L'archeologia delle pratiche cultuali. Oceania

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'archeologia delle pratiche cultuali. Oceania

Gaetano Cofini

I luoghi e gli oggetti del culto

I luoghi

Il riconoscimento di spazi e ambienti destinati al culto o alle cerimonie deriva generalmente dall'identificazione di strutture, manufatti e tracce non direttamente collegabili a funzioni utilitarie e con evidenti connotazioni simboliche. P.V. Kirch ipotizza ad esempio una tale destinazione per un ambiente identificato nel villaggio Lapita di Talepakemalai (Mussau, Arcipelago di Bismarck), datato tra il 1600 e il 500 a.C. circa, al cui interno si trovavano frammenti vascolari decorati da disegni di volti umani, ornamenti pregiati di conchiglia e una scultura antropomorfa in osso. Analogamente, un cumulo di pietre e di gusci di Tridacna rinvenuto in un'abitazione del sito di Nenumbo (Isole del Reef ) viene interpretato come un possibile santuario domestico. La religiosità delle popolazioni polinesiane è testimoniata dai monumentali templi edificati a partire dai primi secoli del II millennio d.C. Le fonti storiche e le ricognizioni di superficie segnalano tuttavia aree sacrali minori riservate ai riti di singoli nuclei familiari o lignaggi. Nelle Isole Hawaii, particolari località del territorio erano marcate dalla presenza di un ortostato, solitamente una grossa pietra oblunga levigata dall'acqua intorno alla quale erano deposti spesso frammenti di corallo offerti a Kane, una delle divinità del Pantheon hawaiano. A Kawela (isola di Molokai) è stata osservata una corrispondenza tra la distribuzione spaziale di questi luoghi di culto e quella delle unità residenziali. Contrariamente ad altre popolazioni della regione, i Maori della Nuova Zelanda non eressero grandiosi complessi religiosi. Per il momento si conoscono piccoli santuari in cui compaiono uno o più ortostati di pietra o di legno, come quello riconosciuto nell'insediamento fortificato (pa) di Aotea (Isola del Nord), dove con probabilità si concentravano le attività religiose del gruppo. Le indagini effettuate nella palude sottostante il pa di Kauri Point (costa orientale dell'Isola del Nord) documenterebbero la funzione rituale di un settore delimitato un tempo da un recinto di assi, in uso a partire dal 1500 d.C. circa. I depositi saturi d'acqua hanno restituito numerosi manufatti, tra cui armi e utensili, flauti, figurine antropomorfe, contenitori, cordame, stuoie, circa 200 pettini e migliaia di schegge d'ossidiana. La tipologia dei reperti, alcuni intenzionalmente spezzati, e le tracce consistenti d'ocra hanno suggerito pratiche rituali, come la scarificazione o il taglio dei capelli. La particolare collocazione degli oggetti rimanda inoltre ad altre aree sacrali, in cui si celebravano riti per rimuovere alcune interdizioni. In Australia, gli spazi cultuali e le aree cerimoniali erano frequentemente demarcati da tumuli di terra e da allineamenti e circoli di pietre. Tali strutture, rinvenute in prevalenza nelle regioni orientali (Nuovo Galles del Sud e Queensland), potevano rappresentare anche la personificazione di esseri totemici. I circoli di pietre, noti come bora rings, delimitavano superfici variabili da pochi metri quadrati ad alcuni ettari; essi sarebbero da porre in relazione con riti d'iniziazione maschile. Solo intorno a Brisbane ne sono stati identificati 62; molti altri sono ubicati nelle zone orientali del Nuovo Galles del Sud. Un terrapieno circolare scavato da D. Frankel a Sunbury, non lontano da Melbourne (Victoria), aveva al centro un piccolo tumulo lapideo, mentre la superficie circostante era cosparsa di schegge litiche, utilizzate forse per il taglio dei capelli.

Gli oggetti

Recenti studi ipotizzano una funzione simbolico-rituale per i vasi Lapita che esibiscono le elaborate decorazioni a punteggio. Negli antichi repertori dello stile Far Western (Arcipelago di Bismarck) il motivo ornamentale dominante è costituito da un volto umano. P.V. Kirch suggerisce la possibilità che questi manufatti (prevalentemente ciotole e piedistalli fittili) fossero considerati personificazioni di esseri umani, in particolare di progenitori realmente esistiti o deificati, e venissero utilizzati nel corso di rituali. Tale funzione potrebbe essere estesa alle figurine antropomorfe rinvenute insieme a questo vasellame nei siti di Talepakemalai e Kamgot (Arcipelago di Bismarck). Le affinità tra le decorazioni antropomorfe Lapita e le figure di antenati scolpite nelle moderne dimore austronesiane potrebbero derivare da un patrimonio comune di credenze che trae origine dall'organizzazione delle antiche società austronesiane. Nel tumulo funerario di Namu (Taumako, Isole Salomone), in uso tra il 1530 e il 1700 d.C., sono stati rinvenuti due pendenti, forse di madreperla, lavorati a traforo; entrambi parrebbero raffigurare un essere acefalo con arti inferiori umani e corpo di uccello. Gli oggetti, deposti nelle sepolture di un uomo e di una giovane donna, documenterebbero così l'antichità del culto dell'uomo-uccello, assai diffuso nella regione polinesiana e in particolare nell'Isola di Pasqua. Vi è inoltre la possibilità che essi rappresentino un'antica variante naturalistica dei più recenti pettorali (kapkap e altri ornamenti simili), lavorati in carapace di tartaruga e applicati su dischi di Tridacna, osservati in epoca storica nelle Isole di Santa Cruz. Internamente ai complessi religiosi polinesiani (marae) erano eretti ortostati di dimensioni variabili in ricordo di capi e sacerdoti defunti. Si riteneva che essi fossero in grado di assorbire e conservare autorità e prestigio (mana) dai personaggi che commemoravano. Immagini antropomorfe scolpite su blocchi cilindrici di pietra o di legno, molte delle quali con evidenti connotati fallici, costituivano inoltre la rappresentazione di esseri divini correlati con la fertilità e la procreazione. Tali immagini potevano essere collocate anche in luoghi connessi con le attività predominanti dei gruppi polinesiani. In Nuova Zelanda statuine raffiguranti Rongo, dio dell'agricoltura e della pace, e Pani, divinità femminile creatrice dei primi tuberi di kumara (Ipomoea batatas), erano collocate nei terreni coltivati allo scopo di proteggere e di favorire la crescita delle piante. Uno degli oggetti di culto maggiormente diffusi nelle collezioni museali è certamente l'hei-tiki dei Maori. Sebbene non si segnalino ritrovamenti nel corso di scavi archeologici, la sua origine preistorica è attestata, insieme a quella di un altro pendente (rei puta), dalla documentazione raccolta nei viaggi di J. Cook (1769-77). L'hei-tiki, lavorato prevalentemente in nefrite (pounamu), ritrae un essere antropomorfo grottesco, identificato con il progenitore divino di molte tribù Maori, ma anche con la personificazione degli organi genitali maschili. Questo amuleto aveva la proprietà di trasmettere mana alla persona che acquisiva il diritto di possederlo. La grande diffusione in epoca storica degli hei-tiki si spiega con l'interesse mostrato dagli Europei verso queste figurine, che venivano scambiate con utensili in metallo. Il secondo oggetto è un pendente in avorio di balena (rei puta) sul quale compaiono due occhi stilizzati o, nella variante meridionale, un volto inciso; sconosciuto, tuttavia, è il significato magico-simbolico attribuitogli dalle popolazioni Maori.

Bibliografia

W. Shawcross, Kauri Point Swamp. The Ethnographic Interpretation of a Prehistoric Site, in G. de G. Sieveking - I.H. Longworth - K. Wilson (edd.), Problems in Economic and Social Archaeology, London 1976, pp. 277- 305; P.V. Kirch, Feathered Gods and Fishhooks, Honolulu 1985; J.M. Davidson, The Prehistory of New Zealand, Auckland 1987²; J.M. Davidson - B.F. Leach, Bird-Man Amulets and Tridacna Shell Discs fr om Taumako, Solomon Islands, in A. Pawley (ed.), Man and a Half. Essays in Honour of Ralph Bulmer, Auckland 1991, pp. 478-83; P.V. Kirch, The Lapita Peoples, Oxford 1997; D.J. Mulvaney - J. Kamminga, Prehistory of Australia, Sydney 1999.

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