BECKER, Jacques

Enciclopedia del Cinema (2003)

Becker, Jacques

Marco Pistoia

Regista, sceneggiatore e attore cinematografico francese, nato a Parigi il 15 settembre 1906 e morto ivi il 21 febbraio 1960. Attivo solo per un ventennio, divenne tuttavia uno dei più grandi registi francesi della storia del cinema, coniugando la raffinatezza del tocco con un caustico rigore dello sguardo, talora rivelando uno spiccato gusto per la ricostruzione d'epoca, accuratamente effettuata anche grazie al consapevole ricorso a modelli pittorici e teatrali. Particolarmente attento alle dinamiche dei rapporti sociali e amorosi e al mondo femminile, B. seppe essere realistico e 'fantastico', creatore di universi composti con naturalistica precisione e, a un tempo, con geometrica astrazione. Nel 1943 ottenne il Grand prix du cinéma français per Goupi mains rouges (La casa degli incubi), mentre nel 1947 per Antoine et Antoinette (Amore e fortuna) vinse a Cannes la Palma d'oro per la migliore commedia sentimentale e psicologica. Il padre, lorenese, fu uno degli amministratori della società di accumulatori Fulmen, la madre, di origini scozzesi e irlandesi, diresse una casa di alta moda a Parigi. Compiuti gli studi al Lycée Carnot e all'École Bréguet, lavorò per un breve periodo presso la società Fulmen e strinse amicizia con Paul Cézanne e Jean Renoir, figli dei grandi pittori impressionisti. Dopo aver militato (1926) in un reggimento di ussari a Rambouillet, nel 1929 ottenne un ruolo in Le bled, diretto da Renoir. Questi, nel 1932, gli affidò la direzione di produzione e il compito di assistente alla regia per La nuit du carrefour, dal romanzo di G. Simenon. La collaborazione con Renoir proseguì per alcuni anni, con film quali Une partie de campagne (1936), Les bas-fonds (1936; Verso la vita), La grande illusion (1937; La grande illusione), La Marseillaise (1937; La Marsigliese), cui talora partecipò anche come attore. Nel 1939 si presentò l'occasione per la regia di un lungometraggio, ma il film, L'or du Cristobal, iniziato da B., fu poi affidato a un altro regista. Cadde prigioniero dei tedeschi, ma dopo un anno di reclusione riuscì a tornare a Parigi. Finalmente, nel 1942, poté esordire con una commedia poliziesca ispirata al noir americano, Dernier atout. Fu qui che rivelò doti ampiamente confermate in seguito: la sagacia nell'uso della macchina da presa ‒ spesso assai mobile ‒, la capacità di tessere i fili di un'azione ampia e articolata, giocata su più livelli narrativi, la sensibilità nella trattazione dei caratteri, la bravura nella direzione degli attori. Ma fu nel 1943 che finalmente B. si affermò presso il pubblico e la critica. Il film, Goupi mains rouges, da lui sceneggiato come tutte le altre sue opere, è uno straordinario e bizzarro ritratto di vita agreste, all'interno di un complicato nucleo familiare, quello dei Goupi, i cui rapporti si articolano sul filo dei preparativi di nozze, di un omicidio e della scomparsa di una grossa somma. Cupo fino a sfiorare il tragico, ma anche comico e grottesco, il film avvolge lo spettatore in una trama tanto avvincente quanto misteriosa, rivelando la grande capacità di osservazione del regista. La cupezza di quest'opera tornò nel successivo Falbalas (1945), solo in apparenza in contrasto con l'ambientazione, il dorato mondo dell'alta moda. Un mondo ‒ quello della madre di B. ‒ descritto attraverso le vicende del protagonista, un sarto ossessionato dal rapporto irrisolto con le donne (di spicco una bellissima Micheline Presle), tra creazione artistica (simbolicamente evocata dai manichini) e modelli reali. In questo secondo capolavoro, che all'epoca fu ingiustamente trascurato, B. si rivelò magistrale creatore di ineffabili atmosfere, capace di far coesistere l'esteriorità (lo scintillio dell'alta moda) con la profondità (l'abisso della psiche umana).

Da una siffatta combinazione di commedia e dramma, B. passò a privilegiare in alcuni film i toni della commedia, in un dopoguerra variamente restituito da opere assai vivaci ‒ ancorché attraversate talora da momenti cupi ‒ e girate con la consueta maestria: Antoine et Antoinette, spaccato di vita popolare, resa frenetica ‒ con un occhio a René Clair ‒ dalla ricerca di un biglietto della lotteria; Rendez-vous de juillet (1949; Le sedicenni), quasi una serie di quadri di vita osservata attraverso la lente dei rapporti generazionali, tra gli ambienti del teatro, del cinema e della musica jazz; Édouard et Caroline (1951; Edoardo e Carolina), forse il suo film più gaio, strutturato come una pièce in tre atti di gusto un po' boulevardier. La straordinaria capacità di ricreare ambienti e atmosfere si poté esprimere ai più alti livelli rievocativi con lo spaccato 'in costume' di Casque d'or (1952; Casco d'oro), dramma dell'amore e della natura, pieno di dettagli significanti combinati tra crudeltà e tenerezza; giustamente definito di sapore stendhaliano, interpretato da notevoli attori-personaggi (Simone Signoret e Serge Reggiani, Gaston Modot e Claude Dauphin), il film uscì tra la generale indifferenza e solo più tardi fu ritenuto un capolavoro. Altrettanto sfortunato fu il successivo Rue de l'Estrapade (1953), un nuovo ritratto di coppia che seppe rinverdire le opere dell'immediato dopoguerra cui si ricollegava con precisi richiami. B. poté poi ritrovare il successo con un poliziesco legato alla celebre Série noire dell'editore Gallimard, Touchez pas au grisbi (1954; Grisbi), tratto da un fortunato romanzo di A. Simonin. Film sull'amicizia maschile, proteso ‒ come sempre in B. ‒ alla sottolineatura dei caratteri e dei moventi delle azioni, piuttosto che a evidenziare queste ultime, alla concitazione dello spazio e del tempo, appare in ideale pendant con l'ultimo, grande film, Le trou (1960; Il buco). Anche qui un universo concentrazionario, il carcere, è lo spazio privilegiato in cui avviare la lenta ed elaborata preparazione di un'azione, e nel minuzioso realismo di una storia che finisce tragicamente B. racchiuse il senso ultimo della sua poetica.

Bibliografia

L. Anderson, Lettre anglaise sur Becker, in "Cahiers du cinéma", 1953, 28.

J. Rivette, F. Truffaut, Entretien avec Jacques Becker, in "Cahiers du cinéma", 1954, 32.

C. Beylie, Portrait de Jacques Becker, in "Cinéma 58", 1958, 27.

G. Sadoul, Jacques Becker, in "Lettres françaises", 1960, 813.

F. Truffaut, Réflexions sur Jacques Becker, in "France-Observateur", 1960, 516.

J. Quéval, Jacques Becker, Paris 1962.

R. Gilson, Jacques Becker, Paris 1967.

J.-L. Vey, Jacques Becker, Paris 1995.

V. Vignaux, Jacques Becker ou l'exercice de la liberté, Liège 2000.

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