RENOIR, Jean

Enciclopedia del Cinema (2004)

Renoir, Jean

Giorgio De Vincenti

Regista cinematografico francese, nato a Parigi il 15 settembre 1894 e morto a Los Angeles il 12 febbraio 1979. Maestro dell'arte cinematografica, fu considerato un modello dai neorealisti italiani e successivamente un antesignano dagli autori della Nouvelle vague per le caratteristiche del suo stile, che ne fanno uno degli autori 'moderni' (v. modernità) per eccellenza. Nel 1946 il suo The southerner (1945; L'uomo del Sud) fu segnalato come miglior film alla Mostra del cinema di Venezia e ottenne una nomination all'Oscar; nel 1975 gli venne conferito l'Oscar alla carriera.

Secondogenito del pittore Pierre-Auguste, trascorse l'infanzia tra la capitale e la campagna, in un ambiente culturalmente molto vivace; arruolatosi nel 1914, tornò dalla guerra in seguito a una grave ferita alla gamba. Si avvicinò al cinema come spettatore appassionato alla fine degli anni Dieci e all'inizio dei Venti, privilegiando il cinema americano (in particolare Charlie Chaplin e i serial di genere) rispetto a quello francese, che considerava letterario e paludato. I suoi primi film sono caratterizzati da motivi tematici che sarebbero stati poi ricorrenti, come quello del bracconiere e quello dell'acqua, e da un'acuta sperimentazione tecnica e di linguaggio. Presente già in Catherine, realizzato da Albert Dieudonné nel 1924 ma uscito solo nel 1927 con il titolo Une vie sans joie e prodotto da R., la sperimentazione linguistica divenne pregnante nella sua prima regia, La fille de l'eau (1924), che abbonda di effetti cinematografici (assai apprezzati dai surrealisti), dal montaggio rapido alla sovrimpressione, realizzata in sede di riprese grazie a ingegnosi espedienti tecnici. Nel successivo Nana (1926; Nanà), adattamento del romanzo di É. Zola, R. si confrontò con la tradizione del naturalismo francese, proponendo il cinema come arte nuova e dinamica, capace di rielaborare il passato in un gioco di accettazione e superamento non privo di motivi parodistici. Ancora un omaggio al cinema (e insieme al jazz e al Nuovo mondo) è il breve divertissement dal titolo Sur un air de charleston, noto anche come Charleston (1927), cui seguì un film oggi perduto, Marquitta (1927), in cui si fa più attento il rapporto con l'industria cinematografica, senza che tuttavia venga meno la sperimentazione, soprattutto nell'uso del carrello, caratteristico dello stile del regista, e nell'utilizzazione di scenografie miniaturizzate ricostruite in studio.La petite marchande d'allumettes (1928), tratto dalla fiaba di H.Ch. Andersen, segnò l'ingresso del regista nel terreno (ben frequentato durante l'infanzia) del féerique, che avrebbe accompagnato con alterne vicende l'intera sua produzione artistica. R. vi sperimentò con successo l'utilizzazione in interni della pellicola pancromatica (capace di restituire le gradazioni del grigio), grazie a un metodo di illuminazione che anticipò quello che sarebbe stato poi normalmente adottato dall'industria. Ed è con quest'ultima che R. cerca di dialogare nei successivi tre film: Tire-au-flanc (1928), satira antimilitarista tratta da un vaudeville di successo e interpretata da Michel Simon; Le tournoi (1928), ricca celebrazione del bimillenario della città di Carcassonne commissionatagli dalla Société des films historiques, e Le bled (1929), celebrazione didattica dei cento anni dell'occupazione francese dell'Algeria, su commissione della medesima Société. Film di passaggio, certamente, ma non privi di interesse, sia dal punto di vista delle tematiche affrontate (con motivi che ricorrono nell'opera renoiriana, come il rapporto cinema/teatro, l'esplicitazione del dionisiaco, il rapporto con la Natura, la presenza del quotidiano anche dietro la celebrazione storiografica), sia da quello stilistico (con un ulteriore progresso nella direzione degli attori e nella ricerca di un'immagine 'realistica', e con la prosecuzione del lavoro sull'uso del carrello e sul plein air).

Con gli anni Trenta si aprì per il regista il periodo più fecondo, che lo impose come autore di rilievo in Francia e nel cinema internazionale. On purge bébé (1931), tratto dalla commedia di G. Feydeau e interpretato da Simon e Fernandel, è il primo film sonoro di R., che lavorava contemporaneamente al progetto ben più impegnativo di La chienne (1931) dal romanzo di G. de La Fouchardière, il suo film più 'nero', ancora con Simon come protagonista, pensato e realizzato in sintonia con lo spirito avanguardista, ferocemente critico nei confronti dei valori borghesi (e per questo violentemente contestato dai fascisti), e di grande rilievo sul piano stilistico poiché evidenzia la propensione ad attribuire alla singola scena un valore autonomo, in relativa indipendenza dall'articolazione diegetica del film, con l'importante corollario costituito dalla ripresa diretta del sonoro, che R. non avrebbe più abbandonato. Il successo del film al Colisée di Parigi non gli impedì di dedicarsi a un'opera totalmente sperimentale, La nuit du carrefour (1932), dal romanzo di G. Simenon, film onirico, immerso in un notturno magmatico, girato all'insegna del più puro piacere del cinema. Fu quindi la volta di Boudu sauvé des eaux (1932; Boudu salvato dalle acque), celebrazione a un tempo allegra e malinconica del dionisiaco che circola sempre nei film di R. e della sua irriducibilità alla vita borghese.

Dopo Chotard et Cie (1933), dalla pièce di R. Ferdinand, diseguale ma non privo di motivi autenticamente renoiriani (l'uso dell'inquadratura lunga, per es., e lo stesso tema: la difficoltà di conciliare la poesia con la vita e la famiglia borghesi), e dopo Madame Bovary (1934), nuovo tassello della sua ricerca di un cinema antipsicologistico e antinaturalistico, anticipatore del fenomenologismo della Nouvelle vague, R. diresse Toni (1935), storia provenzale di immigrati italiani, spagnoli, còrsi, film di svolta che segnò una più diretta implicazione dell'autore nel sociale. Dall'avvicinamento di R. al PCF (Parti Communiste Français) e al Group Octobre, animato dai fratelli Prévert, e dall'amicizia con Bertolt Brecht nacque Le crime de monsieur Lange (1936; Il delitto di monsieur Lange), estrema applicazione dell'inquadratura lunga, film corale nello stile, che tematizza la coralità, l'appartenenza a un gruppo, e il ruolo della creatività nella difficile lotta per la giustizia e la fratellanza. Nello stesso 1936, l'anno delle elezioni politiche in cui si affermò il Fronte popolare, R. venne incaricato dal PCF di curare la realizzazione del film di propaganda elettorale La vie est à nous, tre storie ambientate rispettivamente in ambiente operaio, contadino e piccolo borghese, alla cui messa in scena contribuì ancora il Group Octobre. Con la partecipazione di quest'ultimo R. girò nell'estate e nell'autunno di quell'anno rispettivamente Partie de campagne (La scampagnata), uscito solo nel 1946, da G. de Maupassant, con Sylvia Bataille, e Les bas-fonds (Verso la vita), da M. Gor′kij, con Louis Jouvet e Jean Gabin: storia dell'inconciliabilità dell'amore con la vita borghese il primo (girato in un plein air impressionista) e ripresa della coralità e del discorso politico di Le crime de Monsieur Lange il secondo (ma senza l'utopia di quello e con un significativo omaggio a Charlie Chaplin nel finale, quasi a voler ricondurre la speranza all'affabulazione cinematografica).

R. era ormai maturo per i suoi capolavori. Nel 1937 uscì La grande illusion (La grande illusione), ancora con Gabin protagonista, ambientato durante la Prima guerra mondiale, film dichiaratamente pacifista (e per questo vietato in Italia dal regime fascista, nonostante il premio per il miglior complesso artistico ottenuto alla Mostra del cinema di Venezia, che sarebbe stata l'unica mostra cinematografica ad attribuire premi all'opera di R.), che dosa sapientemente la coralità e il senso dei destini individuali, e invita a infrangere le barriere che dividono gli esseri umani: quelle di razza, lingua, classe sociale e quelle costituite dai confini tra le nazioni. Ancora una volta il tema si fa stile e tutto in questo film concorre all'identificazione di forma e contenuto: dalla variegata recitazione di un cast eccezionale (oltre a Gabin, Eric von Stroheim, Pierre Fresnay, Marcel Dalio, Dita Parlo, Julien Carette, Gaston Modot, Jean Dasté) all'alternanza di riprese in continuità e montaggio analitico, all'irruzione del teatro e del dionisiaco nei due momenti culminanti del racconto.

L'impegno politico portò quindi R. alla realizzazione di un altro film dal forte impianto corale, La Marseillaise (1938; La Marsigliese), celebrazione della Rivoluzione francese messa in cantiere grazie a una sottoscrizione pubblica curata dai sindacati e all'appoggio delle organizzazioni del Fronte popolare. Veicolo delle posizioni del PCF (la razionalità della rivoluzione, l'apertura ai cattolici, il ruolo positivo della borghesia, il senso della patria), il film vive di uno stile spoglio, antiretorico, che contraddice il genere storico in cui si inscrive, a favore di una sorta di reportage in cui è esaltata la quotidianità delle vite dei tanti personaggi che si avvicendano sullo schermo. Nello stesso 1938 uscì La bête humaine (L'angelo del male), ancora da É. Zola, con Gabin e Simone Simon, storia di una malattia, di delitti e di pulsioni erotiche, ripresa di temi intimi da parte di R., che in questo film torna ad affrontare i fantasmi dell'immaginario facendoli giocare sulla scena. Ritorno del rimosso che trova l'espressione più compiuta nel capolavoro successivo, La règle du jeu (1939; La regola del gioco), commedia corale in larga misura improvvisata, celebrazione provocatoria e malinconica della regola del gioco sociale che rimuove le pulsioni, una volta giunte al loro parossismo, ricomponendo il dionisiaco in un falso ordine, ora più che mai esposto alla deflagrazione della guerra. Tra i film di R. La règle du jeu è forse quello in cui più esplicitamente si realizza quell'immanentismo del senso nella forma che, ritrovato in Roberto Rossellini, fu assunto a modello dalla Nouvelle vague e dall'insieme del cinema 'moderno'.

Mentre precipitava la situazione internazionale, R. accettò di girare La Tosca a Cinecittà, decisione che lo rese inviso agli amici del PCF. All'inizio del 1940 si recò quindi a Roma, dove scrisse la sceneggiatura e iniziò le riprese nel mese di maggio. Aggredito da un gruppo di fascisti, le sospese al terzo giorno e tornò a Parigi. Non potendo lavorare liberamente nella Francia di Vichy e non intendendo accettare la proposta di collaborazione da parte delle organizzazioni culturali naziste, R., avendo ottenuto una promessa di lavoro da parte della 20th Century-Fox, grazie ai buoni uffici di Robert J. Flaherty, dopo una serie di traversie partì per gli Stati Uniti, dove rimase stabilmente per otto anni. Nonostante i successivi viaggi e rientri in patria, non avrebbe più modificato la sua residenza hollywoodiana.

Il periodo americano vide la realizzazione di sei film, all'insegna del principio renoiriano della 'permeabilità rispetto all'ambiente': attraverso il cinema R. impara la vita, facendosi attraversare da quanto lo circonda. Volle così conoscere dall'interno la cultura e il modo di vita statunitensi, ma non poté non scontrarsi con il modo di produzione hollywoodiano, radicalmente diverso dal suo e restio a coinvolgimenti esistenziali nella pratica professionale. Amato dalle maestranze, che videro in lui al tempo stesso un maestro pieno di talento e un autentico democratico, e dagli sceneggiatori con cui lavorava (in particolare Dudley Nichols), R. fu in perenne conflitto con la produzione, cui pure regalò film di buon successo di pubblico, come Swamp water (1941; La palude della morte), che lanciò Dana Andrews e Ann Baxter, sorta di western ambientato nelle paludi di Okefenokee in Georgia, ripresa del grande tema renoiriano dell'acqua e inizio di un ripensamento profondo del rapporto tra l'uomo e la natura; come This land is mine (1943; Questa terra è mia), con Charles Laughton, Maureen O'Hara e George Sanders, vicenda resistenziale nella Francia occupata, girata interamente in studio, scelta che conferisce al film un generale effetto di straniamento brechtiano; o infine come The southerner, il più rilevante dei suoi film hollywoodiani. Frutto di quella profonda comprensione dei valori della cultura americana che la 'permeabilità' del suo autore aveva reso possibile, The southerner (da G.S. Perry) racconta la lotta dell'uomo con la natura cogliendo questo rapporto, senza alcun cedimento idilliaco, nella complessità di un discorso sulla divinità, nuovo per R. e frutto dell'incontro con il Nuovo mondo. Mentre, sul versante stilistico, l'esperienza hollywoodiana segnò il progressivo recupero dell'inquadratura breve e di una nuova tendenza verso il montaggio invisibile, che lo avrebbe accompagnato nel resto della sua opera. A tali film si aggiungono A salute to France (1944), opera di propaganda in vista della Liberazione prodotta dall'Office of War Information, che R. realizzò senza alcuna retorica; The diary of a chambermaid (1946; Il diario di una cameriera), da O. Mirbeau, ripresa dei temi della cultura francese, confronto con uno dei testi che avevano segnato la giovinezza del regista, quasi come controcanto rispetto all'immersione americana di The southerner, e The woman on the beach (1947; La donna della spiaggia), l'ultima opera hollywoodiana di R., dal carattere sperimentale, densa di umori che testimoniano il malessere esistenziale dell'autore, interiormente diviso tra due mondi in nessuno dei quali sentiva di potersi interamente identificare.Il film successivo fu una coproduzione di nazionalità indiana: The river (1951; Il fiume), dal romanzo di formazione di R. Godden, scrittrice inglese nata e vissuta in India, che R. girò nei dintorni di Calcutta nel 1950 e che l'anno dopo ottenne il Premio internazionale speciale alla Mostra del cinema di Venezia. Primo film a colori del maestro, fotografato dal nipote Claude, The river rappresenta il più estremo tentativo del regista di metabolizzare l'esperienza americana in relazione al rapporto uomo/natura e all'aspetto religioso della vita. Ma il successivo La carrozza d'oro (1952), girato a Cinecittà e interpretato da Anna Magnani, oltre a rappresentare un omaggio a quella Commedia dell'arte alla quale R. aveva più volte dichiarato di ispirarsi, indica anche l'opzione a favore di una concezione conflittuale, 'europea', dei rapporti tra arte, vita e religione. A questo film, centrato sull'arte dell'attore, seguì French cancan (1955), riflessione sull'arte della messa in scena, classicamente condotta nelle forme di una rivisitazione della cultura francese a lui più cara. È questo il film del ritorno in patria del maestro, che si circondò dei vecchi amici, a cominciare da Jean Gabin, suo alter ego nel ruolo del protagonista.

Nel 1956 uscì Eléna et les hommes (Eliana e gli uomini), interpretato da Ingrid Bergman e Jean Marais, che anche in virtù delle sue performances tecniche, in particolare nell'uso del colore, mostra come l'epifania dell'eros attraverso la forma (il controllo intellettuale) fosse divenuto il tema centrale della poetica renoiriana. Fu quindi la volta di due film che affrontano il rapporto tra scienza e morale e che segnarono (anche tematizzandolo) l'incontro di R. con la televisione: Le testament du docteur Cordelier (1959; Il testamento del mostro), trasposizione di The strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde di R.L. Stevenson ambientata nella Parigi contemporanea e interpretata da Jean-Louis Barrault, omaggio di R. alla coerenza ostinata dell'avventura spirituale, e Le déjeuner sur l'herbe (1959; Picnic alla francese), commedia pervasa di umori brechtiani, interpretata da Paul Meurisse e ambientata in Provenza, che coniuga sapientemente critica sociale e sentimento panico delle cose.

Con il successivo Le caporal épinglé (1962; Le strane licenze del caporale Dupont) R. tornò al tema della guerra e dell'evasione, ma con uno spirito ben diverso dal film del 1937: nella guerra (questa volta la Seconda guerra mondiale) e nella vita non ci sono che vinti, il mondo è una prigione e l'unica moralità possibile è la coscienza delle contraddizioni e la lotta per nuove condizioni di esistenza. Lo stile, straniato e razionale, rifiuta il racconto tradizionale e vive di un'articolazione corale e del variegato intrecciarsi dei rapporti tra i personaggi.

In quegli anni la ricerca di R., che a più riprese e con successo si cimentò anche nella regia teatrale, proseguì nel libro sul padre, pubblicato a Parigi nel 1962, e in quattro romanzi, il principale dei quali è Les cahiers du Capitaine Georges (1966). L'ultimo film, Le petit théâtre de Jean Renoir (1970; Il piccolo teatro di Jean Renoir), coprodotto dalla RAI, compendia nei suoi quattro episodi l'itinerario esistenziale e di cineasta di R., nel segno di quella pratica aperta della regia come luogo sempre rinnovato (e metalinguisticamente interrogato) di confronto e permeabilità rispetto alle cose, che costituisce la sua grande lezione alla storia del cinema internazionale. Nel 1974 furono pubblicati l'autobiografia, Ma vie et mes films, e la raccolta dei suoi scritti dal 1926 al 1971.

Bibliografia

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G. De Vincenti, Jean Renoir. La vita, i film, Venezia 1996.

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