HEPBURN, Katharine

Enciclopedia del Cinema (2003)

Hepburn, Katharine (propr. Houghton Hepburn, Katharine)

Anton Giulio Mancino

Attrice teatrale e cinematografica statunitense, nata a Hartford (Connecticut) il 12 maggio 1907 e morta a Old Saybrook (Connecticut) il 29 giugno 2003. A partire dagli anni Trenta la H. si è imposta nel mondo cinematografico per la sua recitazione svelta, secca e tagliente, il fisico agile e asciutto, una spigolosità oltremodo affascinante presente tanto nei tratti del viso quanto nel carattere battagliero e dotato di fiera intraprendenza. Lo spirito indipendente alla base di una forte fiducia nelle proprie risorse intellettuali e fisiche ha contraddistinto l'eccentrica e coerente galleria di personaggi femminili energici, anticonformisti e spigliati da lei interpretati sulla scena e sullo schermo. Due importanti incontri hanno segnato la sua carriera e la sua vita: quello con George Cukor, il 'regista delle donne', e quello con l'attore Spencer Tracy. Nonostante gli esercenti statunitensi per un periodo l'avessero definita 'veleno del botteghino', a lei spetta il primato femminile dei riconoscimenti tributati dall'Academy Awards, con dodici nominations di cui ben quattro trasformatesi in Oscar: nel 1934, per Morning glory (1933; La gloria del mattino) di Lowell Sherman, nel 1968, per Guess who's coming to dinner (1967; Indovina chi viene a cena) di Stanley Kramer, nel 1969, per The lion in winter (1968; Il leone d'inverno) di Anthony Harvey e infine nel 1982, per On golden pond (1981; Sul lago dorato) di Mark Rydell. A questi premi si devono aggiungere quello ottenuto nel 1934 alla Mostra del cinema di Venezia per Little women (1933; Piccole donne) di Cukor e quello del 1962 vinto al Festival di Cannes per Long day's journey into night (Il lungo viaggio verso la notte) di Sidney Lumet.

Proveniente da un'importante e facoltosa famiglia del New England, figlia di una suffragetta e di un noto medico, con antenati risalenti alla prima colonizzazione britannica del Nuovo Mondo, la H. crebbe in un ambiente di solida tradizione borghese tipicamente americana e progressista. Dopo aver frequentato la Oxford School for Girls a Hartford e il Bryn Mawr College di Filadelfia, ebbe modo di accostarsi al teatro, cui si dedicò con grande successo anche dopo il trasferimento a New York, una volta terminati gli studi. Il passaggio dal palcoscenico al cinema fu immediato: nel 1932 ebbe in teatro il suo ruolo più celebre ed emblematico, quello della principessa amazzone Antiope in A warrior's husband di Julian Thompson, mentre al cinema debuttò interpretando la figlia mascolina di John Barrymore in A bill of divorcement (Febbre di vivere) di Cukor. Con questo film iniziò l'importante sodalizio artistico con il regista che la diresse in altri nove film, tra i più significativi dell'intera carriera dell'attrice: Little women, Sylvia Scarlett (1936; Il diavolo è femmina), Holiday (1938; Incantesimo), The Philadelphia story (1940; Scandalo a Filadelfia), per il quale ottenne una nomination all'Oscar, Keeper of the flame (1942; Prigioniera di un segreto), Adam's rib (1949; La costola di Adamo), Pat and Mike (1952; Lui e lei) e i due televisivi Love among the ruins (1975; Amore tra le rovine) e The corn is green (1979; Il grano è verde). A partire dagli anni Trenta il temperamento vivace, l'indole indomita, il volto lentigginoso, la scelta di delineare un modello di ragazza lontano dagli stereotipi del divismo femminile dell'epoca, le valsero una serie di interpretazioni destinate a connotarne in modo inconfondibile la personalità di attrice e giovane donna emancipata, celebre tra l'altro per aver sempre rifiutato di sfruttare la propria immagine e la propria vita privata a scopo promozionale o per aver lanciato la moda delle donne in pantaloni, accettando di indossare gonne solo sul set per ragioni di contratto. Un'originale vena protofemminista accomuna infatti l'aviatrice insofferente dei pregiudizi maschili in Christopher strong (1933; La falena d'argento) di Dorothy Arzner, la Jo baldanzosa e ostinata di Little women, alle eroine di Spitfire (1934; Argento vivo) di John Cromwell e The little minister (1934; Amore tzigano) di Richard Wallace. Il conflitto ad armi pari con il sesso 'forte' affiorò in maniera ancora più esplicita in Sylvia Scarlett, dove la H. seppe essere affascinante e ambigua recitando travestita da ragazzo al fianco di un partner perfetto quale Cary Grant. L'attrice, che aveva vinto il suo primo Oscar per Morning glory, aveva ormai raggiunto una piena maturità espressiva, al punto da accettare ruoli estremamente complessi come quello della battagliera Maria Stuarda in Mary of Scotland (1936; Maria di Scozia) di John Ford, che, fiera della propria scandalosa condizione di fanciulla non ancora maritata, riesce a tenere testa a un'intera e infida corte di nobiluomini. Il successo di pubblico arrivò soprattutto con l'esilarante Bringing up baby (1938; Susanna) di Howard Hawks, dopo le ottime e delicate prove di Alice Adams (1935; Primo amore), per cui fu nuovamente candidata all'Oscar, e Quality street (1937; Dolce inganno), entrambi diretti da George Stevens, o dell'avvincente Stage door (1937; Palcoscenico) di Gregory La Cava, in cui la H. seppe rendere con estrema credibilità la tensione legata al debutto nell'impietoso mondo dello spettacolo. Bring-ing up baby, autentico e insuperato capolavoro della screwball comedy, le consentì di sfoderare tutto il potenziale comico, grazie a una recitazione vivace e brillante, nella quale i tic, le smorfie, lo snobismo e la capacità di reggere schermaglie verbali ai limiti del nonsense si rivelano armi affilate per trionfare nelle dispute sessuali, alle prese con maschi timidi, occhialuti e sussiegosi o pericolosi felini inferociti. Se in Sylvia Scarlett e Bringing up baby Cary Grant, suo partner congeniale, aveva dato vita a personaggi maschili destinati fisiologicamente a essere sopraffatti dalla vulcanica personalità delle figure femminili disegnate dalla H., nei successivi Holiday e The Philadelphia story consentì all'attrice, grazie alle doti di commediante sfacciato e impertinente, di far affiorare una segreta componente malinconica e un'acuta propensione autoironica, attraverso l'irresistibile e incessante confronto dialettico.

La svolta definitiva nella carriera della H. giunse con Woman of the year (1942; La donna del giorno), diretto ancora da Stevens, poiché, oltre a valerle la quarta candidatura all'Oscar, inaugurò il venticinquennale sodalizio artistico e privato con il pacato e solido Spencer Tracy. I due, che costituirono sullo schermo la coppia hollywoodiana per eccellenza, recitarono insieme nel cupo e irrisolto The sea of grass (1947; Il mare d'erba) di Elia Kazan, nell'intelligente State of the Union (1948; Lo stato dell'Unione) di Frank Capra, in cui la H. fu relegata in un ruolo relativamente subalterno rispetto a quello del protagonista maschile, negli ineguagliabili Adam's rib e Pat and Mike di Cukor, scritti dai coniugi Garson Kanin e Ruth Gordon, nel collaudato Desk set (1957; La segretaria quasi privata) di Walter Lang, e infine nel progressista e moderato Guess who's coming to dinner, ultima interpretazione di Spencer Tracy. Lo schema affettivo e conflittuale tra la H. e Tracy, pienamente esemplificato in Adam's rib dall'irresistibile testa a testa tra due avvocati rivali sul lavoro pur se felicemente sposati, nasceva dall'effervescente complementarità tra i due caratteri, perfettamente assortiti: la calma e la sicurezza dell'attore riuscivano a pungolare e controbilanciare l'impeto polemico e antagonista dei personaggi di volta in volta interpretati dalla H., in una spumeggiante disputa in cui risultava comunque salvaguardato l'indispensabile equilibrio amoroso, ma anche rispettati la divergenza di opinioni e il principio della differenza sessuale.Nell'immediato dopoguerra l'attrice aveva inoltre interpretato validi melodrammi come Undercurrent (1946; Tragico segreto) di Vincente Minnelli e Song of love (1947; Canto d'amore) di Clarence Brown e aveva sfidato i costumi sessuali e le regole dello star system, ponendo alle majors, con cui si era impegnata, precise condizioni economiche, oltre che di scelta dell'attore comprimario e del regista. Scaduto nel 1952 il contratto con la Metro Goldwyn Mayer, la H. decise di trattare direttamente con i produttori. La possibilità di esercitare un controllo sui film da interpretare si era definitivamente concretizzata grazie all'ennesimo successo ottenuto con The African Queen (1951; La regina d'Africa) di John Huston, ove le brillanti schermaglie con Humphrey Bogart, oltre a fruttarle una nuova candidatura da parte dell'Academy Awards, diedero il via a una serie di ruoli da dinamica zitella disposta a scoprire, seppur tardivamente, l'amore. La formula, con le dovute varianti, funzionò molto bene con Rossano Brazzi nel romantico Summertime (1955; Tempo d'estate) di David Lean e con Burt Lancaster in The rainmaker (1956; Il mago della pioggia) di Joseph Anthony, film per i quali fu di nuovo candidata all'Oscar. Risultò invece meno convincente al fianco di John Wayne nel pur simpatico e crepuscolare Rooster Cogburn (1975; Torna El Grinta) di Stuart Millar, rifacimento in chiave western di The African Queen. L'avanzare degli anni, reso persino più austero, aristocratico e imponente dall'aspetto fisico sempre più stilizzato e dalla repentina e talvolta drastica mutevolezza del carattere, trovarono un'adeguata valorizzazione nei superbi, teatrali e cupi Suddenly, last summer (1959; Improvvisamente l'estate scorsa) di Joseph L. Mankiewicz e Long day's journey into night, per i quali ottenne ancora due nominations, e infine in The lion in winter, per il quale conquistò il suo terzo Oscar soltanto un anno dopo quello vinto per Guess who's coming to dinner. La H. in questi film (in particolare in Suddenly, last summer, nono-stante l'insofferenza nei confronti di Mankiewicz che l'aveva invecchiata eccessivamente) ebbe modo di dare saggi della sua splendida arte recitativa, dimostrandosi superba nell'agghiacciante ruolo della madre dispotica e lucidamente folle come anche perfetta nei perfidi e crudeli scontri verbali che caratterizzano The lion in winter, soprattutto nei virtuosistici duetti con Peter O'Toole. Il fulgore da primadonna dello schermo non si appannò neppure negli anni Settanta e Ottanta, se si considerano almeno quattro titoli di rilievo come A delicate balance (1973; Un equilibrio delicato) diretto da Tony Richardson, lo struggente e delicato Love among the ruins, in coppia con il coetaneo Laurence Olivier, per il quale ottenne un Emmy Award, il tenero e fortunato On golden pond, per il quale la H., in perfetta for-ma fisica nel ruolo di moglie e madre ultrasettantenne, vinse il quarto Oscar al fianco di Henry Fonda alla sua ultima interpretazione, e The ultimate solution of Grace Quigley (1984; Agenzia omicidi) diretto ancora da Harvey, un vivace poliziesco rosa con Nick Nolte, ricco di toccanti annotazioni sulla terza età.

Oltre all'autobiografia Me: stories of my life (1991), la H. scrisse The making of The African Queen or, How I went to Africa with Bogart, Bacall and Huston and almost lost my mind (1987), un diario di viaggio sulle esperienze vissute in Africa durante la lavorazione del film.

Bibliografia

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J. Bryson, The private world of Katharine Hepburn, Boston 1990.

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D. Karanikas Harvey, Katharine Hepburn: a life in pictures, New York 1998.

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B. Leaming, Katharine Hepburn, New York 2000.

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