VIDOR, King

Enciclopedia del Cinema (2004)

Vidor, King (propr. King Wallis)

Gaia Marotta

Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense, nato a Galveston (Texas) l'8 febbraio 1894 e morto a Paso Robles (California) il 1° novembre 1982. Tra i maggiori registi del suo Paese tra la metà degli anni Venti e la metà degli anni Trenta, quando realizzò impegnativi film di denuncia sociale, passò poi a film di genere, in cui sembrò adattarsi alla logica dell'industria hollywoodiana. Ottenne ebbe cinque nominations agli Oscar, ma un solo premio, alla carriera (1979); alla Mostra del cinema di Venezia vinse una Coppa come miglior regista per The wedding night (1935; Notte di nozze) e, anni dopo, un Leone d'oro alla carriera (1982). Della maggior parte dei suoi film fu anche sceneggiatore.

Figlio di un ricco imprenditore di origine ungherese, esordì nel cinema come operatore di cinegiornali nella città natale (1910), dove diresse anche tre cortometraggi documentari (1913-14) e due a soggetto (In tow, 1914; Fort Worth robbery, 1915). Trasferitosi a Hollywood, lavorò alla Universal Pictures (1915-16), prima come comparsa e contabile e poi come sceneggiatore. Dopo aver diretto una serie di cortometraggi pedagogici sul problema della delinquenza giovanile (1917-18), fu assunto da una piccola casa di produzione, la Brentwood Film Corporation, per la quale, a partire da The turn in the road, girò nel 1919 quattro lungometraggi di genere sentimentale; negli ultimi due recitò (come in quasi tutti gli altri suoi film fino al 1922) la moglie Florence. Con l'aiuto finanziario del padre, nel 1920 fondò la King W. Vidor Productions (cui poi affiancò la Florence Vidor Productions), e girò una decina di film dal tono fortemente predicatorio (V. era un attivo membro del movimento spiritualista Christian Science). Il loro insuccesso commerciale condusse l'azienda al fallimento, e nel 1922 V. passò alla Metro Goldwyn Mayer, per la quale avrebbe prevalentemente lavorato per il resto della sua carriera. Esordì con Peg o' my heart (Peg del mio cuore), dalla commedia di J.H. Manners, che fu anche il suo primo film di un certo valore, e a cui ne seguirono nei due anni successivi una decina, tutti melodrammi tratti da opere letterarie e caratterizzati da un'impostazione nettamente teatrale. Ma non poté esprimere una vera ispirazione personale fino a The big parade (1925; La grande parata), dal romanzo Plumes di L. Stallings: antiretorico e corale affresco sulla Prima guerra mondiale, è uno dei capolavori del cinema muto americano, di cui rappresentò anche uno dei maggiori successi commerciali. Divenuto celebre e influente, negli anni successivi V. alternò film su commissione ad altri più personali, di forte impatto umano e sociale e di grande impegno artistico. Tra i primi spiccano tre commedie di origine teatrale, The patsy (1928; Fascino biondo), Show people (1928; Maschere di celluloide) e Not so dumb (1930; Gabbia di matti), e un film sulla boxe, The champ (1931; Il campione). Tra quelli del secondo tipo, Hallelujah (1929; Alleluia!), film postsincronizzato, affronta senza nessun facile sentimentalismo e con profonda partecipazione il problema dei neri, mentre The crowd (1928; La folla), Street scene (1931; Scena di strada), dal dramma di E. Rice, e Our daily bread (1934; Nostro pane quotidiano) hanno come tema comune quello dell'uomo tra la folla, dell'everyman senza volto che vive una vita banale ed è schiacciato da una struttura sociale ed economica oppressiva.

Terminata la sua stagione più creativa, V. si dedicò esclusivamente alle opere di genere, interpretate da famosi divi e tratte spesso da celebri romanzi, che affrontò comunque sempre con elevata professionalità, diventando uno dei 'grandi artigiani' di Hollywood. Vanno ricordati almeno la commedia sentimentale The wedding night, i melodrammi Stella Dallas (1937; Amore sublime), da O.H. Prouty, Beyond the forest (1949; Peccato), da S. Engstrand, e The fountainhead (1949; La fonte meravigliosa), da A. Rand; i film storici So red the rose (1935; La rosa del Sud), da S. Young, e An American romance (1944; L'uomo venuto da lontano); i western The Texas rangers (1936; I cavalieri del Texas), da W. Prescott Webb, e il suo famoso, fiammeggiante Duel in the Sun (1946; Duello al sole), da N. Busch, e Man without a star (1955; L'uomo senza paura), da D. Linford; i drammi The citadel (1938; La cittadella), da A.J. Cronin, e H.M. Pulham, Esq. (1941; Il molto onorevole Mr Pulham), da J.Ph. Marquand; l'avventuroso Northwest passage (1940; Passaggio a Nord-Ovest), da K. Roberts; i kolossal War and peace (1955; Guerra e pace), da L.N. Tolstoj, e Solomon and Sheba (1959; Salomone e la regina di Saba), che fu anche il suo ultimo film.

Scrisse L'autobiografia (A tree is a tree, 1953) e un libro sull'arte registica (King Vidor on filmmaking, 1972).

Bibliografia

J. Baxter, King Vidor, New York 1976.

E. Comuzio, King Vidor, Firenze 1986.

R. Durgnat, S. Simmon, King Vidor, American, Berkeley 1988.

King Vidor, ed. N. Dowd, D. Shepard, Metuchen (NJ) 1988.

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