JACOPO di Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

JACOPO di Paolo

Anna Tambini

Pittore e miniatore bolognese, è ampiamente documentato dal 1371 al 1429 (Filippini - Zucchini, 1947 e 1968; Gibbs, 1996). "Jacobo quondam Pauli, pictore de cappella Sancti Proculi" compare come teste nella casa del pittore Simone dei Crocifissi il 7 maggio 1371 (Arch. di Stato di Bologna, Memoriali, c. 241r: inedito per la parte relativa a Jacopo). A tale data J. doveva essere almeno venticinquenne, per cui la data della sua nascita non dovrebbe essere posteriore al 1345. La data 1395, proposta da Montanari e accettata da Medica (2001), per il foglio relativo a un censimento svoltosi dal 1385 al 1395 in cui J. è detto di anni 40, va pertanto anticipata a ridosso del 1385; ciò concorda con l'età del figlio Orazio che risulta avere un anno nel suddetto censimento e che sappiamo immatricolato come pittore nel 1410. J. doveva già essere bene affermato nel 1378, quando il 31 dicembre fece una donazione di 100 ducati d'oro alla nipote Andreuccia. Il nonno Jacopo di Nascimbene era pittore e suo zio era il noto miniatore Nicolò di Giacomo (Gibbs, 1979). J. si formò sotto l'influenza prima di Simone dei Crocifissi e poi del neogiottismo che faceva capo a Jacopo Avanzi, a cui succedette nel ciclo di affreschi con Storie di Mosè nella chiesa di S. Apollonia a Mezzaratta.

I due episodi spettanti a J. con Mosè che consegna le tavole della legge al popolo e la Punizione dei ribelli al sacerdozio di Aronne (Bologna, Pinacoteca nazionale), databili al 1370-80, mostrano un nitido rigore d'impianto, un intenso plasticismo e semplificazioni geometriche nella figurazione, memori della razionalità del Giotto padovano, per cui è stato ipotizzato un viaggio a Padova sulla scia di J. Avanzi.

Un soggiorno di J. a Padova è pure suggerito dalle miniature per il De viris illustribus (Darmstadt, Landesbibliothek), eseguito per la famiglia padovana Papafava, secondo Medica (1987), tra il 1385 e il 1390, ma più probabilmente da anticiparsi agli anni Settanta (Skerl Del Conte).

Il codice è ornato da illustrazioni a monocromo che raffigurano trionfi e fatti di condottieri antichi, ispirate a un ciclo di affreschi un tempo nel palazzo dei da Carrara, signori di Padova, riconosciuto a J. Avanzi e di poco antecedente al 1370. Lo stile di J. palesa una sicura declinazione neogiottesca, accanto a rimandi alla tradizione gotica bolognese nella vivacità del racconto e in talune forzature espressive.

Tali caratteri sono condivisi da altre opere databili agli anni 1370-80, come la Madonna col Bambino in trono e due angeli (Bologna, collezione privata), attribuita da Benati (Un altarolo…, 1986); la Madonna con il Bambino e angeli (Milano, già collezione Chiesa e poi Agosti; Finarte, 17 giugno 2003, n. 466); il dittico con Storie di s. Margherita (diviso tra Firenze, Fondazione Longhi, e Crema, collezione Stramezzi).

Sono perduti gli affreschi con la Crocifissione e l'Annunciazione (Bologna, chiesa dei Ss. Naborre e Felice), firmati e datati 1384 (Malvasia). Degli anni 1386-90 è l'Annunciazione (Bologna, Collezioni comunali d'arte), commissionatagli dal letterato Jacopo di Matteo Bianchetti (morto nel 1390) per la camera degli Atti nel palazzo di re Enzo, costruita nel 1386.

Il dipinto, composto sul modello del noto affresco trecentesco della Ss. Annunziata di Firenze, palesa un solenne rigore neogiottesco nella complessa architettura del fondo con archi e volte costolonate, nello squadro e nelle forme ampie e massive delle figure dove prevale il senso del rettilineo e del geometrico, tanto nei lineamenti quanto nei panneggi, con un effetto statuario che indica una familiarità di J. con la scultura, confermata dai documentati rapporti di lavoro con scultori e intagliatori. Ne è esempio il trittichetto già in collezione De Carlo (Semenzato, 11 giugno 2003, n. 7), dove l'Annunciazione degli sportelli è dipinta da J.; mentre all'interno la Madonna col Bambino, angeli e quattro santi è intagliata da uno scultore bolognese.

Vicinissima per stile e quindi per data è l'Incoronazione della Vergine firmata (Bologna, Pinacoteca nazionale), alla quale si approssima, anche per l'identica punzonatura delle aureole, un'altra Incoronazione nel convento di S. Giuseppe a Bologna (Lodi, fig. 71e).

Gli anni Novanta videro J. ricoprire importanti incarichi: vicario di Budrio e castellano della rocca di Cento (30 nov. 1391); preposto all'Ufficio delle strade, ponti e acque di Bologna (1393); "camarlenghus dominorum de Monte" (1394); castellano della rocca di Bonazzara (1395); gonfaloniere (1397). Nel 1399 fu pagato per un sopralluogo alle fortezze della Romagna e fu tra i Massari delle arti; nel settembre 1400 fu castellano della rocca di Castelfranco. La sua molteplice attività è attestata da un atto del 4 marzo 1393, in cui forniva allo scultore veneziano Paolo di Bonaiuto il disegno di sei mezze figure di santi per il basamento della facciata di S. Petronio, e inoltre dalla miniatura, databile al nono decennio, con i Ss. Petronio, Pietro e Michele Arcangelo per gli statuti dell'arte della seta (Arch. di Stato di Bologna, Mss., 56), caratterizzata da forti colori e da un'immediatezza espressiva prossima ai modi di Nicolò di Giacomo (Medica, 1987; Benati, in Haec sunt…, 1999, p. 148).

Possono collocarsi nell'arco 1390-1400 la frammentaria predella con tre coppie di Apostoli (Bologna, Pinacoteca nazionale); la S. Elena, aggiunta alla croce duecentesca del Maestro dei Crocifissi Francescani (ibid.); la Croce (in origine nella chiesa di S. Tommaso in strada Maggiore, ora nelle Collezioni comunali d'arte di Bologna: Medica, 2001), di forte risalto plastico, da cui discende la Crocifissione con una donatrice (già collezione Kress, ora Nashville, Cohen Memorial Museum of art), di un taglio figurativo quasi metallico; il piccolo trittico e il S. Giovanni Evangelista (Bologna, Museo di S. Stefano); l'Incoronazione della Vergine tra due frati francescani firmata (Avignone, Musée du Petit-Palais); l'affresco con l'Incoronazione della Vergine e santi (Faenza, S. Francesco) entro un illusivo polittico, riconosciutogli indipendentemente da Benati (1994) e da Tambini (1994).

Il 14 febbr. 1402 J., residente allora nella "cappella" di S. Caterina di Saragozza, promise a Francesco de Grassi "strazarolo" una tavola (perduta) per l'altare di S. Orsola nella chiesa di S. Giacomo; mentre il 21 settembre si impegnò coi procuratori dell'erigenda basilica di S. Petronio a eseguire un modello (perduto) della nuova chiesa in legno e carta bambagina.

La sua agiatezza economica e insieme il suo prestigio artistico si evincono da diversi atti: il 12 luglio 1404 ricevette una casa e due pezze di terra a nome delle cinque figliole, beneficiarie del testamento del miniatore Nicolò di Giacomo; il 25 maggio 1406 concesse un prestito di 100 lire al pittore modenese Bartolomeo degli Erri, residente a Bologna; tra il 1407 e il 1408 fu pagato per affreschi (perduti) con Storie di s. Procolo nel chiostro del convento omonimo; nel 1410 era iscritto nella matricola della società degli orefici e in quella delle quattro arti.

È stato argomentato che J. abbia ricevuto la commissione del polittico tuttora collocato nella cappella Bolognini in S. Petronio prima del 1408, in quanto nel testamento, rogato il 10 febbraio dello stesso anno, B. Bolognini nel predisporre la decorazione della cappella, non faceva menzione del dipinto (Kloten; Benati, 2002).

Il grandioso polittico, che era completato in origine da una coperta firmata (perduta) con il Crocifisso e i profeti (Malvasia), è un raro esempio di commistione tra pittura e scultura. Entro una complessa carpenteria di netto gusto gotico fiorito (il modello è l'altare marmoreo di Jacobello e Pier Paolo Dalle Masegne in S. Francesco a Bologna), presenta più ordini di figure scolpite e policrome, realizzate da un efficace scultore, prossimo al cosiddetto Maestro di S. Petronio; J. dipinse i Santi nei pilastri laterali e le Storie dei magi nella predella. Particolarmente in queste scene, appare meno legato al severo rigore neogiottesco del suo primo tempo e aperto alle suggestioni dello stile tardogotico. Un gusto già di senso cortese e profano traspare nei dettagli dei costumi, nel vivace realismo di episodi quali la battuta dei cani, il trotto dei cavalli, il concertino dei pastori zampognari, negli indugi ritmici e lineari come il profilo ondulante dei monti che fanno da sfondo alle scene e soprattutto nella splendida gamma cromatica con rossi e azzurri intensi come lacche o smalti preziosi. L'uniformità della decorazione della cappella fa pensare che J. abbia svolto un compito di coordinamento, dando anche i disegni delle vetrate (Volpe, 1983).

Al seguito dell'altare Bolognini può collocarsi la Crocifissione firmata (Bologna, Pinacoteca nazionale), di un'espressività risentita fin quasi al grottesco. La tradizionale indicazione di provenienza dai Ss. Naborre e Felice (Benati, 1996) nasce dall'equivoco con quella un tempo ivi affrescata; mentre è più probabile che si tratti del centro del trittico di S. Michele in Bosco, descritto da Oretti, legandosi per stile e misure ai laterali rappresentati dalle due tavole cuspidate della stessa Pinacoteca con i Ss. GiacomoeMichele e i Ss. Pietro e Giovanni Battista e in alto l'Annunciazione. La diversa foggia dell'arco centinato nella Crocifissione si può spiegare con l'arbitrario taglio della cuspide dove era raffigurata la Trinità tra i ss. Gerardo e Benedetto (Oretti). Al 1410 circa risale anche la Crocifissione (Parigi, G. Sarti: Benati, 2002) già assegnata a Michele di Matteo da A. De Marchi (Michele di Matteo e l'eredità lagunare di Gentile da Fabriano, in Prospettiva, 1987, n. 51, p. 24).

L'11 dic. 1415 J. promise a Rainaldo Formaglino, "operario di S. Pietro", di dipingere e dorare una Croce (perduta) per la cattedrale di S. Pietro a Bologna, intagliata da Tommasino da Baiso con il figlio Arduino e posta sul pulpito della chiesa il 13 ag. 1417: essa raffigurava il crocifisso su entrambe le facce, sia a rilievo in legno (nel recto), sia dipinto. Il 16 luglio 1416, insieme con Antonio di Filippo, venne pagato da parte del Comune per la pittura di tredici vessilli con immagini di santi (perduti). Nel 1420 eseguì due polittici, insieme con un tal Pietro di Giovanni, per la chiesa di S. Giacomo Maggiore. Il Pietro di Giovanni del documento, già identificato con II° Lianori (Arcangeli, 1971), che però appare sempre col cognome nei documenti e nelle firme, è più probabilmente Pietro dalle Tovaglie (Filippini - Zucchini, 1968, p. 144). Le due tavole, con i Ss. Bartolomeoe Pietro (Bologna, Pinacoteca nazionale), sono quanto resta del polittico di S. Giacomo all'altare di S. Bartolomeo; mentre l'altro polittico all'altare di S. Lorenzo nella cappella Cari è riconoscibile in quello con l'Incoronazione della Vergine e santi, tuttora in loco, che sembra interamente da assegnare a J., la cui firma è apposta nel pannello centrale.

È una delle sue opere più importanti, che attesta la sempre più netta convergenza di J. verso lo stile tardogotico, ravvisabile in particolare negli aspetti cortesi e profani che caratterizzano la scena centrale rispetto alle versioni precedenti. I toni di incisivo plasticismo e rigore formale si coniugano con un'eleganza quasi grafica nelle linee falcate dei panneggi e con una pungente espressività, in particolare nella Crocifissione della cuspide.

Cadenze di un patetismo altrettanto intenso si ritrovano nella Crocifissione miniata nel 1424 negli statuti dell'arte della seta (Arch. di Stato di Bologna, Mss., 59; Benati, in Haec sunt…, 1999) e in quella al centro del trittico svizzero reso noto da G. Freuler (Salenstein in Turgovia, castello Arenenberg, Napoleon Museum); mentre un raggiunto equilibrio tra l'antica solennità neogiottesca e la nuova carica espressiva tardogotica connota la grande Croce (Bologna, S. Giacomo), dipinta sui due versi.

In un atto del 9 maggio 1425 J., citato come pittore e "cornixado", cioè autore della carpenteria di polittici, veniva incaricato di sovrintendere ai lavori del nuovo coronamento del campanile di S. Pietro, dove tra il 24 settembre e 26 novembre eseguì opere di pittura e doratura. Era ancora vivente in un atto del 22 sett. 1429 riguardante il figlio Orazio, pittore anche lui; ma risultava già defunto in data 1° febbr. 1430 (Filippini - Zucchini, 1968).

Tra le opere di J. presso privati o passate sul mercato antiquario, si ricordano un Cristo in croce (Londra, Sotheby's, dicembre 1969); i Ss. Giovanni Battista e Francesco (ibid., 13 dic. 1978, lotto 44); un trittico con la Madonna col Bambino e s. Giacomo tra s. Cristoforo e s. Antonio Abate e nelle cuspidi l'Annunciazione e la Pietà (Firenze, Antichità Ferruccio, VIII Mostra mercato internazionale dell'antiquariato, 1973, e poi Roma, Christie's, 13 dic. 1988, lotto 28); un S. Stefano (Benati, 1996: ne è sconosciuta l'attuale collocazione; fotografia presso la Fondazione Longhi di Firenze); una Pietà (già Francoforte, collezione Bauer); un S. Giovanni Battista (ora in deposito nel Museo Davia Bargellini di Bologna: Benati, in Tesori…, 1999; Medica, 2001); una miniatura con la Pentecoste (Venezia, Fondazione Cini: Medica, 1999, p. 70, fig. 19).

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