KAMMERSPIELFILM

Enciclopedia del Cinema (2003)

Kammerspielfilm

Giovanni Spagnoletti

Genere cinematografico di impianto psicologizzante, nato agli inizi degli anni Venti del Novecento in Germania sull'esempio del teatro intimista dei Kammerspiele, fondati da Max Reinhardt a latere del Deutsches Theater di Berlino nel 1906 e inaugurati dalla messa in scena di Frühlings Erwachen di F. Wedekind diretto dallo stesso Reinhardt. Nella piccola sala dei Kammerspiele venivano presentati drammi con pochi attori (di preferenza tre personaggi) e dalle scenografie simboliche molto essenziali. Il K., che deve molto all'influenza di J.A. Strindberg, si caratterizza per uno stile narrativo naturalistico, per dei soggetti rivolti al quotidiano e per l'utilizzazione (non sempre coerente, mai sistematica) delle tre unità aristoteliche di azione, spazio e tempo che il cinema per propria natura tende a eludere. Altre caratteristiche sostanziali sono la grande attenzione per gli oggetti scenici, che a volte sembrano vivere di vita propria, e soprattutto la tendenza a eliminare la comunicazione verbale offerta dalle didascalie. A essa si sostituisce un potente, coinvolgente flusso di immagini sostenuto da un incalzante ritmo drammaturgico. I protagonisti, di frequente dei filistei piccolo-borghesi, sono calati in un ambiente spesso buio, sempre essenziale, che nella sua tristezza cosmica rappresenta uno specchio dell'anima dei drammi e delle passioni che si consumano nel profilmico.

Solo in apparenza esiste un'antinomia tra il K. e i procedimenti dell'Espressionismo: la distanza tra queste due tendenze sembra ormai falsa o al massimo accademica. E non soltanto perché all'origine di entrambi i generi, nati più o meno contemporaneamente, si trova il più grande scenarista dell'età weimariana, Carl Mayer, autore delle sceneggiature di due fondamentali film modello: da una parte Das Cabinet des Dr. Caligari (1920; Dott. Calligari, noto anche come Il gabinetto del dottor Caligari) di Robert Wiene, e dall'altra Scherben (1921) di Lupu Pick; ma soprattutto perché ‒ ed è opinione comune alla critica nel suo complesso ‒ l'incipit, la matrice psicologica di ambedue le tendenze rimane la stessa: "mentre nel mondo stilizzato del caligarismo i disturbi psichici e sociali vengono espressi con l'horror e i tiranni, lo stesso dramma si svolge all'interno della famiglia e nella vita quotidiana. Tuttavia entrambi rispecchiano un mondo borghese dell'intimità in cui la dipendenza fatalistica dal destino si esprime in modo simbolico" (Scheugl, Schmidt Jr. 1974, p. 200). Che le idee del K. fossero nell'aria nella Germania del primo dopoguerra lo dimostrano sia Rausch (1919), la riduzione di Ernst Lubitsch, purtroppo perduta, del dramma di Strindberg Brott och Brott (Delitto e delitto), protagonista Asta Nielsen esaltata dalla stampa dell'epoca per la memorabile interpretazione; sia Der Gang in die Nacht (1921), che nel copione di Mayer esibisce già tutti gli elementi del genere, mentre la messa in scena di Friedrich W. Murnau trasmette e allarga la declinazione psicologica del testo e i conflitti interpersonali alla natura circostante, all'ambiente en plein air. Fu comunque nel notevole Scherben di Pick e nel quasi contemporaneo ma meno efficace Hintertreppe (1921) del grande regista teatrale Leopold Jessner (coadiuvato nella Bildgestaltung da Paul Leni), prime due parti di una trilogia scritta da Mayer e completata poi con Sylvester (1924) di Pick, che si delinearono le definitive caratteristiche del Kammerspielfilm. Nell'esaltare la dimensione psicologica dei personaggi cercando di tradurla in forti elementi espressivi e/o in rappresentazioni simboliche, nel recuperare situazioni di tutti i giorni alla fiction, nacque uno straordinario ductus visivo che rinunziava del tutto (o quasi) alle 'stampelle' esplicative delle didascalie. Era il titelloser Film ("film senza didascalie", per il quale v. Espressionismo) in cui si offriva una rappresentazione disincantata e pessimistica di un'epica quotidiana che narrava non il 'salone' ma il 'sottoscala della vita', descrivendo i sogni, i desideri, le frustrazioni e i sentimenti della 'piccola gente'. Esso trovò, liberandosi di una certa iniziale staticità, in Der letzte Mann (1924; L'ultima risata), del geniale Murnau, la sua più plastica, matura espressione oltre che, grazie al gioco mimico del corpo degli attori, anche alla totale dinamizzazione dello spazio resa possibile dai virtuosismi tecnici della 'camera scatenata' di Karl Freund. In Sylvester poi, approfondendo il tema del conflitto tra sentimento e norma sociale, Pick e Mayer costruirono un altro significativo melodramma della quotidianità: "i conflitti, in questo 'gioco di luci' ‒ scrisse nel 1924 il critico Ernst Angel ‒ non nascono, come al solito, da passioni ed intrighi, ma sembrano scaturire da una condizione di passività, immotivati e come fortuitamente da un apparente nulla; e […], inoltre, forse qui per la prima volta l'ambiente variato di una storia in se stessa molto semplice non ha soltanto la funzione di 'azione' parallela o di contrasto ma piuttosto di 'ritmo parallelo' e di contrasto […] così che, nell'attimo decisivo, la tensione si spezza e, quasi sotterraneamente, conduce senza scosse e con la partecipazione di quell'ambiente, che pure non era stato partecipe dell'azione, sino alla ripresa del racconto" (Introduzione dell'editore in C. Mayer, Un giuoco di luci, 1967, p. XVII). Oltre ai nomi già ricordati, un altro filmmaker profondamente influenzato dal K. risulta essere Paul Czinner, che a partire dal film Nju (1924; Nju ‒ Il fiore selvaggio) realizzò una serie di opere interpretate dall'attrice, nonché sua futura moglie, Elisabeth Bergner centrati su storie d'amore di giovani donne alle prese con i problemi spiccioli di tutti giorni e fortemente condizionate dall'etica borghese nel rapporto con uomini molto più anziani di loro.

Una stretta derivazione della drammaturgia del K. può essere considerata anche la serie degli Strassenfilm, un genere che parte dal celebre Die Strasse (1923; La strada) di Karl Grune per arrivare sino agli anni del sonoro. Il conflitto esistenziale del piccolo-borghese si sposta qui dagli interni sulla strada che, per usare l'interpretazione di S. Kracauer, "inghiotte l'aspirante ribelle" (1947; trad. it. 2001, p. 171) costretto poi a rientra-re nell'ordine e a mettere fine alla propria vana ribellione. Più in generale, però, a prescindere dall'epoca weimariana, il termine Kammerspielfilm è stato e viene usato per definire, sotto tutte le latitudini, film di natura psicologica, dalla connotazione simbolica, con pochi personaggi e ambienti rarefatti, a volte tratti da opere teatrali. Perciò tale termine, più o meno propriamente, ricorre di sovente per definire, per es., molte delle opere di Ingmar Bergman o un cospicuo numero di film realizzati nella DDR (v. Germania).

Bibliografia

C. Mayer, Sylvester. Ein Lichtspiel, Potsdam 1924 (trad. it. Sylvester. Un giuoco di luci, a cura di P. Chiarini, Venezia 1967).

R. Kurtz, Expressionismus und Film, Berlin 1926 (trad. it. Milano 1981).

S. Kracauer, From Caligari to Hitler. A psychological history of the German film, Princeton (NJ) 1947 (trad. it. Cinema tedesco, Milano 1954.

Da Caligari a Hitler, nuova ed. a cura di L. Quaresima, Torino 2001).

L.H. Eisner, L'écran démoniaque, Paris 1952, 1965² (trad. it. Roma 1955, 1983² e 1991³).

R. Borde, F. Buache, F. Courtade, Le cinéma réaliste allemand, Lyon 1965.

H. Scheugl, E. Schmidt Jr., Eine Subgeschichte des Films. Lexicon des AvantgardeExperimental- und Undergroundfilms, Frankfurt a.M. 1974.

J. Kasten, Der expressionistische Film, Münster 1990.

J. Kasten, Carl Mayer Filmpoet. Ein Drehbuchautor schreibt Filmgeschichte, Berlin 1994.

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