ECK, Joannes

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

ECK (Echio, Ecchio, Eckius, ab Heck, ab Heeck, Heckius, van Heck, van Heeck), Joannes (Johannes)

Maria Muccillo

Nacque a Deventer (Paesi Bassi) il 2 febbr. 1579, come si rileva dai registri dell'archivio e da quelli di battesimo della città che forniscono anche la data di matrimonio dei genitori, Willem, figlio di Willern van Heeck, e Lutgardt, figlia di Gerrit, nel giorno di Egidio del 1570, e la data di nascita dei loro cinque figli (Koch, pp. 347-378).

Resta cosi definitivamente smentita la data di nascita - 1577 - quasi concordemente finora attribuita all'E., e si è fatta luce su un problema cronologico reso complicato dalle dichiarazioni contrastanti dell'E. stesso. Egli apparteneva ad una famiglia di mercanti di agiata condizione economica, che attorno al 1587 versava al Fisco un contributo collocato nella sesta delle sedici classi in cui venivano distinti i redditi delle famiglie deventriensi ai fini della tassazione. Suo padre fu tra il 1587 e il 1591 tra i dirigenti politici della città e nel 1589 venne eletto senatore e consul; per questa ragione, allorché nel 1591 Maurizio di Nassau al comando delle truppe protestanti si impossessò della città, gli venne inflitta, in quanto esponente di parte cattolica e collaboratore dell'odiato re di Spagna, una multa di 150 fiorini (Iacobi Revii Daventriae illustratae sive Historiae urbis Daventriensis, Lugduni Batavorum 1651, p. 530).

A Deventer, sconvolta dalle lotte di religione, l'E. trascorse la prima adolescenza, ricevendo una educazione umanistica completa: studiò il latino e il greco, ebbe nozioni di teologia e una certa preparazione consegui anche in campo astronomico e astrologico, discipline verso le quali mostrò precoce interesse, come dimostra l'esatta osservazione che egli fece del fenomeno della cometa apparsa nel 1591, che gli consenti poi di descriverlo in uno dei suoi trattati più tardi, ormai interpretandolo come presagio funesto di una vita colma di amarezze e di dolori. A Deventer non rimase a lungo perché i genitori, visto l'aggravarsi della situazione per gli esponenti più in vista della parte cattolica, decisero di allontanarlo dall'Olanda inviandolo nell'unica terra che in quel difficile momento storico garantiva sicurezza a un cattolico, e cioè l'Italia.

In un suo poemetto autobiografico (Roma, Accad. naz. dei Lincei, ArchivioLinceo, 27, cc. 44r-68v) troviamo la narrazione della dolorosa vicenda, delle peripezie del lungo viaggio che portò l'E. quattordicenne in Italia, attraverso la Germania e la Svizzera. Dopo essere passato per Milano, Parma, Ferrara, Venezia, Bologna e Roma, si fermò a Spoleto ospite della nobile famiglia dei conti Gelosi, a cui rimase poi legato per l'intera vita e nella cui dimora diede luogo al "Museum deauratum", sede di composizione di molti suoi manoscritti, non si sa bene se gabinetto naturalistico o associazione accademica.

Qui, sfruttando la già ricca cultura di cui era in possesso, compose numerose opere, ora di carattere moralistico letterario, come gli Epigrammata del 1596 (Invido quodam, Cynedo, Luxurioso, In mendacem, In male viventem, In optantem longam vitam, In sapientem, Puero), ora di argomento medico, magico e astrologico. Interessante a questo riguardo soprattutto il Liber de regimine sanitatis eorum qui studio litterarum incumbunt (Archivio Linceo, 29, cc. 27r-191r), dove, ispirandosi soprattutto al De triplici vita di Marsilio Ficino, esamina il problema dell'igiene, della dieta, delle abitudini amorose (questa parte, De Venere, cc. 55r-57r, è stata di recente pubblicata dalla Van Kessel) dei letterati. Largo spazio è riservato al tema della melancholia e ad argomenti di fisiognomica, in cui l'E. utilizza il De phisionomia planetarum di Francesco Gelosi, autore che definisce "omnium phisionomiae doctorum summus".

Nella seconda parte affronta poi, "a scopo ricreativo, per diletto suo e degli altri", una materia "curiosa", tenendola tuttavia entro determinati limiti, data la pericolosità dell'argomento. In realtà l'E. si occupa qui, nello spirito della magia ficiniana, dell'influsso delle immagini sullo spiritus, e delle occulte virtù di certe piante, affermando però di porsi piuttosto dal punto di vista del medico che da quello del mago e rifuggendo dalle aberrazioni diaboliche dei cultori di queste arti. Conclude il trattato con un elenco di secreta volti a sanare, con l'uso di determinate piante, una serie di diffusissimi malesseri, e con una raccolta di ricette "magiche" in latino. Al seguito del De regimine, connessi in qualche modo con esso, sebbene privi di datazione, troviamo nello stesso manoscritto altri quattro trattati di argomento medico botanico, il De fructibus tractatus, il Tractatus de radicibus herbarum diversarum, il Tractatus de herbis e il Tractatus de her bis et holeribus, nei quali descrive le caratteristiche dei vari frutti e dei vari vegetali, indicandone la regione di origine, il tempo della fioritura, il modo di prepararli e l'uso terapeutico specifico, sulla base di osservazioni di prima mano e, dove necessario, con il contributo delle fonti antiche, soprattutto di Dioscoride.

Nel 1596 E. fece un viaggio a Deventer, da dove il 1º agosto scrisse una lettera (Archivio Linceo, 18, c. 76v); ma nel 1597 era di nuovo a Spoleto, dove per lo più rimase fino al 1601, come si ricava dalle lettere che di lui possediamo (ibid., 17, 20 s., 25), immerso in una intensa attività di studio. Con l'aiuto economico del vescovo (come risulta dai documenti citati da D. Carutti, pp. 45-77), l'E. si era infatti iscritto alla facoltà di medicina dell'università di Perugia, sottoponendosi, come risulta da un suo Modus studendi (Archivio Linceo, 25, c. 5r), a una severa disciplina di lavoro, distribuendo la giornata fra la preghiera, mattutina e serale, la frequenza alle lezioni, la ripetizione mnemonica delle stesse, la riformulazione dei concetti assimilati, la stesura, nei giorni festivi, di componimenti poetici e infine la meditazione religiosa e l'esame di coscienza.

Alcuni scritti di carattere teologico, logico e metafisico risalenti a questi anni costituiscono il frutto di questo rigoroso piano di lavoro e ripercorrono certamente gli argomenti delle lezioni universitarie (ibid., 21, cc. 148r-152v; 25, cc. 6r-75v). Più rilevanti per mole e significato sono i lavori di argomento matematico-astronomico, pure di questi anni, nei quali l'E. mette a punto la sua preparazione specifica in questo campo. Tra questi ricordiamo il De mundiali machina (ibid., 20, cc. 7r ss.) del 1598, sorta di summa del sapere astronomico, distinta in grandi sectiones, di cui restano solo quelle dalla terza alla settima, e, soprattutto, il Super Plinii II historias naturales, commento alla famosa enciclopedia antica, che si venne poi trasformando via via in un discorso cosmografico, giustificando il più allettante titolo di Liber de mirabilibus creaturarum Dei. In esso l'E. non manca di accennare a temi di scottante attualità, come quello della centralità e dell'immobilità della terra, che egli ribadisce contro le teorie copernicane. Al periodo degli studi universitari appartengono ancora altri lavori per lo più di argomento antropografico, medico e astronomico, come l'interessantissimo Homines et alia animalia prodigiosa variarum ignotarum regionum, figuris expressa et scriptoribus testimonits memorata (Roma, Bibl. Vallicelliana, ms. R 57, cc. 1-66), dove sono disegnati, secondo le descrizioni degli autori antichi, soprattutto di Plinio, mostri, giganti, contorsionisti; come la Cura coelestis quae inferorum appellatur, rivolta non solo ai medici ma a tutti i "philosophiae amatores", altro trattato di astronomia con numerosi disegni autografi; un Trattato dell'apoplessia, che porta la data 11 nov. 1600 e che fu composto a Roma, dove evidentemente l'E. si era recato per un breve viaggio; un De planetarum radiationibus in singulis Zodiaci signis e un trattato sull'angina pectoris dal titolo De syncope, tutti conservati in Archivio Linceo, 17, cc. 3-87v.

L'anno successivo, in data 5 ag. 1601, l'E. consegui la laurea in medicina all'università di Perugia, come risulta dai documenti dell'Archivio di Stato di quella città (J. C. G. Boot, Johannes Heck, Amsterdam 1877, pp. 11-12; Carutti, pp. 47 s.), cominciando subito ad esercitare la sua professione, dapprima a Maenza, presso i Caetani, e poi dal 1602 a Scandriglia, in provincia di Rieti, feudo del duca Giovanni Antonio Orsini, da cui riceveva per i suoi servigi professionali la retribuzione di 100 scudi e 15 rubbie di grano (Carutti, p. 48).

Il manoscritto in Archivio Linceo, 22 contiene una raccolta di scritti medici, significativamente intitolata Adversus Romanorum medicorum deliramenta (cc. 2r e ss.), dalla quale si desumono notizie relative al suo modo di curare gli ammalati, per lo più poveri, attraverso l'uso dei semplici che personalmente cercava, studiava e selezionava, sovente in polemica con i medici del luogo che ricorrevano a criteri più magici che scientifici.

In Archivio Linceo, 35 è conservata la copia dei documenti dell'Archivio di Stato di Roma (n. 26, 1603, foglio 1210-1231) relativi alla causa che contro l'E. venne intentata in seguito al suo violento contrasto, conclusosi con l'uccisione dell'avversario, con lo speziale di Scandriglia, certo Ranieri Casolini, che lo aveva proditoriamente aggredito sulla via fra Ponticelli e il monastero di Farfa. L'episodio, uno dei tanti, seppure il più grave, denota il grado di avversione che si sviluppò nei confronti dell'E. che praticava un tipo di medicina scientifica certamente all'avanguardia in tempi in cui i confini fra magia, stregoneria e medicina non erano ancora ben definiti. Questa circostanza fu anche all'origine dei suoi contatti con la famiglia di Federico Cesi che, forse per riguardo verso gli Orsini, o forse perché già conosceva l'E. per la sua fama di medico, intervenne a suo favore pagando la cauzione e ospitandolo nel proprio palazzo, graditissimo, oltre che al Cesi, a sua madre, donna Olimpia Orsini.

Incominciò cosi tra l'E. e il giovane Federico quel sodalizio che il 17 ag. 1603 li portò insieme con Anastasio De Filiis e Antonio Stelluti alla fondazione dell'Accademia dei Lincei. Dei quattro l'E. era certamente il più esperto, colto e famoso, e non vi è dubbio che egli svolse il ruolo fondamentale nell'ideazione e nell'organizzazione dell'Accademia stessa. Come tutti gli altri membri, assunse un appellativo ("Illuminato"), uno stemma (la luna che per mezzo di un trigono riceve luce dal Sole) e un motto ("A Patre luminum"), densi di significato simbolico, ad indicare che l'iniziativa e i suoi membri nascevano sotto il segno di una particolare illuminazione divina e che una universale "illuminazione" si proponevano di diffondere con la loro opera. Oltre a questa complessa simbologia, si deve all'E. anche la scelta di s. Giovanni Battista, l'apostolo delle "arcane visioni", a protettore del peofondato sodalizio, la redazione del testo del Proponimento Linceo e lo stile severo e aristocratico del cerimoniale.

Fin d'ora a contatto con i più famosi medici e scienziati dell'epoca, l'E. si diede tutto alla realizzazione del programma linceo, confortato dall'amicizia e dalla stima dei compagni e destando, proprio per questo, i sospetti del duca d'Acquasparta, padre del Cesi, che cominciò a perseguitarli, accusandoli di pratiche magiche e di turpi rapporti, e infine disperse il gruppo, bandendo l'E. da Roma nella primavera del 1604. Iniziò cosi il primo viaggio dell'E. linceo in Italia e in Europa: fu in Toscana, a Siena, Pisa e Firenze; a Milano, a Torino alla corte di Carlo Emanuele I, dove conobbe Giovanni Botero. Attraversate le Alpi, viaggiò ramingo per l'Europa, pur rimanendo sempre in contatto epistolare con i compagni che, come potevano, lo sovvenzionavano e gli affidavano incarichi di ricerca.

Il carteggio linceo, pubblicato dal Gabrieli, documenta questo lungo peregrinare di città in città e di corte in corte; in particolare una lettera da Praga del 19 dic. 1604 lo ripercorre con numerosi particolari e mostra come l'E. continuasse a lavorare per la diffusione degli ideali scientifici dell'Accademia, prendendo contatto con i più reputati studiosi del tempo e riuscendo ad interessare personaggi come l'imperatore Rodolfo II, "disperato aniatore" delle cose lincee.Nonostante la tristezza della sua condizione di esule, l'E. continuò cosi i suoi studi prediletti, sfruttando in senso tutto positivo la sua dolorosa esperienza. Annotò le sue scoperte in una serie di "taccuini di viaggio", quattro dei qyali sono conservati alla biblioteca dell'école de médecine di Montpellier (Mss., H 505-508), mentre un altro fu acquistato nel 1975 dai Lincei in una vendita all'asta. Guardava alla natura, come dimostrano le affermazioni contenute nella dedica di uno di questi taccuini, scritta nel 1605 da Praga, con l'ansia di chi vuole scoprire "nuove cose" e non "nuove stelle", alludendo in senso antimetafisico al fenomeno della cometa apparsa nel 1604 e su cui aveva scritto una De nova stella disputatio, che fu fatta stampare a Roma, "apud Aloisium Zanettum", nel 1605 dai Lincei stessi, la prima delle sue due uniche pubblicazioni.

Il lungo vagabondare per l'Europa e la quiete a lui finalmente garantita dall'amicizia dell'imperatore Rodolfo II a Praga dovettero in qualche modo essere all'origine di una crisi nell'animo dell'E., che si venne allontanando dall'Accademia e dai suoi ideali al punto da desiderare di sposarsi e di non tornare più a Roma: scelta verso cui lo spingevano anche i membri della sua famiglia, con i quali era venuto di nuovo a contatto, come dimostra altresi la dedica al fratello Willem, del 1º ott. 1605, del trattato di medicina De peste, stampato a sue spese a Deventer nel 1605. Le lettere che il Cesi a lui scrisse tra il 1604 e il 1605 documentano la faticosa opera di persuasione svolta dai lincei per distogliere il compagno dal suo proposito e ricondurlo in seno all'Accademia, riuscendo finalmente, come attesta la dedica dell'agosto del 1605 di uno dei menzionati taccuini di viaggio, a convincerlo a tornare a Roma, rinunciando al matrimonio e al ritorno in patria. Per preparare il rientro dell'E. in Italia i lincei in una lettera-verbale del 10 apr. 1605 gli affidarono l'incarico di scrivere contro gli eretici per offrire cosi testimonianza della sua inconcussa fede cattolica.

Il De pravis nostri temporis haereticorum moribus è pervenuto in due redazioni, entrambe conservate nella Biblioteca nazionale di Napoli (Mss. IX B 2; IV H 102). L'E. non era nuovo alla materia, che aveva già trattato in altri pamphlets antiprotestanti (Archivio Linceo, 11, cc. 4r-11r; 29, cc. 5r-26v), ma ora affronta l'argomento in modo sistematico, e in dodici libri illustra le "pravità" degli eretici, facendo perno su considerazioni storico moralistiche piuttosto che teologico dottrinarie. Troviamo qui un esame complessivo dell'etica protestante, di cui si mette in evidenza la tendenza al guadagno e lo spirito "capitalistico", facendo frequente riferimento ad avvenimenti assai illuminanti per la storia della Riforma in Olanda, fonte preziosa dagli storici dell'argomento finora ignorata.

Preceduto da questa sua fatica, finalmente nell'autunno del 1605 l'E. tornò in Italia, passando per Parma e Spoleto (Mss. IV H102, c. 332 della Biblioteca nazionale di Napoli, lettera di E. ad un confratello linceo, non pubblicata nel carteggio del Gabrieli). A Spoleto e in Umbria si fermò, sembra, per alcuni mesi, che occupò nella stesura di opere di filosofia e di meccanica. A Gualdo il 23 ottobre cominciò infatti a scrivere il Destructio scientiarum, Per maximum et minimum, Conservatio scientiarum, per medium (Archivio Linceo, 19, cc. 4r-25r).

In essa l'E. affronta il tema dei limiti della conoscenza umana, risolvendolo dal punto di vista della teologia cattolica. Distinta in capitoletti detti Determinationes, l'opera si pone il quesito se, divisa la realtà in tre generi di enti - fisici, metafisici e matematici - si dia per ciascuno di essi un primo assoluto attingibile dall'umana conoscenza. Citando esponenti della tradizione della teologia negativa, egli nega che si possa dare una conoscenza di Dio, massimo metafisico, criticando quanti, in primis Aristotele, hanno sostenuto il contrario. Rispetto alle pretese e illusioni dei filosofi, troppo spesso dimentichi della natura limitata dei sensi e della mente umani, assume maggior valore di verità la schietta fede del povero e del devoto che intende Dio meglio del dotto e superbo teologo. Analogamente scettica è la conclusione circa il problema della conoscenza del massimo fisico, identificato con l'ultima sfera celeste, inattingibile non tanto in sé, quanto per la intrinseca debolezza dei nostri sensi e la sua lontananza da noi. Di qui la denuncia della presunzione di coloro che hanno fantasticato di mondi e spazi infiniti, velato riferimento forse alle tesi bruniane.

Agli ultimi mesi del 1605 risale anche la stesura di un'opera sulla meccanica, dal titolo Magna mechanica (Fondo Ashburnham, n. 1210/1137, della Biblioteca Laurenziana di Firenze, cc. 11 ss.); e una lettera premessa a questa opera rivela ancora un notevole grado di diffidenza dell'E. verso l'ambiente romano. A Roma giunse comunque nella primavera del 1606, accolto dal Cesi, che gli aveva nel frattempo procurato la nomina di cittadino romano e che avrebbe fatto stendere da G. Faber quella Fede o professione di fede cattolica che doveva fugare ogni sospetto attorno all'ortodossia dell'amico (Archivio Linceo, II, cc. 1-2).

Mancano notizie sulla durata del soggiorno dall'E. a Roma: sembra comunque certo che non vi rimanesse a lungo. Nel 1608 lo troviamo a Madrid, dove probabilmente continuò ad esercitare la medicina e scrisse un trattato Politeia catholicade bono et malo civili cum antidoto, andato perduto, e dove sembra anche si fosse recato nel desiderio di vedere il famoso erbario messicano conservato all'Escuriale. Nulla più di lui sappiamo fino al 1614, anno di una fugace apparizione a Roma per una conferenza accademica sulle lingue greca e latina.

Nonostante questa ripresa della collaborazione scientifica con l'Accademia, il contributo dell'E. dovette divenire sempre più sporadico e povero forse per l'affacciarsi di quella crisi nervosa che lo indusse gradualmente ad appartarsi, allontanandosi da Roma, nella provincia. Una nota, forse del 1615, dei linceo tedesco Teofilo Müller, in fondo al suo volume De animalibus, informa di una visita dell'E. nell'abbazia di Sant'Angelo in Capoccia, nel corso della quale gli aveva detto, ormai in preda ad una specie di mania di persecuzione, che il re di Spagna lo perseguitava perché voleva dargli in moglie sua figlia (Archivio Linceo, 26, c. II 3v). Infine, preso ormai dolorosamente atto dell'alienazione mentale dell'E., nel 1616 i soci dell'Accademia decisero di sospenderlo da ogni attività.

Questa è l'ultima notizia che possediamo sull'Eck. Non sappiamo ne dove né quando mori. R congettura del Gabrieli che il trapasso avvenne nel 1620 in una delle terre del Cesi, forse proprio in Sant'Angelo in Capoccia.

Fonti e Bibl.: L'elenco dei manoscritti inediti dell'E. si ricava da G. Gabrieli, Gli scritti inediti di Giovanni Ecchio Linceo (1577-1620?), in Rend. della R. Accad. dei Lincei, s. 6, VI (1931), pp. 363-397, necessariamente integrato con M. H. Rienstra, Giovanni Ecchio Linceo. Appunti cronologici e bibliografici, ibid., s. 8, XXIII (1968), pp. 255-266. La bibliografia relativa all'E. si intreccia ovviamente con quella della prima Accademia dei Lincei. Noi ci limiteremo in questa sede a menzionare solo quella che apporta contributi specifici alla sua biografia e alla sua opera: B. Odescalchi, Mem. istorico-critiche dell'Accad. de' Lincei e del principe Federico Cesi, Roma 1806, pp. 11 ss.; A. Bertolotti, Artisti belgi ed olandesi a Roma nei secc. XVI e XVII, Firenze 1880, pp. 365 s.; A. C. F. Koch, De Reformatie te Deventer in 1579-1580, Nijmegen 1964, pp. 347-378; D. Carutti, Di Giovanni Eckio e della istituzione dell'Accademia deiLincei, in Mem. della R. Acc. dei Lincei, s. 3, I (1876-77), pp. 45-77; R. Pirotta, Flora romana, Roma 1901, I, pp. 142 s.; Id., Prefazione, in F. Cesi, Tabulae phytosophicae, Roma 1904, pp. 108-118; G. E. Uhlenbeck, Over Johannes Heckius, in Mededelingen van het Nederlandsch historisch Instituut te Rome, XXXVIII (1924), pp. 217-228; G. Gabrieli, Fra Tommaso Campanella e i Lincei dellaprima Accademia, in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, s. 6, IV (1928), p. 256; Id., Gli storiografi dellaprima Accademia lincea, ibid., V (1929), p. 60; Id., Partecipazione della R. Accad. naz. dei Lincei alla1ª Esposiz. naz. di storia della scienza, ibid., p. 173; Id., Indice analitico e topografico dei materiali ancora esistenti (mss., documenti, monumenti, ecc.) per la storia della prima Accad. lincea, ibid., VI (1930), pp. 202, 207, 209, 212; Id., Emblematica lincea, ibid., X (1934), pp. 270, 275; Id., Qualche altra notizia sugli scritti e sulla vita di Giovanni Ecchio Linceo, ibid., pp. 479-508; Id., Il carteggio linceo della vecchia Accademia di Federico Cesi (1603-1630). Parte prima (anni 1603-1609), ibid., XVI (1938), pp. 6-14; A. Alessandrini, GiovanniHeckius Linceo, in Cronache d'altri tempi, n. 113, 1963; Id., A proposito del dibattito sul Catalogo descrittivo dei manoscritti, in Notizie A.I.B. Bollettino trimestrale dell'Associazione italiana per le Biblioteche, V (1959), pp. 1-35; E. Fontana, JoannesHeckius Lyncaeus. Un medico olandese tra ifondatori dell'Accademia dei Lyncei, Montecatini Terme 1964; A. Alessandrini, Giovanni Heckius Linceo ela sua controversia contro i protestanti, in Riv. distoria della Chiesa in Italia, XXX (1976), pp. 363-404; E. M. R. van Kessel, Jvan Heeck (1579-?), cofounder of the Accademia dei Lincei inRome. A bio-bibliographical sketch, in Mededelingenvan het Nederlands Instituut te Rome, XXXVIII (1976), pp. 109-134; A. Alessandrini, Cimeli linceia Montpellier, Roma 1978, pp. XV s., XIX, 68-78, 208-213, 288-290; E. Schulte van Kessel, Sapienza, sesso, pietas: i primi lincei e il matrimonio. Unsaggio di storia umana, in Mededelingen van hetNederlands Instituut te Rome, XLVI (1985), pp. 121-144.

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