L'architettura: caratteri e modelli. Iran

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'architettura: caratteri e modelli. Iran

Rémy Boucharlat
Anny Allara
Pierfrancesco Callieri

Caratteri generali

di Rémy Boucharlat

Prima della comparsa di una vera e propria architettura monumentale in Iran, già alla fine del II millennio a.C. troviamo a Susa una grande terrazza in mattoni crudi (dell'altezza di 15m e di lunghezza superiore a 80 m); alla stessa regione appartiene la ziqqurrat di Choga Zanbil (metà del XIII sec. a.C.), la meglio conservata di tutto il Vicino Oriente. All'inizio del I millennio a.C. appaiono nelle valli dello Zagros le prime sale colonnate; adottate nei palazzi-fortezza urartei (VIII-VII sec. a.C.), nell'Iran nord-occidentale, ereditate e rielaborate dall'architettura dei Medi, esse troveranno una continuazione nelle sale ipostile achemenidi. In epoca achemenide (VI-IV sec. a.C.), tratti peculiari dell'architettura sono il gigantismo dei complessi e l'eclettismo intenzionale della decorazione, espressione del carattere cosmopolita dell'impero. Dopo Pasargade, capitale di Ciro il Grande (559-529 a.C.), piante e forme architettoniche saranno sviluppate nelle altre due capitali dell'impero: Persepoli, nelle montagne del Fars, e Susa, nella pianura sud-occidentale. Le altre capitali sono poco conosciute: a Babilonia non resta, infatti, che un piccolo palazzo, mentre Ecbatana è coperta dall'odierna Hamadan. La tomba di Ciro, l'architettura della quale riproduce un modello semplice di struttura abitativa, denuncia influssi ionici e anatolici, mentre nella torre dello Zindan-i Sulaiman è palese la derivazione dal tempio urarteo. Gli edifici reali di Susa e di Persepoli, eretti da Dario (522-485 a.C.), contrariamente alla dispersione delle costruzioni di Pasargade, sono raggruppati su una terrazza alta 18 m, realizzata grazie a giganteschi lavori: ricavata dalla roccia a Persepoli, con una superficie di 455 × 300 m, a Susa è invece un'altura artificiale di 13 ha di estensione, ottenuta con l'apporto di 1.000.000 di m³ di terra e pietrisco. Colonne, cornici di finestre e di porte e scalinate d'accesso sono i soli elementi in pietra in un'architettura di mattoni crudi. Né il palazzo né la città sono protetti da vere fortificazioni, segno della fiducia che i re riponevano nella propria potenza. A Susa, in contrasto con la tradizione iranica della sala ipostila, la pianta del palazzo e la forma di alcune sale derivano dall'architettura elamica locale e da quella della Mesopotamia neoassira. Dopo la conquista di Alessandro Magno, i Seleucidi, prima, i re partici e i loro vassalli, poi, scelsero altre residenze, ben poche delle quali sono state identificate in Iran. Nell'Iran sudoccidentale si perpetuò la tradizione delle terrazze, l'estensione delle quali venne portata a più di 150 m per lato. Su di esse si edificavano templi di dimensioni modeste, dedicati a divinità iraniche e greco-iraniche: mentre il tempio di Masjid-i Sulaiman, con cella e antecella disposte nel senso della larghezza, rivela un influsso ellenistico, il tempio di Bard-i Nishanda, tetrastilo e circondato da lunghe sale, si ispira ad un modello locale, già attestato in epoca seleucide dal cosiddetto Tempio dei Frataraka, presso Persepoli. L'influenza greca, più forte altrove, come ad Ai Khanum, in Afghanistan (III sec. a.C.) o a Nisa, in Turkmenistan (II-I sec. a.C.), ha tuttavia lasciato traccia in Iran nelle colonne con capitelli corinzi di Istakhr, a nord di Persepoli, o ionici di Khurha, nel Luristan, appartenenti a edifici oggi scomparsi. Tuttavia l'architettura in mattoni crudi di Shahr-i Qumis, una delle prime capitali partiche, denuncia, nelle piante degli edifici e nelle tecniche di costruzione, caratteri tipicamente orientali. Il III sec. d.C., con la dinastia dei Sasanidi, segna profondi cambiamenti nelle tecniche e nelle forme, ma anche un richiamo all'epoca achemenide. A Firuzabad, nel Fars, nel palazzo di Ardashir dall'īwān (ambiente con volta a botte aperto su un lato breve, innovazione introdotta dall'architettura partica, che sostituisce il portico con colonne in antis) si accede a sale quadrate, non più ipostile, bensì coperte da cupole poggianti su pennacchi a tromba. Nel palazzo di Bishapur (III sec. d.C.) si riconosce, nei mosaici che decoravano l'edificio, l'opera degli artigiani romani fatti prigionieri da Shapur I; anche taluni elementi delle tecniche di costruzione, se ricordano quelle achemenidi, non escludono tuttavia un'influenza romana. L'uso della colonna, piuttosto limitato in questo periodo, è attestato in un portico sulla terrazza di Kangavar e in un monumento commemorativo a due colonne di Bishapur (III sec. d.C.), poi di nuovo alla fine dell'epoca sasanide nell'Iran occidentale. Il sistema della cupola sorretta da pilastri collegati tra loro da archi appare in decine di čahār tāq, costruzioni interpretate (ma non sempre verosimilmente) come templi del fuoco. Nei templi è prevalente la pianta cruciforme, come a Kuh-i Khwaja e, in tarda epoca sasanide, nel grande tempio di Takht-i Sulaiman e in quello, assai modesto, di Turang Tepe. La combinazione di sale colonnate a tre navate e di sale con volta a cupola è testimoniata dal grande santuario di Takht-i Sulaiman e dal palazzo di Damghan, nell'Iran del Nord.

Bibliografia

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I materiali e le tecniche

di Rémy Boucharlat

Il mattone crudo, ottenuto da un accurato impasto di terra argillosa e paglia, talvolta con aggiunta di ghiaia, occupa un posto di assoluto rilievo nell'architettura iranica a partire dal VI millennio a.C. Scarso impiego ebbe invece, nell'architettura monumentale, il pisé. Il mattone cotto, introdotto più tardi, era riservato a funzioni particolari. La pietra concia, prodotto di lusso, fu usata solamente in alcune epoche, mentre la pietra grezza, legata con malta, era comunemente impiegata nelle regioni montuose. Il legno veniva usato soprattutto per la realizzazione di coperture piane, ma fu progressivamente soppiantato dalla volta e dalla cupola, che consentivano di coprire grandi spazi senza sostegni intermedi. A seconda dell'importanza delle costruzioni, il mattone crudo era messo in opera su uno o più filari (3 o 4, ma fino a 11 nelle costruzioni achemenidi), in muri con spessore variabile da 1,15 a 4,85 m, che potevano elevarsi fino a 10 o 20 m di altezza e sostenere pesanti coperture; i muri di sostruzione erano realizzati con casseforme di mattoni crudi riempite di terra o ghiaia, essendo le intelaiature con travi in legno relativamente rare. La protezione dei paramenti era assicurata da uno o più strati di intonaco. Le volte erano realizzate con un particolare tipo di mattone curvo in epoca meda (ad es., magazzini di Nush-i Jan) e di nuovo in periodo partico (volte a botte di Shahr-i Qumis). Più tardi compaiono mattoni quadrati disposti radialmente, come già nella fortificazione di Persepoli, o più raramente messi in opera di piatto, su centine di legno. Il primo impiego su larga scala del mattone cotto si registra in Mesopotamia alla fine del III millennio e, poco dopo, nell'Iran sud-occidentale. Tuttavia, esso non soppiantò mai del tutto il mattone crudo, ma piuttosto lo sostituì nelle opere in cui questo si rivelava poco adeguato, come ad esempio nel paramento di pozzi, canali e bacini o ancora nel rivestimento, spesso 2 m, della ziqqurrat di Choga Zanbil. Nel II millennio il mattone cotto quadrato (di 37 cm di lato) era utilizzato per la realizzazione di paramenti e volte a segmenti inclinati in numerose tombe sotterranee di Susa e di Haft Tepe; sempre nella stessa epoca, esso fu introdotto anche nell'architettura civile per il basamento dei muri, secondo un uso che si protrasse senza interruzioni fino ad epoca islamica. A partire dalla fine del I millennio a.C., l'impiego del mattone cotto si fece più massiccio e diversificato; al termine dell'epoca partica esso poteva essere utilizzato come unico materiale per l'intera costruzione (Qala-i Yazdgird, Qala-i Zohak); in epoca sasanide per esso si usava come legante una caratteristica malta di gesso, assai resistente. La solidità e il formato regolare di questo materiale consentivano di realizzare archi di grande ampiezza (Iwan-i Karkha), pilastri (Takht-i Sulaiman), volte e cupole su trombe d'angolo. Negli Zagros la pietra non tagliata, principalmente calcarea, conobbe un impiego precoce nelle fondazioni delle abitazioni e nelle grandi tombe collettive dell'età del Bronzo; per la copertura venivano usate grandi lastre, poste sul sommo di volte realizzate a sovrapposizione, ovvero a corsi progressivamente aggettanti. Nel I millennio a.C. la pietra era utilizzata anche per le basi delle colonne (Hasanlu, Godin Tepe, Nush-i Jan). Gli Urartei costruivano le loro fortezze in apparecchiatura ciclopica e impiegavano blocchi di calcare, basalto e ardesia, tagliati a giunti vivi, per palazzi e templi. Gli Achemenidi utilizzarono largamente il calcare degli Zagros per sostruzioni, parti portanti dei muri (soprattutto a Persepoli), sostegni, decorazioni architettoniche, spesso in blocchi di enormi dimensioni. La qualità talvolta mediocre dei banchi di roccia rendeva necessarie, già prima della messa in opera, riparazioni con grappe di ferro sigillate con piombo. L'impiego della pietra raggiunse progressivamente una diffusione pari a quella del mattone cotto; il legante in malta di fango fu sostituito, dalla fine dell'epoca partica, con malta di gesso. A Firuzabad, nel III sec. d.C., il palazzo, la fortezza e il Takht-i Nishin al centro della città testimoniano l'impiego estensivo della pietra per tutti gli elementi costitutivi: muri, pilastri, volte a botte a tutto sesto e cupole emisferiche o paraboliche. La muratura era generalmente coperta da un rivestimento in stucco, per lo più decorato, e la dimensione delle campate poteva superare i 10 m; accanto ai grandi complessi di Sarvistan e di Qasr-i Shirin, le decine di čahār tāq testimoniano la diffusione di queste tecniche, che resteranno in uso ben oltre l'epoca sasanide. L'edificio a cupola era generalmente completato da un corridoio periferico con volta a botte e da altre sale voltate (Tang-i Chak Chak, Kunar Siah, nel Fars). Il numero dei monumenti conservati prova la maestria raggiunta nelle tecniche costruttive.

Bibliografia

A. Godard, L'art de l'Iran, Paris 1963; H.E. Wulff, The Traditional Crafts of Persia, Cambridge (Mass.) 1966, pp. 102-71; C. Nylander, Ionians in Pasargadae, Uppsala 1970; D. Stronach, Pasargadae, Oxford 1978; R. Besenval, Technologie de la voûte dans l'Orient ancien, Paris 1984; T.S. Kawami - E.J. Keall - D. Huff, s.v. Architecture, in EIran, II, 1986, pp. 326-34.

Aspetti decorativi

di Rémy Boucharlat

Fin dal II millennio a.C. è attestata in Iran la decorazione architettonica in terracotta: nella ziqqurrat di Choga Zanbil (XIII sec. a.C.) e, in misura minore, a Susa, statue di tori e grifoni in terracotta invetriata sono poste a guardia delle porte. Piastrelle quadrate di terracotta smaltata, con motivi figurati e fitomorfi, decoravano a Susa la Porta Reale e l'interno o anche la facciata dei templi (templi di Inshushinak, XIII sec. a.C., e di Shutur Nahhunte, VIII-VII sec. a.C.); lo stesso tipo di decorazione è noto a Malyan, capitale elamita del Fars, e più tardi a Hasanlu, nel Nord-Ovest dell'Iran. Nell'VIII sec. a.C., le mattonelle dipinte (da 47 a 51 × 6 cm) che decoravano il soffitto di una sala di Baba Jan appaiono invece come un'innovazione che non troverà applicazioni successive; poste fra le travi della Camera Dipinta, esse erano divise in quattro quadranti (decorati con motivi geometrici) da una croce dipinta o, al contrario, risparmiata dalla pittura. I fregi di terracotta smaltata conobbero un grande successo in epoca achemenide, con la ripresa di tradizioni elamiche, ma anche neobabilonesi. Questo tipo di decorazione è attestato a Persepoli, dove però l'abbondanza della pietra lo relega ad un ruolo secondario, mentre a Susa è impiegato nelle quattro grandi corti del palazzo di Dario (fine VI sec. a.C.). Le composizioni, alte da 1,2 m (teorie di animali) a 2 m (figure umane), potevano svilupparsi orizzontalmente per svariati metri o essere racchiuse in pannelli separati. Esse erano realizzate con mattonelle smaltate, con mattoni di terracotta con rilievo a stampo, i più rari, o con mattoni silicei smaltati, con rilievo a stampo o piatti, i più frequenti. La cottura avveniva in tre fasi successive, l'ultima delle quali serviva a fissare gli smalti entro gli alveoli degli elementi decorativi, secondo una tecnica affine al cloisonné. I colori impiegati erano tutti di origine minerale (blu, blu-verde, giallo, nero, marrone e bianco). I soggetti, oltre a quelli celebri del cosiddetto Fregio degli Arcieri o dei leoni al passo, mostrano anche leoni o tori alati e sfingi alate a testa umana affrontate; essi sono inquadrati da motivi geometrici (triangoli, denti di lupo) o floreali (rosette, loti, girali) e coronati da piramidi a tre gradini. Dopo l'epoca achemenide il mattone smaltato scompare, in Iran come anche in Mesopotamia, parzialmente sostituito dalla decorazione in stucco, mentre la terracotta è ancora usata in epoca seleucide nella decorazione architettonica delle coperture, sotto forma di fregi di greche o antefisse triangolari decorate con palmette. A lungo sottostimata, nell'Iran come un po' ovunque nel mondo antico, è stata la decorazione dipinta, a causa delle rare testimonianze pervenuteci; oggi sappiamo tuttavia, grazie agli studi più recenti, che in Iran non soltanto le pareti, ma anche altri elementi dell'architettura (ad es., i rilievi e le colonne achemenidi) erano vivacemente dipinti. Le prime testimonianze significative, provenienti da Malyan, risalgono al II millennio a.C.; i colori sono quelli fondamentali, a base di minerali; a partire da questo momento, tale tecnica non sarà più abbandonata. Vere e proprie composizioni pittoriche si conoscono tuttavia solo a partire dall'epoca achemenide; infatti, se a Persepoli della decorazione dipinta non restano che deboli tracce, a Susa, nel palazzo di Artaserse II sullo Shaur, si conservano tracce di pitture murali con teorie di personaggi, ritratti quasi a grandezza naturale, analoghe a quelle dei rilievi. I colori utilizzati sono il rosso (a base di minerale di mercurio), il carminio, il blu (impiegato soprattutto per le basi e per i fusti di legno delle colonne), il bianco e il nero per sottolineare i contorni; la tecnica è quella dell'affresco a tempera, applicato su un intonaco molto fine. La pittura di epoca partica è pressoché sconosciuta, se si eccettuano gli affreschi del complesso religioso di Kuh-i Khwaja, nel Sistan, datati alla fine di questo periodo o all'inizio di quello sasanide. Alcune pitture tradiscono un'influenza buddhista, ma vi ricorrono anche tratti occidentali. Nella Galleria Dipinta sono raffigurati sulle pareti personaggi stanti, talora identificabili con divinità; al di sopra di una fascia con motivi vegetali, la volta è dipinta a cassettoni, alternativamente vuoti o decorati da motivi geometrici e figurati. Per l'epoca sasanide possediamo la testimonianza di un triplice īwān ad Iwan-i Karkha, decorato da pitture purtroppo illeggibili, e di un piccolo palazzo del IV sec. d.C. a Susa, dove si conserva una scena di caccia con l'arco, in cui predominano il rosso e il blu. La pietra, il calcare grigio degli Zagros, fu usata per la decorazione dei palazzi achemenidi, soprattutto a Persepoli, in misura minore a Pasargade e ancor meno a Susa, dove il suo impiego è limitato ad alcuni parapetti di scalinate. La statua di Dario I, di grandezza superiore al naturale, che fiancheggiava un passaggio della porta monumentale di Susa, costituisce una rimarchevole eccezione. A Persepoli centinaia di metri quadrati di superficie sono coperti da rilievi, che ornano i basamenti delle terrazze dei palazzi, le balaustre delle scalinate e gli stipiti delle porte; tra i soggetti, portatori di tributi, teorie di soldati, il re in trono o il re-eroe che affronta un animale. Ovunque, la pietra è finemente scolpita, con grande cura per i dettagli e per la politura delle superfici. Rare sono le testimonianze di scultura a tutto tondo, tra cui possiamo tuttavia annoverare le protomi di animali fantastici che sormontano i capitelli. La decorazione a rilievo è ancora impiegata nelle successive epoche seleucide e partica, ma più nell'architettura rupestre che in quella reale, per la quale tuttavia restano importanti testimonianze nei templi di Masjid-i Sulaiman e di Bard-i Nishanda; essa non possiede, tuttavia, la qualità del periodo achemenide. Alcune sculture a tutto tondo sembrano concepite per essere addossate ad un muro, come quella colossale di Eracle che strangola il leone. Per la tarda epoca partica, Qala-i Yazdgird, nel Kurdistan, ha fornito esempi di scultura con caratteri stilistici e iconografici occidentalizzanti, avvicinabili a quelli di città mesopotamiche come Seleucia e Uruk. Una tendenza analoga si registra in epoca sasanide, cui si datano una trentina di grandi rilievi rupestri; la sola eccezione importante è costituita da una serie di piccoli rilievi, raffiguranti alcuni cavalieri, rinvenuti in un palazzo di Bishapur (metà del III sec. d.C.). Nello stesso sito sono attestate anche le uniche testimonianze di mosaici, eseguiti per l'imperatore Shapur I (241-271 d.C.) da prigionieri romani di Siria. Nella corte del palazzo le decorazioni musive presentano figure femminili nude, geni alati e motivi geometrici, mentre nel grande īwān danzatrici e suonatrici, come pure ritratti maschili e femminili, all'interno di metope molto semplici, inquadrano un pavimento di marmo scuro. La decorazione in stucco, pur se attestata precedentemente, soprattutto in Mesopotamia e nell'Iran occidentale, acquista in epoca sasanide un ruolo preponderante. Nel palazzo di Qala-i Yazdgird (fine dell'epoca partica) alcuni settori presentano pareti e colonne ricoperte di decorazioni a rilievo in stucco dipinto, in cui dominano i motivi geometrici; queste decorazioni attestano già la tecnica della lavorazione a stampo di elementi realizzati separatamente e applicati successivamente sulle superfici. Alcune semicolonne erano decorate da figure animali entro piccoli riquadri; gli archivolti e le cornici erano ornati da svastiche, meandri, motivi fitomorfi, busti entro medaglioni; nei palazzi di Bishapur (III sec. d.C.) e Hajjiabad (IV sec. d.C.), entrambi nel Fars, questi elementi decorativi coprono superfici notevoli. Alla fine dell'epoca sasanide e nei secoli successivi la decorazione in stucco di palazzi e templi sarà organizzata in composizioni di pannelli: viticci, meandri, festoni e foglie d'acanto decoravano gli archivolti e le cornici. Il motivo della foglia d'acqua egittizzante, ripresa dagli Achemenidi, dominava sugli architravi del palazzo di Firuzabad; alcuni riquadri recavano solamente simboli o monogrammi. Tra le decorazioni figurate sono attestati busti di re o di principi (Hajjiabad) e di figure femminili, ma anche figure di danzatrici e un gran numero di animali reali o fantastici (senmurv, cavalli alati). L'īwān rupestre di Taq-i Bustan (VI sec. d.C.) fornisce un buon esempio della ricchezza decorativa riservata ad ambienti di particolare prestigio. Sfortunatamente, molti degli stucchi sasanidi esposti nei musei sono di provenienza ignota; sappiamo tuttavia, grazie a quelli di Rayy, di Damghan e di molti altri siti, senza parlare della Mesopotamia (Ctesifonte), quanto grande fosse in Iran il favore accordato a questo tipo di decorazione architettonica. Infine, una tecnica decorativa molto semplice ma di grande effetto, pur se monocroma, consiste nel gioco della disposizione di mattoni crudi, che permetteva di creare una grande varietà di motivi. A differenza dell'Asia Centrale e dell'Afghanistan, dove questa tecnica decorativa ha lasciato vestigia notevoli, in Iran non ne conosciamo che pochi esempi, tra cui degni di nota sono i fregi di Turang Tepe (V-VI sec. d.C.), con motivi obliqui o dentellati; essa persisterà a lungo accanto alla analoga tecnica in mattoni cotti, con cui l'architettura islamica creerà veri capolavori.

Bibliografia

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L'architettura domestica

di Anny Allara

Di notevole importanza sono i dati disponibili sulle abitazioni dell'area iranica per il periodo protostorico e per l'età del Bronzo (3400-1200 a.C. ca.). A Tepe Hissar, nel Gurgan, case in mattoni crudi presentano elaborate facciate a lesene (Hissar II, 3380-2880 a.C.). La pianta è dominata da un ambiente quadrangolare, nel quale si concentravano le attività domestiche. Di maggiore complessità, e forse con funzione anche cultuale, è il cosiddetto Edificio Bruciato (Hissar IIIB, 2250-2000 a.C.), rettangolare, con un'entrata fra torri, un grande ambiente a sud con un focolare, una grande cucina a nord e magazzini. A Shahr-i Sokhta, nel Sistan, gli scavi del quartiere residenziale est (periodo II, 2800-2400 a.C. ca.) hanno messo in luce piccole abitazioni in mattoni crudi, di pianta rettangolare, ad un solo piano, coperte a terrazza. L'ambiente più grande era il cortile centrale; magazzini erano posti in prossimità dell'entrata. Le abitazioni più importanti sono meno note, a parte l'Edificio Bruciato (periodo IV, 2400-2200 a.C. ca.), costituito da blocchi di stanze comunicanti, articolate intorno ad un nucleo principale centrale. Il passaggio fra i vari blocchi era assicurato da corridoi; ogni nucleo aveva a sua volta un ambiente centrale. A Malyan, la città elamita nel Fars nota in antico come Anshan, lo studio funzionale di I.M. Nicholas ha permesso di identificare parte di un quartiere amministrativo. Il sondaggio TUV (con tre livelli della fase Banesh, 3500-2800 a.C.) comprende edifici amministrativi con alcune parti riservate ad attività di ricevimento e cucina. Il livello II, il meglio conservato (terminus post quem 3200 a.C.), mostra un complesso di ambienti e aree aperte: sono stati identificati i magazzini e una parte residenziale, dominata da un ambiente centrale con un focolare; un'altra ala era riservata alle cucine. Un discorso a parte richiede il grande sito urbano di Susa. Come già nell'architettura religiosa, anche nel campo dell'architettura domestica la Susiana si rivela più vicina al mondo mesopotamico che a quello iranico. Lo scavo di R. Ghirshman (1952) nella città reale di Susa documenta l'architettura domestica dalla fine del III millennio a.C. al periodo islamico. Gli strati del II millennio si riferiscono ad un quartiere le cui abitazioni, in qualche caso di notevole impegno (case di Attaru e di Rabibi), sono inserite in una maglia stradale che comprende anche alcune piazze. Installazioni igieniche sono presenti nelle strade e all'interno delle case. Le abitazioni sono organizzate intorno a uno o più cortili, sui quali si affaccia una stanza principale di forma allungata, con elaborati camini, dotata in qualche caso di quattro pilastri, caratteristica che si ritrova in Mesopotamia in periodo più tardo. I siti più importanti dell'età del Ferro (1200-600 a.C.) sono localizzati a ovest, lungo i monti Zagros, dove troviamo complessi fortificati con templi, magazzini e sale colonnate, riferibili a popolazioni come i Mannei (Hasanlu), gli Urartei (Bastam, Kordlar Tepe), i Medi (Godin Tepe, Baba Jan, Nush-i Jan). A Hasanlu IVC e B (fine XI - fine IX sec. a.C.) gli edifici di rappresentanza sono dotati di elaborati ingressi e di grandi sale colonnate centrali, circondate da ambienti con funzione abitativa (Edificio Bruciato III). Lo stesso vale per il palazzotto di Baba Jan (VIII-VI sec. a.C.), dove, nella fase II, una sala colonnata rimpiazza il cortile centrale. In altri siti (Godin Tepe II, Nush-i Jan I) queste sale possono essere isolate, non associate cioè ad ambienti residenziali. L'origine della sala colonnata, che sembra avere avuto come esito l'apadāna achemenide, è molto controversa: si è parlato di un legame con il bīt-ḫilāni siriano e con il megaron miceneo o di un modello hittita mediato dall'architettura palaziale urartea. Le normali abitazioni urartee sono invece dotate di semplici cortili centrali (Bastam) e di un muro perimetrale spesso rinforzato da torri. Nell'area centrale dell'impero achemenide, ricca di imponenti testimonianze dell'architettura ufficiale delle grandi capitali, non sono note le abitazioni comuni. Nel Sistan, invece, gli scavi nella città di Dahan-i Ghulaman hanno rivelato alcune abitazioni, di pianta regolare, costituite da un ambiente centrale quadrato con una colonna, circondato da stanze rettangolari e quadrangolari agli angoli. La parte residenziale dei grandi palazzi achemenidi del Fars (Pasargade e Persepoli) e di Susa è tradizionalmente identificata nelle suites organizzate intorno ai cortili interni, senza che però, nella maggior parte dei casi, si sia proceduto ad un'autentica analisi funzionale. È infatti possibile che questi ambienti fossero adibiti ad una funzione diversa, forse di carattere amministrativo. A Pasargade il cosiddetto "palazzo privato" di Ciro (P) non presenta suites di tipo domestico, ipotizzabili invece nei palazzi di Persepoli (il tačara di Dario, i cd. hadiš e harem di Serse, il Palazzo H di Artaserse I). Susa conserva, oltre al palazzo di Dario con l'apadāna e la residenza reale, resti di età achemenide nella città degli artigiani, il cosiddetto "villaggio persiano". Si tratta di un'unica abitazione, molto diversa da quelle messe in luce dagli scavi della città reale: essa presenta, nella sua fase più antica, una serie di ambienti di dimensioni simili, che formano un blocco privo di cortile interno. Secondo R. Ghirshman si tratterebbe di una casa collettiva patrilocale, tipicamente persiana, del VII-VI sec. a.C. L'attribuzione agli Achemenidi è stata però messa in dubbio da D. Stronach, che preferisce pensare ad un insediamento elamita della fine del VII sec. a.C. Il periodo ellenistico, che segna un momento di rottura nella millenaria storia dell'Iran, è poco conosciuto dal punto di vista archeologico. È possibile che questa frattura si rifletta solo in parte nell'architettura domestica, come avvenne ad Ai Khanum (IV-II sec. a.C.), in Battriana, dove le residenze palaziali rivelano una forte influenza achemenide. Poco numerose in Iran sono anche le abitazioni di età partica; molti dati in proposito provengono invece dalla Mesopotamia, che fu sotto il dominio partico dalla fine del II sec. a.C. Le parti residenziali dei palazzi riprendono, in scala minore, la tipologia planimetrica della suite ufficiale, dominata dall'īwān (struttura di origine molto discussa, presente anche nell'architettura religiosa partica, che consiste di una sala rettangolare completamente aperta su un lato breve e affacciata su un cortile); esse mostrano una fondamentale analogia con le abitazioni comuni, esemplificata in maniera chiarissima dal palazzo e dalle case di Assur. In Mesopotamia tuttavia si trovano, accanto alle case a īwān di Seleucia, Nippur, Hatra e Assur, case di tipo mesopotamico tradizionale, dotate però di elementi decorativi di ispirazione classica, come ad esempio a Dura-Europos, e case a peristilio di derivazione ellenistica e romano-orientale, come ad esempio a Palmira. In Iran, tra le rare testimonianze archeologiche di epoca partica si annoverano, oltre ai resti di Nisa (prima capitale dell'impero, nell'attuale Turkmenistan), quelli di Hekatompylos (Shahr-i Qumis, nel Gurgan), dove si trovano edifici quadrangolari dotati di torrioni agli angoli o al centro dei quattro lati. Si tratta verosimilmente di residenze fortificate partiche, riutilizzate come strutture funerarie. All'altro capo dell'impero, a Susa, sono state messe in luce da R. Ghirshman diverse abitazioni di età partica (VR A, strato V), distrutte probabilmente da Ardashir I, pubblicate però in modo incompleto. Non mancano invece dati sulle residenze palaziali, quali l'edificio di Khurha (Iran centrale), purtroppo scavato solo parzialmente, caratterizzato da una pianta che ricorda le case di Ai Khanum. La datazione oscilla fra l'età seleucide e quella partica. Alcune residenze sono costituite da enormi complessi immersi in ampie tenute; uno di questi è stato identificato, ma non scavato, a Qala-i Zohak in Azerbaigian; un altro si trovava a Qala-i Yazdgird, dove è stata messa in luce da E.J. Keall una straordinaria decorazione in stucco. La parte residenziale, scavata solo parzialmente, presenta ambienti di piccole dimensioni organizzati intorno a un grande spazio centrale. Molto diffusi sono invece in Iran i resti di edifici sasanidi; i numerosi palazzi (fra i quali ricordiamo quelli di Firuzabad, la città di Ardashir I, nel Fars; di Qasr-i Shirin in Kurdistan; di Tepe Hissar nel Gurgan e, in Mesopotamia, il Taq-i Kisra di Ctesifonte) sono caratterizzati da suites ufficiali con grandi cortili su cui si aprono enormi īwān, alle spalle dei quali si trovano ambienti quadrati coperti da cupole. La decorazione, molto abbondante, è in stucco. La parte residenziale di questi palazzi non è sempre ben conservata; è pertanto di particolare interesse il caso di Qasr-i Shirin, dove, all'interno del grande palazzo attribuito a Khusraw II, sono stati rinvenuti numerosi blocchi residenziali, tutti formati da un modulo ripetitivo: un īwān con stanze laterali, affacciato su un cortile centrale. Come per il periodo partico, la Mesopotamia sembra offrire maggiori testimonianze soprattutto sulle abitazioni di un certo impegno. Le cosiddette "ville", note per la ricca decorazione in stucco (che però, secondo l'ipotesi di J. Kröger, qualificherebbe soprattutto ambienti legati al culto del fuoco), mostrano nelle parti di rappresentanza una certa varietà di soluzioni planimetriche. A Ctesifonte si trovano grandi abitazioni con īwān affrontati su due o quattro lati del cortile, secondo una tipologia già nota in periodo partico. A Kish una di queste ville (Palace II) mostra una variante del semplice īwān (una sala con due file di colonne lungo i lati lunghi), presente anche a Hissar e, maggiormente elaborata, nel palazzo di Sarvistan, nel Fars, la cui datazione sasanide è però stata recentemente messa in discussione. Come per l'età achemenide, in Iran abbiamo pochi dati sull'architettura domestica di carattere ordinario. Fanno eccezione l'affollato insediamento della fortezza di Qasr-i Abu Nasr nel Fars, dove la sola abitazione tardosasanide ben identificabile mostra una tipologia già vicina alle case islamiche di Siraf, e Susa (VR A), dove sono stati identificati resti dell'abitato di periodo protosasanide, distrutto probabilmente da Shapur II. Accanto alle residenze palaziali, la Mesopotamia conserva invece importanti testimonianze dell'abitato sasanide nella città rotonda di Koche, anteriore alla fine del VI sec. a.C. L'impianto irregolare del quartiere artigianale qui portato alla luce si discosta da quello degli isolati regolari scavati nella vicina città ellenistica di Seleucia, ma dal punto di vista tipologico è interessante notare come siano ancora attestate sia la casa a īwān sia la casa mesopotamica tradizionale a cortile centrale.

Bibliografia

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L'architettura pubblica e del potere

di Pierfrancesco Callieri

L'individuazione della funzione dei complessi architettonici dell'età del Bronzo portati alla luce in Iran è alquanto problematica. Nella città di Shahr-i Sokhta (Sistan) la presenza di edifici di dimensioni maggiori della media nei periodi III (2600-2400 a.C. ca.) e soprattutto IV (2400-2200 a.C. ca.), quando il cosiddetto Edificio Bruciato raggiunge i 600 m² di superficie, sembra indicare una funzione pubblica non meglio definibile. Più chiara è la caratterizzazione funzionale dell'architettura elamita, soprattutto nella Susiana, dove è consistente la documentazione scritta e dove forti sono gli influssi mesopotamici. Due elementi tipologici sembrano caratterizzare in modo chiaro l'edilizia del potere nell'età del Ferro: le sale con colonne o pilastri, che a partire dall'età del Ferro II si diffondono nell'Iran occidentale così come nell'Urartu, e gli ambienti di forma allungata allineati a blocchi. Per questi ultimi, una funzione di magazzino all'interno della residenza del potere non è solo verosimile, ma anche confortata dai confronti con i palazzi dei sovrani della regione siromesopotamica. Questi due elementi architettonici compaiono a lungo abbinati in strutture che si differenziano tra loro per la rilevanza architettonica, in cui si rispecchia l'importanza politica dei committenti, da quella del "Re dei re" a quella del nobile locale. Forse collegabile all'ascesa della Media quale potenza regionale è il sito di Tepe Nush-i Jan (750-550 a.C.), in cui troviamo, all'interno di un complesso fortificato, una sala rettangolare con quattro file di tre pilastri e una struttura articolata in una serie di magazzini, con una rampa che conduceva al secondo piano. La presenza di due templi e il notevole livello nella finitura delle strutture confermano la preminenza del complesso rispetto ad altri edifici della regione. Le prime affermazioni internazionali del re achemenide Ciro il Grande trovano la loro illustrazione più completa nel sito di Pasargade, nel Fars. Qui si hanno tre edifici, noti con le denominazioni convenzionali di edifici R, S e P, con funzione di rappresentanza e residenza, in origine inseriti in un'ambientazione di giardini; in essi sono presenti non solo forti richiami all'arte neoassira, ma anche elementi architettonici d'ispirazione ionica che permettono di datare il complesso al periodo successivo alla conquista del regno di Lidia (546 a.C.), pur se con modifiche apportate da Dario I. Nell'Edificio R possiamo riconoscere l'ambiente di ingresso; l'Edificio S, per le maestose proporzioni della sala ipostila e per la posizione più vicina all'ingresso, viene considerato la sala delle udienze di Ciro; l'Edificio P, in cui pure è stato rinvenuto un basamento rettangolare in pietra su cui poggiava verosimilmente il trono, aveva forse una funzione privata e residenziale. Più difficile è caratterizzare con precisione, nell'ambito dell'edilizia del potere, la funzione del Tall-i Takht, una vera e propria cittadella che domina il settore settentrionale del sito e che presenta una fase in muratura di pietra dell'epoca di Ciro il Grande (periodo I). Sono stati invece attribuiti a Cambise i resti dell'edificio palaziale riportato alla luce a Dasht-i Guhar, presso Persepoli, caratterizzato da una pianta affine agli edifici di Pasargade. Fu Dario I ad avviare la costruzione di una nuova residenza a Persepoli, nel Fars. Collocato forse accanto ad un abitato preesistente, quello di Persepoli è un complesso in cui la funzione amministrativa, di carattere prevalentemente locale, ha una rilevanza di gran lunga inferiore a quella ufficiale e ideologica legata alla dinastia achemenide. Se la riorganizzazione dell'amministrazione dell'impero voluta da Dario punta ad una centralizzazione del potere, l'ideologia imperiale sottolinea la concordia tra i popoli dell'impero retto dai Persiani e la loro benevola accettazione del potere del "Re dei re": sui rilievi delle due scalinate della sala delle udienze a Persepoli il tributo è offerto come un dono. Persepoli è quindi il luogo dove l'ideologia monarchica achemenide prende forma architettonica e artistica, e di questa ideologia la città diviene simbolo agli occhi dei popoli sottomessi. Le sale colonnate con portico, diverse per ampiezza a seconda della funzione dei diversi edifici, di residenza o di rappresentanza, costituiscono il tipo architettonico di base, con una spiccata preferenza per i moduli quadrati. Troviamo così, accanto ai palazzi residenziali costruiti da Dario I (tačara), da Serse (hadiš), da Artaserse I (Palazzo H) e, in epoca posteriore, da Artaserse III (Palazzo G), grandi edifici con funzione pubblica quali la sala delle udienze (apadāna) o la Sala delle Cento Colonne, dedicati senza dubbio a quelle stesse sfarzose cerimonie che sono illustrate nei rilievi parietali. Accanto a questi troviamo altri edifici dedicati alla funzione di immagazzinamento dei beni, svolta in precedenza dai magazzini di pianta allungata; si tratta delle tesorerie, che custodivano le maggiori ricchezze della dinastia, protette dalle fortificazioni in un complesso situato nel cuore dell'impero. Il vecchio modulo viene tuttavia sostituito da edifici ipostili di pianta quadrata. A sud della Sala delle Cento Colonne è un vasto complesso di tesoreria (che comprendeva tra l'altro due grandi sale, rispettivamente con 100 e 99 colonne), dove sono state rinvenute tavolette in elamitico e accadico. All'angolo nord-orientale della terrazza erano inoltre ambienti di carattere amministrativo, da cui provengono più di 30.000 tavolette in elamitico. A Susa, l'antica capitale elamita che in epoca achemenide era una delle capitali amministrative, si conservano i resti di un secondo palazzo di Dario I, poi restaurato da Artaserse II. Qui è netta la distinzione tra la parte residenziale e quella ufficiale. La prima si differenzia dai palazzi di Persepoli per un impianto architettonico di tipo mesopotamico, formato da ambienti disposti attorno ad ampie corti, collegati da corridoi. A questo impianto si contrappone una struttura tipicamente achemenide, la sala delle udienze (apadāna), analoga nella pianta a quella di Persepoli. Anche l'altro palazzo achemenide di Susa, costruito da Artaserse II a ovest del fiume Shaur, si basa sullo schema planimetrico dell'apadāna. Se la politica di Alessandro Magno tendeva a privilegiare la continuità con gli Achemenidi, la creazione di colonie greche in Asia, moltiplicatasi sotto i Seleucidi, finisce per influire profondamente sull'architettura civile dell'Iran e dell'Asia Centrale. Oltre alla diffusione in queste regioni orientali degli edifici tipici della vita sociale delle poleis greche, si afferma una vera e propria architettura coloniale seleucide, legata alla nuova situazione sociale e politica. Sulla base dell'esempio di Ai Khanum in Battriana, possiamo ritenere che anche le altre colonie fossero dotate di un'acropoli, roccaforte dei coloni greci in caso di necessità. Le autorità militari ed amministrative, tuttavia, ad Ai Khanum risiedevano nel centro della città, in edifici privi di strutture difensive proprie, contrariamente agli insediamenti urbani dei periodi successivi, dove la cittadella costituiva verosimilmente il luogo di residenza del potere, ben separato dal resto della popolazione e aperto a quest'ultima solo in caso di attacchi da parte di nemici esterni. Ad Ai Khanum anche l'arsenale, un ampio edificio con magazzini attorno ad una corte centrale, si trovava sulla via principale, ai piedi della cittadella. Il palazzo dei governanti di Ai Khanum, i sovrani greco-battriani che avevano qui il principale centro della Battriana orientale, è posto a breve distanza dalla principale via nord-sud della città, caratterizzato da un'architettura che si ispira alle tradizioni iraniche e babilonesi per tecniche costruttive e planimetrie, con ampie corti e numerosi blocchi di ambienti con funzioni diverse. La presenza di una tesoreria all'interno del complesso palatino conferma inoltre una prassi già attestata in età achemenide. L'espansione degli Arsacidi segna la fine della parentesi "coloniale" ellenistica e delle sue tradizioni architettoniche e la ripresa del ruolo tradizionale dell'aristocrazia iranica, pur secondo una nuova "moda" ispirata all'Occidente. Per l'epoca protopartica, le principali testimonianze archeologiche riguardano una delle prime sedi della dinastia arsacide, il centro fortificato di Nisa Vecchia nella Partia, dove però gli edifici portati finora alla luce mostrano una funzione di rappresentanza o addirittura celebrativa, piuttosto che residenziale. L'unico degli edifici che contenga richiami a strutture di carattere palatino è la cosiddetta Casa Quadrata, in cui ambienti di forma allungata, la cui funzione di magazzino è confermata tra l'altro dalle numerose sigillature rinvenute, sono disposti parallelamente ai lati perimetrali di una corte quadrata, secondo uno schema architettonico analogo a precedenti costruzioni centroasiatiche: il rinvenimento di manufatti di pregio quali i rhytà, usati per libagioni cerimoniali, e di un archivio di ostraka relativo a vigneti intitolati a sovrani defunti, conferma l'appartenenza dell'edificio ai sovrani arsacidi, delle cui residenze però non abbiamo testimonianza. Le strutture rinvenute a Shahr-i Qumis, identificata con la seconda importante capitale arsacide, Hekatompylos, non presentano carattere palaziale, mentre di quella che sarà la capitale definitiva degli Arsacidi, Ctesifonte, non abbiamo testimonianze archeologiche. Uno degli ostacoli principali nello studio dell'architettura del periodo sasanide è costituito dalla difficoltà di identificare con certezza la funzione di molti dei complessi architettonici, che presentano schemi planimetrici del tutto nuovi rispetto alla tradizione iranica precedente, ma anche a quella ellenistica. D. Huff (1993) ha cercato di evidenziare un criterio di base che permetta di distinguere nell'Iran sasanide l'architettura palaziale da quella religiosa, mettendo in risalto la linearità planimetrica della prima, che privilegia un unico asse, rispetto alla più complessa architettura religiosa: in quest'ultima, inoltre, sembra mancare quella complessità nell'alzato che caratterizza invece l'architettura palaziale. Il palazzo costruito da Ardashir I nella piana di Firuzabad dopo la sua vittoria sull'arsacide Artabano IV, noto impropriamente come Ateshkade, rispecchia l'affermazione della nuova dinastia e della sua ideologia, incentrata sulla figura del "Re dei re". Preceduto da una struttura (forse un portico) con semicolonne, che si affaccia su un laghetto sorgivo limitato da una struttura perimetrale di pianta circolare, è un profondo īwān, sul quale se ne aprono altri ad esso perpendicolari; dall'īwān principale si passa ad una sala quadrata centrale a cupola, probabile sala del trono, affiancata da altre due sale analoghe; una loggia di presentazione, a 5 m dal pavimento, permetteva al re di affacciarsi sull'īwān dall'alto, accentuando così il carattere sacrale della sua regalità. Dietro le tre sale a cupola è un'ampia corte su cui affacciano ambienti non collegati tra loro: generalmente interpretata come la parte privata, secondo D. Huff in realtà avrebbe avuto una funzione semiufficiale. La parte privata sarebbe invece da ricercare nei piccoli ambienti dei due piani superiori, ricavati negli spazi tra le cupole del corpo centrale. Interessante è la decorazione degli archi delle porte, con finti architravi in stucco a gola egizia, esplicito richiamo ideologico agli edifici di Persepoli. Il palazzo di Shapur I a Bishapur, da alcuni riconosciuto in quello che oggi viene invece considerato un tempio, è forse situato sul colle sovrastante la città (Qala-i Dukhtar), dove è visibile un grande complesso, non scavato. Nel periodo tardosasanide una delle principali testimonianze di architettura palaziale è costituita dal Taq-i Kisra, presso Veh- Ardashir, costruito da Khusraw I, che ha una sistemazione di piani superiori analoga a quella del palazzo di Firuzabad e che tra l'altro presenta nel suo īwān la più grande volta parabolica a segmenti inclinati costruita senza cassaforma, larga 25,6 m; diversamente dai palazzi protosasanidi, manca però la sala cupolata, e la facciata dell'īwān è decorata su più registri con semicolonne e arcate a tutto sesto, che hanno solo una funzione decorativa. Presso il grande tempio tardosasanide di Takht-i Sulaiman nell'Azerbaigian è un palazzo, costruito forse per le visite del sovrano al tempio, caratterizzato anch'esso da un grande īwān, associato non a sale cupolate, ma ad ambienti di pianta rettangolare. Interpretato in genere come palazzo è anche il grande Imarat-i Khusraw di Qasr-i Shirin nel Kurdistan, risalente a Khusraw II, al cui regno sembrano databili anche altre costruzioni palaziali a Bisutun, a Kangavar e a Dastagird (quest'ultima in Mesopotamia), caratterizzate tutte da una notevole imponenza. La particolare concezione iranica della regalità, secondo la quale il sovrano riceve dalla divinità la sua "fortuna regale" (khwarënah), collega alle varie dinastie alcuni edifici caratterizzati da funzioni legate agli aspetti più simbolici e rituali del potere. A Pasargade è un enigmatico monumento a torre a pianta quadrata (Zindan-i Sulaiman, la "prigione di Salomone"), costruito con blocchi squadrati di pietra, con ambiente interno elevato rispetto al piano di campagna e accessibile mediante una lunga e stretta scalinata in blocchi di pietra, del tutto simile alla cosiddetta Kaba-i Zardusht di Naqsh-i Rustam, meglio conservata e utilizzata in età sasanide dal re Shapur I e dal gran sacerdote Kirdir per lunghe iscrizioni. Per i due edifici, databili ad epoca achemenide sulla base della tecnica muraria, sono state proposte in passato sia una funzione templare, sia una funzione funeraria, sia una funzione di archivio; più fondatamente, H. Sancisi-Weerdenburg (1983) ha proposto di riconoscere in essi monumenti di carattere funerario, che assumevano tuttavia un ruolo importante durante i riti di incoronazione dei re achemenidi. Parimenti si può considerare prevalente una funzione di celebrazione della dinastia per gli edifici di Nisa Vecchia, legati agli Arsacidi. Più che una vera e propria residenza, Nisa Vecchia rappresenta un centro dinastico, come mostrano alcuni degli edifici portati alla luce, noti con le denominazioni convenzionali di Sala Quadrata, Tempio a Torre, Tempio Circolare, la cui planimetria appare più adatta a funzioni rituali che non di rappresentanza. L'esistenza di vigneti dedicati a sovrani arsacidi defunti, attestata nei molti ostraka rinvenuti nella Casa Quadrata, è stata interpretata come prova di "culti dinastici", termine questo di cui si è fatto spesso un uso improprio; essa si spiega comunque nel contesto dei riti zoroastriani di offerta in onore dei defunti. Anche la torre al centro di Firuzabad, nota come Terbal, che servì senza dubbio per realizzare la suddivisione radiale della città, è stata interpretata come un monumento celebrativo, simbolo della regalità sacra di Ardashir I, destinato forse a contenere una sala del trono o a custodire il fuoco sacro del re. Oltre agli edifici legati ai sovrani di tutto l'Iran, sono attestate anche residenze di nobili locali. Già nell'età del Ferro III a Godin Tepe II, nella Media, abbiamo la residenza fortificata di un signore locale, con tre sale con colonne e una serie di magazzini di pianta stretta e allungata, secondo uno schema analogo a quello di Tepe Nush-i Jan. Verosimilmente legato alla casata sistanica dei Suren è l'importante complesso architettonico di Kuh-i Khwaja, nel Sistan, ricco di testimonianze di pittura murale e decorazione in stucco, che sembra risalire al periodo tardopartico, anche se attivo ancora in età sasanide, e che, oltre al tempio del fuoco, presenta un settore interpretato da alcuni come un palazzo. Altre testimonianze per l'età partica in Iran vengono da Qala-i Zohak (Azerbaigian occidentale), dove è stato individuato un complesso palaziale racchiuso da una cinta fortificata di pianta rettangolare, datato al I sec. d.C., e da Qala-i Yazdgird (Kurdistan), dove le strutture di un palazzetto fortificato di epoca tardopartica si distinguono per la ricca decorazione a stucco. Anche il primo palazzo costruito da Ardashir I a Qala-i Dukhtar nel Fars, arroccato su un aspro sperone non lontano da Firuzabad, è la residenza di un nobile che è ancora vassallo degli Arsacidi. L'edificio è distribuito lungo un asse su tre livelli che seguono il pendio dello sperone: un'avancorte inferiore, una corte intermedia con una tribuna e due sale laterali e la residenza vera e propria, con īwān che conduce a una sala quadrata coperta a cupola, circondata da altre sale laterali e ambienti triangolari iscritti all'interno di una struttura perimetrale circolare, con un piano superiore. Datato al IV-V sec. d.C. è invece l'edificio identificato (e in parte scavato) a Hajjiabad nel Fars, interpretato come palazzetto di un nobile locale (manor house) sulla base dell'individuazione di tre blocchi con funzione residenziale, di rappresentanza e religiosa. Nell'Iran settentrionale, a Damghan, Chal Tarkhan, Rayy, e in Mesopotamia, a Kish, Dastagird e nell'area di Ctesifonte, troviamo complessi architettonici datati tra il V e il VII sec. d.C., interpretati in genere come palazzi nobiliari. Ciò che li accomuna è la decorazione parietale a stucco, concentrata in sale a pilastri e in īwān che J. Kröger interpreta come ambienti per feste, forse zoroastriane, senza escludere del tutto una funzione religiosa per i complessi nel loro insieme. Parimenti l'edificio di Sarvistan nel Fars, considerato tradizionalmente un palazzo mediosasanide, ma caratterizzato da una pianta priva di raffronti con edifici di epoca sasanide e da una forma estremamente raffinata delle volte, è forse un tempio del fuoco zoroastriano di epoca protoislamica. Tra i rari esempi di edilizia del potere non legata direttamente al sovrano spicca il sito di Dahan-i Ghulaman, nel Sistan, una delle poche testimonianze archeologiche di epoca achemenide al di fuori del Fars, in cui sono attestati sia sale ipostile, sia magazzini di pianta allungata; l'affinità planimetrica di alcuni edifici con quelli di Persepoli suggerisce che essi potessero costituire la sede della satrapia, l'antica Zranka. L'edilizia onoraria, tipica del mondo mediterraneo, trova una preziosa testimonianza ad Ai Khanum nell'heroon di Kineas, uno dei fondatori della città, e nell'altro mausoleo costruito entro le mura, entrambi con forma di piccolo tempio greco. Sempre ad un influsso occidentale, questa volta siro-romano, è attribuibile il monumento costituito da una base di statua e da due colonne con capitello corinzio, costruito al crocevia dei due assi viari principali della città sasanide di Bishapur nel Fars: una lunga iscrizione in medio-persiano e partico, incisa sul fusto di una delle due colonne, lo dedica a Shapur I, il fondatore della città, la cui statua è ricordata nell'iscrizione. Un'iscrizione che ricorda la vittoria di Narseh sulla fazione avversa sembra suggerire la funzione celebrativa del monumento a torre di Paikuli nel Kurdistan iracheno (da altri interpretato come monumento funerario), mentre una funzione onoraria non è da escludere per l'īwān con arco sorpassato e coronamento a merli a gradini di Taq-i Girra, nel Kurdistan iraniano, datato al periodo medio- tardosasanide o all'epoca protoislamica, caratterizzato da una muratura a blocchi di calcare d'ispirazione siro-romana. Se le fonti letterarie attestano la diffusione della drammaturgia greca in Asia presso la dinastia iranica degli Arsacidi, i soli teatri rinvenuti nella regione sono di epoca ellenistica. Oltre al presunto teatro di Susa e a quello di Babilonia, il teatro di Ai Khanum, costruito secondo i parametri ellenistici sfruttando il pendio dell'acropoli, rappresenta la testimonianza di maggior interesse. Sempre Ai Khanum attesta in Asia la presenza di un altro edificio tipico della cultura ellenistica, il ginnasio, così come di una biblioteca, costituita da un ambiente all'interno della tesoreria del palazzo, destinato alla conservazione di testi letterari su papiro o pergamena, quali quelli attestati dai fortunati rinvenimenti della Délégation Française. Una delle più antiche evidenze di architettura dei giardini è quella di Pasargade, dove i tre edifici R, S e P, sopra descritti, sono quanto resta di un paradeisos, il termine con cui i Greci rendevano l'antico-persiano paradayadām e che indicava un giardino di delizie, con edifici immersi nel verde entro un muro di cinta: a Pasargade, a simboleggiare la sicurezza dell'impero, la recinzione lasciava però il giardino aperto all'esterno. Forse anche i diversi padiglioni di età achemenide studiati nel Fars, quali Burazjan, Fahliyan e altri, erano originariamente parti architettoniche di giardini. Relativo ad età tardopartica è il giardino con padiglione individuato presso il palazzo di Qala-i Yazdgird, mentre alcune cinte in mattoni crudi di epoca tardosasanide, quali quelle a Taq-i Bustan e a Bustan-i Khusraw presso Ctesifonte, sono state interpretate come paradeisoi. Per quanto concerne edifici legati ad una funzione economica, recenti teorie interpretano i templi del fuoco di epoca sasanide come centri non solo religiosi, ma anche culturali, amministrativi ed economici, come sembrerebbe confermare il rinvenimento di un vero e proprio archivio, attestato dalle sigillature in argilla, nel tempio di Takht-i Sulaiman, in cui esistono tra l'altro diversi ambienti di forma allungata che ricordano i magazzini. A Chal Tarkhan, presso Rayy, sono stati inoltre rinvenuti ostraka mediopersiani consistenti in ricevute di pagamento di imposte in natura, che sembrano però pertinenti ad un tempio. Scarse sono le testimonianze archeologiche relative alle infrastrutture. Il sistema stradale degli Achemenidi, da Sardi alle capitali persiane, fu secondo le fonti ripreso dai Macedoni: il rinvenimento nel Fars di due pietre miliari in greco ne rappresenta un'interessante evidenza. Importante testimonianza dell'impegno che in epoca achemenide si attuò nella gestione del territorio è il ponte di Dorudzan, nella piana di Persepoli, che un attento studio delle tecniche di costruzione ha permesso di datare ad epoca achemenide. Il ponte ha una sola arcata, in parte costruita con blocchi, in parte scavata nel banco roccioso, con profilo ogivale imperfetto. Alloggiamenti per paratie permettevano inoltre di trasformare il ponte in una diga, in modo analogo ad altri sbarramenti che regolavano il corso del fiume Pulvar, anch'essi databili forse all'età achemenide. Più numerosi i ponti di epoca sasanide, fra i quali quello costruito presso Firuzabad da Mihr Narseh, ministro del re sasanide Yazdgird II (439-457 d.C.), riveste un'importanza particolare per il fatto di essere datato dall'iscrizione dedicatoria che vi si conserva. Accanto a diversi ponti di piccole dimensioni, costruiti per varcare i torrenti stagionali dell'altopiano iranico, troviamo opere di maggior impegno, soprattutto in una regione quale la Susiana, attraversata da grossi fiumi che permettevano l'irrigazione su cui era basata la fortuna agricola. Qui si concentrò l'utilizzazione, da parte dei primi sovrani sasanidi, della manodopera specializzata romana catturata nel corso delle conquiste in Siria. Il ponte-diga di Shushtar, lungo circa 500 m, noto come Band-i Kaisar (la "diga del Cesare"), presenta piloni costruiti in una solida muratura di tradizione romana, con un unico apice verso la corrente; i ponti delle epoche più tarde, al contrario, presentano piloni di forme più complesse con doppio apice, anche se la tecnica muraria è spesso di qualità inferiore. Frequentemente i ponti servivano anche da sbarramento per le acque, utilizzate per l'irrigazione o come forza motrice di mulini; particolare è invece il ponte-sifone, di epoca sasanide, che porta le acque del fiume Diz alla città di Jundeshapur, attraversando un torrente stagionale. Anche se il sistema di adduzione dell'acqua dalle sorgenti montane agli abitati tipico dell'altopiano iranico è quello dei condotti sotterranei noti come qanāt o kārīz, esistono testimonianze di acquedotti costruiti su muri o arcate. La presenza pressoché costante di piccoli laghetti sorgivi presso edifici o rilievi sasanidi mostra l'importanza, probabilmente rituale più che estetica, di tale elemento per i sovrani sasanidi; le rive di questi specchi d'acqua erano a volte delimitate da strutture murarie, come nel caso del palazzo di Ardashir I a Firuzabad. L'unica testimonianza archeologica di fontane è invece quella costruita in epoca ellenistica lungo la parete esterna delle mura di Ai Khanum, sulla riva dell'Oxus, con versatoi in forma di maschere teatrali.

Bibliografia

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L'architettura religiosa

di Pierfrancesco Callieri

L'esistenza di edifici cultuali presso le genti che abitavano l'altopiano prima dell'arrivo degli Iranici è provata dai notevoli complessi, risalenti al IV millennio a.C., portati alla luce nel Turkmenistan sud-occidentale (Anau, Geoksyur, Ilginli Depe) e riconosciuti come templi per le notevoli dimensioni, la continuità planimetrica nel corso del tempo, la presenza di altari e di pitture murali. Nella seconda metà del III millennio a.C. troviamo un'architettura monumentale a Mundigak, presso Kandahar, in Afghanistan, nel tempio sul Tepe G (periodo IV), e ancora nel Turkmenistan meridionale, ad Altin Depe. Tra la fine del III e la prima metà del II millennio a.C. le "terrazze alte" di manifesta ispirazione mesopotamica caratterizzano un'ampia regione che va dall'Afghanistan sud-orientale (Mundigak) all'Iran centro- e nord-orientale (Tepe Hissar, Turang Tepe), dalla Battriana al Sistan, caratterizzata anche da un comune apparato di oggetti rituali, che ha la sua più visibile espressione nelle "colonnette" di pietra. Più a ovest, nell'Elam, la forte influenza mesopotamica si manifesta anche nell'architettura sacra, come mostrano i templi di Haft Tepe (XVI-XIV sec. a.C.) e soprattutto la ziqqurrat di Choga Zanbil (XIII sec. a.C.), con funzione funeraria oltre che templare, che pure si differenzia da quelle della Mesopotamia per la particolare tecnica architettonica. Se la funzione religiosa dell'Edificio II di Hasanlu (1000-800 a.C.) non è certa, i primi edifici con chiare caratteristiche templari scoperti sull'altopiano iranico sono i due templi di Tepe Nush-i Jan, costruiti attorno al 750 a.C. e abbandonati tra il 650 e il 600, all'inizio della supremazia politica dei Medi. Il tempio occidentale presenta un vestibolo, aperto ad est, che conduce alla cella, in cui si trova un altare decentrato a sud rispetto all'asse; entrambi gli ambienti hanno l'asse maggiore nel senso della larghezza, secondo uno schema tipico della Babilonia. Il tempio di maggiore interesse è però quello al centro del complesso, aperto a sud-ovest e caratterizzato da un'originale pianta cruciforme. Un largo vestibolo conduce ad una cella dalla inusuale pianta triangolare, con pareti scalari articolate da nicchie; anche qui l'altare risulta decentrato a nord-ovest rispetto all'asse dell'accesso; costruito in mattoni crudi, esso presenta al centro una depressione con tracce di bruciatura, dato però non sufficiente per considerare l'edificio un primo esempio di tempio del fuoco. Per l'età achemenide, gli edifici di sicura funzione sacra sono in numero esiguo: a Pasargade l'ampia terrazza artificiale di pianta rettangolare, con una "tribuna" rialzata all'angolo nordoccidentale, presenta due bassi podi di pianta quadrata, che si ritiene siano serviti per riti analoghi a quelli raffigurati più tardi sulle facciate delle tombe di sovrani achemenidi. A Dahan-i Ghulaman, nel Sistan, nella corte dell'Edificio n. 3 sono stati portati alla luce tre pirei, mentre in tre dei quattro portici affacciati sulla corte sono altri pirei di dimensioni minori (lati nord ed est) o lunghe "vasche" per l'offerta al fuoco di sacrifici animali (lato ovest), riferibili a culti locali solo in parte collegati con lo zoroastrismo o con il mazdeismo achemenide. Per il periodo postachemenide il monumento più significativo sull'altopiano è il cosiddetto Tempio dei Frataraka, situato a nord-ovest della terrazza achemenide di Persepoli. La struttura, che E. Herzfeld aveva considerato un unico complesso e interpretato come edificio templare per la presenza di un rilievo postachemenide, raffigurante un personaggio con lunga veste che porta in mano il barsom (fascio di ramoscelli usato nel culto zoroastriano), risulta invece formata da due blocchi separati da una probabile strada o corridoio. Uno dei due complessi presenta invero un ambiente quadrato con quattro basi di colonne e con un altare o base di statua al centro della navata di fondo, affine nella pianta ai posteriori templi del fuoco zoroastriani; nell'area furono rinvenuti da Herzfeld cinque spesse lastre di pietra con iscrizioni in lingua greca, riportanti i nomi di alcune divinità greche, datate ad "alta epoca ellenistica". Se l'ambiente con quattro colonne è generalmente considerato un tempio, non è però escluso che potesse avere una funzione di rappresentanza. Il riutilizzo di elementi architettonici provenienti dalla terrazza di Persepoli e l'esistenza di un tipo di basi lì sconosciuto si accordano con la presenza delle iscrizioni greche, anche se alcuni studiosi datano il monumento ad età achemenide. L'architettura religiosa delle colonie greche, attestata dai due templi di Ai Khanum, mostra una preponderanza di componenti orientali, sia locali (e cioè nel caso specifico battriane), sia originarie della Mesopotamia, dove, secondo alcuni, sarebbero stati elaborati i modelli dell'architettura coloniale dei Seleucidi. A Shami, sito dell'Elimaide indagato solo preliminarmente, è stata messa in luce una piattaforma di mattoni, forse coperta solo in parte per ospitare immagini, come suggeriscono la base per statua e il piccolo altare antistante, rinvenuti assieme a numerose testimonianze di scultura in bronzo di epoca ellenistica e partica, cultuale o votiva. Se la fondazione della terrazza all'aperto di Masjid-i Sulaiman, in Elimaide, potrebbe risalire al periodo ellenistico, per i templi dello stesso sito mancano prove certe di una datazione anteriore all'epoca partica, così come per il vicino santuario di Bard-i Nishanda: entrambe le terrazze sono attribuibili a culti locali più vicini al mondo elamico e mesopotamico che a quello iranico. Anche il grande complesso architettonico di Kangavar, presso Kirmanshah, un tempo attribuito al periodo seleucide e identificato con il tempio di Artemide che Isidoro di Characene ricorda a Konkobar, è stato invece meglio interpretato come un complesso palaziale tardosasanide. Di incerta datazione e funzione è anche l'edificio con colonne di tipo ionico modificato, individuato a Khurha, nella regione di Qom, già interpretato da Herzfeld come un tempio di Dioniso di epoca seleucide: indagini archeologiche hanno mostrato che mancano elementi certi per una datazione anteriore all'epoca partica e per una sua interpretazione come tempio. La pianta particolare di alcuni edifici di epoca protopartica a Nisa Vecchia (cd. Tempio Rotondo e Tempio a Torre), così come quella dell'edificio presso le mura di Nisa Nuova, è sembrata agli studiosi sovietici valida base per un'interpretazione in chiave cultuale, mentre manca un accordo sull'interpretazione del complesso scavato a Mansur Depe (II sec. a.C. ca. - III sec. d.C.), nei pressi di Nisa, che nel cosiddetto Tempio Nord-Occidentale presenta un ambiente quadrato con quattro colonne lignee, aperto a sud su un portico e isolato dall'esterno da un corridoio, analogo secondo G.A. Koshelenko al tempio di Bard-i Nishanda e ai posteriori templi di Penjikent in Sogdiana; anche per il cosiddetto Tempio Principale dello stesso sito, caratterizzato peraltro da una planimetria del tutto simile a quella delle dimore nobiliari della Battriana, il fatto che l'ingresso all'ambiente centrale sia spostato a sud rispetto all'asse principale è stato interpretato in chiave ritualistica, come espediente per impedire alla luce del sole di penetrare all'interno della presunta cella (cioè l'ambiente centrale), in modo analogo al Tempio di Shamash a Hatra. Problematica è anche l'interpretazione dei tre "edifici cruciformi" portati alla luce a Shahr-i Qumis, nel Nord-Est dell'Iran, per i quali è stata proposta una funzione cultuale, almeno nella prima fase del sito, basandosi però solo sul rinvenimento di un braciere in uno dei tre edifici. Parimenti manca oggi documentazione sull'edificio scavato negli anni Trenta del Novecento sul tepe di Chashma-i Ali a Rayy, datato tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. sulla base delle monete qui rinvenute in un pozzo, definito dagli scavatori americani un edificio di culto. La maggior parte delle strutture templari portate alla luce nelle "terrazze sacre" dell'Elimaide è ascrivibile alla fase finale del periodo partico. A Masjid-i Sulaiman il tempio principale presenta una pianta di tipo mesopotamico: orientato a sud-est, ha cella e antecella con asse maggiore perpendicolare all'ingresso, aperte con due porte sulla grande corte quadrata su cui affacciano altri ambienti; questo blocco centrale, circondato da un corridoio che lo isola, ha l'ingresso principale disposto a nord-est, su un portico ove tre gradini corrono lungo la larghezza della facciata. Anche il secondo tempio mostra una pianta di ispirazione mesopotamica, orientata a sud-est, con una larga cella preceduta da un'antecella e da una piccola sacrestia, con altri ambienti a nord-est e sud-ovest; tre gradini corrono lungo la facciata esterna dell'antecella. Datato alla fine del II sec. d.C. è il tempio costruito nel santuario di Bard-i Nishanda, sulla terrazza inferiore: esso comprende un ampio ambiente quadrato con quattro colonne centrali, preceduto a nord-est da un portico con due file di otto colonne e circondato da tre vani di forma allungata non comunicanti tra loro ‒ quello in asse con l'ingresso verosimilmente costituente la cella ‒, con un quarto ambiente a nord-ovest, accessibile soltanto dall'esterno. Un importante complesso architettonico, ricco di testimonianze figurative (pitture e stucchi), che sembra risalire al periodo tardopartico (anche se poi vissuto ancora durante l'età sasanide), è quello di Kuh-i Khwaja, nel Sistan; esso comprende un tempio situato accanto ad un probabile edificio palaziale. Nel settore centrale, a quota sopraelevata rispetto alla corte antistante, si trova un čahār tāq (nucleo architettonico tipico dei templi del fuoco di epoca sasanide), circondato da un corridoio, con una scalinata d'accesso a due rampe parallele alla facciata, opposte e convergenti al centro: la presenza di un altare nel čahār tāq conferma la funzione templare. Per il periodo sasanide, è stata dimostrata l'infondatezza della teoria, formulata negli anni Quaranta e fino a ieri comunemente accettata, che voleva il tempio del fuoco articolato in una struttura aperta a baldacchino (čahār tāq) per l'esposizione del fuoco sacro ai fedeli durante i riti e in un piccolo ambiente chiuso adiacente ad esso per la conservazione del fuoco (ātešgāh): l'evidenza archeologica, al contrario, conferma l'ipotesi proposta da Herzfeld, sulla base delle evidenze testuali, secondo la quale il tempio del fuoco è costituito sempre da un edificio chiuso, in cui il čahār tāq è isolato dall'esterno da ambienti, īwān o corridoi. Sono tuttavia rilevanti le differenze tra i diversi monumenti portati alla luce, legate forse ad una gerarchia tra i fuochi o alle esigenze cultuali delle comunità di fedeli. I due complessi meglio noti, grazie alle indagini archeologiche, sono Takht-i Sulaiman e Turang Tepe, che per dimensioni e complessità planimetrica si collocano agli estremi opposti di tale gerarchia; il gran numero di čahār tāq di media dimensione resta invece conosciuto in modo incompleto, senza un'indagine archeologica che permetta di escludere o meno l'esistenza di mura perimetrali o che si tratti, come è probabile in molti casi, di rovine di monumenti islamici. Le incertezze sono accresciute dal fatto che la conquista islamica costrinse gli zoroastriani ad abbandonare in Iran le forme monumentali di architettura religiosa e a sostituirle con costruzioni di tipo domestico; non possono peraltro costituire un riferimento i templi costruiti dai Parsi dopo le migrazioni in India, influenzati più dalle nuove esigenze ritualistiche che non dalla tradizione architettonica precedente. Il più antico esempio di tempio del fuoco sasanide è il Takht-i Nishin di Firuzabad, datato all'epoca di Ardashir I (223-241 d.C.), un edificio con sala centrale di pianta quadrata su podio, coperto in origine da una cupola sorretta da quattro archi che incorniciano le pareti, nelle quali si aprivano passaggi verso altrettanti ambienti o īwān. Anche il grande complesso portato alla luce nell'angolo nord-ovest della città di Bishapur, considerato dai suoi scavatori il palazzo di Shapur I, potrebbe essere invece, secondo M. Azarnoush (1994), il tempio del fuoco di questo re, ricordato dalle fonti. Esso è incentrato su una grande sala centrale di pianta cruciforme, in origine cupolata, circondata da corridoi che la mettono in comunicazione con altri ambienti. Tra questi, a sudovest e a nord-est, sono rispettivamente una "corte con mosaici" e un "īwān a mosaici", in cui furono rinvenuti pavimenti a mosaico con figure femminili e motivi dionisiaci, ma che recentemente è stato proposto di attribuire ad una fase costruttiva anteriore a quella del complesso templare; a nord-ovest è un edificio semisotterraneo, costruito in muratura con paramento di blocchi di pietra squadrati e costituito da un ambiente o corte centrale di pianta quadrata di incerta copertura, circondato sui quattro lati da un corridoio voltato, che era possibile allagare grazie ad un sistema di canalizzazione, collegato al vicino fiume mediante paratie mobili inserite nelle soglie del grande spazio centrale. Numerosi elementi sembrano confermare la funzione religiosa del complesso: tra questi una lastra d'altare rinvenuta all'esterno della grande sala cupolata e la presenza dell'acqua nell'edificio semisotterraneo, che richiama Anahita, la dea delle acque; R.N. Frye (1989), al contrario, considera l'ambiente un locale per bagni, sulla base di confronti con strutture di epoca islamica. L'occorrenza di iconografie dionisiache nei mosaici, al contrario, deve essere valutata tenendo conto della nuova proposta di attribuzione stratigrafica di questi ultimi: se pertinenti al complesso, essi potrebbero trovare un confronto negli stucchi raffiguranti figure femminili ignude o drappeggiate, ma anche putti con grappolo d'uva, rinvenuti in un ambiente con probabile funzione religiosa nel complesso palaziale di Hajjiabad (Fars), datato al IV-V sec. d.C.; in tal caso essi offrirebbero una conferma a quanto proposto da J. Kröger, che vede nelle sale con decorazione a stucco, presenti in numerosi complessi architettonici di età tardosasanide, ambienti destinati alla celebrazione delle numerose feste del calendario zoroastriano. A Takht-i Sulaiman, nell'Azerbaigian iraniano, sulle sponde di un lago, è un tempio costruito sotto Khusraw I (531-579 d.C.) per il culto del fuoco Atur-Gushnasp, con strutture utilizzate anche in epoca islamica, racchiuso da una cinta fortificata. Troviamo qui due complessi distinti: un complesso minore, riconosciuto unanimemente come un tempio del fuoco, con sala cruciforme, dotata di zoccolo per l'altare del fuoco, al fondo della sala di preghiera e degli ambienti per le cerimonie; un complesso principale con tre sale cruciformi, al contrario del primo variamente interpretato come luogo di culto per il fuoco e per le acque, o come luogo di purificazione e di preghiera collegato al vicino tempio del fuoco. Anche il piccolo tempio del fuoco scavato a Turang Tepe, nel Nord-Est dell'Iran, datato al VII sec. d.C., presenta lo stesso schema, con sala cruciforme cupolata circondata da corridoi e ambienti. Oltre al tempio del fuoco di Kuh-i Khwaja nel Sistan, attivo ancora in epoca sasanide con modifiche planimetriche, bisogna ricordare il cosiddetto Chahar Qapu di Qasr-i Shirin, ultimo tempio del fuoco sasanide, attribuito a Khusraw II (591-628 d.C.), dove al centro del complesso è una sala quadrata a cupola, al termine di un asse non simmetrico, dietro due avancorti con ambienti laterali, con corti interne e corridoi. Accanto a questi edifici dello zoroastrismo, troviamo forme architettoniche diverse, tipiche di altre religioni, che vantavano una forte presenza in varie aree della regione iranica. Al cristianesimo nestoriano, diffuso in epoca sasanide in Mesopotamia, nella Susiana, nel Fars e nella Margiana, appartengono, oltre alle chiese di Veh-Ardashir e Hira: la chiesa nell'isola di Kharg, di pianta basilicale a tre navate, al centro di un ampio monastero con ambienti comunitari e celle per i monaci, la cui destinazione viene confermata dalle croci "nestoriane" modellate nella decorazione in stucco; le strutture di un monastero nestoriano scavate a Qasr-i Abu Nasr presso Shiraz; l'edificio rupestre con pianta a croce greca presso Darab (Fars orientale), poi trasformato in moschea (Masjid-i Sangi); la chiesa di Kharoba Koshuk in Margiana, a navata singola rettangolare allungata, e il cosiddetto Monastero Ovale di Merv. Si trovano inoltre nell'Azerbaigian iraniano alcuni importanti monasteri armeni, quali S. Taddeo (Kara Kilise) e S. Stefano sull'Arasse, la cui esistenza, documentata a partire dal X secolo, risale verosimilmente ad epoca più antica. In Margiana, hanno particolare importanza i due stūpa rinvenuti a Merv: il principale, all'angolo sud-est della città, fu fondato assieme all'attiguo monastero intorno al IV-V sec. d.C. e visse, con numerosi episodi di ricostruzione ancora non del tutto chiariti, sino al VII secolo, quando un nuovo stūpa, di cui fu individuato solo il diruto nucleo, fu costruito fuori le mura.

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L'architettura funeraria

di Pierfrancesco Callieri

I primi edifici funerari di aspetto monumentale sono costituiti in Iran dalle tombe dei sovrani achemenidi, in primo luogo quella di Ciro il Grande a Pasargade, nel Fars, nota nella tradizione locale come Qabr-i Madar-i Sulaiman e trasformata in moschea durante il periodo islamico mediante l'aggiunta di una peristasi di rocchi di colonna portati dal vicino Palazzo S (poi ricollocati nella posizione originaria dai restauri degli anni Settanta). La tomba, interamente costruita in blocchi di pietra, con tetto a doppio spiovente, presenta una camera di pianta rettangolare, posta su un alto basamento di sei gradoni, tre più alti e tre più bassi. Sul timpano anteriore è scolpita a basso rilievo una rosetta, probabile simbolo solare. Un'analoga tomba, non terminata, viene riconosciuta nel Takht-i Rustam, un plinto a due gradoni presso Persepoli, che E. Herzfeld attribuisce a Cambise II. Posteriore al V sec. a.C. o forse tardoachemenide è invece la tomba di Buzpar (Gur-i Dukhtar), che ricalca da vicino quella di Pasargade. Le altre tombe achemenidi a noi note sono rupestri e appartengono tutte al medesimo tipo: pur non essendo costruite ma scavate nella roccia, possono rientrare nell'architettura funeraria per la loro monumentalità. A Naqsh-i Rustam, non lontano da Persepoli, sono le quattro tombe di Dario I e dei suoi successori diretti, scolpite in un'alta parete rocciosa. La facciata ha uno schema a croce il cui braccio inferiore è totalmente liscio; quello orizzontale, al centro del quale si apriva la camera funeraria, raffigura una facciata di palazzo; nel braccio superiore è ritratto il re, su un podio sostenuto dai rappresentanti delle regioni dell'impero, che compie un rito di fronte ad un altare del fuoco, alla presenza della divinità, raffigurata come busto di figura barbata entro disco solare alato (Ahura Mazda o la "fortuna regale"), del Sole e della Luna. La camera funeraria, scavata nella roccia, presenta un vestibolo sul quale si aprono da uno a tre vani voltati, ciascuno contenente due o più letti rettangolari, che possono pertanto variare in numero da due a nove, forse in relazione al numero dei parenti stretti del re che avevano diritto a essere sepolti insieme a lui. Altre tombe, attribuite ad Artaserse II e Artaserse III, più una terza incompleta, che alcuni hanno attribuito a Dario III, ma che secondo altri presenta tratti stilistici più antichi, sono tagliate nella roccia del monte a Persepoli, con lo stesso schema cruciforme di Naqsh-i Rustam. Imita i modelli di Persepoli la tomba incompleta di Qadamgah, nel Fars, che non può essere anteriore al IV sec. a.C. e che è stata interpretata come la tomba di una grande famiglia della fine del periodo achemenide. Problematica è l'interpretazione funeraria delle due "torri" di Naqsh-i Rustam e di Pasargade proposta da alcuni. Tombe rupestri di aspetto monumentale sono quelle rinvenute nella Media (Qyzqapan, Dukkan-i Daud, Fakhriqa), che già Herzfeld aveva attribuito ai Medi: se lo schema iconografico sembra ricordare da vicino le tombe di Dario I e dei suoi successori, con una facciata di palazzo e una scena rituale con altare del fuoco, la presenza di capitelli di tipo ionico è stata indicata come uno dei principali indizi a favore di una datazione al IV o III sec. a.C. Allo stesso periodo è datata quella di Dau Dukhtar nel Fars, con quattro semicolonne con capitelli di tipo ionico e coronamento a merli crenelati. Nel periodo ellenistico, Ai Khanum attesta due mausolei entro le mura, entrambi in forma di piccolo tempio greco, uno dei quali dedicato a Kineas, uno dei fondatori della città. La necropoli di Nisa Nuova, sviluppatasi nella parte nord-occidentale della città attorno a quello che viene considerato un tempio, pur se estremamente danneggiata, attesta per l'epoca partica l'uso di monumenti di pianta rettangolare costruiti in mattoni crudi, comprendenti una o due camere funerarie coperte con volta, dalle pareti e dal pavimento rivestiti di un intonaco rosso. Nella necropoli di Merv, oltre a tombe di questo tipo, prive di aspirazioni monumentali, è stato portato alla luce un monumento funerario di pianta quasi quadrata, coperto con volta a cupola, collocato su una piattaforma artificiale, con apertura ad arco fiancheggiata da lesene. Non conosciamo con certezza le sepolture dei sovrani sasanidi. L'unica testimonianza archeologica comunemente considerata un monumento funerario è la grotta di Mudan presso Bishapur, con l'alta statua a tutto tondo di Shapur I. Recentemente L. Trümpelmann (1992) ha avanzato l'ipotesi, tutta da verificare, che dopo Ardashir I e Shapur I e fino a Hormizd II i primi re sasanidi abbiano riutilizzato per le proprie sepolture le tombe achemenidi di Naqsh-i Rustam, modificandole all'interno e aggiungendo sulla parete rocciosa i rilievi, che avrebbero appunto carattere funerario. Ardashir I avrebbe utilizzato invece il proprio palazzo di Qala-i Dukhtar presso Firuzabad; Shapur I avrebbe scelto inizialmente la grotta di Mudan, ma sarebbe poi stato sepolto proprio nella Kaba-i Zardusht di Naqsh-i Rustam, come confermerebbe il testo delle due iscrizioni fatte incidere qui dallo stesso re e dal gran sacerdote Kirdir; la tomba di Narseh sarebbe infine la torre di Paikuli, anch'essa recante un'iscrizione di questo re. Secondo una cronaca islamica, gli ultimi re sasanidi sarebbero sepolti invece a Ctesifonte, anche se il Tarash-i Farhad di Bisutun nella Media, mai ultimato, viene considerato il monumento funerario di Khusraw II. Secondo Trümpelmann, la struttura circolare di 80 m di diametro presso Sar Mashhad (Fars) chiamata Khandak, conservata in alzato per 7 m, sarebbe la prima "torre del silenzio", voluta dal gran sacerdote Kirdir che, alla fine del III sec. d.C., avrebbe istituzionalizzato l'uso dell'esposizione del cadavere, ordinando di conservare le proprie ossa nella nicchia rupestre a breve distanza dalla sua lunga iscrizione, sempre a Sar Mashhad. Uno dei due ipogei a sepolture multiple scavati nella roccia nell'isola di Kharg, nel Golfo Persico, presenta una monumentale facciata architettonica a lesene con capitelli corintizzanti e finestre cieche.

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