L'economia dello sport nella società moderna

Enciclopedia dello Sport (2003)

L'economia dello sport nella società moderna

Gian Paolo Caselli

È ormai senso comune che l'attività sportiva abbia assunto una dimensione economica progressivamente crescente nelle economie dei paesi sviluppati da quando, alla fine degli anni Sessanta, dapprima negli Stati Uniti e successivamente nei paesi europei, essa è stata sempre più strutturata seguendo criteri di profitto, attraverso organizzazioni manageriali, ed estendendo la logica di mercato ad attività precedentemente impostate secondo criteri del tutto diversi.

Il fenomeno di fondo alla base di questo processo è la continua riduzione del tempo di lavoro nel corso del 20° secolo e il contemporaneo aumento del tempo libero che nelle società ad alto livello di reddito è dedicato in parte sempre più rilevante alla pratica sportiva diretta o alla fruizione passiva ‒ diretta o attraverso la televisione ‒ di spettacoli sportivi. Questo nuovo settore di attività è stato oggetto di sempre maggiori investimenti monetari, sicché in un lungo cammino che corre lungo tutto il secolo la relazione fra sport ed economia è diventata sempre più stretta, fino a far prevedere che quasi tutta l'attività sportiva sarà in futuro organizzata secondo regole di mercato, nonostante le continue tensioni fra gli aspetti simbolici e sociali che essa conserva e i condizionamenti dettati dalle ferree esigenze dei bilanci.

È noto che molti degli sport moderni sono nati diversi secoli fa, ma la loro formalizzazione regolamentare è avvenuta fra la metà e la fine del 19° secolo. Subito dopo sono sorte le istituzioni internazionali che ancora oggi governano l'attività sportiva, ma la loro importanza economica è cresciuta successivamente, con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa: giornali, trasmissioni prima solo radiofoniche, poi televisive e ora via internet.

Normalmente quando si parla di economia dello sport viene naturale pensare al grande sport di élite ‒ le Olimpiadi, la Champions League, le serie maggiori dei campionati di calcio dei paesi europei, il campionato di Formula 1, i campionati professionistici statunitensi ‒ e ai diritti televisivi pagati per trasmettere tali avvenimenti. Vengono immediatamente alla mente le cifre pagate per il trasferimento dei giocatori più importanti e famosi, e i loro salari annuali. In realtà dal punto di vista economico lo sport di élite rappresenta solamente la punta di un iceberg dalla base ben più ampia, rappresentata dalle attività economiche legate allo sport semiprofessionistico e soprattutto all'attività amatoriale. In tal modo l'economia dello sport fa parte a buon diritto della più vasta economia del tempo libero, che alcuni ormai stimano rappresentare circa il 10% della spesa complessiva delle economie a più alto reddito pro capite. Le tabelle 1 e 2 confermano l'importanza dell'attività sportiva per alcuni settori dell'economia inglese.

Si possono avere quindi due definizioni di economia dello sport: la prima, più ristretta, delimita il campo d'indagine agli effetti economici del grande sport professionistico e dei grandi avvenimenti; la seconda comprende anche gli effetti indiretti dellà sportiva, come l'acquisto indotto di abbigliamento e attrezzatura sportiva, il turismo sportivo, l'acquisto di giornali e pubblicazioni sportive.

Nei paesi anglosassoni l'economia dello sport viene normalmente concepita nella prima accezione; basta sfogliare qualche libro di testo americano sull'argomento (Fort 2002; Leeds-Von Allmen 2002) per vedere come tutta l'analisi economica del fenomeno sportivo venga compiuta applicando gli strumenti tradizionali della teoria microeconomica neoclassica: si estendono cioè gli strumenti dell'analisi della domanda e dell'offerta di un bene alla domanda e all'offerta del 'prodotto sportivo'. Il produttore di un bene sportivo viene equiparato a un'impresa che produce un bene venduto sul mercato in condizioni che si avvicinino a condizioni di concorrenza perfetta con lo scopo di massimizzare il profitto.

Nella tradizione europea invece si tende, soprattutto da parte della scuola francese (Andreff-Nys 1987), ad applicare con molta più parsimonia e anche con un po' di sospetto gli strumenti tradizionali della teoria economica all'attività sportiva, ritenendo necessario alla comprensione del suo significato economico l'uso di strumenti provenienti dalla sociologia, dalla demografia e dal diritto.

Tabella 1
Tabella 2

Modelli di profitto e modelli d'utilità

Esaminiamo alcuni modelli economici che soprattutto gli economisti anglosassoni hanno elaborato per studiare il fenomeno dell'impresa sportiva di tipo professionistico. La maggior parte di questi contributi (Rottenberg 1956; Sloane 1971; Jones 1969; Neale 1964) proviene dagli Stati Uniti, cioè da un paese in cui i quattro sport più diffusi (football americano, baseball, hockey sul ghiaccio e pallacanestro) sono da tempo organizzati secondo criteri di mercato.

Il fenomeno sportivo presenta differenze sostanziali rispetto alle usuali imprese capitalistiche, che derivano da peculiarità organizzative, produttive e dal particolare prodotto dell'attività sportiva. Una prima differenza è relativa al fatto che il prodotto sportivo è un prodotto congiunto, nasce cioè dalla collaborazione/ scontro di due squadre che sono economicamente due imprese diverse. La seconda caratteristica, corollario di questa prima, è che l'interesse del pubblico nei confronti dello spettacolo sportivo è tanto maggiore quanto più grande è l'incertezza del risultato. Da queste due peculiarità dello spettacolo sportivo ha origine una terza caratteristica, che non è possibile riscontrare in nessun altro ambito dell'attività economica, vale a dire il non interesse di una singola impresa/squadra a diventare monopolista nel settore, dal momento che se ciò avvenisse essa vedrebbe venire meno la sua stessa ragione di esistere.

Queste tre caratteristiche proprie delle società professionistiche organizzate in modo capitalistico sono esemplificate molto bene dal cosiddetto paradosso Louis-Schmeling. Joe Louis, famoso peso massimo di colore, campione del mondo negli anni Trenta, per massimizzare i suoi guadagni doveva avere innanzitutto un avversario con cui combattere, in secondo luogo il suo avversario doveva essere il più forte possibile poiché era l'incertezza riguardo all'esito dell'incontro a creare interesse nel pubblico. Una situazione di monopolio avrebbe fatto sorgere invece un problema insormontabile: Louis non avrebbe avuto alcun contendente da affrontare e di conseguenza non avrebbe potuto realizzare alcun guadagno; di qui l'importanza di combattere con un pugile della levatura di Max Schmeling che per di più era bianco, tedesco e simbolo della superiorità ariana, caratteristiche atte ad aumentare l'interesse per l'incontro.

In questi modelli i meccanismi che garantiscono l'incertezza del risultato sono per gli economisti i noti meccanismi allocativi del mercato concorrenziale. Nello studio di S. Rottenberg (1956) sul mercato del lavoro dei giocatori di baseball ‒ che è il saggio che storicamente segna la nascita dell'economia dello sport ‒ si dimostra come l'istituto del vincolo per il trasferimento dei giocatori sia un istituto distorsivo del meccanismo allocativo della forza lavoro giocatori e non permetta il raggiungimento del salario di equilibrio. Abolito il vincolo, il mercato alloca in modo efficiente la risorsa giocatori in modo da assicurare quell'incertezza del risultato che è la condizione necessaria per la massimizzazione del profitto della singola impresa e della lega nel suo complesso.

Nella realtà americana chi ha il compito di garantire il funzionamento sopra descritto, volto a impedire che si formino posizioni dominanti, è la lega, intesa come organizzazione di tutte le società sportive che praticano la stessa disciplina sportiva. Essa raggiunge il suo scopo quando ogni società affiliata consegue profitti tali da consentirle la permanenza nella lega e di conseguenza garantire la continuità dell'organizzazione. Il modo in cui la lega può assicurare il giusto grado di competitività è quello di limitare la concorrenza tra le diverse squadre, sia attraverso una ridistribuzione dei giocatori (è noto, a questo proposito, come negli Stati Uniti sia stabilito e osservato il metodo delle scelte che regola il passaggio dallo sport universitario allo sport professionistico), sia attraverso il controllo sul monte salariale e il sussidio incrociato a favore delle squadre meno forti. È anche compito della lega, mediante i vari meccanismi di ridistribuzione delle risorse, mantenere competitivo il proprio prodotto complessivo sia rispetto a quello delle altre leghe concorrenti in seno allo stesso sport sia rispetto alle leghe delle altre discipline.

È comunque importante tenere ben presente che l'esistenza di queste caratteristiche del prodotto sport ‒ il fatto che è un prodotto congiunto, che vi deve essere sempre l'incertezza del risultato e che non devono esistere squadre troppo forti ‒ è necessaria se si vuole massimizzare il tasso di profitto come qualunque altra impresa industriale. In questo quadro dovere della lega è fare in modo che queste condizioni si verifichino operando interventi sull'offerta del prodotto sport che in realtà portano a una limitazione della concorrenza fra le singole unità che la compongono: una concorrenza non regolata da un meccanismo centrale diventerebbe infatti esasperata, con una situazione finale di disastro finanziario generale. Paradossalmente, per funzionare il meccanismo di produzione del prodotto sport necessita di un controllore centrale che regoli la concorrenza molto dettagliatamente, come ha sottolineato R.G. Noll (Government and the sport business 1974) a proposito dell'industria-sport: "Quasi ogni atto di una squadra o di una lega è influenzato da pratiche e regole che limitano la competizione economica all'interno di questa industria. In molti casi il governo ha tentato di punire, ma spesso ha fallito nello smantellare queste pratiche anticompetitive. Di conseguenza gli sport professionistici forniscono all'economista un'occasione unica per studiare l'operazione e la performance di un controllo effettivo e ben organizzato".

I modelli economici del tipo descritto si rifanno totalmente alla realtà sportiva professionistica statunitense. In Europa il fenomeno sportivo ha ancora caratteristiche abbastanza diverse: basti ricordare come lo sport universitario o scolastico in generale non giochi alcun ruolo in Europa come bacino di provenienza di atleti per gli sport professionistici o come fino a poco tempo fa anche il settore più business oriented dello sport professionistico italiano non avesse giuridicamente fini di lucro, pur avendo la forma giuridica di società per azioni. La realtà sportiva europea va comunque sempre più avvicinandosi a quella americana e quindi i modelli sopra descritti hanno una sempre maggior validità interpretativa della realtà sportiva europea attuale.

Esistono altri modelli che, pur essendo stati concepiti per interpretare negli anni Settanta e Ottanta la realtà del calcio inglese, sono in linea generale più adatti a interpretare la realtà di tutto lo sport professionistico europeo. Questo, pur presentando molte caratteristiche proprie di attività economiche di mercato, ne ha tuttavia altre proprie di attività non sottoposte completamente alle regole della libera concorrenza e della competizione, e soprattutto, a parte alcuni casi nel settore calcistico, non ha come funzione-obiettivo quella della massimizzazione del profitto.

La prima differenza, e forse quella più sostanziale rispetto ai modelli statunitensi che interpretano l'attività sportiva professionistica, è infatti quella di sostituire la massimizzazione dell'utilità alla massimizzazione del profitto. P.J. Sloane (1971), per es., dopo aver discusso e scartato l'ipotesi che lo scopo delle società di calcio ‒ prototipo di ogni altra attività sportiva professionistica ‒ sia quello di massimizzare i profitti, gli incassi o la sicurezza, intesa come il mantenimento di una posizione mediocre in campionato, giunge alla conclusione che il vero fine della squadra professionistica è quello di massimizzare l'utilità, che in prima approssimazione coincide con quella dei dirigenti, dei giocatori, dei tifosi e degli azionisti, i quali, secondo Sloane, hanno interessi comuni. Questa comunità di interessi, che non ha analogo all'interno delle altre imprese di un sistema economico (basti pensare ai conflitti tra management e azionisti o tra management e sindacati) è una peculiarità dell'impresa sportiva e si esprime nella convinzione per tutti i soggetti indicati di giocare per il successo. Se infatti si tenta e si riesce a massimizzare il successo, verrà soddisfatta l'utilità dei presidenti e dei maggiori azionisti, che cercano notorietà e rinomanza sociale, così come l'utilità dei giocatori, che vedranno crescere la loro possibilità di aumentare gli ingaggi, mentre i tifosi vedranno soddisfatta la loro passione sportiva; ovviamente la massimizzazione dell'utilità è sottoposta al vincolo di un bilancio in pareggio al netto delle tasse.

Dal canto suo, N.C. Wiseman (1977), analizzando il comportamento delle squadre sportive professionistiche, avanza a tale proposito alcune interessanti considerazioni. Lo spettacolo calcistico offerto da un club ha caratteristiche tali che lo differenziano da quello offerto da tutti gli altri, dal momento che il club gioca gli incontri casalinghi nel proprio stadio, ha colori sociali propri e spesso la massa dei suoi tifosi si identifica con una particolare classe sociale o con un gruppo religioso della popolazione. Questa differenziazione del prodotto comporta un elevato grado di fedeltà da parte dei sostenitori, per i quali gli incontri casalinghi di altre squadre della stessa città o di città vicine non rappresentano un valido sostituto degli incontri della propria squadra. Dopo aver elencato queste caratteristiche del prodotto calcio (che hanno comunque validità per qualunque altra attività sportiva di squadra e non individuale), Wiseman si sofferma sui motivi per i quali il numero degli spettatori dipende dalla qualità attesa dello spettacolo rapportata al prezzo del biglietto e sulle politiche che un club può mettere in atto per migliorare la propria offerta sportiva. In conclusione si chiede perché le società di calcio e sportive in generale, pur registrando in generale grossi deficit di bilancio, partecipino ogni anno al campionato, e indica come ragione di fondo il fatto che i dirigenti delle società non sono interessati solamente, e neppure principalmente, a generare profitti. Essi sono molto più attirati dalla notorietà derivante dall'aver vinto il campionato o comunque aver conseguito un buon piazzamento nella classifica finale.

In questo senso il 'benessere' della società sportiva dipende in larga misura da quattro fattori: 1) successo o piazzamento in campionato (numero di partite vinte); 2) affluenza del pubblico allo stadio; 3) stato di salute della lega a cui la società è affiliata; 4) ammontare dei ricavi. Assumendo che i ricavi, al netto delle imposte, coprano le spese di gestione, tanto maggiore è il peso degli altri fattori, tanto migliore sarà la posizione della società.

Il conseguimento di un profitto diventa quindi non il fine ultimo, ma solo il mezzo mediante il quale una società di calcio (sportiva) può acquistare notorietà; si può anzi dire che l'obiettivo principale è massimizzare il successo sportivo, mantenendo nel lungo periodo una posizione di pareggio di bilancio (al netto delle imposte). Ciò che importa, in primo luogo, è vincere il campionato o una delle coppe internazionali e i profitti sono solo il tramite per costruire una squadra in grado di raggiungere simili traguardi.

I dirigenti delle società ne sono spesso sostenitori fanatici, ma ciò non può naturalmente spiegare il motivo per cui accettano la non remunerazione e più spesso la perdita del capitale investito. La realtà è che essi traggono dalla preminenza all'interno delle società calcistiche vantaggi di altra natura: prestigio, notorietà, possibilità di nuovi affari per le loro attività extra calcistiche.

Per concludere l'argomento, si possono fare alcune rapide considerazioni sulle proposte di politica economica sportiva che emergono dalla letteratura sopracitata. Se si pensa che l'incertezza del risultato sia la chiave di volta di tutto lo sport professionistico e che il fine sia quello di massimizzare il profitto o l'utilità, comunque qualificata e soggetta a un vincolo di bilancio, è chiaro che il compito della lega è quello di avere squadre di forza paragonabile, così da massimizzare i profitti o il benessere delle singole squadre e della lega stessa. Quando una o più squadre diventano troppo superiori alla media, si verificano diseconomie esterne a quelle squadre e interne alla lega, poiché l'incertezza sul risultato degli incontri e sul vincitore del campionato diminuiscono e il pubblico cala. La lega dovrebbe quindi agire come un cartello, in modo da correggere le diseconomie, attuando una politica che viene chiamata di 'sussidio incrociato' e si sostanzia nel prendere denaro dai club più ricchi per ridistribuirlo ai più poveri, in modo da riequilibrare il campionato e aumentare l'incertezza della competizione.

Se non si condivide l'idea che l'incertezza del risultato sia il motore dell'industria sportiva (Gratton-Taylor 2000) ma siano piuttosto altre caratteristiche sociali e culturali, come quelle sottolineate da Wiseman, a spingere il pubblico ad assistere allo spettacolo sportivo, la proposta del sussidio incrociato perde parte della sua forza persuasiva. D'altro canto, una politica imperniata sull'obiettivo del sussidio incrociato trascura il fatto che nello sport europeo esistono competizioni internazionali ormai altrettanto rilevanti dei campionati nazionali e che dal punto di vista finanziario sono sempre più importanti per le squadre che vi prendono parte. Una politica di ridistribuzione le indebolirebbe sul piano finanziario, in quanto per es. non potrebbero comprare i talenti migliori sul mercato. I fallimenti nelle coppe europee portano a un calo di spettatori e mancati introiti da diritti televisivi; quindi una correzione di una diseconomia interna alla lega non può essere fatta che tenendo conto di tutte le partite e le competizioni in cui le squadre affiliate sono impegnate.

I rapporti economici sport-televisione

L'importanza economica dello sport, trascurabile come fenomeno di mercato fino alla fine degli anni Sessanta, esplode, fino a raggiungere la sua rilevanza attuale, con la possibilità di trasmettere avvenimenti sportivi in diretta da parte della televisione.

Il rapporto sport-televisione ha storicamente inizio il 17 maggio 1939, giorno in cui negli Stati Uniti viene teletrasmesso per la prima volta un incontro di baseball. L'Europa segue con un ritardo di oltre dieci anni: il boom delle TV nazionali europee infatti risale agli anni Cinquanta. Successivamente l'eurovisione e la mondovisione (inaugurata in occasione delle Olimpiadi di Tokyo nel 1964) sanciscono l'affermazione definitiva di questo mezzo di comunicazione.

Lo sport si presta in maniera particolarmente eccellente all'uso televisivo: se lo sport garantisce il massimo di telegenia, la televisione garantisce il massimo quantitativo potenziale di spettacolarità. Fin dalle origini gli avvenimenti sportivi, per le loro peculiarità, come gli spazi ristretti e ben delimitati dei campi di gioco e i tempi predeterminati delle manifestazioni, si sono rivelati ottimali nello sviluppare ed esaltare quella caratteristica fondamentale che differenzia la televisione da tutti gli altri mezzi di comunicazione: la visione diretta.

Alla sua nascita il rapporto tra televisione e sport è essenzialmente paritetico: la prima rappresenta uno strumento di promozione dello sport; mentre questo è uno dei tanti avvenimenti da teletrasmettere. L'interesse reciproco si riflette nel fatto che inizialmente gli importi pagati per assicurarsi i diritti di trasmissione di manifestazioni sportive sono modesti o addirittura nulli. Nel corso degli anni Sessanta negli Stati Uniti, e almeno quindici anni dopo in Europa, il sistema televisivo, che fino ad allora si è occupato del genere sportivo solo per fare informazione, si rende conto che esso costituisce un formidabile veicolo di audience. Da quel momento in poi si manifesta la rilevanza dello sport come attività propriamente economica, che sarà la molla principale per la sua crescita in volume e valore.

Le imprese produttrici di beni e servizi, appartenenti ai settori più disparati, si accorgono che le riprese televisive consentono una prolungata e ripetuta esposizione di denominazioni, marchi e scritte, con effetti di risonanza e notorietà ben più efficaci delle tradizionali tecniche di promozione. Lo sport diventa dunque uno degli interlocutori privilegiati dalle imprese come veicolo pubblicitario, ottenendone in cambio un guadagno economico. Il rapporto economico tra sport e televisione si estende così ad altri mercati attraverso una molteplicità di legami. La centralità della connessione tra sport e televisione dà origine a un unico complesso produttivo dal quale scaturiscono effetti economici per molti altri settori dell'economia. In passato la relazione sport-televisione è stata considerata un rapporto fra settori distinti e facilmente identificabili (Andreff-Nys 1987), ma è molto più utile ai fini dell'analisi, data la stretta interdipendenza sport-televisione, considerare un unico settore l'attività sportiva e la trasmissione televisiva che mettono in moto una rilevante attività economica in diversi settori dell'economia secondo legami intersettoriali.

Secondo questo modello i settori coinvolti possono essere raggruppati in due grandi categorie: nella prima sono compresi i mercati della trasmissione, cioè quello pubblicitario e quello degli spettacoli e dei diritti televisivi; nella seconda rientrano i mercati che sono in parte attivati e connessi alla trasmissione sportiva: quello delle sponsorizzazioni degli atleti e dei giocatori, quello degli articoli sportivi, dell'abbigliamento e in generale dei beni e servizi connessi all'attività sportiva, quello degli spettacoli e degli impianti sportivi.

Nel momento in cui la TV si accorge che lo sport si è trasformato in un formidabile veicolo pubblicitario, il suo obiettivo primario diventa acquistare, in esclusiva, il diritto di trasmissione. Ovviamente l'aumento delle entrate delle società sportive o dei club per i diritti di trasmissione, influenza il mercato dei giocatori e atleti professionisti, in quanto il loro talento può essere meglio retribuito.

La TV a sua volta migliora la qualità e quantità della sua offerta sul mercato delle trasmissioni televisive al fine di assicurarsi la fedeltà del consumatore-spettatore, il quale paga o un canone televisivo nel caso dell'emittente di Stato, o un abbonamento a tema nel caso delle pay-TV, o una determinata tariffa per ogni singola rappresentazione nel caso della pay-per-view. Il binomio televisione più sport produce telespettatori che, influenzati dal messaggio televisivo, diventano acquirenti di beni e servizi. In altre parole, l'efficacia della campagna pubblicitaria e delle sponsorizzazioni influenza i risultati di vendita delle imprese inserzioniste e sponsorizzatrici sui loro mercati finali. Da questi complessi rapporti economici nascono flussi e rapporti finanziari.

Il legame sport e televisione sviluppatosi in Europa dagli anni Cinquanta in poi ha caratteristiche molto diverse da quello degli Stati Uniti. In Europa sia lo sport sia la televisione hanno avuto inizialmente un'organizzazione su base nazionale, con un solo canale pubblico e una sola federazione per sport in ciascun paese; queste organizzazioni nazionali confluiscono a livello europeo nelle rispettive federazioni o organizzazioni europee, quali l'UEFA per il calcio o l'EBU (European broadcasting union) per le reti televisive. Ben diversa è stata invece l'evoluzione negli Stati Uniti, dove le emittenti televisive e le federazioni sportive, agendo in un contesto molto più privatistico, aspiravano a rendere profittevoli per entrambi i loro rapporti. Le reti televisive si facevano concorrenza fra loro per trasmettere gli eventi sportivi più interessanti e spettacolari, i quali allo stesso tempo costituivano l'obiettivo dei grandi sponsor pubblicitari. Questa stretta interdipendenza tra sport, televisione e pubblicità tipica degli Stati Uniti ha reso l'approccio americano allo sport totalmente diverso da quello europeo.

Alla metà degli anni Ottanta, nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale sono nate le televisioni private, che hanno spezzato il monopolio della televisione pubblica. Da quel momento la concorrenza fra reti televisive ha fatto lievitare i prezzi per i diritti di trasmissione dei principali eventi sportivi, come per es. i Mondiali di calcio e le Olimpiadi. Un altro elemento che ha portato a un inasprimento della concorrenza è stato il progresso tecnologico: il passaggio dalla televisione analogica a quella digitale ha determinato il sorgere di una moltitudine di nuove emittenti in Europa. Il nuovo contesto audiovisivo e in particolare la televisione pagata 'a consumo' hanno ovviamente accentuato l' interesse per i grandi eventi sportivi.

La grande domanda di avvenimenti sportivi da parte dei telespettatori, accompagnata dall'ingente massa di denaro offerta dalle catene televisive, ha accentuato il potere di pressione e di condizionamento del settore televisivo sulle federazioni sportive, al punto da portare alla modificazione dei regolamenti sportivi rimasti immutati per decine di anni e degli orari di svolgimento degli avvenimenti sportivi. Il settore televisivo che all'inizio si è limitato ad agire nei confronti delle manifestazioni sportive come semplice osservatore ha, poco alla volta, assunto un ruolo direttivo sempre più rilevante, condizionando il loro stesso modo di essere. Di fronte a tale pressione gli sport hanno dovuto cedere alle esigenze della televisione, in quanto senza le risorse generate, direttamente e indirettamente, dalla sua presenza molti sarebbero stati destinati a scomparire.

A testimonianza della trasformazione subita dallo sport in ossequio alle esigenze televisive si possono portare numerosi esempi: dall'introduzione del tie break nel tennis e nella palla a volo, al cambiamento delle regole del cricket e nel rugby, alle modifiche degli orari stessi di singoli avvenimenti (basta ricordare le drammatiche immagini della maratona dei Giochi olimpici di Los Angeles o il fatto che la maggior parte delle finali di atletica alle Olimpiadi di Seul furono disputate di mattina per esigenze televisive, in contrasto con quelle degli atleti che notoriamente, per motivi fisiologici, realizzano i loro migliori risultati nel pomeriggio).

Il modello americano di sport business

È indubbio che la formazione di leghe professionistiche sia da attribuire al sistema americano: già nel 1876 nasce la lega di baseball, cui seguono quelle di hockey, basket, football e, solo più recentemente, soccer. Come in altri settori economici, sono i proprietari investitori e i dirigenti a dettare le regole volte a disciplinare la competizione, sia dentro sia fuori dal campo.

I rapporti proprietari-giocatori. - Già dalla fine dell'Ottocento fino a tempi molto recenti, lo sport americano è stato scosso da violenti scontri sindacali, da lunghissimi scioperi e da serrate dei proprietari. L'origine dei conflitti va ricercata nelle caratteristiche peculiari dei rapporti di lavoro negli sport di squadra professionistici. Contrariamente a quanto accade nelle industrie sindacalizzate, gli stipendi dei giocatori, invece di essere fissati in base a parametri uniformi, sono negoziati individualmente: il contratto collettivo dei giocatori prevede solo un minimo salariale e alcuni benefits. Nel caso della lega di pallacanestro NBA, per es., la differenza negli stipendi va da un minimo salariale annuale di 250.000 dollari ai 30 milioni di dollari percepiti da Michael Jordan nel 1997. è un po' quello che accade nel mondo dello spettacolo, dove un salario sensibilmente diverso viene pagato alle star rispetto ai comprimari. Mentre però nel mondo dello spettacolo la qualità del prodotto è in un certo senso determinata a priori dalla bravura dell'interprete, nel caso dello sport system americano la qualità è determinata anche da quella degli avversari, che in linea di principio possono essere molto inferiori, facendo venire meno l'interesse della competizione.

Il metodo escogitato dai proprietari per fronteggiare questa disparità degli stipendi e del potenziale tecnico delle squadre è il cosiddetto 'sistema della riserva'. I nuovi giocatori, le matricole, sono scelti dalle squadre che li selezionano in ordine inverso rispetto alla loro posizione di classifica, per far sì che le squadre peggiori abbiano il vantaggio di disporre dei giocatori migliori del campionato universitario. Questo metodo dovrebbe assicurare che tutti i giocatori di talento siano distribuiti in modo uniforme tra tutte le squadre partecipanti alla lega, invece di essere concentrati nelle poche squadre i cui proprietari abbiano l'intenzione e la possibilità di offrire salari più alti ai giocatori.

Un altro modo efficace nel risolvere simultaneamente la disparità fra i salari dei giocatori e la differenza fra capacità di spesa da parte delle società viene denominato salary cap, "tetto salariale". Attraverso questo metodo i proprietari e i giocatori stabiliscono un contratto collettivo per cui una determinata quota percentuale dei proventi complessivi della lega deve essere devoluta per gli stipendi e i benefits dei giocatori. Dividendo questa somma relativa a tutta la lega per il numero delle squadre si determina il budget massimo (e quello minimo) che ciascuna squadra può spendere relativamente ai salari. Tale sistema fu introdotto per la prima volta nel 1983 nella NBA, poi nel 1993 fu adottato dalla lega del football americano NFL, con condizioni ancora più rigide che nel settore della pallacanestro.

Struttura della proprietà della lega. - Tradizionalmente le leghe americane sono state composte da squadre possedute e amministrate in forma individuale, che si sono unite per offrire il loro prodotto sportivo. Nella competizione tra le squadre le scelte dei singoli proprietari sono potenzialmente importanti non solo per quanto riguarda l'ingaggio dei giocatori migliori in grado di far vincere i campionati, ma anche per quanto riguarda la stipula dei contratti televisivi, commerciali e di utilizzazione degli stadi, al fine di assicurarsi profitti più elevati.

I proprietari delle squadre, inoltre, con il solo permesso della commissione antitrust, possono trasferire la squadra o la franchigia da una località a un'altra. Tali trasferimenti di squadre, operati per ottenere un maggior flusso finanziario per i proprietari, possono comportare gravi oneri non solo alle squadre già presenti in un bacino d'utenza, ma anche alla lega nel suo complesso. Infatti possono compromettere il rapporto di fiducia e di affetto che i tifosi instaurano con il team non solo a livello locale ma anche a livello nazionale, provocando pesanti ricadute per la lega nel settore delle entrate televisive. Talvolta, in termini relativi, un mercato vantaggioso per una squadra può non risultare tale in termini di lega: in queste situazioni sorgono conflitti tra i proprietari, che guardano principalmente al loro profitto personale, e la lega che intende privilegiare l'economicità dell'intero sistema.

Per una lega professionistica americana è una scelta importante decidere chi debba possedere, controllare e sfruttare i diritti televisivi. Il modello si basa sostanzialmente su questo assunto: i titolari delle emittenti televisive radiotelevisive controllano la diffusione di immagini e suoni relative alle partite, le squadre controllano i loro nomi e i loro simboli, i giocatori controllano i loro nomi e la loro immagine. In ogni caso la titolarità o l'esercizio di questi diritti di proprietà è liberamente trasferibile mediante contratto. Le squadre finiscono per contrattare i diritti sulle trasmissioni televisive, condizione necessaria perché la squadra consenta all'emittente di accedere al campo e diffondere gli incontri.

Nella maggior parte delle leghe i giocatori cedono al sindacato di riferimento i diritti per commercializzare collettivamente la loro immagine e il sindacato trattiene una parte delle entrate (fees) da gestione dei diritti al fine di sostenere la propria attività. In modo analogo anche le squadre cedono una parte o l'intero pacchetto dei diritti derivanti da trasmissioni televisive e merchandising alle leghe di competenza, per massimizzare i profitti derivanti da una risorsa che appartiene alle singole squadre, ma che di fatto esiste in quanto esiste la lega.

I modelli economici a cui fare riferimento sono due: uno relativo alla lega di football NFL, l'altro che riguarda le altre leghe. Il modello del football americano deriva dalla struttura del campionato: questo prevede un limitato numero di partite, la maggior parte delle quali giocate la domenica pomeriggio e quindi agevolmente vendibili alle reti televisive nazionali, che le diffondono attraverso le altre reti private regionali. Nel secondo modello invece le singole squadre controllano la vendita dei diritti televisivi in ambito locale, mentre delegano alla lega la responsabilità di concludere contratti a livello nazionale con i network, che trasmettono via cavo o via satellite selezioni delle partite della lega. Lo scopo del modello è chiaro: permettere che i proprietari e le leghe massimizzino i ricavi dal settore televisivo. I singoli proprietari hanno mano libera a livello locale per contratti con le migliori condizioni possibili e nello stesso tempo la lega, a livello nazionale, può stipulare il miglior contratto per le partite di maggior richiamo e per i playoff. Affinché il modello funzioni è necessario che i proprietari si astengano dal vendere il loro prodotto al di fuori del monopolio assegnato dalla lega.

Il primo problema che si incontra è che le diverse leghe, quando vietano o limitano il mercato degli altri team, incorrono nel rischio di essere citate di fronte alla commissione antitrust. Il secondo problema è legato alla ripartizione delle entrate televisive: le squadre con un mercato vasto percepiscono proventi televisivi locali più alti di quanto non facciano invece squadre con mercati inferiori. È evidente il divario tra New York con i suoi 20 milioni di abitanti e Salt Lake City con meno di un milione di abitanti. La vendita dei diritti televisivi locali è quindi fortemente sbilanciata e pertanto anche il modello dei monopoli territoriali privilegiati andrebbe rivisto. D'altra parte una ripartizione troppo equa delle entrate tra i diversi team spingerebbe nella direzione opposta: i dirigenti, dovendo dividere le entrate con altre squadre, potrebbero non essere incentivati ad accrescere il proprio potenziale tecnico per aumentare il flusso di tifosi.

Il mondo del professionismo americano è giocato su equilibri sottili e modelli economici dotati di coerenza interna, ma non sempre capaci di interpretarne completamente la complessa realtà. Questi schemi interpretativi offrono comunque una guida per rileggere l'evoluzione dello sport business e, compiuti i dovuti aggiustamenti, possono essere utili come pietra di paragone per studiare la realtà dell'emergente sport professionistico europeo.

Il modello europeo di sport

Tra la fine della Seconda guerra mondiale e la metà degli anni Ottanta erano presenti in Europa due diversi modelli di sport: quello dell'Europa orientale e quello dell'Europa occidentale. Nel primo caso si trattava di un sistema totalmente finanziato dallo Stato, in cui non erano previsti operatori privati, tutte le categorie proprie dell'economia dello sport non trovavano applicazione e l'attività sportiva non era che una delle tante attività di un'economia pianificata dal centro. Nei paesi dell'Europa occidentale invece lo sport si è evoluto da un punto di vista economico e regolamentare secondo un modello misto, in cui coesistevano fianco a fianco iniziative di enti governativi e altre di organizzazioni private. Va anche ricordato che lo sport si è sviluppato parallelamente alla televisione e in un ambiente dominato dalla televisione pubblica. Lo sport dell'Europa occidentale è quindi il risultato di attività pubbliche e private, con diversi gradi di intervento pubblico secondo i paesi considerati.

Nell'Europa occidentale lo sport è organizzato tradizionalmente secondo un sistema di federazioni nazionali. Solo le federazioni principali, solitamente una per paese, sono consociate in federazioni europee e internazionali. Fondamentalmente la struttura è di tipo piramidale e gerarchico. La struttura piramidale implica un'interdipendenza tra i livelli, non solo dal punto di vista dell'organizzazione, ma anche da quello delle competizioni. Una squadra di calcio, di basket, di palla a volo, di pallanuoto può qualificarsi per campionati a livello superiore ottenendo una promozione. D'altro canto ci saranno squadre che in ragione dei risultati ottenuti durante l'anno verranno retrocesse a un livello inferiore. Le promozioni e le retrocessioni sono caratteristiche comuni a tutti i campionati nazionali. Grazie all'ingresso di nuove squadre concorrenti i campionati risultano più interessanti rispetto alle competizioni che non le prevedono.

Questo sistema di promozioni e retrocessioni è una delle principali caratteristiche del modello europeo di sport. Gli Stati Uniti hanno per contro sviluppato un sistema basato su un modello senza promozioni e retrocessioni: le stesse squadre, una volta inserite in un campionato, continuano a competere fra loro. Alla fine dell'anno vi è un vincitore nazionale ma le squadre peggiori non vengono retrocesse, e si rafforzeranno attraverso il meccanismo delle scelte per poter competere meglio l'anno successivo. Un'altra differenza dello sport europeo rispetto a quello statunitense è l'esistenza delle squadre nazionali; secondo la tradizione europea i diversi paesi si affrontano tra loro in competizioni internazionali, mentre nulla di simile esiste negli Stati dove è inimmaginabile uno scontro fra le 'nazionali' per es. della California e del Texas. Un'altra delle caratteristiche dello sport europeo è la sua origine dalla società civile: lo sport si sviluppa a partire dai club che organizzano le attività sportive a livello locale e non è tradizionalmente collegato al mondo degli affari. Ciò emerge dal fatto che in Europa lo sport è gestito principalmente da non professionisti e volontari non retribuiti, per i quali tale attività costituisce un passatempo e un modo per dare il proprio contributo alla società. Per contro, negli Stati Uniti lo sport è tradizionalmente legato al mondo degli affari ed è basato su un approccio più professionale, con una gestione in mano soprattutto a professionisti. Esiste quindi un modello europeo di sport dotato di caratteristiche proprie e questo modello è stato esportato in quasi tutti gli altri continenti a eccezione appunto degli Stati Uniti.

Lo sport in Europa è attualmente sottoposto a grandissime pressioni perché avvenga una trasformazione sulla linea del modello statunitense. Dell'importanza di questa pressione si è mostrata consapevole la Commissione Europea che ha affermato: "Il rapido sviluppo conosciuto recentemente dallo sport europeo mostra che questo sistema potrebbe essere oggetto di trasformazioni radicali, e per questo è tanto più importante condurre una riflessione sul modo di organizzazione di questo settore nei prossimi anni. Senza tale riflessione il sistema sportivo europeo rischia di scoppiare sotto la pressione dei gruppi economici che desiderano ispirarsi a formule per lo sport agonistico già sperimentate in altre parti del mondo, in particolare negli Stati Uniti. Ciò rischia di compromettere le strutture di base organizzate tradizionalmente in Europa in modo diverso".

Il nuovo ruolo delle federazioni sportive nell'era televisiva. - Fino agli anni Ottanta le federazioni sportive avevano principalmente una funzione di organi regolatori. Con l'aumentare dell'importanza dei diritti televisivi, esse hanno incominciato a occuparsi delle trattative per questi diritti, agendo quindi come qualsiasi altra impresa commerciale. Si è posto a questo punto il problema di decidere se le federazioni possano essere al tempo stesso organi regolatori e soggetti commerciali privati. Sia i membri di maggior prestigio delle federazioni sia i più importanti club ritengono ormai che i propri interessi non siano più rappresentati adeguatamente. Questo crescente conflitto d'interessi è stato risolto in alcuni paesi creando campionati indipendenti dalla federazione nazionale, come per es. in Inghilterra e Spagna per il calcio e in Spagna, Italia e Francia per la pallacanestro, avvicinandosi in questo modo sempre di più al modello americano. La maggior parte delle federazioni nazionali ha regole che proibiscono ai propri membri di partecipare a campionati che non siano direttamente organizzati o autorizzati da esse e prevedono sanzioni in caso di infrazione.

I membri più importanti delle federazioni degli sport che hanno un maggior interesse televisivo esigono una percentuale maggiore dei guadagni ottenuti dalla vendita dei diritti televisivi e minacciano in caso contrario di lasciare queste ultime e di organizzare campionati propri. D'altro canto, i club meno importanti lamentano il fatto che le federazioni non adempiono al proprio dovere pubblico, cioè la promozione dello sport. Essi inoltre affermano che il sistema di distribuzione dei guadagni della federazione non funziona correttamente per quanto li riguarda. Si tratta dunque di stabilire se sia possibile per le federazioni conciliare le loro attività come soggetti privati con il ruolo di promuovere lo sport, o se invece quest'ultima responsabilità debba essere delegata a un organismo pubblico. Se avvenisse questa scissione dei due ruoli il modello europeo comincerebbe ad assomigliare sempre più al modello americano. Si dovrà giudicare se la forza di autonomizzazione delle principali attività sportive europee possa giungere al punto di cambiare l'assetto istituzionale ereditato dal dopoguerra e dalla peculiare storia e tradizione europea.

Finanziamenti. - Nel 1995 la Corte di giustizia europea ha riconosciuto, nella causa Bosman, che non sussiste alcuna ragione per cui gli sportivi professionisti non debbano godere dei benefici del mercato unico, e in particolare della libera circolazione dei lavoratori. Ciò ha portato all'apertura dei campionati nazionali a giocatori provenienti da tutta Europa. La causa Bosman ha avuto enormi ripercussioni finanziarie per lo sport in Europa: prima di essa infatti la maggior parte delle risorse finanziarie, per es. nel calcio ma anche negli altri sport, proveniva dalle indennità di trasferimento. Quando queste sono state abolite i compensi dei calciatori sono aumentati moltissimo e i club sono stati costretti a effettuare investimenti enormi. Il sistema di finanziamento dello sport in Europa è così mutato radicalmente e attualmente esso dipende in misura crescente dagli introiti delle sponsorizzazioni e di altre forme di comunicazione commerciale e dai diritti televisivi.

Il problema è che non tutti gli sport sono adatti, come il calcio o la Formula 1, alla trasmissione televisiva. Si corre pertanto il pericolo che sopravvivano solo gli sport commercialmente attraenti e che altri sport 'minori' scompaiano. Le entrate provenienti dalla vendita dei diritti di trasmissione stanno trasformando il mondo dello sport e approfondendo la distanza tra sportivi professionisti e dilettanti, e tra base e vertice dello sport europeo. Questa divisione corrisponde quasi completamente con la divisione fra sport ad alto e a basso impatto televisivo.

Un punto importante è legato alle modalità con cui le entrate sono divise fra i club e le federazioni. In campo calcistico la UEFA ha creato un sistema di solidarietà per la distribuzione delle entrate della Champions League. Secondo l'ente promotore questo sistema servirebbe a mantenere un equilibrio concorrenziale e finanziario tra i club e promuovere il calcio in generale. In realtà i club calcistici maggiori accusano la UEFA di scarsa trasparenza nella distribuzione del finanziamento, mentre i club meno importanti affermano che dovrebbe affluire più denaro alla base della piramide.

Nella maggior parte degli Stati europei lo sport è finanziato in generale da diverse forme di lotterie, ma gli introiti maggiori provengono dalle scommesse sull'esito degli incontri calcistici. Per questo il calcio ritiene di avere diritto a ricevere più denaro rispetto ad altri sport. Ma è giustificato che le federazioni sportive esistenti in Europa ricevano sovvenzioni dallo Stato e beneficino allo stesso tempo delle entrate provenienti dalla vendita dei diritti di trasmissione televisiva? Quali dovrebbero essere le modalità per la concessione degli aiuti di Stato allo sport?

Il rapporto tra pubblico e privato nei finanziamenti dello sport professionistico americano è per certi versi più semplice: tutto il denaro resta all'interno della lega, la quale è indipendente e quindi non ha alcun obbligo di aiutare gli altri sport. Rimane comunque un punto di frizione molto importante e dibattuto, e riguarda la tendenza delle squadre professionistiche ad accollare la spesa degli impianti in cui svolgono la loro attività alle finanze locali delle città che ospitano le franchigie.

Il calcio europeo e il modello americano

Le differenze tra il sistema statunitense e quello europeo si possono riassumere in quattro punti caratteristici:

1) Tipologia di lega. Nel modello americano la lega si dice chiusa per due motivi: chiusa all'interno in quanto non esiste un meccanismo di promozione e retrocessione, quindi solo raramente vengono ammessi nuovi team e quando questo accade la decisione viene votata tra i diversi membri della lega; chiusa verso l'esterno in quanto i team partecipano esclusivamente ai campionati di lega, a parte rare eccezioni. Il modello europeo al contrario prevede che i tornei nazionali abbiano meccanismi di promozione e retrocessione per le squadre partecipanti e che alcune di esse partecipino a tornei sovranazionali (coppe europee e intercontinentali). Oltre a ciò i giocatori delle squadre di club sono spesso impegnati con le squadre nazionali per competere in tornei continentali o mondiali. Per questo motivo si dice che la struttura della lega europea è aperta verso l'interno e verso l'esterno.

La differenza fra le due strutture si riflette nel modo di vivere l'evento sportivo: nella configurazione americana si privilegia l'equilibrio competitivo perché la lega possa sempre offrire uno spettacolo avvincente. Caso estremo è quello della MLS, la federazione sportiva americana di calcio, all'interno della quale gli spostamenti dei giocatori fra i diversi team avvengono per decisione della lega stessa, che tende così a riequilibrare l'incertezza della competizione. La concorrenza vera e propria nel sistema USA tende a spostarsi sul fronte delle leagues, anziché dei team. Dal 1945 ci sono stati, per es., ben quattro tentativi di formare nuove associazioni professionistiche in concorrenza con la National Football League, di cui tre sono falliti e uno è stato assorbito.

Al contrario in Europa le federazioni sportive sono fortemente gerarchizzate e non temono concorrenza alcuna. La competizione in questo caso è tutta centrata sulle gare fra i diversi club. Questa tendenza è dettata principalmente dal sistema aperto vigente e dalla differente concezione del tifo che esiste tra sport americano e sport europeo.

2) Operazioni messe in atto per tutelare la competitività. Anche per questo aspetto la differenza fra i due sistemi è rilevante. Il modello statunitense impone correzioni al libero operare delle forze di mercato, in modo da ottenere una sostanziale stabilità del sistema. Esempi tipici di questo modus operandi sono il sistema delle matricole e il sistema del salary cap. Diversamente in Europa il mercato dei giocatori è sostanzialmente libero e la loro allocazione è affidata all'operare della 'mano invisibile'.

Tabella 3

3) Divisione delle entrate. In generale la fonte delle entrate è di natura duplice: quella derivante dalla cessione dei diritti televisivi e quella proveniente dalla suddivisione dei ricavi da botteghino. Per quanto riguarda i diritti televisivi, la divisione delle entrate negli Stati Uniti segue un modello semplice: in virtù dello Sports broadcasting act (1966) che esenta dal controllo antitrust la contrattazione con le reti nazionali, le diverse leghe negoziano su base collettiva i diritti delle squadre facenti parte della lega, dividendone equamente le entrate, mentre i diritti su base locale vengono trattenuti dalle squadre che si accordano con televisioni locali. In Europa i diritti di diffusione di immagine seguono una logica meno centralizzata: le componenti della quota da assegnare a una squadra sono determinate in base alle prestazioni e, solo in misura minore, alla aliquota fissa (Tabella 3).

Forti diversità si riscontrano anche nella ripartizione dei ricavi da botteghino. In questo caso però le differenze non sussistono solo tra i due sistemi che stiamo mettendo a confronto, ma anche all'interno di questi. Un esempio per tutti è la differenza nella redistribuzione delle entrate tra la NFL e la NBA: la prima viene addirittura considerata 'socialista' per la quota riconosciuta alla squadra ospite (circa il 40%), la seconda, invece, non riconosce alcun meccanismo di divisione. Il meccanismo agisce in modo più libero in Europa, dove le quote riconosciute alla squadra ospite sono in media inferiori. Risulta evidente che il meccanismo europeo di redistribuzione è studiato per favorire la massimizzazione delle entrate di ogni club, così da poter acquistare il maggior numero di giocatori con capacità tecniche e primeggiare nelle diverse competizioni in cui la squadra è impegnata, senza curarsi dell'equilibrio competitivo generale.

4) Operazioni di politica economica per la tutela del prodotto. Anche in un altro settore troviamo differenze rilevanti fra un modello e l'altro. Mentre nel sistema statunitense la contrattazione collettiva (intesa come la delega da parte delle squadre alla lega di negoziare i diritti in modo univoco in nome e per conto di tutte quante) è applicata anche a costo di costituire notevoli eccezioni rispetto alla generale normativa americana sulle posizioni monopolistiche (si veda l'esenzione dalla normativa antitrust di cui gode il baseball, così come il citato Sport Broadcasting Act), nel sistema europeo si tende a promuovere la concorrenza anche nel campo della cessione dei diritti, televisivi e non. Ne sono dimostrazione i casi decisi dalle commissioni antitrust inglese, tedesca e olandese. Questa maggior spinta liberista si arresta in occasione di eventi sportivi che varcano i confini nazionali: l'esempio più evidente è quello dei campionati del mondo di calcio, per i quali la trattazione di alcuni diritti come quelli televisivi viene delegata alla FIFA, organo mondiale del calcio. A livello europeo l'UEFA percepisce una quota rilevante delle entrate solo in occasioni di finali e semifinali di tornei organizzati con il suo patrocinio.

Organizzare il calcio europeo secondo il modello americano. - È innegabile che nello sport europeo attuale esistano pressioni di varia natura, soprattutto economiche, per una trasformazione verso un modello di organizzazione sportiva molto simile a quello statunitense. Il settore dove le tensioni fra il vecchio modo di concepire l'organizzazione e la ricerca del nuovo è più evidente è quello del calcio, ma le stesse pressioni sono avvertibili anche nella pallavolo e nella pallacanestro. È evidente che tale cambiamento in senso americano delle strutture organizzative dello sport europeo sia propiziato dal processo di unificazione europea, che sta creando uno spazio economico, politico e anche sportivo unificato con la stessa popolazione e lo stesso reddito degli Stati Uniti.

Nel 1999 è stata proposta per la prima volta una formalizzazione del problema economico che sta alla base di queste trasformazioni. Utilizzando gli strumenti della moderna microeconomia S. Szymanski e T. Hoehn hanno delineato un modello che da un lato fornisce gli strumenti teorici per un confronto tra i due sistemi, dall'altro lato permette di stabilire se l'attuale processo di trasformazione conduca inevitabilmente verso una configurazione di tipo statunitense. Il modello è basato sul confronto fra una organizzazione calcistica chiusa (americana) e una aperta (europea) e su due semplici ipotesi di base :

1) Un aumento della spesa della squadra per l'acquisizione di talenti aumenta la qualità delle prestazioni sul campo. Tale affermazione è confortata nella prassi dalle statistiche riguardanti i campionati nazionali europei, dove vige una corrispondenza diretta tra la rilevanza della voce 'spesa per giocatori' e i risultati sul campo. Si può affermare che il mercato del lavoro dello sport professionistico segue le stesse regole che governano gli altri mercati del lavoro: coloro che vendono le proprie prestazioni possono chiedere salari in relazione al loro valore, mentre gli acquirenti possono attendersi prestazioni adeguate al talento acquistato.

2) Un aumento della prestazione sul campo conduce direttamente a un aumento dei ricavi. Anche questa asserzione trova riscontro nella realtà: è ovvio che una squadra vincente riesce richiamare su di sé un'attenzione maggiore, che si traduce in maggiori entrate da botteghino e migliori contratti per la vendita dell'immagine della squadra a fini pubblicitari.

Le grandezze che vengono utilizzate sono: una 'funzione successo' W, che misura la capacità di una squadra di prevalere sulle altre. Questa quantità è definita come il numero relativo dei talenti (t) che la squadra possiede (assumiamo qui per semplicità il caso della squadra 1 su un totale di due sole squadre):

W1= t1/(t1+t2)

La seconda grandezza è una 'funzione ricavo' R in cui entrano il successo sul campo, espresso in percentuale delle vittorie, cioè di W, la capacità della squadra di attirare spettatori (parametro m), la capacità attrattiva della lega misurata dal bilanciamento della competizione (parametro f):

R1= m1(f W1 + (1-f) W1 W2)

Variando il valore del parametro f nell'intervallo tra zero e 1 si ottengono scenari diversi in cui il bilanciamento della competizione all'interno della lega è massimo (f=0) o nullo (f=1).

La terza grandezza è una funzione profitto P:

P1=R1-t1

Questa è la grandezza che governa la dinamica del mercato assumendo che il fine ultimo delle varie squadre sia appunto quello di massimizzare la funzione profitto.

Tabella 4

Dallo studio del loro modello, attraverso confronti fra i due sistemi condotti attraverso simulazioni, Szymanski e Hoehn giungono alla conclusione che la soluzione migliore per creare un mercato efficiente del calcio europeo sarebbe abbandonare l'attuale sistema basato sui campionati nazionali che permettono l'accesso alle coppe europee a favore di una nuova struttura, la 'Superlega', un campionato continentale a struttura ermetica, dove i migliori team europei (la cui situazione finanziaria al 1997 è esposta in Tabella 4), giocherebbero senza partecipare ai campionati nazionali.

In questo modo si renderebbero più equilibrati i campionati nazionali, che in tal modo attirerebbero più pubblico, contemporanamente le squadre appartenenti alla Superlega avrebbero minori costi di gestione (un numero minori di giocatori da acquistare, non dovendo più competere su due fronti), senza per questo abbassare il livello di competitività. Il vantaggio immediato sarebbe dunque quello di uno spettacolo di alta qualità a costi inferiori.

Il modello evidenzia inoltre come la spinta verso questo tipo di sistema sia in un certo modo irreversibile. Infatti la crescente polarizzazione dei campionati nazionali fra squadre che competono sia per il titolo nazionale sia per quelli europei, e squadre di profilo più basso, nonché il forte innalzamento dei costi delle squadre di vertice per sostenere due competizioni, porteranno, secondo i due studiosi, a uno scisma calcistico, cioè alla formazione di una lega chiusa europea e a campionati nazionali per le squadre che non entrano nella Superlega. Il nuovo assetto sarebbe analogo a quelle delle leghe professionistiche statunitensi con la Superlega in veste di competizione di élite e i campionati nazionali (negli Stati Uniti si parla di domestic leagues) nel duplice ruolo di campionati di secondo piano e di bacini per lo sviluppo delle categorie giovanili (Caselli-Roversi 1988).

La proposta di riforma del campionato europeo per squadre di club di Szymanski e Hoehn è quindi molto simile alle leghe dei Big Four statunitensi. La struttura del torneo ipotizzata è il risultato delle stime fatte, cercando di contemperare la doppia esigenza di ridurre i costi e di mantenere un campionato ad alta competitività con alcune caratteristiche proprie del sistema europeo (le sfide di maggior richiamo, la necessità di rappresentare tutti i paesi). La proposta contempla un campionato composto a sua volta da quattro tornei (meglio identificabili se si pensa alle conferences del football americano), dove le nazioni rappresentate avrebbero un numero maggiore o minore di squadre in relazione all''esperienza calcistica della nazione' (quindi in base al ranking di media UEFA).

I criteri di allocazione in un girone anziché in un altro seguirebbero due direttrici: a) competitività: si dovrebbe fare in modo che la media della somma dei punteggi UEFA delle squadre che partecipano a ogni girone non sia molto differente da quella degli altri (per evitare che una delle quattro conferences assomigli a una A2 con poche probabilità di vittoria e uno spettacolo poco avvincente); b) territorialità: ogni girone dovrebbe comprendere squadre circoscritte in una data area (per es. Nord Europa / Est Europa / Centro Europa / Nordovest Europa), in modo da tutelare le sfide classiche fra squadre di una stessa nazione, particolarmente care ai tifosi.

Le squadre della stessa conference si affronterebbero in un girone unico all'italiana. Inoltre ogni team giocherebbe (secondo il metodo della 'partita secca') contro sei squadre di ognuna delle altre conferences, per un totale di 46 partite al termine della stagione regolare. Farebbero seguito i playoff da disputare tra i migliori due team di ogni conference. Al termine del campionato europeo le squadre avrebbero giocato dalle 46 alle 49 partite. È evidente quindi che questo torneo mal si concilierebbe con le esigenze dei campionati nazionali.

Al modello di Szymanski e Hoehn si possono avanzare diverse critiche sia teoriche sia empiriche. Alcune nascono dalla realtà sportiva europea e dalla sua storia e tradizione culturale che è totalmente diversa da quella in cui è nata l'organizzazione sportiva statunitense. La prima obiezione da avanzare è quella di non avere considerato in modo accurato la realtà dei tifosi europei. Diversamente dal caso americano l'attaccamento dei tifosi alla squadra raggiunge livelli che sfiorano la fede e l'identificazione con la squadra del cuore è talmente forte da dar luogo a manifestazioni parossistiche. In un sistema chiuso i tifosi delle squadre escluse non accetterebbero volentieri di partecipare a un campionato secondario come quello nazionale dal quale non si potrebbe mai più sperare di uscire attraverso una promozione dato che il meccanismo delle promozioni /retrocessioni sarebbe abolito.

Una seconda critica riguarda le condizioni di accesso alla Superlega. L'idea infatti del supercampionato europeo per squadre di club deve affrontare un problema di rappresentatività. Mentre alcuni paesi, che hanno una tradizione ormai più che secolare e che sono i grandi protagonisti a livello mondiale, non avrebbero problemi a essere rappresentati, altri paesi, con una storia ragguardevole per quanto riguarda la nazionale ma non altrettanto forti a livello di club, sarebbero rappresentati da squadre tecnicamente inadatte a competere a tale livello e quindi abbasserebbero lo standard competitivo della Superlega. Il classico esempio di tale situazione è la Francia, che ha una nazionale forte, ma è estremamente debole con le sue squadre nelle competizioni europee. Un altro problema è rappresentato dalle squadre deboli ammesse ai primi turni delle attuali coppe europee, ma che generalmente non proseguono perché non sono in grado di competere con i club più forti. Secondo il modello di Szymanski e Hoehn tali squadre non dovrebbero essere ammesse, creando però in questo modo un notevole problema di rappresentatività.

Tabella 5

La creazione di una lega chiusa sembra offrire automaticamente una soluzione al problema dei settori giovanili. Il dilemma del reclutamento di nuovi talenti verrebbe risolto dal mantenimento dei campionati nazionali che rappresenterebbe per il sistema europeo quello che il sistema dei colleges e delle minor leagues rappresenta per il sistema sportivo americano. Andrebbe introdotto un metodo di allocazione dei giovani talenti all'americana tipo rookie draft, che garantirebbe la continua competitività della Superlega. È abbastanza evidente tuttavia che una tale riorganizzazione cozza contro ostacoli di costume e tradizione che sembrano porre un ostacolo molto forte alla riorganizzazione in chiave americana dei campionati nazionali. È sempre molto difficile fare dei trapianti istituzionali da un ambiente culturale a un altro dissimile, senza creare fenomeni di reazione non facilmente prevedibili.

L'ultima critica al modello di Szymanski e Hoehn è quello delle nazionali dei diversi paesi europei, di cui la loro analisi non tiene conto. Tale problema non si pone per gli Stati Uniti in cui per due degli sport più popolari, il football americano e il baseball, non c'è la necessità di costruire una squadra nazionale in quanto si tratta di sport tipicamente americani che non troverebbero al di fuori degli Stati Uniti squadre nazionali con cui competere. Gli altri due sport, il basket e l'hockey su ghiaccio, partecipano alle manifestazioni mondiali e olimpiche, con risultati non sempre eccellenti. Nel campionato ipotetico proposto da Szymanski e Hoehn (torneo diviso in quattro federazioni con accesso agli ottavi per le prime due squadre di ogni girone, disputa dei playoff e finale, per un totale di 49 partite) esisterebbe sia il problema del tempo lasciato alle attività delle nazionali sia quello delle finestre televisive utilizzabili. Attualmente infatti l'UEFA e la FIFA operano di concerto per evitare la sovrapposizione di impegni di club a quelli nazionali. Se il progetto di Superlega venisse realizzato, la proprietà del campionato passerebbe ai proprietari di club. Questo non sarebbe senza conseguenze per l'intera struttura gerarchica dello sport europeo, che risulterebbe fortemente indebolita e forse sarebbe destinata a sparire. I proprietari potrebbero decidere secondo convenienza, di cedere o non cedere i giocatori alle rispettive nazionali per evitare infortuni o per incompatibilità con i piani delle varie società. In questo modo verrebbero messe a repentaglio le manifestazioni internazionali come i campionati del mondo o quelli europei. Probabilmente il danno economico esterno alla Superlega sarebbe maggiore del beneficio che ne trarrebbero i suoi attori, senza tener in conto degli aspetti simbolici e culturali propri di tali manifestazioni. Inoltre le entrate della FIFA, in parte elargite ai paesi più deboli economicamente, sarebbero decurtate con effetti deleteri sulla crescita dei nuovi talenti.

In sostanza creare un sistema chiuso sul modello di un tipo di organizzazione nato in tutt'altro ambiente economico e culturale potrebbe provocare danni notevoli a un sistema, quale quello del calcio europeo, che si è storicamente sviluppato secondo un modello aperto; esso ha sicuramente dei difetti, ma non ha necessità di una totale trasformazione per rispondere alle richieste di cambiamento delle forze economiche.

Lo sport è profondamente radicato nella cultura dei popoli e spesso è uno dei modi della sua rappresentazione. Dall'altra parte dell'Atlantico la tradizione sportiva si è sviluppata in modo fortemente diverso rispetto alla sponda europea. Questa diversità si è tradotta in modi differenti di organizzare il gioco, di viverlo, di produrlo e di consumarlo. Nonostante le trasformazioni degli ultimi anni in campo calcistico, il sistema sportivo (e il suo pubblico) europeo risente ancora di forti connotati campanilistici e del meccanismo meritocratico promozione-retrocessione. Il sistema americano è basato sulla massimizzazione del profitto e in base a questo obiettivo le leghe si strutturano (divisione dei mercati, locations, contratti televisivi ecc.) e operano. Il sistema europeo, nonostante le riforme sempre più orientale al mercato e le quotazioni in borsa di alcune squadre di calcio, mostra bilanci con molti debiti o almeno ben lontani dal presentare profitti, a parte pochissime eccezioni. Prendendo a esempio il caso italiano e il suo sport principale, il calcio, possiamo dire di essere oggi ben lontani dal periodo dei 'presidenti mecenati' la cui funzione-obiettivo non era quella del profitto ma piuttosto quella di una visibilità sociale da utilizzare in altri contesti. Ciò nonostante, la trasformazione del calcio italiano ed europeo nella direzione di una attività di mercato non è compiuta e l'attuale struttura è la risultante di eredità della tradizione e di spinte economiche secondo il modello americano.

In conclusione, le diversità di elementi tra i due modelli sono tante e tali che la completa trasposizione dall'uno all'altro, per ragioni di ordine puramente economico, porterebbe alla luce problemi non solo economici, ma culturali, antropologici e forse anche politici. Si andrebbe quasi sicuramente a stravolgere il sistema-sport europeo, che a detta della Commissione Europea deve invece essere salvaguardato e difeso con ogni mezzo.

riferimenti bibliografici

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