la storia naturale, la fisiologia e così via.

A metà del secolo, quando cominciò a non occuparsi più del mondo organico, la fisica fu associata a manifestazioni da fiera, esercizi da baraccone e giochi di prestigio, legati alle dimostrazioni popolari ‒ in parte divulgazione e in parte spettacolo ‒ delle ultime scoperte sull'elettricità, i gas, il calore e la luce, e all'applicazione della meccanica a giocattoli e a semplici macchine. Queste dimostrazioni-intrattenimenti avevano luogo nei caffè, nelle taverne, nei collegi, negli studi di professori e in abitazioni private. I 'conferenzieri' naturalmente sceglievano esperimenti di grande effetto e visibilità, che potessero far colpo su un pubblico numeroso. Quest'ordine di fattori favorì una definizione più ristretta di fisica o di filosofia naturale, rispetto alla descrizione libresca generale del mondo naturale corrente nel Settecento.

La contrazione del significato attribuito alla fisica e la parallela crescita della filosofia naturale possono essere seguite nei manuali. Un'opera di tradizione cartesiana più volte ristampata, il Traité de physique di Jacques Rohault, che raggiunse la sua dodicesima edizione francese nel 1700 e una terza edizione inglese, con 'correzioni' newtoniane, nel 1753, copre "le ragioni e cause di tutti gli effetti che la Natura produce", dall'altezza delle stelle alle profondità della mente umana; e la Physica electiva (1697-1720) di Johann Christian Sturm, il fondatore di uno dei primi gruppi di filosofi sperimentali in Europa, il Collegium experimentale sive curiosorum, definiva il proprio oggetto di studio come "naturae seu naturalium rerum scientia", ossia, la conoscenza di tutto ciò che è naturale. In effetti, Sturm non incluse nella sua opera il mondo organico, ma non perché non intendesse farlo, bensì perché fu colto dalla morte prima di poterlo fare. L'ampia e tradizionale idea della fisica di Rohault e di Sturm si contrasse sotto la pressione delle scoperte di Newton e dei miglioramenti, per qualità e disponibilità, delle apparecchiature necessarie per riprodurre strani nuovi fenomeni, sia a fini di studio sia per le dimostrazioni pubbliche. Jean-Théophile Desaguliers nell'opera A course of experimental philosophy scriveva che Newton, "[la cui] applicazione della geometria alla filosofia [cacciò l']esercito di Goti e Vandali dal mondo filosofico, che aveva personalmente arricchito di tante grandi scoperte, più di qualunque altro filosofo prima di lui" (Iliffe 2000, p. 453), aveva mostrato la strada per accrescere il progresso restringendo i suoi obiettivi. Aveva enunciato i principî del moto, celeste e terrestre, e li aveva applicati a fenomeni suscettibili di verifica, quali la resistenza dell'aria alla caduta libera e il flusso dell'acqua da un tubo; e mostrò, a proposito della luce, come esperimenti attenti e sistematici potessero rivelare quella che senza modestia definì "la più sorprendente se non la più rilevante scoperta che sia stata fatta finora nelle operazioni della Natura", ossia il fatto che la luce bianca fosse composta da raggi di colori diversi (Newton a Oldenburg, 18 gennaio 1671/2, Turnbull 1959-77, I).

Gli argomenti trattati da Newton, liberati dalla rigorosa matematica di cui li aveva rivestiti, divennero il nucleo di una serie di manuali influenti, a cominciare da Physices elementa mathematica, experimentis confirmata. Sive introductio ad philosophiam Newtonianam (1720-1721) di Willem Jacob 'sGravesande, professore di matematica all'Università di Leida. Il libro, che ebbe numerose edizioni in lingue diverse, copriva la physica generalis e, della physica particularis, solamente l'idrostatica, la pneumatica (pressione atmosferica, acustica) e la luce. La tradizione inaugurata da 'sGravesande raggiunse il suo culmine con la Introductio ad philosophiam naturalem (1762) di Pieter van Musschenbroek, il testo più vasto e ricco di argomenti apparso poco prima della grande svolta delle scienze fisiche intorno al 1770. Circa un terzo del volume è dedicato alla physica generalis, un altro terzo alla meccanica dei fluidi, alla pneumatica e alla luce, esaurendo così le discipline prese in considerazione da 'sGravesande. Il rimanente terzo del volume è dedicato a quelle parti della physica particularis ‒ fuoco o calore, elettricità, magnetismo e meteorologia ‒ all'epoca in rapida espansione. Il livello della matematica rimaneva basso, richiedendo al lettore o all'autore solo una conoscenza rudimentale dell'algebra; ovviamente il trattato non faceva menzione dei tipi di gas che sarebbero stati scoperti di lì a poco.

Verso il 1770 la filosofia naturale allargò i suoi orizzonti, sottraendo in parte alla chimica il calore e la pneumatica e includendo nel proprio ambito alcune aree, quali le più semplici branche della meccanica analitica, dell'astronomia planetaria e dell'ottica geometrica, che fino ad allora erano state considerate dominio della meccanica applicata, nonostante le rivendicazioni di Newton per farle ricadere nella filosofia naturale. Secondo l'autorevole Physikalisches Wörterbuch di Johann Carl Fischer, nel 1800 tutti i Naturforscher concordavano sul fatto che la fisica dovesse riappropriarsi di discipline tagliate fuori dai testi più rigorosamente newtoniani, e di pezzi del sistema del mondo monopolizzati dalla matematica applicata. "I Physiker sono in disaccordo soltanto sulla quantità di matematica e di chimica da includere in una lezione di fisica" (III, pp. 891-893). La riorganizzazione della materia e le incertezze evidenziate da Fischer sono visibili in un manuale elementare quale Anfangsgründe der Naturlehre di Johann Christian Polykarp Erxleben, e nelle successive edizioni curate da Georg Christoph Lichtenberg, in cui la matematica rimase di modesto impegno. Di contro, l'elettricità, il magnetismo, il calore, i gas e i principî chimici, dal flogisto alla nuova chimica francese, ebbero uno spazio via via più importante.

La matematizzazione procedette su tre livelli differenti. In primo luogo, gli strumenti divennero più precisi e gli sperimentatori più accurati; fecero la loro comparsa tavole e grafici di dati, alcuni con indicazioni numeriche riportate con una quantità irrilevante di decimali. In secondo luogo, i filosofi sperimentali, quale che fosse la loro preparazione in matematica, cominciarono a sostenere che la fisica senza matematica non era una scienza. In terzo luogo, le teorie dell'elettricità, del magnetismo e del calore furono quantificate con successo, sebbene soltanto parzialmente, soprattutto da Charles-Augustin Coulomb e Laplace; una branca della pneumatica, l'ipsometria (la misurazione dell'altitudine con i barometri), divenne rigorosamente e accuratamente matematica. Il risultato di questi cambiamenti è racchiuso nell'espressione ‒ che è degli storici, non di quelli che la storia l'hanno fatta ‒ 'filosofia naturale esatta'. Parte principale di essa è la fisica classica, che si può dire si sia cristallizzata nel manuale in quattro volumi Traité de physique expérimentale et mathématique (1816), del discepolo di Laplace Jean-Baptiste Biot. Il resto della filosofia naturale esatta fu riconquistata e assorbita dalla chimica e dalle altre scienze fisiche.

La sovrapposizione di chimica e fisica si allargò intorno al 1800 con le scoperte più rilevanti mai fatte nei campi dell'atomismo e dell'elettricità. Si tratta delle invenzioni della pila da parte di Volta e di un metodo per associare numeri e atomi dovuto a Dalton. Al di là dei confini e lontani dagli interessi di Lavoisier e compagni, i chimici proseguirono nel loro lavoro tradizionale di combinare, scomporre, raffinare e saggiare. Anche l'astronomia continuò a occuparsi delle sue ricerche tradizionali, attrezzata con telescopi più potenti, con un maggior numero di osservatori e con nuovi metodi di analisi, inclusi l'equazione dell'osservatore e il metodo dei minimi quadrati. Quest'ultimo metodo trasse origine dall'analisi dei dati relativi alle dimensioni e alla forma della Terra, acquisiti grazie alla grande espansione delle rilevazioni trigonometriche in epoca napoleonica.

La geologia e la geografia continuarono a sviluppare le loro identità indipendenti dopo il 1800. Sebbene la geografia fisica fosse una disciplina newtoniana (il primo libro posseduto da Newton era stata un'edizione della Geographia generalis, del 1650, di Bernardo Varenio (Bernhardt Varen), di cui diversi discepoli di Newton pubblicarono altre edizioni, alla fine anche in inglese), la geografia come studio dell'ambiente ‒ sia naturale sia modificato dalla specie umana ‒ non sopravvisse nella nuova fisica. Essa divenne invece il nucleo di una serie di discipline che adesso rientrano nella geologia, paleontologia, oceanografia, meteorologia ed ecologia, e allora erano associate al versatilissimo e grande viaggiatore Alexander von Humboldt.

La ristrutturazione della filosofia naturale intorno al 1800 lasciò ciascuno dei principali settori ‒ astronomia, fisica, chimica, scienze humboldtiane, e i residui della vecchia fisica (biologia) ‒ con i propri metodi e principî. Sebbene i principî alla base delle prime tre non fossero riconducibili gli uni agli altri, essi presentavano analogie tali da incoraggiare la credenza che la scienza fisica potesse riguadagnare quella sorta di unità che la concezione aristotelica aveva dato alla fisica come un tutto. Le analogie si raccolsero sotto la teoria gravitazionale, che ascriveva a ogni particella nell'Universo la tendenza ad avvicinarsi a ogni altra particella ponderabile con un'accelerazione inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.

Le misurazioni delle forze tra cariche elettriche e tra poli magnetici soddisfacevano più o meno l'ipotesi che le cause dell'elettricità e del magnetismo andassero ricercate in speciali fluidi imponderabili, le cui particelle si attraevano (e respingevano!) reciprocamente, secondo la stessa legge geometrica che regolava le particelle della materia ponderabile. Le teorie più diffuse ipotizzavano l'esistenza di due fluidi magnetici e di due fluidi elettrici. Molti fenomeni qualitativi del calore apparivano in linea con tali teorie, in quanto si potevano ricondurre all'azione di un fluido calorico autorepulsivo. In alcuni casi, come nei processi adiabatici, si poteva ottenere un accordo quantitativo, senza rendere esplicita la legge geometrica di repulsione tra le particelle di calorico. Analogamente, le proprietà generali del calore e della luce radiante si potevano rappresentare come conseguenze di forze a breve raggio tra i loro agenti e le particelle di materia ponderabile. L'affinità chimica, o la forza che lega insieme gli atomi, era del pari considerata una forza a distanza, in particolare nella forma data alla teoria di Dalton da Jöns Jacob Berzelius, che scoprì la natura elettrica della forza di legame.

In questo modello, le particelle di materia ponderabile e dei fluidi speciali danno origine rispettivamente alla physica generalis e alla physica particularis. Benché fosse dominante intorno al 1800, il modello non era l'unico a fornire una possibile via di integrazione delle scienze fisiche. Un altro, esplicitamente opposto alla rappresentazione atomistica, aveva le sue radici nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (Principî metafisici della scienza della Natura, 1786) di Kant. Nell'idea dinamicista del filosofo, forze opposte di attrazione e repulsione costituiscono la materia e danno origine alle sue proprietà. Questa idea fu sviluppata nella filosofia della Natura da Schelling, il quale riteneva che il ricercatore, applicando il concetto delle forze polari, potesse comprendere l'unità soggiacente all'enorme varietà di fenomeni fisici e fosse in grado di spiegare il comportamento della materia con poco più del puro pensiero. Fino al 1830 Schelling e i suoi discepoli ricoprirono importanti incarichi nelle università di lingua tedesca. Filosofi naturali meno dottrinari di Schelling qualche volta entrarono in laboratorio, dove, guidati dalla nozione di unità e di polarità della materia, fecero importanti scoperte sulla corrente prodotta dalle pile elettriche.

Un altro aspetto notevole ‒ a parte la loro riorganizzazione ‒ per cui le scienze fisiche degli anni successivi al 1770 si differenziarono dalle precedenti fu, per così dire, il pagamento della prima rata del debito che Francis Bacon aveva contratto per loro 150 anni prima, contribuendo così al progresso. Ci riferiamo ai vari tipi di applicazioni delle ricostituite scienze fisiche: la trasformazione dei palloni ad aria calda e a idrogeno da giocattoli a stazioni di osservazione; il passaggio dallo studio delle scariche elettriche provocate in laboratorio alla costruzione di dispositivi per proteggere gli edifici e le navi dai fulmini; l'uso della fisica, della chimica e della matematica applicata per amministrare il patrimonio forestale della Germania; il miglioramento dei motori primi con l'aiuto della teoria calorica del calore; il trasferimento dell'informazione accademica all'industria chimica, come nella decolorazione con il cloro e nella produzione della soda; e, inevitabilmente, i progressi nell'arte della guerra.

La storia naturale

Nel suo Discours préliminaire all'Encyclopédie, d'Alembert stabiliva una distinzione molto precisa tra la filosofia naturale e la storia naturale: la prima dipende dalla ragione, la seconda dalla memoria. Con il trascorrere del XVIII sec., la memoria della storia naturale andò arricchendosi sempre più. Nel 1691, il naturalista ed ecclesiastico inglese John Ray nell'opera The wisdom of God manifested in the works of the creation calcolava il numero delle specie di insetti esistenti al mondo in 20.000, e di tutte le specie viventi in 40.000, o forse più. Cinquant'anni dopo, Pieter van Musschenbroek presentava una Oratio de sapientia divina (1744) nella quale, partendo dalle informazioni fornitegli dal suo collega medico e chimico Herman Boerhaave, stimava il numero delle specie di piante a 13.000, e stabiliva per ciascuna di esse cinque specie di insetti. Si arrivava così a 65.000 specie di insetti che, a giudizio di Musschenbroek, inducevano a immaginare 72.500 specie nel regno animale o, meglio, 245.000, dal momento che ogni animale serve da cibo per un altro, per allargarsi, infine, a 290.000, visto che della Terra era stata esplorata una parte ancora piccola. Verso la fine del secolo, la stima delle specie di insetti era aumentata a 875.000, 51.000 delle quali identificate dai naturalisti.

Linneo probabilmente cominciò il suo lavoro di classificazione credendo che la sapienza di Dio avesse limitato la sua creatività a un numero di specie inferiore a quello stimato da Ray. Se così fu, le scoperte realizzate negli anni Quaranta lo portarono a riconsiderare le sue convinzioni. Egli stesso classificò circa 15.000 piante e animali, sapendo di essere solo all'inizio dell'opera; inoltre, si rese conto che anche le distinzioni tra creature che sembravano le più certe erano difficili da sostenere. Nel 1740 Abraham Trembley, un pastore e ricercatore di Ginevra, puntò il suo microscopio su una goccia d'acqua di fosso e spiò un vegetale, o forse un animale, che tagliò in pezzi, scoprendo che questi si rigeneravano in repliche dell'originale. Il polipo d'acqua dolce di Trembley offrì un intrattenimento a chiunque fosse fornito di microscopio, un buon argomento per una concezione materialista della vita, e una solida prova contro la teoria della generazione allora dominante, secondo la quale tutti i futuri individui esistono preformati, uno dentro l'altro, in ogni singolo uovo o spermatozoo, come tante matrioske russe.

Per aiutare la memoria, Linneo incluse il suo schema binomio (che raggruppava le specie in generi) in uno più vasto di classi e famiglie, che egli definì in base a caratteri esterni registrabili per piante e per animali: numero degli stami, pistilli, denti, dita, mammelle e così via. Il sistema permetteva una rapida classificazione e consultazione, in quanto era sufficiente soltanto un esame superficiale del soggetto che si aveva davanti per collocarlo nei suoi raggruppamenti più vasti. Tuttavia, esso presentava due tipi di problemi. L'aritmetica del sistema di Linneo non sempre collocava nelle stesse categorie superiori le specie che andavano evidentemente insieme; classificatori ottimisti continuavano a cercare un sistema capace di catalogare ogni cosa secondo criteri 'naturali'. La superficialità degli elementi distintivi assunti da Linneo dissuadeva i naturalisti interessati ai dettagli dell'anatomia e al comportamento. Il più influente di questo tipo di osservatori nella Francia di inizio XVIII sec. fu René-Antoine Ferchault de Réaumur, autore di sei volumi sugli insetti, tra cui nel suo ricco schema classificatorio erano inclusi i polipi (fu lui a stabilire che ciò che Trembley aveva scoperto era un animale) e i coccodrilli. L'interesse di Réaumur era centrato sul comportamento sociale degli insetti e sulla loro utilità o pericolosità per gli umani. Un'analoga attenzione per le relazioni tra uomini e animali caratterizzava gli scritti dell'acerrimo nemico di Réaumur, il direttore dell'orto botanico del re di Francia, il conte di Buffon.

Egli assunse una posizione intermedia tra Réaumur e Linneo, evitando le osservazioni meticolose, ma non i suggerimenti enciclopedici, del primo e rifiutando il metodo, ma non gli obiettivi, del secondo. Senza avere alcuna precedente esperienza come naturalista, Buffon utilizzò libri, collaboratori (specialmente Daubenton, uno scrupoloso anatomista) e ispirazioni letterarie per creare la sua famosa Histoire naturelle (15 volumi, 1749-1767). A proposito delle poderose memorie di Réaumur sugli insetti, Buffon osservò che una mosca non dovrebbe occupare nella mente di un naturalista un posto più grande di quello che occupa in Natura; quanto alle classificazioni di Linneo, obiettò che un sistema che metteva uomini, scimmie e bradipi nella stessa casella dimostrava da solo la propria assurdità. L'eloquenza di Buffon, l'enfasi sull'utilità e la parsimonia nei dettagli gli valsero un largo seguito tra i non esperti. In Francia, il successo di pubblico dell'opera assicurò a Buffon il predominio delle sue teorie su quelle di Linneo e Réaumur per il resto della vita. Come accadde nella fisica sperimentale dove la necessità di fornire dimostrazioni visibili e piacevoli per due dozzine di spettatori contemporaneamente determinò la direzione dello sviluppo della fisica nel suo insieme, così il pubblico al quale i naturalisti si rivolgevano contribuì a ridefinire il carattere e le classificazioni della conoscenza naturale.

Uno dei tanti non specialisti ammiratori di Buffon fu Diderot, che ebbe tutto l'agio di leggere attentamente i primi tre volumi della Histoire naturelle durante la sua prigionia a Vincennes. Più tardi, riprese molto dall'Histoire per l'Encyclopédie e reclutò Daubenton per scrivere gran parte degli articoli di storia naturale. Diderot non cercò collaboratori tra i seguaci di Réaumur: "Cosa penserebbero di noi i posteri, se gli trasmettessimo solo un'insettologia incompleta, solo un'immensa storia di animali microscopici: grandi oggetti per grandi geni; piccoli oggetti per piccoli". Così, nelle Pensées sur l'interprétation de la nature (1754), Diderot fissava la distanza tra la scienza dei philosophes e la conoscenza dei naturalisti.

Proprio come il crescente prestigio delle dimostrazioni a fondamento sperimentale ridusse l'ambito di studio della fisica, così l'attenzione ai meccanismi della vita mise quasi del tutto fra parentesi le funzioni dell'anima. Descartes aveva ridotto gli animali ad automi. Apparentemente potevano andare in giro a loro piacimento. In realtà, però, la presunta continuità della catena dell'essere dall'uomo al polipo e dal polipo al regno vegetale dimostrava che la materia da sola, se opportunamente organizzata, era in grado di svolgere molte, forse tutte, le funzioni dell'anima. Un medico divenuto filosofo, Julien Offroy de La Mettrie, spinse all'estremo questa tesi: nel suo L'homme machine (1748), sostenne l'idea che gli uomini, al pari degli altri animali, dovessero essere considerati automi privi di anima. Egli non soltanto sottolineava la dipendenza dell'intelligenza dalla struttura del cervello, ma faceva anche riferimento a una delle più celebrate scoperte dell'epoca, l'irritabilità del tessuto muscolare. Il libro suscitò lo sdegno di tutte le autorità in materia e specialmente del devoto scopritore dell'irritabilità, Albrecht von Haller, professore di medicina e anatomia a Gottinga, al quale, con disinvolta empietà, La Mettrie aveva dedicato L'homme machine. Costretto a lasciare la Francia, egli trovò rifugio alla corte di Federico II di Prussia, che lo nominò accademico di Berlino, dove morì nel 1751, all'età di 42 anni, a causa ‒ si dice ‒ di un'indigestione, dimostrando così, secondo i suoi detrattori, i pericoli del materialismo.

Il materialismo continuava nondimeno a trovare sostegno nelle scoperte dei filosofi naturali, a prescindere dalle loro intenzioni come pure dall'affidabilità delle loro opinioni. Da un lato, l'idea della preformazione fece della generazione un processo meccanico che non richiedeva l'intervento di un'anima; dall'altro, lo sciamare di 'insetti' nella decomposizione della materia organica suggeriva la creazione spontanea della vita. Questa opinione ottenne l'appoggio entusiastico di Buffon, il quale sosteneva che gli esseri viventi provenivano dall'assemblaggio di "molecole organiche" (il residuo della vita precedente) presenti dappertutto. Non è così, replicava Lazzaro Spallanzani, sacerdote e preformazionista, classicista, matematico e storico naturale. Egli dimostrò che le soluzioni di materia in decomposizione, bollite e sigillate ermeticamente non generavano insetti; una dimostrazione che convinse Haller, ma non Buffon o Diderot. Tuttavia, il materialismo estremo turbava anche i nemici della religione costituita come Voltaire, il quale dalla pienezza, varietà e struttura delle forme di vita preferiva dedurre l'esistenza di un creatore benevolo piuttosto che l'espressione di materia cieca.

Le correnti dominanti della scienza di fine XVIII sec. ‒ quella enciclopedica, razionale, critica e utilitarista favorita dai philosophes, la fisica esatta caratterizzata dalla scuola di Laplace, la dinamica qualitativa dei Naturphilosophen, e soprattutto la spinta a cercare di risolvere la questione della quantità e qualità delle creature ‒ trovarono un equilibrio armonico nella carriera di Humboldt. Nel 1799, dopo aver studiato molte aree della filosofia naturale e della storia naturale, e aver appreso l'uso di numerosi tipi di strumenti, Humboldt compì un viaggio in America del Sud per osservare, misurare e registrare ogni cosa di interesse botanico, zoologico e fisico. Fu il primo a usare isoterme e isobare per tracciare le temperature e le pressioni medie. Fondò la biogeografia come disciplina. Concepì la distribuzione delle piante e degli animali come un equilibrio dinamico tra forze opposte, rappresentate in parte dalle medie regionali della temperatura, pressione, piovosità e altitudine. Il suo programma olistico si opponeva alla forza centrifuga della crescente specializzazione delle scienze, che già si poteva notare nei primi decenni del XIX secolo. Non ne risultò alcun equilibrio stabile.

Quadro istituzionale

Nel XVIII sec. è possibile individuare tre tipi principali di istituzioni dedite a coltivare e diffondere la conoscenza naturale: scuole superiori e università, accademie scientifiche e società di eruditi, e osservatori e orti botanici, che erano di solito collegati con un'università o un'accademia. Queste erano finanziate da organismi commerciali i quali, sebbene non avessero il carattere di vere e proprie istituzioni in quanto non erano formalmente costituiti con tanto di dichiarazione degli scopi oppure di statuti organizzativi, nondimeno contribuirono fortemente alla crescita della filosofia naturale attraverso il commercio degli stampati, la produzione di attrezzatura scientifica e gli spettacoli animati dai dimostratori di novità naturali.

Le università

Compito dell'università e del collegio di inizio Età moderna, che accoglievano adolescenti, era quello di insegnare e trasmettere la conoscenza, piuttosto che di farla progredire. Il pedagogo in cerca di fama letteraria scriveva un manuale, non un resoconto di ricerca. Questo modello era quello vigente soprattutto negli Stati tedeschi, dove c'erano molti professori, e nei collegi dei gesuiti francesi e italiani. Il conservatorismo naturale degli insegnanti era dunque rafforzato dall'uso, nelle lezioni, dei propri manuali; nondimeno, la concorrenza per accaparrarsi gli studenti e la necessità di tenersi aggiornati sulle proprie discipline, portò nuova conoscenza naturale nelle università. I newtoniani olandesi 'sGra vesande e Musschenbroek insegnavano dai loro vendutissimi manuali, e raccolsero un numero impressionante di strumenti, molti dei quali costruiti da Jan van Musschenbroek, fratello del professore. Analogamente, gli influenti successori di Sturm ‒ G.E. Hamburger a Jena e Christian Wolff a Halle e Marburgo ‒ si cimentavano in dimostrazioni di fenomeni meccanici, idrodinamici e pneumatici ben prima della metà del secolo. Anche i collegi francesi trasmettevano elementi di filosofia naturale, a volte esposti dal loro stesso personale, altre volte da persone esperte che tenevano cicli di lezioni al pubblico, come l'abate Nollet. Così pure studiosi dei college di Oxford e professori di filosofia naturale delle università scozzesi, alcuni dei quali avevano avuto contatti diretti con Newton, si offrivano di dimostrare e spiegare le più recenti conquiste della conoscenza naturale.

Dapprima questi corsi e dimostrazioni nascevano dall'iniziativa autonoma dello stesso dimostratore, che possedeva gli strumenti, procurava gli spazi e faceva pagare un biglietto. Verso il 1750, quando la prima generazione di professori che avevano creato questi corsi stava scomparendo, le rispettive università o collegi acquistarono i loro strumenti per pochi soldi, e di conseguenza ben presto si trovarono nella necessità di mantenere e di ampliare le collezioni di attrezzature. Il gabinetto degli strumenti, con il suo direttore-professore, l'assistente-artigiano e limitati fondi, divenne in quegli anni parte della vita delle università così come lo era la biblioteca. Alla fine del XVIII sec., un corredo completo di apparecchiature di filosofia naturale ‒ fra cui modelli meccanici, macchine elettriche, pompe ad aria e attrezzi pneumatici ‒, adatte per una università o un collegio, comportava una spesa non indifferente. A mano a mano che le collezioni e l'interesse per esse crescevano, i professori cominciarono a escogitare nuove dimostrazioni e talvolta scoprirono nuovi effetti, come nelle misurazioni del magnetismo di Musschenbroek e nella scoperta, da parte di Lichtenberg, delle figure elettriche che portano il suo nome. In alcune università, in particolare a Bologna, Gottinga e Pavia, i professori ricevevano incoraggiamenti e anche fondi per le ricerche. Bologna e Pavia erano luoghi di esposizione, rispettivamente, della Chiesa cattolica e del governo austriaco della Lombardia, e Gottinga era un caratteristico ibrido fra un corpo di professori tedeschi e un'amministrazione inglese. Bologna e Gottinga, inoltre, avevano il raro e forse unico vantaggio di uno stretto legame con un'accademia delle scienze alla quale molti dei professori appartenevano. Volta a Pavia e Lichtenberg a Gottinga furono esponenti di punta nella ricostruzione delle scienze fisiche dopo il 1770, come pure lo furono nell'importazione della ricerca e della filosofia sperimentale all'interno delle università.

Gottinga fu l'unica università significativa fondata in Europa durante il XVIII secolo. Gli investimenti per nuovi istituti di educazione superiore andavano piuttosto alle scuole tecniche, in particolar modo per l'ingegneria, le scienze minerarie, forestali e militari, nelle quali s'insegnavano elementi di filosofia naturale e matematica applicata. Le lezioni di Nollet al Collège de Navarre a Parigi e nella Scuola statale d'ingegneria di Mézières rappresentano al meglio il livello raggiunto da questi istituti alla metà del secolo. Cinquant'anni dopo, la nuova École Polytechnique insegnava la più recente fisica quantitativa, e preparava le figure di spicco e i futuri professori delle scienze fisiche francesi, tra cui Biot, Joseph Fourier e Gay-Lussac. In Inghilterra, l'Accademia militare di Woolwich, e specialmente il suo professore di matematica, Charles Hutton, mantennero un alto livello d'insegnamento sia nella filosofia naturale sia nelle ricerche in matematica applicata. La Germania vantava diverse Bergakademien e un'importante Scuola di artiglieria a Berlino. Altre scuole che occasionalmente diedero rifugio a eminenti filosofi naturali erano le accademie dissenzienti in Inghilterra: in una di queste Joseph Priestley scoprì alcuni dei gas che diedero impulso alla ricostruzione della conoscenza naturale.

Le accademie

Le scuole tecniche, come le università, erano in primo luogo istituzioni destinate all'insegnamento. Il progresso della conoscenza era invece il compito primario delle accademie, le quali erano essenzialmente di due tipi. Al primo tipo, di cui la Royal Society può essere considerata la capostipite, apparteneva un'istituzione che riceveva soltanto qualche privilegio dal suo benefattore o patrono, mentre si sosteneva con le quote raccolte tra i membri, ed era quindi incline ad ammettere personaggi ricchi e prestigiosi, senza preoccuparsi di altri meriti. Di solito queste società avevano dipendenti stipendiati, incluso un curatore degli strumenti, e forse anche, come a Bordeaux e Stoccolma, un insegnante o un professore di filosofia naturale. L'altro tipo di società aveva il suo modello nell'Académie Royale des Sciences.

I suoi membri regolari ricevevano uno stipendio in cambio del loro servizio accademico, che includeva la stesura di lavori originali e la valutazione di richieste per brevetti. Il modello parigino, in cui rientravano le accademie di Berlino, Pietroburgo e Gottinga, aveva inevitabilmente una quantità inferiore di membri rispetto a quello londinese, e quindi, mediamente, annoverava fra essi un buon numero di personaggi che si erano distinti per i loro contributi alla filosofia naturale.

L'immagine che queste società avevano di sé può essere desunta dai loro motti. Quello della Royal Society recitava Nullius in verba, in cui i più colti ‒ si riteneva ‒ avrebbero riconosciuto il riferimento a Orazio: nullius addictus iurare in verba magistri (non vincolato a giurare sulla parola di alcun maestro). Gli aderenti all'associazione proclamavano così, quale primo valore, l'indipendenza dal re, dall'insegnamento delle scuole e dai dogmi della religione nel formarsi le loro opinioni sul mondo naturale. L'Académie di Parigi, dopo la sua riorganizzazione del 1699, assunse come emblema un sole, che simboleggiava sia la conoscenza sia il re di Francia, Luigi XIV, e si diede come motto Invenit et perficit. Suo compito era scoprire e completare la conoscenza. I membri dell'Accademia Svedese delle Scienze, fondata nel 1739, non sentivano il bisogno di insistere sul loro diritto alla libertà di pensiero o di rafforzarsi con allusioni al loro re o con un motto latino. Il loro stemma mostra un uomo anziano che lavora la terra sotto la dicitura För Efterkommande, e cioè "per la posterità". Il lavoratore suggerisce non solo un finale ritorno concreto della conoscenza accademica, ma anche la possibilità di un immediato raccolto di invenzioni pratiche. Gli stessi temi ricorrono nel motto della Societas Scientiarum Gottingensis fondata nel 1751, Fecundat et ornat, che esprime l'ambizione di rendere fecondo il terreno e di abbellire il cammino. L'Académie Royale des Sciences di Torino, fondata definitivamente nel 1783, pubblicizzava il legame tra veritas et utilitas, realizzato alla fine del secolo.

Sebbene diverse nella struttura e nel modo di operare, le accademie prototipo di Parigi e Londra avevano in comune il fatto di essere impegnate esclusivamente nella ricerca della conoscenza naturale. La maggior parte delle altre accademie avevano sezioni per le arti e le lettere, in aggiunta a una o più di matematica, filosofia naturale e storia naturale. Quale che fosse la loro attività, ve ne erano comunque molte. Almeno sessanta accademie con interesse sostanziale per la filosofia naturale furono fondate tra il 1700 e il 1790, e per la precisione la metà esatta durante i venticinque anni che precedettero lo spartiacque dei primi anni Settanta. La Francia era in testa con trenta fondazioni, la metà del totale, seguita dalla Germania con otto, dall'Italia con sette e dalla Scandinavia con cinque. Le società britanniche erano in coda. Il dominio della Francia nel movimento accademico riflette, tra l'altro, la competizione della provincia con Parigi e il bisogno avvertito dai professionisti ‒ avvocati, sacerdoti, medici e ufficiali dell'esercito ‒ di esprimersi al di fuori delle istituzioni della Chiesa e dello Stato. Le basse cifre della Gran Bretagna indicano che la Royal Society, con la sua ampia partecipazione e la sua vasta copertura geografica, soddisfaceva le esigenze accademiche del paese.

I metodi con cui un'accademia promuoveva la scienza generalmente non comprendevano la messa a disposizione di spazi e attrezzature per i suoi membri. Di solito aveva locali per gli incontri, per la biblioteca, per le collezioni ed, eventualmente, spazio per un osservatorio e per un giardino botanico. Poteva anche aiutare i suoi membri prestando loro strumenti o equipaggiando una spedizione (come fece la Royal Society per le osservazioni dei transiti di Venere, e l'Académie di Parigi per i rilievi geodetici in Lapponia e in Perù); fornendo copie delle misure standard (come fece l'Académie di Parigi per i rilievi trigonometrici); distribuendo strumentazioni standardizzate (come fece la Royal Society per le osservazioni meteorologiche negli anni Venti del Settecento). Tuttavia, il ruolo più comune e caratteristico di una società scientifica era quello di promuovere l'avanzamento e la diffusione della conoscenza. Per raggiungere questi scopi essa aveva due importanti strumenti: la pubblicazione di "Proceedings", "Mémoires" o "Acta", e l'assegnazione di medaglie e premi. Sia denaro sia prestigio potevano essere guadagnati in concorsi per i migliori saggi su temi proposti. Circa mille concorsi a premi furono banditi in Francia durante i nove decenni che precedettero la Rivoluzione. Ugualmente, non c'era una società con qualche ambizione culturale che non pubblicasse un resoconto occasionale delle sue attività. Questa massa di pubblicazioni divenne così vasta e ricca, che subito dopo la metà del secolo furono fondate riviste di segnalazioni, per esempio i "Commentarii de rebus in scientia naturali et medicina gestis" (dal 1752) e, qualche tempo dopo, periodici quale il "Journal de physique, de chimie, d'histoire naturelle et des arts" (dal 1773), che offrivano estratti di pubblicazioni accademiche e fornivano notizie rapide e accessibili sui risultati più recenti.

Le accademie più grandi eseguivano la maggior parte dei loro compiti tramite comitati ad hoc su questioni tecniche, per esempio la calibrazione dei termometri e l'affidabilità dei parafulmini, come accadde alla Royal Society negli anni Sessanta e Settanta, o sulle affermazioni di Mesmer e sui fenomeni del galvanismo, come nel caso dell'Académie di Parigi negli anni Settanta del Settecento e nei primi anni dell'Ottocento. Altri comitati potevano essere chiamati a veri- ficare gli esperimenti di uno dei membri, come fecero i confratelli di Nollet con l'esperimento di quest'ultimo sull'elettricità; a leggere libri e articoli sottoposti all'accademia per averne l'approvazione per la pubblicazione; a esaminare richieste di brevetto; ad assegnare i premi nei concorsi. All'altra estremità della scala degli incontri, varie accademie, soprattutto quelle di modello parigino, si aprivano al pubblico una o due volte l'anno: poteva trattarsi di eventi accuratamente organizzati, il cui splendore e magnificenza dovevano dimostrare il valore della vita dell'istituzione, incoraggiandone il sostegno.

I concorsi a premi indetti dalle accademie avevano lo scopo di focalizzare l'attenzione su argomenti problematici ritenuti maturi per fare qualche progresso o di orientare la ricerca in una determinata direzione. I più noti erano probabilmente quelli sui quesiti matematici proposti dalle accademie di Parigi, Berlino e Pietroburgo, nei quali giudici e giudicati si alternavano. Come premi venivano messe in palio somme cospicue. I filosofi naturali potevano partecipare a un gran numero di concorsi, sicuramente molti più di quanti non fossero in grado di onorare con memorie di livello adeguato. Alcuni di questi concorsi influenzarono il corso della scienza, per esempio quelli sull'elettricità e sul magnetismo promossi da Berlino (teoria elettrica), da Bordeaux (relazione fra elettricità e fulmini) e da Lione (connessione fra elettricità e magnetismo) durante gli anni Quaranta del secolo. Gli esperimenti fondamentali di Coulomb sulla forza elettrica e magnetica trassero ispirazione da un concorso a premi.

Nel 1787, Antoine-François Delandine, membro di diverse società erudite, pubblicò nelle sue Couronnes académiques un inventario dei quesiti messi a concorso dalle accademie francesi nel corso del XVIII secolo. Un esame di quelli proposti dalle istituzioni più importanti ‒ Parigi, Bordeaux, Digione, Lione, Montpellier, Nancy, Rouen e Tolosa ‒ su argomenti di filosofia naturale mette in luce quali fossero le priorità sul fronte della ricerca. Le materie applicative guadagnarono d'importanza dopo il 1750. L'elettricità e il magnetismo furono gli argomenti di circa un terzo di tutti i premi di fisica generale. Parigi mantenne il dominio sulle discipline più tecniche ‒ astronomia e navigazione ‒ per tutto il secolo; le accademie di provincia trovarono le loro specializzazioni nella fisica più qualitativa e nella sua applicazione a opere d'ingegneria e meccanica.

Un'analisi dei risultati per i quali la Royal Society assegnò la medaglia Copley fornisce un quadro dettagliato delle ricerche promosse e apprezzate dal sistema accademico. La medaglia, forse il premio più prestigioso di filosofia naturale del XVIII sec., era conferita all'autore dei più grandi, recenti progressi in campo scientifico. In linea di principio poteva essere assegnata a chiunque ne fosse meritevole, indipendentemente dal paese d'origine, ma in pratica, fino alla vittoria di Volta nel 1794, fu assegnata solo a individui residenti nelle Isole britanniche o nelle colonie inglesi. Il modello dei premi Copley, come quello dei premi francesi, rivela un interesse crescente per gli strumenti e per le applicazioni, e il predominio, intorno alla metà del secolo, dell'elettricità e del magnetismo; aria, calore e geodesia ricorrono più frequentemente nell'ultimo trentennio del secolo. Ciò che più colpisce, comunque, è il fatto che fino al 1820 la Royal Society due volte su tre scelse di premiare risultati ottenuti nel campo della filosofia naturale. Evidentemente la Society considerava le scoperte nella fisica più importanti di quelle nella matematica, storia naturale, anatomia e medicina messe insieme.

Gli osservatori

Le accademie avevano frequentemente stretti legami con gli osservatori, i quali pure operavano in vista dell'avanzamento della conoscenza naturale. Le prime accademie scientifiche nazionali ‒ le società reali di Londra e Parigi ‒ assunsero la supervisione dei primi osservatori nazionali, quelli di Greenwich e di Parigi. I peculiari istituti di Bologna e di Gottinga, dove le accademie delle scienze avevano stretti legami con le università, furono dotati di propri osservatori. Altri furono creati per diretto interessamento e patrocinio di un principe o di un alto prelato o, come accadde di frequente, della Compagnia di Gesù. Queste strutture avevano talvolta spazio per ospitare attrezzature sperimentali generali e per usarle; e in molti casi non accoglievano soltanto strumenti astronomici, ma anche meteorologici, geodetici e magnetici. Alcuni si specializzarono in meteorologia ed elettricità atmosferica. Tutti diedero un impulso di rilievo al miglioramento e alla diffusione della strumentazione scientifica.

Come le accademie, gli osservatori si moltiplicarono nel venticinquennio successivo alla metà del XVIII sec. più velocemente che in precedenza, e circa la metà del totale (ottantacinque) di quelli che si riscontrano nel 'secolo breve' 1700-1790 fu creata fra il 1750 e il 1775. Nella crescita registrata in quel quarto di secolo, la Gran Bretagna superò la Francia per undici a nove, seguita dall'Austria-Ungheria (grazie soprattutto alla politica di sovrani illuminati e all'attività dei matematici gesuiti) e dagli Stati tedeschi. Il finanziamento della maggior parte di questi osservatori ‒ quasi la metà ‒ proveniva da privati. Piccole ma selezionate attrezzature produssero alcuni dei più importanti risultati astronomici del secolo. Per fare un esempio significativo, James Bradley scoprì l'aberrazione della luce stellare e la nutazione terrestre usando il telescopio di un amico, oltre al suo personale, prima che la sua promozione ad astronomo reale d'Inghilterra, nel 1742, lo destinasse all'Osservatorio di Greenwich. Ai rapidi cambiamenti nella filosofia naturale avvenuti negli anni intorno al 1770 fece seguito un cospicuo incremento nel numero delle istituzioni ‒ accademie e osservatori ‒ la cui missione era quella di ricercare più che di insegnare. Nelle università non si verificarono incrementi comparabili.

Durante il XVIII sec., i maggiori osservatori europei assolvevano compiti di ricerca che rientravano nell'ambito della storia naturale. Continuavano a tenere sotto osservazione gli oggetti celesti, esploravano le caratteristiche dei pianeti visibili con il telescopio, e misuravano il potere rifrangente dell'atmosfera. La loro attività spinse a migliorare gli strumenti e, sempre di più nel corso del secolo, gli osservatori furono di grande aiuto nei rilevamenti di triangolazione e nel disegnare la mappa del magnetismo terrestre. La maggior parte di queste ricerche e invenzioni aveva come obiettivo il miglioramento della navigazione, per la quale gli strumenti di base richiesti erano telescopi opportunamente montati e orologi a pendolo. Il telescopio era il fattore limitante, perché presentava due problemi principali: il primo ‒ all'inizio probabilmente sottovalutato ‒ riguardava il montaggio e il fissaggio; l'altro, ampiamente riconosciuto ma non risolto, concerneva la qualità dell'immagine. Al primo problema si ovviò fissando i telescopi a strutture rigide, a prova di sollecitazioni meccaniche e termiche; al secondo con l'invenzione delle lenti acromatiche. In entrambi i settori, i costruttori inglesi erano di gran lunga avanti rispetto ai loro omologhi continentali. Gli osservatori fondati intorno alla metà del secolo si rifornivano di quadranti murali e di telescopi acromatici inglesi; quello dell'Università di Gottinga, aperto nel 1751, servì a Johann Tobias Mayer per condurre osservazioni che contribuirono alla risoluzione del problema di stabilire la longitudine in mare. I più aggiornati quadranti inglesi divennero merce di scambio ricercata nel panorama internazionale. Nel 1778 il ricco parigino Pierre Bergeret prestò alla Scuola militare reale un quadrante che aveva comprato da John Bird, il miglior costruttore inglese della metà del secolo. Quando Bergeret morì, nel 1786, la sua famiglia mise all'asta il quadrante; il duca di Saxe-Gotha rilanciò l'offerta contro il re di Francia. Il prezzo fu elevato. Né i Francesi né i Tedeschi erano in grado di rivaleggiare con Bird e con i suoi prodotti. Gli Inglesi lo fecero, nella persona di Jesse Ramsden, che si unì in matrimonio con una Dollond e perfezionò le tecniche di montaggio e di graduazione delle lenti di grandi telescopi acromatici a rifrazione. Come gli strumenti di Bird, quelli di Ramsden furono molto apprezzati in Europa; uno di questi fu acquistato dall'Osservatorio reale di Palermo, aperto nel 1790, dove un decennio più tardi rivelò Cerere, il primo dei pianetini, a Giuseppe Piazzi.

Questa scoperta avrebbe probabilmente suscitato più clamore se non fosse stata preceduta dall'individuazione di un corpo più grande orbitante intorno al Sole, Urano, il primo pianeta scoperto dall'Antichità. Lo scopritore, William Herschel, un musicista tedesco emigrato da Hannover all'inizio della guerra dei Sette anni, contribuì allo sviluppo dell'astronomia in Inghilterra più di quanto tutti i re Giorgio abbiano fatto con l'Osservatorio di Gottinga. Trovando i lunghi telescopi rifrattori troppo complessi da maneggiare, Herschel provò telescopi riflettori che non soffrivano di aberrazione cromatica. Verso la fine degli anni Settanta egli aveva realizzato uno strumento con il quale poteva scandagliare i cieli alla ricerca di stelle fino alla quarta magnitudine. Nel 1781, mentre conduceva questa ricerca, raccolse dati che non tardò a riconoscere come il segno dell'esistenza di un pianeta. Il re gli concesse uno stipendio per il suo lavoro; con questa sovvenzione, e con il denaro proveniente dalla vendita di telescopi riflettori, Herschel costruì specchi sempre più grandi, che però non diedero risultati proporzionali alla loro grandezza.

La fama degli osservatori di creare conoscenza arrivò anche dove non ve ne erano. Nel 1825, nel suo primo messaggio

al Congresso come presidente degli Stati Uniti d'America John Quincy Adams osservò che i circa centotrenta "fari dei cieli" in Europa, non avevano mai smesso di fare scoperte sull'universo fisico, mentre per gli Americani, che non ne avevano nemmeno uno, "la Terra gira nell'oscurità fisica ai nostri occhi che non cercano" (Portolano 2000, p. 488).

Il laboratorio

Diversamente da quanto avveniva per l'astronomia, gli esperimenti di filosofia naturale nel XVIII sec. non avevano luogo in strutture appositamente create o equipaggiate a questo scopo. Molti sperimentatori adattavano stanze delle loro case di abitazione e si servivano di utensili casalinghi; a volte utilizzavano officine, come fece William Lewis per i lavori sulle proprietà del platino, appena scoperto, che gli valsero la medaglia Copley per il 1754. In una fonderia di cannoni in Baviera il conte di Rumford, vincitore del premio Copley nel 1792 per i suoi esperimenti sull'isolamento termico, scoprì nell'alesatura dei cannoni un potente argomento in favore della teoria cinetica del calore. Un'altra sede semi-industriale per gli esperimenti era la bottega del costruttore di strumenti, dove potevano essere eseguite piccole ricerche per migliorarne il manufatto o l'utilizzazione. Nella bottega di Edward Nairne a Londra, per esempio, diversi elettrologi tentavano nuovi esperimenti e calibravano i loro strumenti. Tuttavia il luogo ordinario per gli esperimenti era una casa privata, un salotto, o uno spazio ricavato appositamente, come i locali dove Galvani fece danzare le sue rane. Molte illustrazioni del periodo mostrano gli strumenti di filosofia naturale in incongrui ambienti domestici. Una delle poche immagini di un laboratorio in funzione che ci sono giunte dal XVIII sec. è un celebre disegno eseguito da Madame Lavoisier di un esperimento, del 1790, per misurare la quantità di ossigeno consumata nella respirazione. L'ambiente con gli strumenti di laboratorio e l'intenso lavoro per l'operazione rappresentata, che richiedeva un inserviente che misurasse il battito cardiaco del paziente, un altro che controllasse i tubi di vetro, Lavoisier a dirigere, la moglie a registrare i dati, erano insoliti. Il tutto era dovuto molto più alla ricchezza di Lavoisier che alla sua alta posizione nella vita accademica francese.

La dimensione del laboratorio di Lavoisier potrebbe non essere stata straordinaria per la chimica, che aveva sempre richiesto un consistente equipaggiamento specializzato. Verso la fine del secolo anche la filosofia naturale cominciò a richiedere grandi ambienti. Uno studioso, Martinus van Marum, sommava molte delle attività di un accademico del XVIII sec.: medico praticante, pubblico docente, curatore della strumentazione della Hollandsche Maatschappij der Wetenschappen, e anche curatore e bibliotecario di un ricco istituto privato per lo sviluppo delle arti e delle scienze, la Fondazione Teyler di Haarlem. Marum accettò questi due ultimi incarichi nel 1784, pensando che avrebbe così potuto avere a sua disposizione una somma per ampliare la collezione di strumenti fisici. Condividendo la visione moderna della sperimentazione enunciata da Joseph Priestley ‒ "un individuo avrebbe le migliori possibilità di azzeccare qualche nuova scoperta se applicasse una energia superiore a quella che mai sia stata impiegata" (The history and present state of electricity, ed. 1775, II, p. 30) ‒ Marum commissionò il più grande generatore elettrostatico che sia mai stato realizzato prima del generatore Van de Graaff, degli anni Trenta del XX secolo. Tuttavia, come il grande telescopio riflettore di Herschel, esso non ripagò l'investimento.

La grande macchina elettrica teyleriana fu il capostipite di una serie di congegni minori utili sia per la ricerca sia per la dimostrazione. Lo stesso si può dire di un altro strumento dell'epoca molto utilizzato, la pompa ad aria. Gli strumenti di misurazione, invece, sembrano aver avuto solamente uno scopo: trovare numeri, certo inadatti a intrattenere il pubblico. Questo non vuol dire che il misuratore avesse idee più chiare sul suo lavoro di quelle del dimostratore o dello sperimentatore. Nollet realizzò un buon elettrometro, consistente in due fili che si divaricavano una volta che venivano caricati; egli ne proiettava l'immagine su uno schermo distante, in modo da non doversi avvicinare per leggere l'angolo di divaricazione, rischiando così di creare disturbo. La sua attenzione per la sensibilità dell'apparato gli diede lustro, ma non sapeva come collegare l'angolo misurato con alcuno dei concetti della sua teoria elettrica.

L'elettroscopio di Nollet è caratteristico della strumentazione della filosofia naturale di metà secolo. Le apparecchiature realizzate dopo il 1780 esemplificano gli effetti dello spartiacque del 1770. L'elettroscopio a foglie di Volta differiva dai fili di Nollet per il fatto che era dotato di una scala calibrata per indicare divaricazioni uguali per eguali aggiunte di carica elettrica. Per rendere le misurazioni della carica elettrica ancora più precise, Volta riconobbe che la divaricazione delle foglie rappresentava la loro tensione elettrica, termine 'precursore' di potenziale, e che questa era proporzionale alla carica portata. Analogamente, la misurazione di Coulomb delle forze elettriche e magnetiche con la sua bilancia di torsione si distingueva dai precedenti tentativi eseguiti con bilance a gravità, poiché riferiva le supposte e non misurabili attrazioni e repulsioni elementari tra particelle dei fluidi elettrici e magnetici a quantità determinabili attraverso esperimenti. La bilancia di torsione di Coulomb divenne lo strumento standard dell'Osservatorio di Parigi per la misurazione delle variazioni diurne del magnetismo terrestre. Tenere continuamente sotto controllo questo e altri strumenti per osservare i sussulti e i tremori della Terra era poco pratico. Così fecero la loro comparsa gli strumenti di registrazione, come per esempio il termometro calibrato realizzato intorno al 1780 da Henry Cavendish, che indicava le temperature minime e massime nell'arco della giornata, grazie al collegamento con un galleggiante che si alzava e si abbassava con il fluido termometrico. Il congegno faceva sì che un ago spingesse marcatori che rimanevano nelle posizioni più alta e più bassa raggiunte dall'ago. Questo apparecchio seguì di un decennio il barometro a sifone inventato da Felice Fontana, allora professore di fisica all'Università di Pisa e curatore della collezione granducale di strumenti di Palazzo Pitti, a Firenze. Il movimento di un galleggiante nel barometro faceva ruotare un'asticella orizzontale che spostava un foglio di carta sotto un orologio. L'orologio, a intervalli regolari, premeva un ago contro la carta, lasciando così un segno che indicava sia l'ora sia il valore della grandezza osservata. Un analogo registratore di tempo-intensità, questa volta per terremoti, fu messo in opera nel 1784 da Atanasio Cavalli, direttore di un piccolo osservatorio a Roma. I movimenti della Terra azionavano alcune molle che premevano contro dei serbatoi di mercurio perforati. Più forte era la spinta, più lontano e più rapidamente fuoriusciva il mercurio. L'emissione era raccolta in file di piccoli recipienti mossi a orologeria, in modo che potessero essere registrati il tempo e le variazioni nel flusso di mercurio.

Il registratore più sensibile, impiegato in esperimenti di fisica nel XVIII sec., fu la rana con cui Galvani scoprì l'elettricità animale. Volta fu in grado di realizzare un elettroscopio artificiale, e meglio calibrato di una rana, per generare elettricità animale senza usare parti di animali e per amplificare gli effetti in un motore primo che fece epoca. La pila voltaica, o batteria, annunciata nel 1800, creava tensione sufficiente a emettere una corrente percettibile dalle dita attraverso un circuito chiuso che includeva il corpo. Versioni più potenti vennero presto realizzate; una pila installata alla Royal Institution nel 1813 occupava un intero piano terra e produceva la corrente che saliva fino al laboratorio per la realizzazione degli esperimenti di Humphry Davy.

Come molte altre novità della fisica durante questo periodo, il galvanismo fu utilizzato per varie dimostrazioni. La più memorabile fu realizzata facendo passare la corrente da una pila attraverso i nervi e i muscoli di un criminale da poco giustiziato. Alcuni fisici francesi si dedicarono a questo macabro gioco nel 1803 e nel 1804, collegando fili alle orecchie e alla lingua di teste decapitate, che reagivano con smorfie e ammiccamenti. Questo è nulla a confronto dello spettacolo organizzato con il corpo di un omicida giustiziato per impiccagione, poi tagliato e stimolato dal dottor Andrew Ure di Glasgow: Ure collegò con fili elettrici una pila al midollo spinale del cadavere e a diversi muscoli in successione. L'omicida giustiziato respirava come se fosse vivo, mostrava rabbia, agonia, disperazione, per poi morire una seconda volta con un orribile sorriso stampato sul volto.

Fattori concomitanti

La svolta nella storia della conoscenza della Natura avvenuta negli anni intorno al 1770 fu favorita da vari fattori che operarono nella società nel suo insieme. Alcuni brevi cenni all'azione di tre dei fattori più significativi possono dare un'idea della loro varietà. Profondamente legata alla svolta in senso intellettuale delle scienze fisiche, era un'epistemologia elaborata dai philosophes che favoriva, insieme, modestia e matematica (per quanto ossimorico questo accostamento possa apparire). Un secondo fattore che spingeva verso la razionalizzazione della filosofia naturale era la crescente applicazione della matematica nei programmi dei governi illuminati del tardo XVIII secolo. Il terzo fattore, che richiedeva e insieme sosteneva la matematica e la filosofia naturale, era la manifattura, in particolare il commercio di strumenti scientifici ‒ dal sestante alla macchina a vapore ‒ e lo sfruttamento dei gas di recente scoperta da parte dell'industria chimica. L'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert, pubblicata in diciassette volumi di testo e undici di tavole tra il 1751 e il 1772, diede un contributo determinante all'epistemologia dei philosophes e alla razionalizzazione delle arti manifatturiere. L'opera è quindi un'utile pietra di paragone per la situazione negli anni immediatamente precedenti la svolta del 1770.

Les Lumières

La fioritura delle accademie di metà secolo coincise con la pubblicazione dell'Encyclopédie, che trasmise tutte le conoscenze accreditate, ma anche alcune sospette, con un caratteristico sfoggio d'autorità. Le accademie erano tra i più fedeli sottoscrittori e diversi accademici figuravano tra i suoi compilatori. Lo sforzo innovativo di scoprire ed enunciare i principî che regolavano l'attività dei commerci e delle manifatture sottolineava i fattori analitici e quantitativi che si erano prestati al loro sviluppo razionale. Qui l'Encyclopédie lavorava in collaborazione con i centri di ricerca più specializzati, che avevano il pieno sostegno dei governi. Queste organizzazioni includevano i collegi reali di agricoltura, sedici dei quali erano stati aperti proprio nel corso della pubblicazione dell'Encyclopédie, e le agenzie che si occupavano del rilevamento di dati demografici, di silvicoltura, di cartografia.

L'Illuminismo francese fece ricorso alla conoscenza naturale per la propaganda, l'informazione e la tecnica, e d'altro canto, suscitò interesse per lo studio della disciplina e per la sua applicazione. Gli élémens de la philosophie de Neuton (1738), di Voltaire, il primo testo esaustivo di divulgazione del lavoro di Newton nel campo dell'ottica e della cosmologia in lingua francese, muovevano dalla nozione newtoniana di divinità e procedevano stabilendo il modo di pensare corretto riguardo al libero arbitrio, alla religione naturale e all''umanità' propria della nostra specie, "una virtù che racchiude tutte le altre, e senza la quale un filosofo non sarebbe degno del suo nome" (ed. 1824, I, 7, p. 45). Analogamente Francesco Algarotti attinse molto dalla filosofia di John Locke nel suo Newtonianismo per le dame (1737), al punto di destare l'attenzione dei cardinali della Congregazione preposta alla compilazione dell'Indice dei Libri Proibiti. Clemente XII aveva appena condannato l'Essay concerning human understanding (1690) di Locke, un testo chiave dell'Illuminismo, e il Sant'Uffizio aveva fatto lo stesso per il suo Reasonableness of Christianity as delivered in the scriptures (rispettivamente nel 1734 e nel 1737). La Chiesa cattolica favorì così, suo malgrado, l'affermarsi di quella psicologia sensista di origine lockiana che fu poi un'arma nella campagna dei philosophes contro di essa. D'Alembert associò Newton e Locke, l'uno riformatore della fisica e l'altro della metafisica, nel suo lungo Discours préliminaire all'Encyclopédie (1751). Insieme essi rovesciarono il sistema di Descartes, anzi, tutti i sistemi; prima che gli Inglesi riscattassero il pensiero occidentale, i filosofi naturali non erano infatti riusciti a liberarsi dall'autorità del passato. Newton aveva dimostrato quanto la mente umana potesse librarsi in alto quando era appesantita solo dalla matematica e da alcuni fenomeni fondamentali. Locke aveva mostrato che la mente è in grado di funzionare anche con meno, cioè a partire da niente. Nihil in intellectu nisi prius in sensu ('nulla è nell'intelletto che non sia prima nel senso'). "Locke comprese quello che Newton non aveva osato fare, o che forse riteneva impossibile […]. Per conoscere la nostra anima, le sue idee e le sue inclinazioni, egli non si rivolgeva ai libri […] gli era sufficente scavare in profondità dentro sé stesso […]. [Egli] ridusse la metafisica a quello che veramente doveva essere: la fisica sperimentale dell'anima" (Discours préliminaire, ed. 1963, pp. 83-84).

Tuttavia la relazione 'Locke sta alla metafisica come Newton sta alla fisica sperimentale' ometteva un elemento essenziale in entrambi i membri della proporzione. "I mezzi primari che la Natura usa non sono aperti a noi quando non sono stati ridotti [sousmis] al calcolo", dichiarò Voltaire. D'Alembert, comunque, che era un eccellente matematico, coltivava la filosofia naturale "una scienza suscettibile unicamente di esperimenti e di geometria" nella maniera inventata da Newton (Voltaire, élémens, II, 11, p. 141; d'Alembert, Discours préliminaire, p. 81).

All'appassionato studioso di geometria, quantificare il pensiero comportava uno sforzo appena maggiore che ideare un sistema del mondo. Uno di questi quantificatori, l'abate de Condillac, occasionale collaboratore di Diderot e d'Alembert, osservò che un linguaggio adeguatamente costruito avrebbe consentito la corretta organizzazione delle esperienze e dei pensieri nella tabula rasa della mente infantile. Egli mutuò il modello per un simile linguaggio dall'algebra. Molti altri filosofi del tardo XVIII sec. elaborarono linguaggi artificiali con i quali cercavano di riprodurre il processo naturale del pensiero. Questi linguaggi avrebbero non solo favorito l'acquisizione di idee corrette ed educato la mente al ragionamento, ma avrebbero anche guidato lo sviluppo della civiltà e della conoscenza, rimuovendo i malintesi e l'elitarismo generato nella società dai linguaggi naturali, e permettendo agli studiosi di comprendere tutte le discipline chiaramente come la matematica. Dopo il 1789, coloro che proponevano un radicale cambiamento del linguaggio della filosofia naturale potevano fare riferimento alla nuova nomenclatura chimica, sviluppata secondo gli insegnamenti di Condillac, come prova che la mente, una volta libera da idee sbagliate, poteva inventare modi di espressione che riflettevano le relazioni tra fenomeni naturali.

David Hume si impegnò fortemente in una fisica sperimentale della mente che potesse render conto, in modo semiquantitativo, delle relazioni che le persone ordinarie ‒ cioè, dotate di un apparato sensorio normalmente funzionante ‒ percepiscono nel mondo interno e in quello esterno. Dopo aver ascoltato le lezioni di Newton all'Università di Edimburgo e aver letto la filosofia scettica francese nella biblioteca del collegio gesuita dove aveva studiato Descartes, Hume compose A treatise of human nature (1739) che, egli si aspettava, avrebbe posto la scoperta e la verifica della conoscenza su solide basi. Tutte le nostre idee, argomentava Hume, non sono che residui di percezioni semplici e singolari di oggetti esterni o di passioni interne; a ogni percezione distinta corrisponde un'idea meno distinta, e viceversa. Un potere di associazione analogo all'attrazione newtoniana ‒ entrambi poteri universalmente validi e di origini sconosciute (e, secondo Hume, inconoscibili) ‒ organizza le idee elementari in serie complesse, secondo il loro grado di somiglianza e contiguità nello spazio e nel tempo. Poiché ogni singola percezione e la sua idea corrispondente sono uniche e distinte (come potrebbero altrimenti essere chiaramente apprese?) nessuna necessità collega le idee. La regolarità della filosofia naturale riposa sulla convinzione che la stessa causa produrrà sempre lo stesso effetto; la nostra abitudine di dedurre cause ed effetti, per quanto indubitabile possa apparire, non ha basi più solide della nostra esperienza che certe percezioni sono in "congiunzione costante" con altre. Questa è una base incerta per inferire il futuro. Perché diamo il nostro assenso a certe proposizioni e non ad altre? Perché ‒ e qui Hume apre la strada ai calcolatori ‒ tendiamo a credere a "un'idea vivace correlata o associata con un'impressione presente". Il grado di vivacità del ricordo determina l'incredulità o la credenza. Assegniamo un grado di probabilità alle idee in proporzione alla chiarezza, alla distinzione, all'intensità (A treatise of human nature, ed. Selby-Bigge, p. 96).

Non possiamo spingerci oltre le nostre impressioni, verso la comprensione o la semplice identificazione delle loro cause. A partire dalla percezione, che è la nostra unica fonte di informazione, come si può infatti riconoscere se essa proviene da fuori di noi, dal nostro apparato mentale, oppure direttamente da Dio? Tutto quello che possiamo sperare di fare, nel mondo mentale come in quello fisico, è di apprendere quanto più possibile dall'esperienza. "Appare evidente" scrive Hume nel suo Treatise "che essendoci ignota l'essenza della mente, al pari di quella degli oggetti esterni, è ugualmente impossibile farci una nozione di quei poteri e qualità altrimenti che con esperimenti esatti" (ibidem, p. XXI). L'analisi corrosiva della natura della conoscenza di Hume non ricevette subito il riconoscimento che egli si aspettava, forse a causa (se una causa può essere ammessa) dell'eccessiva lunghezza del Treatise. Una versione più breve, l'Enquiry concerning human understanding (1758), esercitò invece una vasta influenza. Quando Hume fece nuovamente ritorno in Francia nel 1763 come segretario dell'ambasciatore inglese, era il re della stagione dei salotti.

Come Hume, Immanuel Kant aveva studiato la filosofia naturale newtoniana all'università, ma, diversamente da Hume, la apprese non attraverso lo scetticismo francese, bensì attraverso Leibniz e Wolff. Il risultato, comunque, fu una base più solida per una posizione analoga: la mente umana non può penetrare il profondo delle cose. Kant fece dei concetti di spazio e tempo, che per Hume erano il deposito dell'esperienza, le condizioni necessarie della percezione, e la connessione di causa ed effetto, che per Hume era un'idea creata dalla contiguità delle percezioni nello spazio e nel tempo, divenne la forma a priori fondamentale per la comprensione del mondo naturale. Quello che la mente può acquisire con certezza è solo la conoscenza delle apparenze, da essa stessa organizzate secondo le forme dello spazio e del tempo e ordinate, dove opportuno, in conformità della categoria di causa ed effetto. La conoscenza delle cose in sé, i noumeni, è così esclusa dall'atto della percezione, perché l'osservazione dei fenomeni risulta sempre mediata dall'attività della mente. Tra le conclusioni che Kant derivava da questi principî c'era quella secondo cui la materia deve essere compresa o rappresentata come un equilibrio di attrazioni (implicite nella gravità) e repulsioni (implicite nell'impenetrabilità) innate. Spazio e tempo possono essere concepiti geometricamente, come linee euclidee e anche le forze possono essere trattate matematicamente, secondo la gravitazione newtoniana. La via migliore e più sicura per raggiungere la conoscenza esatta di un fenomeno è dunque la sua quantificazione. Come Kant scrisse nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft, "in ciascuna dottrina particolare della Natura si può trovare tanta scienza quanta matematica vi è in essa" (ed. Ellington, p. 6).

Gli Anfangsgründe di Kant, che ebbero una risonanza immediata e immensa in Germania, diedero slancio alla crescente quantificazione della filosofia naturale in due diverse direzioni. Da un lato, mostrarono che una piena formulazione matematica era l'obiettivo più alto della scienza; dall'altro, degradarono materie non riducibili al calcolo delle forze centrali a uno statuto inferiore alla scienza. Kant offrì l'esempio della chimica che conosceva quando aveva scritto gli Anfangsgründe, che precedettero di tre anni la pubblicazione del sistematico Traité élémentaire de chimie (1789) di Lavoisier. "[Dal momento che] non può essere stabilita alcuna legge per l'attrazione o la repulsione delle parti di materia, in base alla quale (cioè con riferimento alla loro densità e simili) i loro movimenti e le conseguenze di questi ultimi possano essere intuiti e presentati a priori nello spazio (un'esigenza che difficilmente potrà mai essere soddisfatta), la chimica non potrà diventare più che un'arte sistematica o una dottrina sperimentale, e mai una scienza vera e propria" (Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft, p. 7).

Non è detto che un grande filosofo debba anche essere un grande profeta. La filosofia kantiana difese la matematizzazione della fisica anche eludendo le critiche che il "Journal des Sçavans" aveva formulato ai Principia di Newton: come può una mera formula matematica arrivare ai veri rapporti tra le cose, se un esperimento non è in grado di escludere piccole variazioni nei numeri di una formula, come gli esponenti nella legge di gravitazione? La risposta di Kant: la filosofia naturale, sia quantificata o meno, non può ottenere la conoscenza della natura delle cose.

Questa modestia filosofica è perfettamente in linea con l'epistemologia della fisica dominante nel 1800, il sistema dei fluidi imponderabili. Per quanto utile a sostenere la quantificazione, il sistema non poteva decidere se, nel caso esemplare dell'elettricità, si dovesse riconoscere l'esistenza di un fluido o di due. Accorti filosofi naturali convenivano di non poter fornire esperimenti in grado di dirimere la questione, e di conseguenza, nessun modo convincente per asserire la verità di una delle due versioni della teoria, o del sistema dei fluidi nel suo insieme. Lichtenberg affermò che la questione del numero delle elettricità era così profonda, irresolubile e insieme irrilevante quanto l'argomento se deutsch o teutsch fosse l'ortografia corretta: in nessuno dei due casi la pretesa di verità era giustificata. Analogamente, anche la prospettiva 'dinamica' di Kant di forze centrali opposte non poteva essere preferita per la sua forza esplicativa, ma solamente per la sua migliore aderenza o concordanza all'immagine 'atomica' dell'impatto e dell'impulso.

Come molte filosofie complesse, quella di Kant poteva essere letta in modo opposto a come l'autore la intendeva. Dalla dottrina secondo cui la mente umana ordina i fenomeni e crea conoscenze applicando le proprie peculiari strutture della sensibilità e dell'intelletto, ad alcuni sembrava derivare la conseguenza che il fenomeno potesse essere inutile alla creazione della filosofia naturale. Le facoltà mentali da sole, prima dell'esperienza, o addirittura senza di essa, potevano costruire un valido sistema del mondo. Il promotore di questa teoria, Schelling, formulò i suoi principî trascurando del tutto la matematica e gli esperimenti. Dopo un'attenta analisi della fisica speculativa di Schelling, il fisico enciclopedico Fischer la condannò come "inutile" nella sua Geschichte der Physik. La Societas Scientiarum Gottingensis sottoscrisse lo stesso giudizio di "assoluta nullità", "la rovina di tutta la conoscenza fondamentale" (Leo 1901, p. 207). Il loro punto di vista però non tenne lontani da scoperte decisive uomini quali Johann Wilhelm Ritter, Thomas Seebeck e Hans Christian Oersted, che mescolarono le asserzioni qualitative della filosofia naturale di Schelling con gli esperimenti resi possibili dalla pila voltaica.

Razionalizzazione

Il programma illuminista di razionalizzare le istituzioni sociali e le pratiche artificiali, spazzando via abitudini e credenze che non avevano fondamento più profondo dell'uso e della tradizione, coincideva con l'interesse dei governi burocratizzanti, impazienti di ridurre le inefficienze e le disfunzioni del sistema dell'Ancien Régime. La filosofia sperimentale del tardo XVIII sec., più solida, scarna e matematizzata, contribuì a promuovere questa politica e ne trasse a sua volta profitto. Dopo la guerra dei Sette anni (1756-1763), che mobilitò l'intera Europa occidentale e le sue colonie del Nord America e devastò l'Austria e la Prussia, i grandi Stati avvertirono il bisogno di un'amministrazione migliore e di un uso più proficuo delle proprie risorse. Nello stesso periodo, motori a vapore più potenti furono utilizzati nei mulini e nelle miniere, macchinari e armi divennero più precisi, la pratica agricola s'ispirò a quella scientifica e migliorarono le comunicazioni. La comparsa della figura dell'esperto, il primo passo verso la concreta realizzazione della razionalizzazione promossa dall'Illuminismo, e l'inizio dell'effettiva matematizzazione della filosofia naturale procedevano di pari passo. Questo programma vedeva impegnati matematici e filosofi naturali e includeva, fra gli altri, ingegneri francesi, agronomi britannici, religiosi in Italia e all'estero, e burocrati tedeschi.

Ingegneri militari in Francia. Nel più impegnativo dei corpi tecnici dell'esercito, l'artiglieria, la Prussia e l'Austria furono molto superiori alla Francia nella guerra dei Sette anni, con la sola eccezione dell'assedio di Schweidnitz, dove il comandante francese Jean-Baptiste Vaquette de Gribeauval riuscì a controllare i nemici fino a quando Federico II in persona arrivò a condurre l'assalto finale dei Prussiani. Dopo la guerra, Gribeauval fu posto a capo dell'artiglieria francese. Sotto il suo comando, il programma nelle scuole centrali di artiglieria passò dalla matematica elementare a livelli più avanzati della disciplina e alle sue applicazioni. Nel 1770 fu adottato un nuovo manuale in quattro volumi, il Cours de mathématiques à l'usage du corps royal de l'artillerie di Étienne Bézout. Il testo iniziava dall'aritmetica e dall'algebra, per trattare poi di ottica, geografia, meccanica e astronomia. L'insegnamento della chimica e della mineralogia (discipline assurte a nuova dignità con Lavoisier) fu progressivamente ampliato negli anni Settanta e Ottanta. Gribeauval e i suoi colleghi appoggiarono il programma che dava spazio alla matematica per assicurare una formazione comune degli ufficiali, ma anche per mettere alla prova la loro abilità e sviluppare le loro competenze. Altre scuole tecniche francesi sottoponevano gli studenti allo studio della matematica per misurare le loro capacità, abituarli al ragionamento e incrementarne il rendimento. Un esempio notevole era la Scuola statale di ingegneria a Mézières, dove, dopo la guerra dei Sette anni, Charles Bossut stava compiendo per il corso degli ingegneri geografi ‒ i quali si accingevano a compiere rilievi della Francia e dei territori annessi da Napoleone ‒ quello che Bézout compiva nello stesso periodo per le scuole di artiglieria. L'École Polytechnique, istituita durante la Rivoluzione come corso propedeutico alle facoltà superiori di ingegneria, seguì l'indirizzo delle scuole di artiglieria di Gribeauval. Il tempo dedicato alla matematica e alle sue applicazioni aumentò dal 25% del 1799, fino a giungere al 50% nel 1812.

Laplace fu largamente responsabile della matematizzazione del curriculum dell'École Polytechnique. Grazie al grande potere conferitogli dall'alta carica che ricopriva sotto Napoleone, egli approfondì il metodo che aveva seguito negli anni Ottanta alla Scuola di artiglieria, dove era stato esaminatore. Quale che fosse il suo valore, il programma didattico di Laplace per l'ingegneria diede una spinta irreversibile alla quantificazione della filosofia naturale. Molti dei migliori talenti che contribuirono allo sviluppo della conoscenza naturale in Francia tra il 1800 e il 1830, insegnarono, studiarono, o ricoprirono entrambi i ruoli, all'École Polytechnique. Una breve lista potrebbe includere Dominique-François Arago, Jean-Baptiste Biot, Sadi Carnot, Jean-Baptiste-Joseph Fourier, Joseph-Louis Gay-Lussac, Étienne-Louis Malus, e Siméon-Denis Poisson. Il loro lavoro era la continuazione e l'approfondimento di una tendenza precedente. I due uomini a cui Biot attribuiva il merito di aver cominciato la quantificazione della fisica in Francia, Coulomb e Jean-Charles Borda, erano stati educati a Mézières. Entrambi entrarono all'Académie Royale des Sciences. Biot e gli altri personaggi citati (eccetto Sadi Carnot, che morì troppo giovane) divennero membri dell'Académie, risorta dopo il Terrore come la punta di diamante dell'Institut de France. In questa sede potevano incontrare il più autorevole diplomato delle scuole di artiglieria dell'Ancien Régime, l'imperatore Napoleone, il patrono di Laplace e di Volta, che si considerava un filosofo naturale e aveva un programma di ricerca che lo provava. "Passare la notte tra una bella donna e un cielo stellato, e il giorno riconciliare osservazioni e calcoli, mi sembra il paradiso in terra" (Napoleone a Lalande, 5 dicembre 1796, Fischer 1988).

Il lavoro delle scuole tecniche più avanzate e dei loro diplomati stimolò il mercato dei manuali di matematica applicata e di altri settori dell'alta tecnologia. I prodotti più richiesti erano gli strumenti esatti. Esemplare il caso del piccolo cerchio ripetitore di Borda, che rese gli strumenti di rilevazione francesi capaci della stessa precisione dei maggiori teodoliti inglesi. Pierre-François-André Méchain e Jean-Baptiste-Joseph Delambre utilizzarono il cerchio di Borda nella triangolazione della Francia, che servì a definire la lunghezza del metro. Un altro esempio è lo strumento favorito di Gribeauval, il cannone. Nei tardi anni Ottanta, Gribeauval e i suoi artigiani costruirono i pezzi di un meccanismo di sparo di tale precisione che era possibile smontarne uno e rimontarlo assemblando componenti presi da altri esemplari dello stesso meccanismo, scelti a caso. I precedenti metodi di manifattura richiedevano invece un lungo lavoro di adattamento di ogni pezzo agli altri. Il sistema di parti intercambiabili di Gribeauval era basato su incastri, misure e strutture precise al centesimo di pollice, e strumenti e macchinari che potessero produrre componenti a questi livelli di precisione. Come il metro standard, i pezzi intercambiabili di Gribeauval portarono la razionalità al servizio della società al di là della più audace immaginazione dei philosophes.

Agronomi nelle Isole britanniche. Il genio inglese non era portato per la matematica e la centralizzazione del potere. Certo, la Gran Bretagna aveva l'importante Accademia militare di Woolwich, vicino Londra, dove, divenuto professore Charles Hutton, nel 1773, gli studenti potevano apprendere più matematica di quanta fosse loro necessaria. Come i suoi colleghi francesi Bézout e Bossut, Hutton scrisse manuali di tutte le branche della matematica, pura e applicata. Come loro, compì esperimenti balistici e fu annoverato tra i massimi esponenti della filosofia naturale; essi appartenevano all'Académie di Parigi, Hutton alla Royal Society. Il suo servizio alla disciplina si estese alla divulgazione e all'intrattenimento che la resero nota a un pubblico più ampio. Tra il 1773 e il 1818, Hutton curò il "Ladies' Diary", un periodico ricco di quesiti e problemi, principalmente di geometria e algebra, ma anche di altre branche della matematica collegate alla filosofia naturale, su cui gli aspiranti matematici, tra cui molte donne, affinavano le loro abilità.

Tra i lettori dei manuali per principianti di Hutton e di altre guide all'aritmetica, c'erano gli agronomi, impegnati a incrementare la produzione delle loro fattorie. La pratica della recinzione dei terreni (enclosure), che aumentò rapidamente dopo la guerra dei Sette anni, ricompose appezzamenti separati in tenute gestibili più facilmente e rese possibili miglioramenti nell'allevamento, esperimenti nella rotazione delle colture e sperimentazioni di concimi e ammendanti. Il metodo dei nuovi agronomi consisteva in una sperimentazione razionalizzata per tentativi: provavano tecniche di semina diversificate e formule di fertilizzanti, quantificavano gli impieghi e i rendimenti e si scambiavano le informazioni. Fondamentale era il cosiddetto 'sistema Norfolk' di agricoltura mista, una razionalizzazione degli schemi agricoli da tempo applicata nei Paesi Bassi. Questo sistema, perfezionato nel tardo XVIII sec., si basava sulla rotazione di quattro colture, non lasciava maggese e forniva abbondante nutrimento per le mandrie, i cui escrementi concimavano i campi. Nuove iniziative per la semina, la zappatura, l'aratura, il raccolto, le tecniche di arricchimento del terreno e di allevamento selezionato, le innovazioni nel trattare i sottoprodotti, come il cuoio, e l'uso di magazzini per tenere gli utensili al riparo, completano il quadro dell'agricoltura scientifica. Nel 1771 Arthur Young, il quale viaggiava attraverso l'Inghilterra allo scopo di studiare le migliori tecniche agricole, arrivò nel Norfolk. Qui ammirò in modo particolare i metodi sperimentali applicati da Sir John Turner, che seguiva con interesse gli sviluppi della filosofia naturale tramite il genero, appartenente alla famiglia di Martin Folkes, già presidente della Royal Society.

Young proseguì i suoi viaggi, divulgando i risultati delle sue osservazioni per mezzo di libri e anche nei suoi "Annals of Agriculture", che offrivano agli agricoltori un forum dove presentare i loro più recenti progressi. Uno dei collaboratori del periodico era lo stesso re Giorgio III. Se l'imperatore di Francia, di origine borghese, amava definirsi un astronomo e un matematico, il re d'Inghilterra, invece, di stirpe reale, non disdegnava di valorizzare il concime animale, fonte di ricchezza per la nazione. Nel 1793, per incrementare ulteriormente la diffusione delle scienze agricole, i proprietari terrieri organizzarono un Board of Agriculture, del quale Young divenne il segretario. Per cercare di alleviare le condizioni dei poveri nelle zone rurali, peggiorate in seguito alle perdite provocate dalle enclosure e alla crescita del prezzo dei cereali ‒ causata dal venir meno delle forniture continentali durante la Rivoluzione francese ‒ gli uomini del Board of Agriculture cercarono nuovi canali per informare i piccoli agricoltori su come utilizzare in modo efficace il combustibile, preparare il cibo, amministrare razionalmente gli appezzamenti di terreno.

Il conte di Rumford, grande viaggiatore, noto per la sua abilità nella preparazione di zuppe nutrienti e nella realizzazione di camini senza fumo, visitò l'Inghilterra nel 1798, tra le altre cose, per leggere alla Royal Society una relazione sulla produzione illimitata di calore attraverso l'attrito. Rumford colse l'opportunità di presentare in quella stessa sede il progetto di un'istituzione per la divulgazione, attraverso lezioni, della più recente scienza della preparazione alimentare, delle nuove tecniche di costruzione dei camini, della formulazione di concimi e tinture, della saponificazione e altre attività analoghe. Questa istituzione reale doveva essere di appoggio alla filosofia naturale e all'agricoltura scientifica per il miglioramento delle condizioni dei poveri. Tra i primi membri del corpo insegnante ci furono Thomas Young, che riscoprì la teoria ondulatoria della luce, e Humphry Davy, che isolò sodio e potassio usando la pila voltaica e inventò la lampada di sicurezza per i minatori. Con un'abilissima campagna per la raccolta di fondi, Davy ottenne cospicui finanziamenti per la costruzione di un'enorme pila voltaica, nella convinzione che l'elettricità stimolasse la fertilità del terreno (Berman 1978, p. 23).

L'agricoltura scientifica aveva molto in comune con i settori più tecnici dell'evoluzione industriale. La stessa fiducia nella 'scienza' e nella sperimentazione per tentativi animava gli ingegnosi membri di un circolo che gravitava intorno a Birmingham. Il gruppo si autodefiniva Lunar Society, perché i suoi componenti si riunivano quando la Luna piena illuminava i loro spostamenti. La più conosciuta tra le invenzioni del circolo è la macchina a vapore di James Watt. Egli realizzò il suo progetto nel 1765, mentre, in qualità di tecnico di laboratorio all'Università di Glasgow, indagava sulle cause del cattivo funzionamento di un precedente modello di macchina a vapore. Watt intraprese lo studio del vapore seguendo i modelli di sperimentazione che aveva appreso dal professore di chimica di Glasgow, Joseph Black. Egli sviluppò il suo motore in linea con i suggerimenti dei membri della Lunar Society. Come Watt, anche la mente organizzativa della società, Matthew Boulton, aveva realizzato strumenti filosofici (termometri e dispositivi elettrici) e progettato motori a vapore. Tuttavia, a differenza di Watt, Boulton possedeva una fabbrica, che nel 1775 aveva raggiunto il livello dell'equivalente industriale di una fattoria modello di Norfolk, e dove, una volta perfezionata, la macchina a vapore di Watt poteva essere realizzata. La produzione cominciò intorno al 1780.

Il gruppo lunare includeva diversi altri 'artisti-filosofi': il medico Erasmus Darwin e il suo 'amico meccanico' Richard Lovell Edgeworth, che si dilettava di macchine a vapore, strumenti scientifici, attrezzi e materiali agricoli, palloni aerostatici, ossia di tutti i settori dell'alta tecnologia di allora; Josiah Wedgwood, buon conoscitore di strumenti, chimica e tecnica sperimentale, che realizzò una ceramica famosa in tutta Europa; James Keir, un collega di Watt, che nel 1771 tradusse in inglese il Dictionnaire de chymie di Pierre-Joseph Macquer e lo arricchì di note sui gas scoperti da Black e Cavendish. Nel 1775, il genio più illustre tra coloro che compirono scoperte sui gas, Priestley, allora già famoso per il suo lavoro e i suoi libri sull'elettricità, sull'ottica e sulla pneumatica, si trasferì nella stessa regione per insegnare in un'accademia dissidente e si unì al gruppo. Tutti questi gentiluomini ‒ Boulton, Edgeworth, Keir, Priestley, Watt e Wedgwood ‒ continuarono a lavorare secondo la filosofia sperimentale e a spedire resoconti delle loro scoperte e dei progressi alla Royal Society, della quale erano tutti membri (Schofield 1963).

Religiosi in Italia e all'estero. Fino a poco tempo prima della sua soppressione nel 1773, la Compagnia di Gesù dominò l'educazione secondaria in Italia, in Francia, nel Sud della Germania e in Austria. Le sue grandi scuole offrivano un'istruzione di livello universitario. La lista dei pedagoghi dell'ordine include nel corso del XVII sec. molti matematici illustri e diversi, per esempio Ruggero Giuseppe Boscovich, Girolamo Saccheri e Leonardo Ximenes, nel XVIII. Oltre a dare spazio ai matematici e ai filosofi naturali nelle scuole, l'ordine inviava missionari in luoghi lontani, da dove essi riportavano una grande messe di informazioni sulle curiosità locali. I padri talvolta occupavano il loro tempo libero compiendo esperimenti, incrementando così il numero degli effettivi cultori delle scienze europee, dovunque essi si trovassero. I gesuiti di Pechino, per esempio, mentre s'intrattenevano con semplici esperimenti sull'elettricità nei primi anni Cinquanta, scoprirono uno strano fenomeno che combinava induzione e conduzione nel vetro. Essi inviarono una relazione all'Academia Scientiarum Imperialis Petropolitana (Accademia delle Scienze di Pietroburgo) che aveva incoraggiato il loro lavoro. In questo modo indiretto essi stimolarono importanti ricerche di filosofia naturale in Russia, in Italia e altrove.

I gesuiti per ragioni mondane riservavano un posto importante alla matematica applicata nei loro programmi. In primo luogo, essi proponevano la matematica per attirare i rampolli dell'alta società, che avevano presumibilmente bisogno di conoscere i fondamenti del calcolo, dell'architettura, delle tecniche di rilevamento e di fortificazione, ma anche la danza e la scherma (anch'esse materie di insegnamento nelle scuole gesuite) per il loro futuro ruolo in società. In secondo luogo, la matematica era straordinariamente efficace come strumento per insegnare argomenti controversi e persino messi all'Indice, specialmente l'astronomia copernicana. I gesuiti usarono la dottrina aristotelica, secondo cui la matematica offre la descrizione esatta dei fenomeni ma non dà alcuna dimostrazione della verità, per presentare i diversi sistemi astronomici come ipotesi utili e non pericolose. La missione pedagogica rinforzò l'epistemologia gesuita; in particolar modo nel XVIII sec., quando, cominciando a perdere terreno nei confronti di altri ordini scolastici, i gesuiti si trovarono nella necessità di mantenere il loro curriculum sempre aggiornato. Così l'ordine continuò a moltiplicare i matematici, e molti dei suoi membri trovarono spazi anche al di fuori delle istituzioni dell'ordine, dai quali dare il proprio contributo alla filosofia naturale.

Due esempi possono illustrare questo processo. Boscovich diede inizio alla sua multiforme carriera come professore di matematica nel più importante seminario dei gesuiti, il Collegio Gregoriano di Roma. Successivamente, come ingegnere civile, preparò progetti per restaurare San Pietro, canalizzare il Tevere e costruire dei porti. Su ordine delle autorità vaticane, eseguì un rilevamento trigonometrico di vaste zone dello Stato della Chiesa; insegnò matematica al Collegio gesuitico di Pavia e fondò l'Osservatorio gesuitico di Milano. Divenne presto l'esperto di ottica della Marina francese. Fu membro dell'Académie Royale des Sciences di Parigi e della Royal Society. L'altro percorso esemplare è quello di Ximenes, il quale studiò approfonditamente la matematica al Collegio Gregoriano prima di essere scelto come istitutore presso la famiglia di un nobile fiorentino. Scrisse di matematica, pubblicò un almanacco e si costruì una salda reputazione. Questo gli fu sufficiente per trovare un posto come professore di matematica all'Università di Firenze e per ottenere molti incarichi dai governi locali per prosciugare paludi, bonificare acquitrini, canalizzare fiumi e restaurare palazzi. Per circa un anno trasformò la cattedrale di Firenze in un laboratorio di fisica sperimentale e in un osservatorio solare, per cercare una risposta alla controversa questione se l'inclinazione dell'asse terrestre variasse lentamente con il tempo.

Diversi matematici gesuiti, oltre a Boscovich, prestarono servizio nella Marina francese. A partire dagli ultimi anni del XVII sec., cattedre reali di idrografia, vale a dire di scienza della navigazione, furono create nei collegi gesuitici situati in zone portuali. Talvolta i loro titolari avevano la responsabilità dell'insegnamento della matematica generale; ma l'istruzione idrografica conservava ugualmente lo scopo eminentemente pratico di preparare gli studenti ad affrontare il mare. Gli ordini religiosi raggiunsero livelli di sorprendente specializzazione nelle più diverse branche applicate della filosofia naturale, come la produzione del vetro dei benedettini della Baviera. Quando, nel 1800, i monasteri dell'ordine in Austria e nel Sud della Germania vennero secolarizzati, i loro monaci avevano accumulato un millennio di esperienza nella lavorazione di vetrate colorate e un secolo di consuetudine con la filosofia naturale sperimentale, in particolare con l'ottica. Nei monasteri più grandi, i monaci supervisionavano la produzione del vetro attraverso artigiani locali e la gestione delle risorse per mezzo di specialisti in quella disciplina tipicamente tedesca che è la Forstwissenschaft ('silvicoltura'). All'inizio del XIX sec. il grande monastero secolarizzato di Benediktbeuern divenne una scuola di ottica, gestita in parte da monaci. Sotto la direzione del laico Joseph von Fraunhofer, l'istituto divenne il migliore centro di produzione di lenti acromatiche del mondo; Fraunhofer, scoprendo nel Sistema solare le linee che portano il suo nome, offrì un importante contributo alla filosofia naturale della luce e al miglioramento dei telescopi.

Burocrati in Germania. L'insieme dei principati e degli Stati tedeschi, ricchi di università, di burocrazia e, dopo la guerra dei Sette anni, anche di problemi di ricostruzione, fu il teatro di una particolare combinazione di razionalizzazione economica e conoscenza naturale. Questa combinazione, nota come Cameralwissenschaft, dalla sala di riunioni nella quale venivano discusse le questioni di Stato, trovò la sua collocazione nel curriculum delle università tedesche e specialmente delle scuole superiori, a partire dalla metà del XVIII sec., con alcuni precedenti isolati. Tale 'scienza' raccoglieva, per ogni Stato, informazioni concernenti agricoltura, commercio, industria, popolazione, territorio, storia, legge e usanze, e doveva servire da base per la politica economica. Alcune di queste 'statistiche' erano quantificabili, particolarmente quelle riguardanti la popolazione e il territorio. Altre non meno importanti per la prosperità dello Stato, quali le pratiche tradizionali e i valori morali, dovevano necessariamente essere trattate qualitativamente, sebbene alcuni rilevatori di dati troppo entusiasti tentassero di tradurle in valori numerici.

La sede della Cameralwissenschaft era l'Università di Gottinga; il suo più illustre esponente, dal 1769 fino al suo pensionamento nel 1805, August Ludwig Schlözer, ebbe l'incarico di organizzare una disciplina di nuova fondazione, la storia universale. 'Universale' significava non solo di ogni luogo, ma anche di ogni cosa: in contrasto con le consuete preoccupazioni degli storici, che si concentravano sugli aspetti religiosi, legali e politici del passato, Schlözer enfatizzava gli aspetti economici, demografici e culturali, cioè l'oggetto della statistica. Per lui la statistica costituiva la storia, e in un famoso aforisma del 1793, dichiarò che "la storia è statistica in movimento, la statistica storia a riposo". Il Cameralwissenschaftler descriveva le condizioni del mondo in momenti precisi, gli storici spiegavano i cambiamenti della condizione del mondo nel tempo. La statistica non solo costituiva il cuore del lavoro dello storico, del principe e del burocrate, ma garantiva anche la libertà del popolo, retto da governatori ben informati. Schlözer era un uomo dell'Illuminismo: credeva fermamente che dove regna la libera ricerca, il dispotismo non può avere spazio (Reill 1986).

A Gottinga, la storia universale manteneva stretti legami con la filosofia naturale. Il collega di Schlözer nell'insegnamento della storia universale, Johann Christoph Gatterer, offrì contributi alla meteorologia. Lo stesso Schlözer prese la storia naturale come modello sul quale elaborare la sua idea di storia universale. La storia umana è condizionata dalla Natura, diversi ambienti producono effetti diversi e il significato delle parti è conoscibile solo in riferimento all'insieme. Lo studio del clima, della geografia, della destinazione d'uso del territorio, del commercio, appartengono alla storia. Ovunque sia possibile, la statistica deve essere quantificata. Schlözer disponeva i dati sulla popolazione, sugli armamenti, sulle importazioni ed esportazioni, sul rendimento dell'agricoltura in tabelle composte da lunghe colonne di numeri. Queste tavole, e l'abilità nel compilarle, erano la specialità del Cameralwissenschaftler; conseguentemente, il dominio della statistica tendeva a essere ristretto in pratica ai soli aspetti quantificabili della vita. Sotto questo profilo la Cameralwissenschaft può essere considerata una scienza quantitativa del tardo XVIII secolo. Come la filosofia naturale esatta, essa attirò su di sé la disapprovazione di quanti, ispirati dal movimento romantico, si sentivano oltraggiati dalla riduzione degli individui, dotati di valori morali differenti, all'uniformità del calcolo.

La ricerca più riuscita e impegnativa della Cameralwissenschaft riguarda la silvicoltura. La guerra dei Sette anni aveva danneggiato molte foreste da cui sovrani e grandi proprietari terrieri traevano la maggior parte delle loro rendite. I precedenti metodi di gestione del patrimonio forestale, che raramente erano andati oltre la stima del numero degli alberi, lasciarono lo spazio all'amministrazione oculata di uomini esperti in scienze forestali, economia, rilevamento e matematica applicata. La richiesta di queste figure qualificate aumentò con il passare del tempo, e alla fine del XVIII sec., quando furono aperte in tutta la Germania scuole di silvicoltura, l'esperto forestale conosceva il calcolo integrale per eseguire una stima della quantità di legname ricavabile da un albero. Come nell'agricoltura, così nella silvicoltura, l'incremento di produttività dei raccolti scientificamente amministrati ‒ ossia gestiti con interventi razionalizzati e con il calcolo ‒ orientò gli interessi e favorì le adesioni allo studio della filosofia naturale e della matematica.

Un'altra iniziativa che avvicinò il filosofo naturale alla gente comune fu il censimento della popolazione. I primi a eseguire censimenti furono i paesi nordici; a cominciare dalla Svezia nel 1749, seguirono la Norvegia e la Danimarca nel 1769, Meclemburgo, Assia-Darmstadt, Baviera e Austria tra il 1776 e il 1777. Gli scandinavi furono i primi a censire i propri abitanti perché il clero, diffuso capillarmente in una popolazione piccola e omogenea, teneva un registro piuttosto accurato delle nascite e dei decessi. L'Accademia Svedese delle Scienze organizzò il primo censimento e un Ufficio delle tabelle (più tardi chiamato Ufficio di statistica) per raccogliere e analizzare i risultati. Nel corso dell'ultimo terzo del XVIII sec. tutti i governi illuminati portarono a termine l'operazione di censimento della popolazione, fondamentale nell'economia mercantilista, perché la ricchezza, o la capacità di ricchezza, doveva essere proporzionale alla popolazione produttiva. La relazione tra dati del censimento e conoscenza naturale si espresse pienamente in Francia. Considerate le dimensioni e la diversità della popolazione, ma soprattutto la sua determinazione a sottrarsi al calcolo nel timore che la conoscenza della sua prosperità facesse aumentare le tasse, contare i sudditi del re divenne un'impresa che impegnò i più abili matematici e filosofi naturali. La loro retorica è gratificante, come si legge nelle parole dell'anonimo autore di Recherches […] sur la population de la France e in De la richesse territoriale du royaume de France di Lavoisier: "Esperimento, ricerca, calcolo, sono le sonde della scienza. Quali problemi non possono così essere trattati dall'amministrazione! Quali sublimi questioni possono sottrarsi alle leggi del calcolo!". Uomini di tanta scienza dovevano solo leggere il "termometro della pubblica prosperità" con il "barometro [della nazione]" vale a dire il numero dei cittadini, per conoscere lo stato di salute del paese (Hecht 1977, p. 52; Lavoisier, De la richesse territoriale, ed. Perrot, p. 125). L'Académie Royale des Sciences aprì le sue porte alla disciplina vitale della statistica, ma la popolazione rifiutava di essere contata anche in un luogo così prestigioso, e i rilevatori dovettero escogitare metodi di campionamento alternativi. Laplace affrontò il problema ricalcolando la dimensione effettiva del campione sulla base del coefficiente di errore probabile nel calcolo della popolazione. I dati completi delle parrocchie che collaboravano all'operazione, combinati con le informazioni parziali provenienti dalle zone meno collaborative, davano un numero che poteva corrispondere o meno a quello della popolazione di Francia.

Connessioni. Il quadro fin qui tracciato non vuole suggerire che solo la Francia avesse importanti scuole di ingegneria, che l'agricoltura scientifica esistesse solo in Inghilterra e che l'Italia fosse caratterizzata esclusivamente dal ruolo svolto dai suoi religiosi nella produzione e diffusione della conoscenza naturale, o che i paesi di lingua tedesca avessero il monopolio dell'organizzazione burocratica. Tutte queste correnti fluivano attraverso l'Europa occidentale. La situazione generale può essere illustrata in modo migliore mediante l'esempio francese, innanzitutto con l'agronomia, che richiamò l'attenzione dei dotti intorno al 1750 nella persona di Henri-Louis Duhamel du Monceau, considerato il membro più prolifico dell'Académie Royale des Sciences durante tutto il XVIII secolo. Duhamel entrò a far parte dell'Académie nel 1728, grazie agli studi commissionatigli dal governo sulla malattia che colpiva lo zafferano e sulla sua possibile prevenzione. I contributi di Duhamel all'agronomia consistono principalmente nella pubblicazione dei risultati di sperimentazioni qualitative, sue e di altri, sulla rotazione delle colture, la semina meccanica, la zappatura, e altre tecniche agricole inglesi. Tra la guerra dei Sette anni e la Rivoluzione, l'agronomia progredì notevolmente grazie ad esperimenti più rigorosi, culminati nei minuziosi resoconti di Lavoisier sulle sperimentazioni in una delle sue fattorie, e alla fondazione dell'Accademia reale di agricoltura (1761, poi rinnovata negli anni Ottanta) e di un comitato consultivo per l'agricoltura del ministero delle Finanze (1785), con le relative pubblicazioni. Furono impedimenti di natura politica e sociale e non l'ignoranza della tecnica migliore a ostacolare uno sviluppo ancora maggiore. Il lavoro di laboratorio, anche senza una sperimentazione estensiva sul campo, portò a importanti miglioramenti e perfino alla creazione di nuove industrie, come nel caso delle ricerche di Antoine-Augustin Parmentier sull'amido, che condussero all'estrazione dello zucchero dalle barbabietole. Parmentier, dotato di una formazione da farmacista, divenne noto come 'l'apostolo delle patate' (aveva imparato a mangiarne durante la sua prigionia nella guerra dei Sette anni) prima di intraprendere gli studi sull'amido. Diventò membro della ricostituita Académie Royale des Sciences nel 1795.

Uno dei principali promotori dell'agronomia francese fu l'abate François Rozier, fondatore nel 1771 del periodico "Observations sur la Physique", più tardi "Journal de Physique", che interpretava la 'fisica' nell'accezione ampia che il termine aveva nel passato. Egli fu uno dei molti abati ‒ mezzi-chierici, che avevano preso gli ordini minori ‒ che nella Francia del XVIII sec. svolsero un ruolo importante nella divulgazione della conoscenza naturale. Ricordandone altri tre ‒ Bossut, Condillac e Nollet ‒ possiamo intuire la portata del loro contributo. Sebbene in generale essi non godessero di sostegno finanziario da parte della Chiesa, a questa dovevano la loro educazione e il loro indiscusso stato di hommes de lettres. Per concludere, in Francia l'impiego degli uomini di scienza (esperti con un buon bagaglio di conoscenze naturali) da parte delle burocrazie statali era diffuso, particolarmente attraverso l'istituzione di commissioni o l'attribuzione di incarichi a individui nominati o segnalati da società di eruditi: le riunioni dei comitati dell'Académie Royale des Sciences, per giudicare le invenzioni e la scelta di Duhamel per lo studio della malattia dello zafferano, sono esempi significativi. Gli incaricati erano generalmente esperti di ingegneria, medicina o scienze naturali, piuttosto che, come nel caso della Germania, specialisti di una scienza appositamente costituita per burocrati e statistici.

La similarità delle strutture istituzionali e i numerosi scambi consentirono la diffusione omogenea delle applicazioni della conoscenza naturale nell'Europa occidentale del XVIII secolo. Sebbene le università richiamassero la maggior parte dei loro studenti e quasi tutti i professori dal paese, e in particolar modo dalla regione in cui erano situate, le migliori di esse, per esempio Leida ed Edimburgo, avevano molti studenti stranieri. Le accademie tenevano insieme la 'repubblica delle lettere' con le loro competizioni a premi e lo scambio di personale, come per esempio, il trasferimento di Euler da Pietroburgo a Berlino, quello di Maupertuis da Parigi a Berlino, e il ritorno di entrambi nella città di provenienza. L'aumento dei periodici di recensione, quali il "Gentleman's Magazine", il "Journal de Trévoux" dei gesuiti, le "Göttingische Gelehrte Anzeigen" e gli "Opuscoli scelti sulle Scienze e sulle Arti", manteneva la comunità informata su ciò che era disponibile alla lettura. Dopo la metà del secolo la letteratura accademica divenne così voluminosa che le bibliografie e gli estratti erano molto richiesti: i "Commentarii de rebus in scientia naturali et medicina gestis" si pubblicarono dal 1752 al 1801, quando furono sostituiti dal periodico di J.D. Reuss "Repertorium commentarum a societatibus literariis editarum secundum disciplinarum ordinem" (Gottinga, 1820-1821). Il commercio di attrezzature stabilì nuove relazioni e innalzò gli standard di sperimentazione e misura di costruttori e utenti.

Viaggiatori in cerca di conoscenza, da Volta nel Sud a Celsius e Linneo nel Nord, e colti osservatori, come Johann I Bernoulli e Joseph-Jérôme Le Français de Lalande, consentirono uno scambio fecondo di informazioni e stimolarono nuove ricerche ovunque andassero. C'erano anche altre figure di viaggiatori, sempre in movimento, docenti di filosofia sperimentale, come l'olandese 'sGravesande (ispirato da una visita in Inghilterra), il francese Nollet (incoraggiato da un soggiorno in Olanda), e l'inglese Desaguliers (che conquistò il pubblico francese); e, ancora, diplomatici e segretari di diplomatici ('sGravesande, Franklin, e John Robison, uno scozzese che soggiornò brevemente a Pietroburgo), prelati, come Bianchini e Boscovich, esiliati politici, come Voltaire; infine infaticabili cosmopoliti, come Jacques Cassini, che coltivava madre Natura con la stessa assiduità con la quale ne insidiava le figlie.

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