L’attentato a Bangkok, una ferita al cuore del paese

Atlante Geopolitico 2016 (2016)

Martina Dominici

La sera del 17 agosto 2015 un ordigno esplosivo posizionato sotto una panchina davanti al tempo induista di Erawan, in un distretto turistico nel cuore della capitale thailandese, è esploso provocando 22 morti e oltre 100 feriti. Gli artificieri hanno poi disinnescato un secondo ordigno nei pressi del luogo dell’esplosione mentre un terzo è stato trovato inesploso dalle forze dell’ordine. La mancata rivendicazione dell’attentato terroristico – definito ad oggi il peggiore nella storia della Thailandia –, l’apparente mancanza di trasparenza nello svolgimento delle indagini e le difficoltà riscontrate dalle autorità locali nell’identificare rapidamente i responsabili hanno dato adito a numerose speculazioni a livello sia interno sia internazionale sulle possibili responsabilità dell’attentato.

Nell’immediatezza dell’esplosione, si è ritenuto che gli attentatori provenissero dalle file dei separatisti del sud, di minoranza etnica malese e fede musulmana, che nell’ultimo decennio sono stati più volte coinvolti in attacchi contro obiettivi militari ed economici nelle province più meridionali della Thailandia. L’ipotesi è stata però presto scartata poiché l’attentato non trovava corrispondenza con le tecniche impiegate abitualmente da questi gruppi che fino ad ora hanno concentrato il loro raggio d’azione nell’Estremo Sud. Un’altra ipotesi inizialmente presa in considerazione ma presto accantonata attribuiva la responsabilità dell’attacco al terrorismo transnazionale di matrice islamista, che anche nel Sud-Est asiatico sta rappresentando una minaccia sempre più concreta. La presenza di un elevato numero di turisti di nazionalità cinese fra le vittime, unita agli arresti e ai mandati di cattura verso cittadini turchi emessi dalle autorità thailandesi nei giorni successivi all’esplosione, hanno lasciato ipotizzare che l’attentato potesse essere stato compiuto da cinesi di etnia uigura, una minoranza di origine turca e religione musulmana che risiede nello Xinjiang, nell’estremità nord-occidentale della Cina. Il rimpatrio da parte di Bangkok di 109 uiguri nel mese precedente aveva scatenato numerose proteste, sfociate ad Istanbul in un assalto al consolato onorario thailandese.  L’ipotesi più generalmente accettata è quella che ricollega l’attentato alla faida politica interna del paese, contraddistinta da una polarizzazione sempre più estrema tra due fazioni che appaiono ben lontane dalla riconciliazione auspicata dalla giunta militare. Tale polarizzazione, la cui principale manifestazione politica è la divisione tra i sostenitori delle Camicie gialle e delle Camicie rosse, è una spaccatura molto profonda nella Thailandia contemporanea. È una divisione socio-economica che contrappone l’élite del paese e la classe media urbana alla forza lavoratrice operaia ma soprattutto agricola, che ancora rappresenta la maggioranza della popolazione thailandese. È una polarizzazione di natura geografica che separa le città portuali e in generale le province dal sud al nord e al nord-est. È una divisione sub-etnica che frammenta la popolazione in termini di identità: i thai siamesi delle pianure centrali il cui dialetto è diventato la lingua ufficiale della Thailandia, dai thai del nord (Lanna) e del nord-est (Isan/Lao). All’inizio del 2014 i sentimenti secessionisti si sono diffusi soprattutto in questi territori e, seppur determinati più da uno sfogo di rabbia e frustrazione che da una reale richiesta di indipendenza, hanno spinto l’élite burocratico-militare a un colpo di stato per ristabilire l’ordine e «restituire la felicità al popolo thailandese».

L’apparente confusione che si è venuta a creare attorno all’attentato di Bangkok ha però avuto lo straordinario potere di portare alla luce l’ampio spettro di preoccupazioni che affligge la giunta militare al comando e, più in generale, la Thailandia nel nuovo millennio. Terrorismo interno ed internazionale, separatismo e la forte ostilità che sta dividendo a metà un intero paese, ai quali si aggiungono le preoccupazioni sull’imminente successione reale, dispute territoriali con i vicini sempre più dinamici e l’emergere di un nuovo ordine regionale promosso dall’Asean in un’area in cui la Thailandia ha storicamente detenuto una posizione di rilievo.

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