L'archeologia del Medio Oriente: Iran e Asia Centrale

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'archeologia del Medio Oriente: Iran e Asia Centrale

Pierfrancesco Callieri

Iran

L'antica Persia iniziò ad attrarre l'attenzione dei viaggiatori occidentali già dal periodo medievale, ma un interesse antiquario di tipo scientifico per questa regione si sviluppò solo nel corso del XVIII secolo. Gli studi si rivolsero sia all'esame delle fonti scritte (traduzione dell'Avesta da parte di A.-H. Anquetil-Duperron e decifrazione delle iscrizioni partiche e medio-persiane di epoca sasanide condotta da A.-I.-S. de Sacy), sia alle testimonianze architettoniche (prima descrizione scientifica delle rovine e delle iscrizioni di Persepoli da parte di C. Niebuhr e loro interpretazione da parte di J.G. Herder). La prima metà dell'Ottocento vide ulteriori ricerche sul campo, con gli studi e i disegni di sculture e monumenti eseguiti da sir Robert Ker Porter (1817-19), Ch. Texier (1839), E. Flandin e P. Coste (1840-41) e con le indagini dell'ufficiale britannico sir Henry Creswicke Rawlinson sul rilievo con iscrizione di Dario I a Bisutun (1836-39), che confermarono la decifrazione delle iscrizioni cuneiformi di Persepoli da parte di G.F. Grotefend (1802). Vere e proprie indagini con scavi presero l'avvio alla metà del XIX secolo, restando tuttavia confinate all'area della città di Susa, nell'antico Elam, appendice della pianura mesopotamica, fino al primo decennio del XX secolo. Ai primi scavi dell'inglese sir William Kennett Loftus (1851-53) fecero seguito le campagne di M. Dieulafoy (1884-86), seguite a partire dal 1889 dalle attività di J. de Morgan. Questi ottenne nel 1894 il monopolio della Francia su ogni ricerca archeologica in Persia (durato con poche deroghe fino al 1931), che portò nel 1897 alla creazione della prima missione archeologica straniera stabile in questo Paese: la Delegazione in Persia, che con diversi nomi continuò ininterrottamente le sue attività sino al 1939 e poi dal 1946 al 1979. La Delegazione francese, forte del suo monopolio, estese l'attività dalla Susiana ad altre aree: Azerbaigian orientale, Gorgan, Rayy presso Teheran, Hamadan in Media e Bushehr sul Golfo Persico. Fino agli anni Trenta tuttavia queste ricerche ebbero un fine prevalentemente antiquario, limitato al recupero di reperti in buono stato di conservazione. Lo scavo di un sito protostorico quale Tepe Giyan (1931- 32) da parte di R. Ghirshman e G. Contenau, seguito da quello di Tepe Siyalk (1933-37), è considerato l'avvio di una ricerca archeologica con finalità più propriamente scientifiche, anche se i metodi di scavo seguiti non furono certo esemplari. L'interesse crescente di archeologi di altri Paesi per la protostoria dell'Iran è dimostrato dagli scavi americani a Tepe Hissar (1931-32), a Tall-i Bakun (1932), a Turang Tepe e a Chashmai Ali (1934-36), ancorché dagli scavi svedesi a Shah Tepe (1933). Oltre che alla pre- e protostoria, gli Statunitensi si dedicarono anche a siti di epoca storica, quali Qasr-i Abu Nasr (1932-34), Istakhr (1932-37), Nishapur (1934-36) e Chal Takhan (1934- 36), e condussero la prima ricognizione aerea nella regione dei monti Zagros (1935-36). Alla breve durata di queste iniziative si contrappose l'attività di E.E. Herzfeld, che, già attivo dal 1897 al 1910 e poi dal 1923 al 1925 con numerose campagne di esplorazione su tutto l'altopiano, condusse imponenti scavi prima nel 1928 a Pasargade e nel 1929 a Kuh-i Khwaja, poi dal 1931 al 1939 a Persepoli in qualità di direttore di una missione americana. Né va dimenticata l'opera del grande esploratore ungherese-britannico sir Aurel Stein, che dopo le ricognizioni nel Sistan (1915) tornò nel Baluchistan, nel Fars e nell'Iran occidentale (1932-36). Purtroppo la qualità di tutte queste attività, da un punto di vista metodologico, fu, con rare eccezioni, estremamente bassa, soprattutto se confrontata con quanto era stato raggiunto non solo in Europa, ma anche nel Vicino Oriente. Se infatti l'epoca può in parte giustificare un approccio non propriamente stratigrafico, non altrettanto può dirsi della scarsa attenzione nella individuazione e nel rilievo delle strutture, frequentemente in crudo, e l'approssimazione descrittiva dei rapporti di scavo. Gli scavi di Persepoli, in particolare, così come altri scavi di E. Herzfeld, restarono a lungo inediti, fino a che E. Schmidt non intraprese negli anni Cinquanta la pubblicazione dei tre volumi di rapporto, encomiabile per il tentativo di colmare le numerose lacune delle campagne di scavo, ma certo non esauriente. Così anche i rapporti pubblicati da R. Ghirshman sugli scavi a Bishapur (1935-41), Bard-i Nishanda (1948) e Masjid-i Sulaiman (1948), nonostante la ricchezza della documentazione grafica e fotografica, mostrano appieno i limiti di analisi interpretative tentate senza una solida base oggettiva. Ancora una volta, a portare una maggiore attenzione verso le metodologie di scavo fu la ricerca pre- e protostorica, che a partire dalla fine della seconda guerra mondiale iniziò a diffondersi sulla scia del consistente arrivo sul mercato antiquario di vasellame ceramico proveniente da scavi clandestini nel Nord del Paese, assieme al moltiplicarsi delle missioni straniere. Scavi britannici a Geoy Tepe (1948) e poi a Yanik Tepe (1960), belgi a Khurvin (1954), giapponesi a Tall-i Bakun (1956), statunitensi a Hasanlu (1957), francesi a Turang Tepe (1960), si affiancarono a scavi iraniani a Hasanlu (1947), Khurvin (1950) e Marlik (1961). Ma anche siti di epoca storica, quali Takhti Sulaiman (missione tedesca dal 1959) o Pasargade (missione britannica nel 1961-63), furono oggetto di scavi sempre più attenti. L'Italia fu presente con l'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, che per volere di G. Tucci avviò nel 1960 ricerche nel Sistan: dapprima in siti di epoca achemenide (Dahan-i Ghulaman) e partica (Qala-i Sam, Kuh-i Khwaja), quindi nell'insediamento protostorico di Shahr-i Sokhta (dal 1967). Gli anni Settanta hanno visto una proliferazione delle missioni straniere, ma anche un crescente impegno del regime dei Pahlavi verso l'archeologia, non privo di motivazioni ideologiche. La ricerca sul campo è stata stimolata dalla creazione del Centro Iraniano per la Ricerca Archeologica nell'ambito del Servizio Archeologico e dalle ricerche promosse dall'Università di Teheran sotto la guida di E. Negahban. La rivoluzione del 1978-79 ha causato un arresto improvviso di questo interesse, anche se le vestigia archeologiche non hanno subito alcun danno. Sono cessate tuttavia le attività sul campo, mentre le missioni straniere sono state costrette a interrompere le loro attività e a chiudere le proprie sedi. È stata invece gravida di conseguenze nefaste la guerra con l'Iraq (1979-88), che ha portato non solo alla distruzione di numerosi siti archeologici nelle aree dove si svolgevano i combattimenti, ma anche al pressoché completo abbandono della cura del patrimonio archeologico. La lunga inattività della ricerca sul campo ha tuttavia avuto un risvolto positivo. La sosta forzata ha reso possibile, anzi imposto, un ripensamento sulle attività passate: si scava ora nei vecchi rapporti di scavo, di cui sono evidenziate incongruenze e mancanze, e si mettono in luce le fragilissime basi di gran parte delle interpretazioni delle testimonianze archeologiche dell'Iran. Dopo la fine delle ostilità con l'Iraq e dopo l'avvio della ricostruzione, l'Iran degli ayatollah non mostra una chiusura verso il passato preislamico e le attività della Organizzazione per i Beni Culturali ora preposta alle antichità riprendono con vigore.

Asia centrale

Del vasto ed eterogeneo territorio centroasiatico, caratterizzato da forti differenziazioni climatiche e ambientali, la ricerca archeologica va restituendo un quadro altrettanto complesso e variegato sotto il profilo culturale. L'avvio dell'esplorazione archeologica dell'Asia Centrale è strettamente legato all'interesse sorto già nel XVII secolo negli studiosi russi ed europei per le antiche culture nomadi delle steppe eurasiatiche. Al 1763 risale lo scavo del primo kurgan scitico, ad opera di un generale dell'esercito, A.P. Melgunov, presso la città di Kirovograd. Molti altri kurgan furono scavati nel corso dell'Ottocento, spesso da archeologi dilettanti, ma anche da professionisti quali I.E. Zabelin e N.I. Veselovskij. Oggetto di indagine furono soprattutto le tombe dell'aristocrazia, per la ricchezza dei loro corredi. L'interesse per le culture dei popoli delle steppe crebbe in seguito al ritrovamento, nella zona di Takht-i Kubad, del cosiddetto Tesoro dell'Oxus (oggi appartenente al British Museum): gli splendidi esemplari di oreficeria achemenide mostravano forti influssi di quella che, con un eccesso di semplificazione, verrà definita "arte scitica". Si era poi manifestato un interesse per le aree di cultura sedentaria delle regioni più meridionali dell'Asia Centrale e già prima della conquista russa dell'emirato di Bukhara e dei khanati di Khiva e Kokand, una spedizione guidata da P.I. Lerch aveva iniziato nel 1867 scavi nel sito di Jankent, sul basso corso del Sir Darya. L'espansione politica russa nella regione, con la conseguente presenza di militari in quelle aree, portò alle prime raccolte di reperti archeologici e di notizie sui monumenti antichi; furono proprio ufficiali dell'esercito russo a iniziare gli scavi ad Afrasiab, il sito dell'antica Samarcanda, nel 1875. La massiccia colonizzazione che seguì la conquista fu accompagnata dall'opera di studiosi che rivolsero i loro interessi in modo sistematico allo studio del passato dell'area, pur se con una spiccata predilezione per il periodo islamico. L'orientalistica russa poteva finalmente disporre liberamente dei nuovi territori, utilizzando quelle metodologie d'indagine che le esperienze nella paletnologia, nello studio dei primi stanziamenti slavi e nelle ricerche sulle città greche della costa del Mar Nero avevano portato ad un livello analogo a quello degli altri Paesi europei. Tra la fine dell'Ottocento e la Rivoluzione di Ottobre scavi archeologici furono condotti ad Afrasiab e a Merv. Oltre al nascere di società archeologiche, prima quella di Tashkent nel 1894, e alla fondazione di musei, vanno ricordate anche missioni straniere, quali la spedizione dell'Università di Filadelfia diretta da R. Pumpelly nel Turkmenistan meridionale (1904-1905). Nelle regioni centroasiatiche a oriente del Pamir e del Tianshan, che oggi costituiscono la regione autonoma cinese del Xinjiang-Uygur, l'esplorazione archeologica conobbe il suo avvio alla fine del XIX secolo. Furono soprattutto le scoperte fortuite di manoscritti e di altri manufatti perfettamente conservati grazie al clima arido ad attirare l'attenzione di collezionisti e di studiosi britannici e russi a partire dal 1873. L'ultimo decennio del secolo vide le prime esplorazioni geografiche occidentali, tra cui le tre spedizioni dello svedese S. Hedin (1895- 99), e la prima spedizione archeologica del russo D.A. Klementz (1898). Nel 1900-1901 sir Aurel Stein condusse un'accurata ricognizione nella regione di Khotan, a cui fecero seguito le spedizioni del conte giapponese K. Otani a Kizil (1902-1903); dei tedeschi A. Grünwedel (1902-1903) e A. von Le Coq (1904- 1905 e insieme ad A. Grünwedel 1905-1907) a Turfan, Kocho, Bezeklik, Kizil e Kucha; dei russi V.V. Radlov e dei fratelli Berezovskij a Kucha (1906-1907); ancora di sir Aurel Stein a Loulan, Dunhuang, Miran e Turfan (1906-1908) e a Miran, Dunhuang, Karakhoto, Turfan e Astana (1913-15); del francese P. Pelliot a Tumshuk, Kucha e Dunhuang (1906-1909); dei giapponesi E. Namura e Z. Tachibana per conto di K. Otani a Kocho, Lop-nor, Niya, Khotan e Kucha (1908) e a Khotan e Dunhuang (1910); del finnico C.G. Mannerheim per conto del governo zarista (1906) a Khotan e Turfan; dei russi P.K. Kozlov a Karakhoto (1908-1909) e S.F. Oldenburg a Karashahr, Kucha, Bezeklik (1909-10) e a Dunhuang (1914) e di A. von Le Coq (1913-14). Diverse per finalità e metodi, dalle accurate ricognizioni scientifiche di sir Aurel Stein e S.F. Oldenburg alle affrettate raccolte degli avventurieri giapponesi, tutte queste spedizioni furono comunque accomunate dal desiderio di soddisfare le istituzioni finanziatrici con un bottino il più ricco possibile: alla ricerca di manoscritti si affiancò quella di antichità, non solo manufatti, ma anche le splendide pitture murali che frequentemente decoravano i monumenti meglio conservati. Questa frenetica opera di raccolta, in alcuni casi talmente brutale nei suoi metodi da potersi qualificare come un saccheggio, possibile per il disinteresse del governo di Pechino, portò alla formazione delle collezioni di arte centroasiatica nei musei di Nuova Delhi, Londra (British Museum), Parigi (Musée Guimet), Berlino, San Pietroburgo (Ermitage), Kyoto, Seul, Cambridge (Mass.: Fogg Art Gallery), Stoccolma (Museo Etnografico), Helsinki (Museo Nazionale). Tale opera di raccolta, interrotta parzialmente durante la prima guerra mondiale, riprese negli anni Venti con una spedizione statunitense (L. Warner a Karakhoto e Dunhuang, 1923) e si concluse solo negli anni Trenta, quando il mutato clima politico verso l'Occidente portò la Cina a chiudere del tutto l'accesso alla regione, dopo l'ultima spedizione a Niya di sir Aurel Stein, che dovette però lasciare in Cina le antichità raccolte, e la spedizione sino-svedese di S. Hedin e Huang Wenbi (1928 e 1932-33). Il destino del successivo cammino dell'archeologia nelle due aree dell'Asia Centrale, quella sovietica e quella cinese, fu profondamente influenzato dalle diverse condizioni politiche. Le travagliate vicende della Cina fecero sì che per più di un ventennio le attività archeologiche nel Xinjiang fossero estremamente limitate, per poi riprendere con maggiore impegno solo a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Il raggiungimento della pax sovietica negli anni Venti e la conseguente creazione delle cinque repubbliche centroasiatiche sovietiche furono al contrario l'inizio di un notevole impegno nel campo dell'archeologia. Gli anni Trenta videro un'intensa attività, avviata da A.A. Marushchenko a Nisa e Merv (1930), da A.Ju. Jakubovskij nell'oasi di Bukhara (1934), da M.E. Masson a Termez in Battriana (1936), da A.N. Bernshtam nel Kazakhstan meridionale (1936), da G.V. Grigorev nella regione di Samarcanda (1936) e da S.P. Tolstov nella Chorasmia (1937). Se con la seconda guerra mondiale l'attività archeologica fu quasi sospesa, dopo la fine del conflitto le ricerche ripresero con nuovo vigore. A centri quali l'Istituto di Storia della Cultura Materiale e l'Istituto di Archeologia dell'Accademia delle Scienze dell'URSS o il Museo dell'Ermitage dell'allora Leningrado si affiancarono gli analoghi Istituti di Archeologia e di Storia delle Accademie delle Scienze delle repubbliche centroasiatiche, le nuove università e i numerosi musei locali. In alcuni casi le missioni archeologiche in Asia Centrale divennero vere e proprie istituzioni permanenti, quali la Missione Archeologica Multidisciplinare del Turkmenistan meridionale (JuTAKE) guidata da M.E. Masson (dal 1946) o la Missione Archeologico-Etnografica della Chorasmia diretta da S.P. Tolstov (dal 1937) e la Missione Archeologica di Penjikent (Sogdiana), alla guida della quale si avvicendarono inizialmente A.Ju. Jakubovskij e A.M. Belenitskij. Di particolare rilievo furono le ricerche in Tagikistan, avviate in maniera sistematica dal 1946 dalla Missione Archeologica Sogdiano-Tagika, poi Tagika (dal 1952), articolata in diversi settori dal 1973. Negli ultimi decenni si è notevolmente approfondita la conoscenza dei popoli delle steppe, grazie ai lavori di S.P. Tolstov, B.A. Litvinskij, K.A. Akishev ed altri sulle popolazioni Saka e di M.P. Grjaznov, S.I. Rudenko, S.V. Kiselev e A.D. Grach nella Siberia meridionale. Alla concezione unitaria del mondo delle steppe, basata su una documentazione archeologica frammentaria e quasi esclusivamente di natura funeraria, si va ora sostituendo la consapevolezza di una realtà ben più complessa e multiforme. A ciò hanno contribuito importanti scoperte quali il kurgan di Issik nel Kazakhstan orientale e quelle di Arzhan nell'area di Tuva, unite a nuovi metodi di ricerca, che hanno prodotto significativi ampliamenti cronologici, geografici e strutturali della cosiddetta "cultura delle steppe". Rapidi progressi si sono registrati anche nel campo dell'archeologia preistorica, ad opera di V.A. Ranov, R.C. Sulejmanov, V.M. Masson, V.I. Sarianidi, A. Askarov, con la scoperta di numerose stazioni e singoli rinvenimenti a partire dal Paleolitico inferiore (Kuldara, Karatau, Lakhuti I, Ob-i Mazar). Di particolare rilievo sono gli scavi di Sarazm (Tagikistan occidentale), Namazga IV (Turkmenistan meridionale) e Sapalli Tepe (Uzbekistan meridionale), quest'ultimo in stretta correlazione con Dashli nella Battriana meridionale (Afghanistan settentrionale). Nel complesso, la storia recente delle ricerche archeologiche in Asia Centrale esprime un impegno di mezzi e di risorse umane forse senza confronto nel mondo moderno, che neppure la grave crisi economica degli anni Ottanta è riuscita a bloccare. Nonostante una marcata arretratezza nel settore tecnologico e informatico, come anche nella metodologia stratigrafica, l'archeologia sovietica in Asia Centrale poteva vantare una capillarità della ricerca sul campo estesa a tutti i periodi e a tutte le aree. A questa diffusione "orizzontale "della ricerca faceva riscontro la grande capacità di interpretazione di numerosi studiosi tra i quali G.A. Koshelenko, B.A. Litvinskij, B.I. Marshak, G.A. Pugachenkova e B.Ja. Staviskij. La dissoluzione dell'impero sovietico e l'indipendenza delle repubbliche centroasiatiche agli inizi degli anni Novanta hanno coinciso con la crisi della promozione delle attività archeologiche da parte del governo russo. A questo arretramento dell'archeologia russa in Asia Centrale ha fatto tuttavia riscontro la nuova apertura delle regioni centroasiatiche agli studiosi occidentali, che sono accorsi numerosi venendo incontro alle richieste dei governi locali di assistenza tecnologica e informatica, oltre che nel campo del restauro monumentale. Nel nuovo slancio alle ricerche nel settore dei beni culturali si è vista anche la partecipazione dell'UNESCO, che ha tuttavia preferito convogliare le risorse soprattutto verso eventi celebrativi, quali i congressi dedicati al tema della Via della Seta.

Bibliografia

Iran:

E. Flandin - P. Coste, Voyage en Perse pendant les années 1840- 1841, Paris 1843-54; E. Schmidt, Flights over Ancient Cities of Iran, Chicago 1940; A. Gabriel, Die Erforschung Persiens, Wien 1952; T.C. Young, s.v. Archaeology, I. Pre-Median: History and Method of Research, in EIran, II, 1987, pp. 281-88.

Asia Centrale:

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