KAUSAMBI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

KAUŚĀMBĪ

G. De Marco

Antica città della valle del Gange, identificata con le rovine dell'attuale villaggio di Kosām, sulla riva sinistra della Yamunā, c.a 60 km a SO di Allahabad, nel distretto omonimo (Uttar Pradesh). Tra le città più famose dell'India antica K. è frequentemente menzionata nei Brāhmaṇa, nelle Upaniṣad, nei Purāna e nell'epica. E ricordata anche nella letteratura canonica o post-canonica buddhistica e nelle memorie di viaggio dei pellegrini cinesi Fa Xian e Xuan Zang che, visitandola rispettivamente nei secoli V e VII d.C., ne lasciarono la descrizione degli edifici buddhistici. Quanto all'origine di K., si è ipotizzato che la città derivasse il nome da quello del mitico Kuśa o Kuśāmba, discendente dei Kaurava-Paurava, che l'avrebbe fondata (secondo le fonti buddhistiche Kuśāmba sarebbe stato un saggio), o dagli alberi kuśa (Poa cynosuroides) tipici del luogo.

Storicamente, K. fu capitale del janapada dei Vamsa o Vatsa di Kāśi (cioè Benares), uno dei sedici «territorî» in cui era divisa la valle del Gange nel VI sec. a.C. Secondo le fonti buddhistiche, era una delle sei città più importanti dell'India settentrionale, tra quelle ritenute degne dallo stesso Buddha di accoglierlo al momento della sua morte. Il Buddha l'avrebbe visitata più volte soggiornando di volta in volta in uno dei cinque monasteri (Badarikārāma, Ghositārāma, Kukkuṭārāma, Pāvārikambavana e Siṃsapāvana) fatti costruire in suo onore dai più eminenti cittadini del luogo.

Il sito, identificato per la prima volta alla metà del secolo scorso da A. Cunningham che ne diede una prima descrizione, fu oggetto di una breve indagine archeologica nel 1937 da parte dell'Archaeological Survey of India. Solo a partire dal 1949, con scavi condotti pressoché ininterrottamente sino al 1962, K. è stata oggetto di ricerche sistematiche da parte dell'Università di Allahabad, sotto la direzione di G. R. Sharma.

Gli scavi hanno parzialmente portato alla luce i resti di un'area abitata che si estende su più di 20 km2, di cui un'ampia parte è cinta da un complesso sistema di difesa. La cinta di mura, rintracciata a E, Ν e O, si estende per c.a 6,5 km ed è costituita da mura in crudo, rivestite esternamente di mattoni cotti e precedute da un fossato. Non è chiaro se questo rivestimento sia contemporaneo o posteriore alle strutture in crudo. L'altezza delle mura è in media 10,7 m e in esse si alternano, a intervalli regolari, bastioni e torri di altezza variabile tra i 22 e i 23 m. Nelle mura si aprono inoltre undici porte di cui cinque (2 a E, 2 a N, 1 a O) erano quelle principali. Dal punto di vista costruttivo, di particolare interesse sono le porte principali: si è osservato, p.es., che la porta O e quella E sono poste su un tracciato che corre parallelo alla Yamunâ e che attraversa l'insediamento più antico. Secondo G. R. Sharma i depositi di occupazione del sito si sarebbero formati nel corso di venticinque fasi o «periodi strutturali» (SP1 - SP25), rappresentati in buona parte da semplici strati di terra, ciascuno dei quali sarebbe durato in media tra 70 e 75 anni. Datando al periodo dell'invasione indogreca (c.a 200 a.C.) uno strato di distruzione contenente punte di freccia di tipo indo-greco e attribuendo appunto la durata di 75 anni a ciascuno degli undici strati da lui individuati tra tale episodio e la fondazione del muro, Sharma propose di datare la costruzione del rivestimento in mattoni cotti al 1025 a.C. Delle fasi riconosciute, fatta eccezione per le prime due che sarebbero state antecedenti alla creazione del sistema di difesa e per l'ultima, posteriore all'ultimo periodo di difesa del centro, ventidue sarebbero associate a cinque diversi periodi costruttivi delle fortificazioni. Sharma attribuì queste fasi a quattro «periodi culturali» principali (PI - P IV): il primo (KauśāmbīI) andrebbe dal 1165 all'885 a.C. circa; il secondo (KauśāmbīII) dall'885 al 605 a.C. circa; il terzo (KauśāmbīIII) dal 605 al 45 a.C. circa; il quarto (KauśāmbīIV) dal 45 a.C. al 580 d.C. circa. Sharma cercava in tal modo di mettere in relazione la ceramica degli strati più antichi di K. con quella della valle dell'Indo, ma il tentativo di collegare la civiltà gangetica a quella vallinda è stato sottoposto a critica e non riconosciuto attendibile da parte di studiosi quali K. N. Dikshit, Κ. K. Sinha, A. Gosh, G. Erdosy e altri. La stessa cronologia proposta da Sharma è stata rivista. K. N. Dikshit ha dimostrato che la ceramica più antica di K. va in realtà attribuita, almeno in parte, al primo periodo storico (VI-V sec. a.C.), in parte addirittura a quello medievale. K. K. Sinha ha convincentemente dimostrato come le analogie strutturali tra il sistema difensivo di Harappā con quelle del primo periodo storico sono così generiche che risulta praticamente impossibile inferire qualsiasi tipo di continuità o prestito culturale. Ancora più approfondite sono le analisi critiche svolte da A. Gosh e soprattutto da G. Erdosy, il quale propone di ridurre gli undici «periodi strutturali» visti da Sharma nelle fortificazioni a non più di cinque. Egli riconduce infatti sei degli strati di Sharma (nn. 18-24) a un unico momento costruttivo, col quale si era inteso salvaguardare il rivestimento delle mura da possibili crolli. Anche il c.d. bastione secondario non sarebbe che una sostruzione. Queste e altre considerazioni relative al materiale rinvenuto nei livelli più antichi inducono Erdosy ad assegnare la costruzione del rivestimento a un periodo non anteriore al V sec. a.C. Le mura di K., quindi - nella loro imponenza - vanno datate al VII-VI sec. a.C., epoca a cui risalgono anche le mura delle altre capitali dei janapada (Ujjain, Rājagṛha, ecc.).

Tra le strutture venute alla luce ai piedi delle fortificazioni, all'esterno della porta E, degno di nota è il c.d. śyenaciti, o «altare dello sparviero» (così denominato per la sua forma di rapace), l'altare su cui in conformità col rituale descritto nello Śatapatha Brāhmaṇa venivano sacrificati cinque esseri viventi: un uomo, un cavallo, un toro, un ariete e un capro. L'interpretazione della struttura proposta da Sharma si fonda sul fatto che tra le rovine dell'«altare» di K. si rinvennero effettivamente, insieme ai teschi umani posti sulla coda dell'uccello come prescritto dal rituale, anche gli altri elementi richiesti per il sacrificio: il recipiente su cui viene posta la testa della vittima; lo speciale mattone che simboleggia la vittoria sui nemici; il focolare su cui arde Agni; l'altro più importante mattone, perforatosi spontaneamente, attraverso il quale colui che compie il sacrificio raggiunge il cielo, e accanto a esso, il guscio della tartaruga che vi era posta viva, simbolo di chi conosce la strada che porta verso l'alto. Nel corso della campagna di scavo del 1960-61 vennero inoltre posti in luce, nell'angolo SO della città, i resti di un complesso palaziale che si estende per un'area di 315 x 150 m, datato da Sharma al 600 a.C. e posto in relazione col re Udayana, contemporaneo del Buddha. Anche in questi ultimi due casi, l'identificazione proposta da Sharma è stata soggetta a critica, soprattutto da parte di B. B. Lal, secondo il quale il c.d. śyenaciti non sarebbe altro che «un ammasso di mattoni crollati dal rivestimento delle fortificazioni nel fossato adiacente», e il complesso palaziale attribuito a Udayana, una costruzione molto più tarda, che Lai colloca addirittura intorno al XVI sec. d.C.

A K. si trova anche una colonna di Ašoka (ma secondo alcuni precedente al suo regno), priva del capitello, che all'epoca della visita di Cunningham era inclinata ma che è stata poi rialzata. Si noti che da K. proverrebbe anche la colonna che si trova attualmente nel forte di Allahabad, secondo la tradizione trasferitavi dall'imperatore moghul Akbar.

All'interno delle fortificazioni sono stati posti in luce i resti di numerose altre costruzioni, comprendenti abitazioni e un monastero buddhistico, identificato, grazie a un'iscrizione su lastra di arenaria datata al I sec. d.C., col Ghositārāma descritto da Xuan Zang. La lastra riporta una dedica, in caratteri brāhmī e in pracrito sanscritizzato, fatta dal monaco Phagala, alla «residenza del Buddha nel Ghositārāma per la venerazione di tutti i Buddha». Di pianta quadrangolare, con corte centrale, portico con pilastri e celle, il monastero comprende uno stūpa principale (di cui si conserva la base di mattoni cotti), ricostruito più volte, attorniato da stūpa minori, un tempietto dedicato a Hāritī e una struttura absidata.

Dal monastero proviene un'immagine del Buddha scolpita nell'arenaria di Mathurā e datata all'anno 2 di Kaniṣka.

Tra il materiale venuto alla luce nel corso degli scavi si ricordano, oltre alla Northern Black Polished Ware (NBPW, «Ceramica Nera Polita del Nord»), una notevole quantità di figurine in terracotta, umane e animali, attestate anche in altri centri gangetici dal III sec. a.C. in poi (Hastināpura, Mathurā, Bhītā, ecc.), oggetti di metallo, avorio, osso (soprattutto punte di freccia), monete punzonate e coniate (attribuite a epoca śuṅga), un buon numero di frammenti architettonici, tra cui pilastrini di balaustre, e sculture di pietra. Di queste ultime ricordiamo immagini del Buddha e di Bodhisattva, di cui due sono attribuite al regno di Bhadra Magha (II sec. d.C.) e altre al periodo gupta.

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