L'archeologia postmedievale e industriale

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'archeologia postmedievale e industriale

Marco Milanese

Un orientamento epistemologico univoco sui più recenti sviluppi della ricerca archeologica in termini di diacronia (archeologia postmedievale, archeologia industriale) non può a tutt'oggi essere individuato, in Italia come in altre nazioni europee. Fra i motivi, un modesto interesse di base per tali aspetti da parte degli archeologi, l'assenza di un dibattito scientifico mirato e il perdurante predominio istituzionale dell'archeologia classica, che continua ad inibire uno sviluppo realmente significativo anche della ben più consolidata archeologia medievale. Altre spiegazioni, certamente non accessorie, possono essere addotte, come la sostanziale assenza degli archeologi dall'archeologia industriale, che rimane invece terreno di ricerca per architetti e ingegneri. L'archeologia industriale viene generalmente praticata senza fare ricorso a un approccio di tipo archeologico nell'analisi dei resti degli impianti industriali e molti archeologi ne avvertono pertanto l'estraneità. Ostacoli a un riconoscimento dell'interesse per l'applicazione delle metodologie archeologiche ai secoli che seguono la fine del Medioevo provengono inoltre dagli storici, spesso scettici sul potenziale informativo di fonti archeologiche recenti, una critica in passato rivolta anche all'archeologia medievale, ma oggi in gran parte superata. La critica sull'opportunità di legittimare l'archeologia dei secoli più vicini a noi, spesso incentrata sull'abbondanza delle fonti già disponibili per la ricostruzione storica e sulla presunta ridondanza che ne deriverebbe, risulta inficiata dalla mancata considerazione che fonti di diversa natura, disponibili sullo stesso problema, producono inevitabilmente sempre conoscenze autonome e mai tautologiche. Sul problema delle definizioni si può affermare che la comunità scientifica internazionale identifica oggi nel termine Post- Medieval Archaeology la ricerca archeologica operata su siti e problemi prevalentemente collocabili nei secoli XVI-XVIII. Una certa prudenza a una più puntuale delimitazione cronologica è imposta dal riconoscimento che i limiti temporali identificabili dipendono in prevalenza da fattori locali, che devono essere valutati caso per caso e che non conducono quindi a soluzioni necessariamente univoche. Il termine cronologico recente dell'archeologia postmedievale è stato invece chiaramente indicato (all'atto della fondazione dell'inglese Society for Post-Medieval Archaeology) nell'inizio del processo di industrializzazione. Nel 1967 la fondazione della Società sancisce formalmente la nascita della disciplina, sottolineata contestualmente anche dall'uscita del primo numero della rivista Post-Medieval Archaeology, che ha superato oggi il trentesimo volume e che costituisce l'archivio delle ricerche sul campo operate in Gran Bretagna. Una definizione formulata in Francia negli anni Ottanta prevede invece l'abbattimento del limite cronologico recente dell'industrializzazione ed evita di identificarne uno differente. Anche in questo caso, la linea proposta ha portato alla nascita di un periodico (Revue d'archéologie moderne et générale) profondamente diverso da quello inglese, in quanto orientato prevalentemente al dibattito teorico piuttosto che alla ricerca sul campo, aspetto privilegiato dallo sperimentalismo anglosassone. In Italia le prime osservazioni di archeologia postmedievale sono state realizzate negli anni Sessanta e Settanta. La rifondazione delle metodologie d'intervento sul campo e la generale diffusione, nel decennio successivo, dell'archeologia urbana stratigrafica hanno imposto un confronto sempre più serrato con le parti "recenti" delle stratificazioni, che hanno iniziato ad essere considerate a pieno titolo documenti archeologici (anche se spesso valutate come fastidiose e inutili). Ne è conseguita tuttavia un'inevitabile frammentazione dei dati, prodotti da una strategia di raccolta dell'informazione che pertanto solo eccezionalmente si è mossa da esplicite domande storiografiche o è riuscita a evidenziarle. Per l'Italia il tentativo di uscire da questa situazione è stato il dichiarato intento del convegno Archeologia Postmedievale: l'esperienza europea e l'Italia (Sassari 1994), che ha posto le basi per la successiva nascita del periodico Archeologia Postmedievale. In questa sede si è espressa una definizione di ampio respiro di archeologia postmedievale, priva di significative barriere cronologiche recenti e che possa assumersi il compito di lavorare all'ipotesi non solo di un'archeologia dell'età moderna, ma anche a quella di un'archeologia dell'età contemporanea e degli aspetti dell'industrializzazione. Una linea distinta da quella che A. Carandini suggerì, alla fine degli anni Settanta, intervenendo sul tema della nascente archeologia industriale italiana, sottolineando la visione sincronica delle archeologie (medievale, postmedievale, industriale) e proponendo un'interpretazione dell'archeologia industriale come archeologia delle società che hanno conosciuto l'industrializzazione e il capitalismo. L'equivoco terminologico generato dalla definizione di archeologia industriale (in quanto archeologia) risiede principalmente nel mancato utilizzo delle metodologie archeologiche nel contesto di queste ricerche. Fermo restando il prevalente interesse dell'archeologia industriale per i monumenti industriali e la scelta di non tentare di trasformare la valenza semantica del termine "archeologia industriale", quale consolidatasi in Italia dai tardi anni Settanta ad oggi, si pone la necessità di una rifondazione dell'archeologia delle società capitalistiche, non limitata pertanto agli aspetti dell'industrializzazione, ma estesa anche al mondo rurale non industrializzato, la cui storia può essere letta ricorrendo a fonti materiali. Il termine "archeologia industriale" fu utilizzato invece per la prima volta all'inizio degli anni Cinquanta in Inghilterra, quando il processo di rinnovamento e di ricostruzione postbellica evidenziò con chiarezza che molte tracce delle industrie più antiche e delle loro infrastrutture sarebbero state cancellate. Fu in questa fase che si determinò, principalmente per opera di M. Rix, una visione dell'archeologia industriale ancorata alle testimonianze materiali della Rivoluzione Industriale inglese e fin troppo artificiosamente delimitata nel tempo alla ristretta cronologia compresa tra il 1760 e il 1830. Negli anni Cinquanta l'archeologia industriale inglese si affermò con lo spirito di una sorta di crociata, avente l'obiettivo di salvare le testimonianze di complessi industriali in demolizione; negli anni Sessanta si verificarono invece ulteriori e significative tappe, come la pubblicazione del volume di K. Hudson (Industrial Archaeology), la creazione del National Record of Industrial Monuments e, nel 1963, l'uscita del primo numero della rivista The Journal of Industrial Archaeology. Alla prima fase pionieristica è seguita pertanto, negli anni Sessanta e Settanta, una fase in cui si è consolidato l'intento descrittivo della disciplina e la preoccupazione di recuperare dati nel momento stesso della loro distruzione. Un terzo momento, a partire dal 1976, ha visto l'archeologia industriale inglese prendere le distanze dall'impostazione descrittiva e ricercare invece un contatto più diretto con la storia. È a partire da questi anni che l'archeologia industriale ha mosso i primi passi in Italia e altrove in Europa, con una discussione serrata sul tema della definizione del campo d'indagine tematica e cronologica della disciplina. Si tratta di un problema tuttora irrisolto, che vede definizioni orientate in senso sincronico e altre indirizzate alla massima apertura diacronica. Le definizioni ispirate ad un'interpretazione cronologicamente identificabile dell'archeologia industriale riconoscono nel periodo della Rivoluzione Industriale il punto di riferimento più significativo della disciplina (N.A. Cossons), pur evitando di fissarne limiti cronologici troppo angusti. A. Buchnan ha posto l'accento sulla centralità del monumento industriale e del suo significato storico complessivo, ma ha legittimato al contempo interessi di più lunga durata dell'archeologia industriale sul versante tecnologico, dalla preistoria ad oggi. Quest'ultimo modello, di natura tecnologica e sovrastorica, identifica l'archeologia industriale con un'archeologia tematica come la storia delle religioni (un "pericoloso orientamento diacronico", secondo A. Carandini), che deve comunque guardarsi dal rischio di non riuscire a storicizzare i propri risultati. Per quanto riguarda le tematiche dell'archeologia industriale, i principali settori indicati dalle varie classificazioni sono: 1) attività produttive collegate con le acque (concerie, cartiere, filande, mulini, frantoi); 2) attività produttive collegate con il fuoco (fonderie, fornaci per laterizi e per calce, vetrerie, carbonaie); 3) cave e miniere; 4) comunicazioni e trasporti (ponti, gallerie, darsene, stazioni); 5) villaggi operai; 6) paesaggio industriale; 7) industrie alimentari. Le classi tematiche così formulate, pur essendo particolarmente esplicite, presentano il rischio che un'adesione troppo automatica a tali proposte possa produrre osservazioni e descrizioni limitate ai singoli manufatti industriali, senza sviluppare la capacità di studiarne le relazioni e di approdare pertanto ad una più efficace archeologia dei sistemi produttivi. Un'ultima caratteristica, comune sia all'archeologia postmedievale sia all'archeologia industriale, è la necessità di lavorare utilizzando fonti di differente natura in modo integrato. Le fonti orali, gli approcci etnostorici ed etnoarcheologici, gli archivi delle industrie e le fonti scritte in genere, nonché la cartografia storica, producono informazioni tra loro diverse che concorrono, con le fonti materiali elaborate nelle indagini archeologiche, alla costituzione di un quadro interpretativo più completo. Tale quadro, se costruito in modo attendibile, può servire da terreno di verifica, controllo e sperimentazione per le altre archeologie più povere di fonti non materiali. In Inghilterra più di un trentennio di ricerca archeologica postmedievale ha evidenziato la possibilità di produrre informazioni che interessano un ampio spettro tematico, riguardante il mondo rurale, quello urbano, le chiese, le fortificazioni, i porti e le comunicazioni, i relitti sommersi, la produzione e le fonti di energia. La ricerca delle relazioni tra le attività viene sempre sottolineata per cogliere i significati storiografici complessivi ed evitare i pericoli di un approccio di taglio antiquariale o di eccessivo descrittivismo. Così gli spazi rurali sono sottoposti a indagini mirate allo studio dei sistemi dei campi, dei boschi da taglio, degli impianti di trasformazione del legno (come le carbonaie), degli edifici rurali, delle ghiacciaie. Ciascuno di questi problemi vede impegnati ricercatori specializzati che hanno prodotto studi monografici significativi, come quelli sulle ghiacciaie, censite a centinaia sul suolo inglese. Il problema del notevole sviluppo delle città viene affrontato analizzando sia i processi di trasformazione degli edifici medievali, sia le zone suburbane e i quartieri produttivi che vi si erano stanziati. Ricerche specifiche su edifici ecclesiastici, oltre a caratterizzare le trasformazioni nel tempo causate dalla crescita demografica, hanno consentito, come a Bristol (Saint Augustine-the-Less) e a Londra (Spitafields), di indagare articolati complessi sepolcrali databili tra XVIII e XIX secolo e di recuperare ampi campioni di resti umani. Relitti, sia di battelli fluviali sia di navi vere e proprie, costituiscono contesti chiusi di grande interesse, riconosciuti tali da un atto del 1973 (Protection Wrecks Act), che ne ha imposto la tutela. Un tema particolarmente caro alla ricerca anglosassone è quello delle produzioni rurali protoindustriali, che hanno inciso sensibilmente sui paesaggi e sulle risorse boschive. Un esempio significativo è quello delle produzioni di ceramica nello Staffordshire, che, a partire dalle originarie ubicazioni rurali, sono state capaci di sviluppare veri e propri centri urbani. L'industria del ferro è uno degli aspetti più indagati dall'archeologia postmedievale inglese: le trasformazioni del combustibile utilizzato tra 1500 e 1800, come quella dal carbone vegetale al carbon fossile avvenuta nel XVIII secolo, la tipologia delle fornaci e lo studio dei residui dei processi produttivi sono le principali tematiche analizzate. L'attenzione per un'analisi complessiva dei processi produttivi ha consentito di calcolare la superficie di bosco ceduo necessaria per il funzionamento di una fornace e di una forgia di grandi dimensioni (nella foresta di Dean: 5200 ha di bosco) o di piccole dimensioni (Sussex, Kent: 1600 ha). L'analisi delle sequenze e dei materiali in esse contenuti è stata focalizzata su ceramiche, vetri e pipe in terracotta, che, grazie all'enorme quantità di marchi di lavorazione, si sono segnalate come importanti indicatori cronologici. In Olanda, negli anni Ottanta e Novanta, un significativo sviluppo dell'archeologia urbana ha permesso il recupero di informazioni sulle città medievali e postmedievali. Le ricerche svolte ad Amsterdam per la costruzione dell'Auditorium negli anni 1980-82 hanno avuto per oggetto un intero quartiere urbano datato al XVII-XVIII secolo, del quale sono state scavate circa 150 abitazioni. Si è trattato di una vera e propria impresa archeologica, che ha restituito, in associazione con i resti delle case, gli scarichi di rifiuti domestici (oggetti in ceramica, vetro, cuoio, stoffa, metallo, legno, ossi), che hanno consentito di seguire al dettaglio differenze socio-economiche esistenti, sia nei modi costruttivi e di organizzazione degli spazi sia nella vita sociale. Fondato negli anni 1593-96, il quartiere fu completato nel 1625: è stato notato che le case di minori dimensioni si affacciavano su strade anguste e presentavano un uso significativo del legname, mentre quelle più spaziose registravano un largo impiego del laterizio ed erano in relazione con strade di maggiori dimensioni. La prevalenza di manufatti di produzione locale nelle case più povere o, nelle case più ricche, di vasellame d'importazione, nonché la presenza più o meno significativa di oggetti in vetro sono state considerate, anche sulla base delle fonti scritte, indicatori di stato sociale privilegiato. I corredi domestici sono stati datati con una scansione stretta di pochi decenni: vasellame in maiolica proveniente dalla Liguria era associato a manufatti in grès di area renana, porcellane cinesi e prodotti locali di uso più comune. Gruppi di oggetti secenteschi datati alla produzione hanno consentito di stabilire e di verificare le cronologie attribuite ai reperti, mentre manufatti più rari hanno informato su aspetti più specifici della vita quotidiana, come l'illuminazione, il fumo o anche la presenza di determinate comunità religiose o etniche, come ad esempio quelle ebraiche. Anche nel caso dell'Italia è nel contesto di scavi e ricerche di archeologia urbana che, a partire dagli anni Settanta e Ottanta, si sono verificati i primi sviluppi dell'archeologia postmedievale nazionale, in concomitanza con la progressiva adozione dei metodi dello scavo stratigrafico, con una distribuzione disomogenea degli interventi sul campo, che risultano prevalentemente concentrati nel centro-nord del Paese. La strategia di progettazione dei cantieri italiani in cui si sono realizzate indagini su contesti postmedievali coincide sempre con esigenze di tutela (si tratta pertanto di scavi preventivi o di salvataggio) e solo un numero irrisorio di ricerche è stato realizzato in seguito ad una progettazione operata in assenza di rischi immediati sui depositi. Interessi specifici si sono concentrati sul tema dei manufatti ceramici e (come ad es. nello scavo romano della Crypta Balbi o in quello genovese di San Silvestro) sulle variazioni crono-tipologiche dei reperti nelle sequenze di insediamenti monastici. Su questa scia, anche il problema delle fornaci ceramiche e dei contesti produttivi (scarichi di fornace) ha più di recente stimolato qualche ricerca programmata, prevalentemente in Liguria, Toscana, Emilia e Lazio. In Liguria, già a partire dagli anni Sessanta, sono stati eseguiti scavi stratigrafici urbani, con un'ottica diacronica globale: è particolarmente nel contesto dell'archeologia urbana genovese che si possono dunque identificare i primi interventi di archeologia stratigrafica postmedievale. L'esempio forse più noto è quello del sito pluristratificato di San Silvestro sulla collina di Castello, sede dell'oppidum preromano dal 500 a.C. e in seguito occupato senza significative cesure fino ad oggi. Le fasi postmedievali di questo sito, vera e propria fucina di metodologie archeologiche negli anni Settanta e Ottanta, sono rappresentate da un convento di monache domenicane che, nella seconda metà del XV secolo, riorganizzò i corpi di fabbrica del preesistente Palazzo del Vescovo. Sempre a Genova si possono segnalare le ricerche realizzate in occasione del restauro di Palazzo Ducale, svolte con un'attenzione rivolta sia ai depositi sepolti sia alla lettura stratigrafica degli elevati. La più significativa esperienza di archeologia subacquea postmedievale è lo scavo sistematico di un'imbarcazione (carica di ceramiche prodotte in area savonese) naufragata nelle acque di Varazze nel corso del XVII secolo, mentre gli interventi di archeologia rurale risultano ancora assolutamente occasionali. Vicende non del tutto differenti, anche se con percorsi e caratteri autonomi, sono identificabili in altre regioni, fra cui la Toscana, dove alcune ricerche preventive svolte negli anni 1976-77 al Palazzo Pretorio di Prato hanno permesso di indagare contesti postmedievali ricchi di reperti ceramici, la cui edizione è a tutt'oggi un punto di riferimento per lo studio della ceramica postmedievale della Toscana settentrionale. L'interesse per uno studio sistematico delle produzioni di Montelupo Fiorentino, centro produttivo situato nel medio Valdarno non distante da Firenze, supera la stretta dimensione locale o regionale, a causa dell'enorme diffusione delle sue maioliche nei contesti archeologici di ampi settori del Mediterraneo e dell'Europa settentrionale tra il XVI e il XVII secolo. La presenza, nei contesti archeologici regionali, di merci identificabili rispetto ai luoghi di produzione, come le maioliche liguri rinvenute in Toscana, descrive le vie preferenziali seguite dalle importazioni nella regione tra XVI e XVIII secolo; le merci erano infatti probabilmente trasportate percorrendo l'Arno su piccole imbarcazioni e scaricate nei diversi approdi presenti tra il porto di Pisa e Firenze. Recenti ricerche sono state indirizzate (in Toscana come in altre regioni) verso settori particolari, come gli impianti per la produzione e la conservazione del ghiaccio, quella del carbone, dei laterizi o della calce. Si tratta di settori manifatturieri riferibili spesso a sistemi produttivi rurali, integrati e bilanciati nello sfruttamento delle risorse (come le materie prime combustibili), presenti sul territorio e inseribili in strategie differenziate di produzione del reddito (definibili di "pluriattività"), nelle quali la manodopera ruotava stagionalmente nei differenti settori produttivi previsti dalle risorse del territorio.

Bibliografia

K. Hudson, Industrial Archaeology: an Introduction, London 1963; M. Rix, Industrial Archaeology, London 1967; F. Borsi, Introduzione all'archeologia industriale, Roma 1978; A. Carandini, Archeologia industriale, in Ricerche di Storia dell'arte, 7 (1979); B. Trinder, The Blackwell Encyclopedia of Industrial Archaeology, Oxford 1992; M. Milanese (ed.), Archeologia Postmedievale: l'esperienza europea e l'Italia. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Sassari, 17-20 ottobre 1994), Firenze 1997.

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