KEPLER, Johannes

Enciclopedia Italiana (1933)

KEPLER, Johannes

Giovanni Silva

Astronomo, contemporaneo del Galilei, fu, come questi, convinto assertore del sistema copernicano, ma, lasciandone immutato il principio fondamentale (Sole immobile, pianeti giranti intorno a esso), ne eliminò i varî cerchi (eccentrici, epicicli, deferenti) rimasti per tanti secoli il fondamento dei calle leggi del moto su di esse; fu dunque un vero riformatore dell'astronomia.

Nacque il 27 dicembre 1571 a Weil, nel Württemberg, da genitori protestanti, di povera condizione, che poca cura ebbero di lui. Venuto alla luce di sette mesi, colpito a quattro anni dal vaiolo e più tardi da altre malattie, crebbe gracile e inadatto ai lavori materiali ai quali i parenti lo destinavano, ragione che fortunatamente valse ad avviarlo agli studî, allo scopo di fargli percorrere la carriera di pastore protestante. In essi presto si distinse, così da poter entrare a spese dello stato nel seminario di Tubinga, centro famoso di studî universitarî, e di ottenere ivi nel 1591 dalla facoltà filosofica un primo diploma con un attestato dei più lusinghieri, dopo il quale proseguiva gli studî nella facoltà teologica. Contemporaneamente seguiva le lezioni di matematica e di astronomia di M. Mästlin (1550-1631), il quale soleva intrattenere privatamente i migliori allievi - e il Kepler fu tra i prediletti - su questioni che il tempo ristretto o divieti superiori non gli permettevano di esporre dalla cattedra; tra queste la spiegazione del sistema copernicano, allora avversato anche dalla religione luterana. Il K., meno disposto a nascondere le proprie convinzioni e palesatosi quindi pubblicamente copernicano, non sembrò adatto alla carriera ecclesiastica e fu spinto, contro sua voglia, ad accettare nel 1594 la nomina a professore di matematica nel ginnasio di Graz. Quivi egli dovette attendere anche alla compilazione di almanacchi annui, nei quali molta parte era fatta alle predizioni astrologiche. Il K. studiò seriamente quanto in quest'arte si conosceva, e, con raffronti continui fra il posto occupato dagli astri ed eventi che gli erano noti, cercò di portare a essa un proprio contributo. Le ricerche gli mostrarono solo le fragili basi dell'astrologia, che tuttavia continuò a professare, non soltanto perché ciò era allora imposto dall'uso, ma anche perché gli permetteva guadagni che in parecchi momenti della sua vita valsero a toglierlo dai piugravi imbarazzi finanziarî. E, fortunato nelle prime predizioni, ebbe subito, come astrologo, ottima reputazione. Ma quelle ricerche, che non potevano dare serî frutti per lo scopo al quale miravano, ne diedero invece di interessanti per la scienza, almeno com'era concepita allora, tanto che il suo nome cominciò a essere noto anche tra i maggiori astronomi dell'epoca. Non gli riuscì quindi difficile trovare una nuova occupazione quando, scacciato con gli altri professori protestanti dalla Stiria, dovette riparare in Ungheria e, pur riammesso per intercessione di gesuiti che ne apprezzavano l'alto valore d' insegnante, vide che ben precaria era la sua posizione. Invitato da Tycho Brahe, matematico e astronomo dell'imperatore Rodolfo II, a diventare suo aiuto, egli finì con lo stabilirsi a Praga nel 1600 con la famiglia: egli aveva infatti sposato nella Stiria una giovane e ricca vedova, Barbara Müller, che aveva già una figliola, mentre due fanciulli, nati da lui, gli erano morti a Graz. Morto Tycho nell'ottobre dell'anno successivo, il Kepler gli succedette nella carica di matematico imperiale, ma gli emolumenti, assai ridotti rispetto a quelli assegnati a Tycho, gli venivano pagati con tale ritardo, quando non erano del tutto dimenticati, che la vita gli divenne assai dura. Per colmo di sventura nel 1611 perdette la moglie, divenuta folle, e un altro dei cinque figli da essa avuti. Si risposò dopo due anni e la sua scelta cadde stavolta sopra una giovane orfana, di povera condizione, Susanna Reuttinger, dalla quale ebbe altri sette figli, morti per buona parte in tenera età. Alcuni anni dopo, un'altra sciagura familiare venne a colpirlo: la madre sua, quasi settantenne, accusata di stregoneria, sottoposta a processo, stava per essere condannata alla tortura e al rogo. Egli cercò e riuscì a impedire la tortura, a far rivedere il processo e infine a liberare la madre dal carcere, ma ciò gli costò più di un anno di viaggi, di preoccupazioni, di rallentamento nei proprî lavori. Nel 1612, morto Rodolfo, il K. ebbe bensì confermato il titolo di matematico di corte, ma per ottenere uno stipendio dovette contemporaneamente accettare il posto d'insegnante di matematica nella scuola provinciale dell'alta Austria, con sede a Linz, ove rimase fino al 1626. La guerra e la lotta in Austria contro i protestanti lo costrinsero in detta epoca a rifugiarsi a Regensburg e poi a Ulm, da dove l'anno successivo passò a Sagan sotto la protezione del generalissimo Wallenstein, che gli aveva promesso il pagamento dell'ormai forte importo degli arretrati del suo stipendio. Ma nulla poté avere, se non l'offerta di un posto di professore a Rostock. Egli volle prima tentare ancora una volta di far valere i proprî diritti presso la dieta imperiale, che s'era nunita a Ratisbona, ma giunse colà ammalato per i disagi del viaggio e vi morì il 15 novembre 1630.

La sua vita trascorse dunque tra avversità d'ogni genere; eppure mai si spense nel suo cuore la fiamma dell'entusiasmo per la ricerca del vero mai gli venne meno l'energia per proseguire i suoi difficili studî. La sua esuberante fantasia gli fece concepire ipotesi ardite e correlazioni utopistiche fra enti diversi e, leggendo le sue opere, si rimane colpiti dalla frequenza con cui la sua percezione delle più riposte leggi della natura è accoppiata ai più stravaganti errori; ma ciò non deve meravigliare se si pensa alle astruse credenze che dominavano in quei tempi e all'ignoranza dei moderni procedimenti della scienza. La sua prima opera, che, come le successive, viene ordinariamente ricordata con poche parole del lungo titolo: Mysterium cosmographicum, è particolarmente destinata a dimostrare una pretesa relazione fra le distanze dei pianeti dal Sole e i cinque poliedri regolari. Si considerino sei sfere concentriche e di raggi tali che il cubo, inscritto nella prima, la maggiore, sia circoscritto alla seconda; che il tetraedro inscritto in questa sia circoscritto alla terza, e così successivamente per il dodecaedro, l'icosaedro e l'ottaedro regolari. Il K. dimostra che i rapporti dei raggi di queste sei sfere sono in stretto accordo con i rapporti delle distanze dei pianeti Saturno, Giove, Marte, Terra, Venere, Mercurio, dal Sole, quali erano date da Copernico. Questa singolare concezione, destinata a. crollare con la scoperta di nuovi pianeti o con valori più esatti delle distanze planetarie, non poteva però allora non colpire ed ebbe notevole successo. Non è il caso di parlare di una più fantasiosa armonia fra intervalli musicali e distanze fra i pianeti a cui egli accenna e che riprende più tardi e più in disteso nell'altra opera Harmonices mundi; invece è da aggiungere che già in quella prima opera il K. faceva risalire la causa del moto dei pianeti a una forza diffondentesi dal Sole e decrescente con le distanze da esso; altrove egli afferma che le maree sono dovute all'attrazione della Luna sulle acque degli oceani; che una pietra non è soltanto attratta dalla Terra, ma anche l'attrae, e che due pietre, isolate da ogni altra azione, cadrebbero l'una verso l'altra. È dunque l'intuizione, se non l'enunciazione, della legge di gravitazione universale del Newton. Ma riguardo ai pianeti egli considera l'attrazione del Sole diffondentesi soltanto sull'orbita e la ritiene quindi inversamente proporzionale alla distanza, anziché al quadrato di essa.

Fra le più importanti opere del K. vanno pure ricordate le Tabulae Rudolphinae, pubblicate nel 1627, che per più di un secolo rimasero in uso presso gli astronomi pratici, poiché davano il mezzo di calcolare la posizione di un pianeta con la massima esattezza possibile.

Il Kepler si occupò pure di ottica, espose idee proprie sulle stelle nuove e sulle comete, fu inoltre il primo astronomo che abbia predetto il transito di Mercurio e di Venere davanti al Sole. Ma il suo nome è essenzialmente legato alle tre famose leggi dei moti planetarî che conviene trattare particolarmente (v. appresso).

Le opere complete del K., insieme con le sue lettere, con commenti, biografia, ecc. (Johannis Kepleri opera omnia) furono stampate a Francoforte fra il 1868 e il 1871 in otto volumi.

Leggi del Kepler. - Si enunciano ordinariamente nell'ordine seguente: 1. Le orbite dei pianeti sono ellissi delle quali il Sole occupa uno dei fuochi. 2. Le aree descritte dal raggio vettore che unisce il Sole a un pianeta sono proporzionali ai tempi impiegati a percorrerle. 3. I quadrati delle durate di rivoluzione dei varî pianeti sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle loro orbite.

La laboriosissima ricerca che condusse il K. alle prime due leggi è esposta nella sua opera; Astronomia nova.... de motibus stellae Martis e sta a dimostrare la sua originalità di vedute e la sua singolare tenacia nel compiere tentativi su tentativi pur di giungere allo scopo propostosi. Possedeva egli una lunga serie di osservazioni di pianeti fatte da Tycho Brahe con un grado di precisione non mai prima raggiunto, e si proponeva di trarre da esse gli elementi delle orbite planetarie che permettessero il calcolo delle posizioni future. Egli era riluttante a seguire pedestremente i vecchi metodi, così strettamente geometrici che anche i nuovi sistemi copernicano e ticonico riferivano i moti dei pianeti alla posizione media del Sole, cioè a quel Sole fittizio che dalla Terra si vedrebbe compiere in un anno il giro dell'eclittica di moto circolare uniforme. Convinto che nel Sole risieda la causa fisica dei moti planetarî, il K. fu il primo astronomo che riferì quei moti al centro del Sole vero; cionondimeno i suoi tentativi, fortunatamente iniziati con Marte che ha l'orbita più eccentrica, non gli permisero di rappresentare le osservazioni con l'esattezza che a esse giustamente attribuiva. Nei divarî fra posizioni calcolate e posizioni osservate, che raggiungevano 8 o 9 minuti primi, il K. vide l'esistenza di qualche errore nelle teorie in uso e moltiplicò i calcoli pur di trovarlo. L'idea semplice e geniale che alfine gli permise di studiare bene, a un tempo, l'orbita della Terra e quella di Marte, consistette nello scegliere gruppi di osservazioni di questo pianeta fatte a intervalli di tempo multipli del periodo ben noto, durante il quale esso compie una rivoluzione attorno al Sole. A ogni periodo il pianeta ritorna all'identico posto M e questo posto e il Sole costituiscono due punti fissi ai quali può venire riferita la posizione della Terra in ogni gruppo di osservazioni. Il K. trova così che il moto della Terra è sufficientemente bene rappresentato su un cerchio con il centro discosto dal Sole di 0,018 volte il raggio, purché il moto si consideri angolarmente uniforme se visto da un terzo punto, l'equante di Tolomeo, simmetrico del Sole rispetto al centro predetto. Arrivato a ciò egli osserva che, in via approssimativa, è pure uniforme l'aumento dell'area descritta dal raggio vettore che va dal Sole al pianeta e, abbandonando l'equante, vi sostituisce la legge delle aree. Non è questa una semplice sostituzione di un mezzo di calcolo a un altro che per l'orbita terrestre, quasi circolare, dava risultati di eguale precisione; per il K. quell'area rappresenta la somma degl'infiniti raggi vettori che l'hanno descritta, e questo significato geometrico è legato alle ragioni del moto; se oggi è facile riconoscere l'inesattezza dei ragionamenti che in proposito egli adduce, non è meno da ammirare l'intuizione di un principio sostanzialmente esatto. Quel metodo determina anche il rapporto fra la distanza di Marte dal Sole e il raggio dell'orbita terrestre e, ripetuto per diversi gruppi di osservazioni, identifica successive posizioni M1, M2, M3... di Marte. Queste traggono il Kepler a concludere dapprima che l'orbita di Marte debba essere una certa ovale la quale lo trascina in ricerche e calcoli faticosi e infruttuosi; soltanto più tardi, dopo un ritorno pure vano all'ipotesi che l'orbita sia un circolo, ne scopre l'esatta forma di ellisse. Il cerchio eccentrico di prima è ora il cerchio avente per diametro l'asse maggiore dell'ellisse e del quale questa si può considerare una proiezione; la legge delle aree, ammessa per il cerchio, vale quindi anche per l'ellisse, anzi, data la forte eccentricità dell'orbita di Marte, essa risulta provata anche sperimentalmente. Inoltre, per il K., poiché le ragioni delle due leggi sono fisiche, non vi è dubbio che esse debbano valere per tutti i pianeti, benché per alcuni di essi, con orbita poco eccentrica, bene si adattino anche le antiche ipotesi.

La terza legge è esposta nell'opera Harmonices Mundi. A un legame fra i varî pianeti il K. pensava già nel Misterium Cosmographicum, e non cessò di pensarvi nella ventina d'anni che separa l'uscita di queste due opere; anche qui è la sua tenacia che raggiunge la vittoria e a ragione egli si abbandona al suo entusiasmo nella pagina in cui espone il risultato raggiunto.

Le leggi del K. permettono di dedurre la posizione del pianeta nel piano della sua orbita rispetto al Sole e alla direzione perielia, dalla quale si suole ora contare le anomalie, mentre all'epoca del K. si preferiva contarle dalla direzione afelia.

Sieno (v. fig.) S il Sole, C il centro dell'ellisse, A il perielio, B l'afelio, P una posizione generica del pianeta, Q il punto del cerchio di diametro AB avente su questo diametro la stessa proiezione R di P. Sieno poi CA = a, CS = ae, essendo e l'eccentricità,

ASP = v (anomalia vera), ACQ = E (anomalia eccentrica). L'area ellittica APS, descritta dal raggio vettore SP dal tempo t0 del passaggio al perielio al tempo t della posizione P, si può considemre come la proiezione dell'area descritta nello stesso tempo dal raggio vettore SQ sul piano dell'ellisse, quando si supponga girato il cerchio intorno al diametro AB per modo che N e Q vengano sulle normali a quel piano innalzate in D e P. Sarà quindi:

Essa è proporzionale al tempo t − t0 e il coefficiente di proporzionalità si trova osservando che l'area dell'intera ellisse

è percorsa nel periodo T di una rivoluzione; ne risulta l'equazione del Kepler:

che permette di ricavare l'anomalia eccentrica quando sia nota M, che dicesi anomalia media, cioè quando siano noti l'intervallo di tempo t t0 trascorso dal passaggio al perielio (ordinariamente espresso in giorni), il moto medio diurno /T, e l'eccentricità e. Per la terza legge del K., poiché nel caso della Terra T = 365,2564, a = 1, si ha, per un pianeta generico, T = 365,2564 a3/2 e il moto medio diurno vale 0,0172021 : a3/2 =. La considerazione dell'ascissa e dell'ordinata di P conducono alle equazioni:

che determinano r e v. In particolare, quadrando e sommando, si ha

mentre questa, combinata con la seconda delle precedenti per somma e sottrazione, conduce alla formola:

Sviluppi più completi si trovano in tutti i buoni trattati di astronomia e di meccanica celeste.

Bibl.: Vaste rassegne delle opere del K. si trovano in J.-S. Bailly, Hist. de l'Astronomie moderne, II, Parigi 1785, e in J.-B.-J. Delambre, Hist. de l'astronomie, I, Parigi 1821; v. pure R. S. Ball, Great Astronomers, Londra 1895; K. Stöckl, J. K., der kais. Mathematiker, Ratisbona 1930.