IUGOSLAVIA

Enciclopedia del Cinema (2003)

Iugoslavia

Eusebio Ciccotti

Cinematografia

Per 'cinema iugoslavo' si intende il cinema prodotto nella ex Iugoslavia o in parte di essa (dopo il 1991, infra) dal 1918 al 2002. Quando arrivò il cinema, nel 1896 (e sino alla fine della Prima guerra mondiale), il panorama geopolitico del cuore dei Balcani presentava due regni indipendenti: il Regno di Serbia e il Principato del Montenegro; Slovenia, Croazia-Slavonia, Dalmazia, Bosnia Erzegovina, porzioni della Baranja, della Bačka e del Banato erano inglobate nell'Impero austro-ungarico; l'altra parte del Montenegro, la Macedonia e il Kosovo si trovavano sotto la dominazione ottomana. Tale situazione politico-economica (le regioni sotto l'Impero ottomano erano le più arretrate) è da tenere presente per meglio comprendere la nascita e l'evoluzione disomogenea del cinema nelle diverse sub-regioni balcaniche, che, unite, formarono nel 1918 il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (Regno SHS): un'estensione geopolitica che, con le variazioni della forma statuale, dei confini e della situazione economica, sarebbe rimasta fino al 1991. Dal 1929 il Regno SHS si trasformò in Regno di Iugoslavia (con predominanza di Belgrado); dal 1945 in Repubblica Popolare Federativa di Iugoslavia. Dal 1991 al 2002 sarebbero nati i seguenti Stati: Repubblica di Slovenia (1991), Repubblica di Croazia (1991), Repubblica di Bosnia ed Erzegovina (1995); Federazione di Serbia e Montenegro (2002), in un primo momento, dal 1991 al 2002, Repubblica Federale di Iugoslavia.

Le origini del cinema

La prima proiezione avvenne a Belgrado il 6 giugno 1896 (tre mesi prima che a Praga, allora sotto l'impero asburgico, a dimostrazione che Belgrado era considerata 'cuore dell'Europa'). Un'antologia di brevi filmati fu proiettata da alcuni addetti e venditori delle macchine Lumière, guidati dall'esperto operatore André Carré, al ristorante Alla croce d'oro. Le altre presentazioni avvennero a Zagabria l'8 ottobre (curate da Samuel Hoffmann) e in alcune città slovene quali Maribor (24 ottobre), Celje (3 novembre), Lubiana (16 novembre) e Pola (21 novembre): nelle prime tre città furono seguite da Charles Crassé di Graz, per conto della Edison di Vienna; mentre a Pola da M. De Horney. Il primo film girato ebbe come set Belgrado, Polazak Kralja Aleksandra Obrenovića iz dvora u Sabornu crvku (1897, La partenza del re Alessandro Obrenović dalla corte per la cattedrale) sempre a cura dell'inviato dei fratelli lionesi, Carré. Una settimana dopo egli realizzò Tramvajska stanica na Terazijama (La stazione dei tram di Terazije); successivamente, seguendo la scuola Lumière, Izlaženje radnika iz fabrike duvana (L'uscita degli operai dalla fabbrica di tabacco) e Kalemegdanska šetnja (Passeggiata a Kalemegdan). Alcuni di questi filmati oggi perduti furono proiettati pubblicamente e raccolsero grandi successi nel pubblico belgradese. Il neonato genere documentario attecchì con brevissimi film quali Panorama Liubljane (Panorama di Lubiana) o Korzo na Rijeci (Il corso di Rijeka), entrambi del 1899, realizzati da un non identificato proprietario ambulante; mentre un altro collega, al tempo noto, l'ungherese Ferdinand Somogy, presentò a Vienna U crnim brdima, na kneževskom dvoru crnogorskom (1902, Tra le montagne nere, nella corte del principe del Montenegro), primo film incentrato sulla vita di quella regione. Anche la concorrente Pathé produsse due film di forte impatto drammatico basati su scene di attualità ricostruite: Ubistvo srpske kraljevske porodice (1902, L'assassinio della famiglia reale di Serbia) e Pokolji u Makedoniji (1903, I massacri della Macedonia), entrambi perduti, che fecero il giro del mondo scioccando le platee.

Il primo periodo: 1905-1914

Il primo cineasta proprietario di una macchina da presa in quei luoghi fu Milton Manaki, macedone d'origine valacca: appena acquistata si mise a riprendere un gruppo di donne intente a filare la seta (Prelje, Le filatrici). Milton, aiutato dal fratello Yanaki, realizzò, poi, alcuni film, ma gli storici riconoscono un valore speciale soprattutto a Sultan Muhamed V Resad u Solunu i Bitolju (1911, Il Sultano Muhamed V Resad a Salonicco e a Bitola). Tra il 1909 e il 1912 iniziarono l'attività di 'regista' Ernest Bošnjak di Sombor (Vojvodina), Josip Karaman di Split (Dalmazia), Antun Valić di Sarajevo (Bosnia). Dopo il 1910 tre famiglie di proprietari di cinema debuttarono nella pro-duzione. Il primo film di finzione fu Život i delo besmrtnog vožda Karadjordja (1913, La vita e l'opera dell'immortale capo Karadjordje), finanziato da S. Botorić, proprieta-rio del cinema Le Paris, e girato dall'attore Tonton Ilija, nome d'arte (forse ispirato a Tontolini) di Ilija Stanojević, il più noto attore del teatro nazionale di Belgrado, con la fotografia affidata a un inviato della Pathé Frères. Nel 1912 i fratelli Savić, proprietari di una sala cinematografica a Belgrado, produssero delle 'attualità' e la fiction Jadna majka (La povera madre), e vollero coinvolgere nell'esperienza anche Karl Freund. Il terzo proprietario, Dojka Bogdanović, esordì con cortometraggi d'attualità ma non riuscì ad approdare alla finzione. Il genere documentario, del resto, venne incoraggiato dalla guerra dei Balcani del 1912-13, che attirò numerosi operatori e case straniere. Ma fu Josip Halla, di Zagabria, che filmò, con buon senso del ritmo, la prima sconfitta delle truppe turche. Il belgradese Slavko Iovanović girò Povratak srpskih pobednika (1913, Il ritorno dei serbi vincitori), dove vi è un "lungo carrello attraverso Belgrado al ritorno dei soldati dalla guerra balcanica" (Germani 2000, p. 1331). All'indomani della Prima guerra mondiale il cinema di quest'area balcanica appariva comunque modesto se comparato al cinema di altri Paesi che, peraltro, irrompeva nel piccolo mercato interno, invadendo le circa quindici sale permanenti con prodotti migliori.

Il cinema durante la guerra 1914-1918

Il conflitto richiamò al fronte molti operatori di varie nazionalità che si fronteggiavano offrendo differenti verità (ciò è ritratto mirabilmente, in letteratura, da K. Kraus in Die letzten Tage der Menschheit, 1922). Da una parte operatori italiani, francesi e britannici; dall'altra austriaci, tedeschi e ungheresi. Il viennese Sasha Kolowrat, proprietario della Sasha Film, produsse e diresse dal fronte documentari 'd'incoraggiamento', guadagnandosi menzioni ufficiali dal Ministero della guerra di Vienna. Non figuravano autori del futuro Regno SHS, e soltanto verso la fine del 1916, quando l'Armata serba si ricostituì a Corfù, un operatore, Mihajlo Mihajlović (nome d'arte Miko Afrika), realizzò sequenze coraggiose sulla parte finale del conflitto. La guerra si portò via un promettente talento di Novi Sad, il ventenne Vladimir Totović, che a diciotto anni, tra il 1915 e il 1916, aveva girato dei cortometraggi, tra cui la divertente commedia Lopov kao detektiv (1916, Il ladro detective). Il 1° dicembre del 1918 nacque il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni.Dai primi autori iugoslavi al sonoro: 1919-1931. ‒ Negli anni del primo dopoguerra, poiché la produzione interna stentava a decollare ebbe buon gioco il cinema d'importazione, cui lo Stato impose dei dazi sino a raggiungere il 50%. Entrate che però il Regno non reinvestì in un sistema d'aiuto per le produzioni private; fallì così il tentativo dell'Officina di Stato per il cinema (che ebbe vita dal 1922 al 1925), ricordata anche per l'insuccesso di Tragedija naše dece (1922, La tragedia dei nostri figli) di Peter Dobrinović, melodrammatica critica dell'alcolismo: il pubblico desiderava sognare con il divismo occidentale. Anche nella promettente Croazia, divenuta nel 1919 Iugoslavia, la tradizione cinematografica dovette dichiarare fallimento nel 1923.

Intanto alcuni intellettuali diffondevano la coscienza del cinema d'autore attraverso le pagine di riviste artistico-letterarie d'avanguardia (ZENIT) o di settore (quali Kino, Film ecc.). Tra i letterati che mostrarono per primi un profondo interesse per il cinema, di notevole rilievo l'esempio del serbo Boško Tokin (i cui scritti venivano tradotti in Francia e giungevano persino su riviste italiane) che fondò a Belgrado, insieme a Kosta Novaković, un Club di cineamatori. Iniziò a girare, con la collaborazione della giornalista Dragana Aleksić, Kačaci u Topčideru (1924, I ribelli a Topčider), da un romanzo di B. Čosić, ma le riprese si interruppero per mancanza di finanziamenti.

Nel 1924, a Belgrado, nacque l'Artistic Film, interessata alla distribuzione di prodotti stranieri e alla realizzazione di documentari d'attualità. Lo Stato, nel 1927, si accorse del valore educativo del cinema e così l'Istituto nazionale d'igiene inaugurò la Scuola di salute pubblica (Zagabria) con l'intento di produrre cortometraggi da far proiettare dagli ambulanti nei villaggi. Sempre a Zagabria il regista e produttore Djoka Berkeš girò, utilizzando uno scenario dello scrittore Pecije Petrović, Njih dvoje (1927, Loro due), mentre a Belgrado Novaković condusse infine a termine Kralj čarlstona (1927, Il re del charleston). Nel 1928 si contavano nel Regno circa 300 sale, ma si proiettavano quasi tutti film importati. La crisi economica peggiorò anche a causa dell'involuzione politica: il 29 giugno, in Parlamento, un deputato del Montenegro assassinava S. Radić, segretario del Partito contadino croato. Il 6 gennaio del 1929 il re Alessandro I, per frenare le rivalità etniche, volle optare per un centralismo serbo, abrogando la Costituzione. I comunisti furono dichiarati fuori legge e la libertà di stampa annullata: era l'inizio della dittatura. La denominazione di Regno SHS venne quindi sostituita da quella di Regno di Iugoslavia.Nonostante tale situazione, il cammino del cinema non si arrestò. Venne realizzato a Zagabria il primo disegno animato: Martin u nebo (1929, Martin in cielo). A Belgrado Novaković, influenzato dal cinema realista sovietico e dalla Neue Sachlichkeit (v.) tedesca, si confrontò con il suo secondo lungometraggio, l'ingenuo melodramma, Grešnica bez greha (1928, La peccatrice innocente). Ranko Ivanović e Milutin Ignjačević, dopo aver compiuto esperienze di lavoro in Europa, fondarono a Belgrado la casa di produzione Adria Film.

Il cinema iugoslavo cerca la sua via: 1931-1939

Il 5 dicembre 1931 la Camera dei Deputati votò la nuova legge sulla distribuzione e produzione, creando un Centro per la cinematografia di Stato. Ispirandosi al quadro legislativo cecoslovacco in materia, lo Stato impose ai di-stributori di proiettare ogni 1000 metri di pellicola straniera 70 metri (poi 150 dal 1933) di pellicola nazionale. Il risultato fece impennare la produzione: dai 50 film del 1930 si passò ai circa 290 del 1932, tra cui 18 film sonori. Anche la Slovenia giunse alla realizzazione del lungometraggio: dopo V kraljestvu Zlatoroga (1931, Nel regno del Corno d'oro), avventura fiabesca di Janko Ravnik, un altro sloveno, Ferdo Delak, girò Triglavske strmine (1932, I pendii del Triglav). Ancora il tema della passata guerra in un film dalla severa ricerca fotografica, Sa verom u Boga (1932, Con la fede in Dio), del serbo Mihajlo Popović, fondatore a Belgrado della MAP Film. Nel 1933 le case straniere e i distributori locali, interessati ai prodotti stranieri più competitivi, riuscirono a far 'correggere' la legge per cui la distribuzione si orientò a favore del prodotto d'importazione: basti ricordare che il 57% dei film proiettati erano hollywoodiani. Diminuita la produzione nazionale di opere essenzialmente di finzione, questa si concentrò sulle attualità, sul film educativo (a Zagabria) e sul film pubblicitario.Il 9 ottobre 1934 Alessandro I fu assassinato a Marsiglia da un terrorista croato: gli succedette il figlio minorenne Pietro II, sotto la reggenza del principe Paolo. In quegli anni il Paese andò progressivamente avvicinandosi all'Italia fascista e alla Germania nazista. Dal 1935 al 1937 la produzione dei lungometraggi diminuì notevolmente: nel 1937 si realizzarono solo film documentari e pubblicitari. Nel 1935 Josip Broz, detto Tito, riorga-nizzava il Partito comunista. Nel 1938 fu fondata l'Unio-ne dei produttori del Regno di Iugoslavia nel tentativo di ristrutturare la cinematografia nazionale. Nel 1939 vi erano 412 sale sonorizzate, ma la produzione nazionale scese a soli 50 film. Il miglior documentario prebellico fu Priča jednog dana (1941, Storia di un giorno) di Maks Kalmić, con Belgrado 'protagonista'. Nel marzo 1941 la I. firmò il patto tripartito con Italia e Germania: pochi giorni dopo un colpo di stato militare a opera di ufficiali filobritannici portò all'allontanamento del principe Paolo, principale artefice dell'accordo. Pietro II, non ancora maggiorenne, fu proclamato re. Il 6 aprile la I. fu invasa dagli eserciti dell'Asse che travolsero ogni resistenza e smembrarono il Paese tra le forze occupanti: la Slovenia fu spartita tra Germania, Italia e Ungheria; la Croazia fu riconosciuta indipendente e governata dagli ustascia del filofascista Ante Pavelić; il Kosovo fu annesso all'Albania (che faceva parte dell'impero italiano); la Serbia fu divisa e presidiata da truppe tedesche. Protagonista della Resistenza divenne il Partito comunista guidato da Tito. Sotto l'occupazione i film furono per la maggior parte d'attualità e documentari ufficiali coprodotti con l'UFA; si moltiplicarono però le riprese di documentari clandestini, sulla lotta partigiana, a opera di dilettanti e professionisti che ricorsero, talvolta, a camere a passo ridotto. A Belgrado troupe sovietiche e serbe filmarono la liberazione della capitale (ottobre 1944). Dal febbraio 1945 comparve la prima serie delle Kinokronika che raccoglievano 'in diretta' materiale sulla liberazione delle diverse aree del territorio iugoslavo.

La maturità del cinema iugoslavo: 1946-1960

L'11 novembre 1945 le elezioni assegnarono al Partito comunista il 91% dei voti, cosicché il 29 novembre fu dichiarata decaduta la monarchia e proclamata la Repubblica Popolare Federativa di Iugoslavia (FNRJ), guidata dal maresciallo Tito. Sempre nel 1945 venne fondata la nuova produzione ufficiale, chiamata Firma Cinematografica della FNRJ, rimpiazzata l'anno dopo dal Comitato per la cinematografia che si diramò in sei sedi, corrispondenti alle sei Repubbliche ‒ Serbia, Croazia, Slovenia, Macedonia, Montenegro, Bosnia ed Erzegovina, con Vojvodina e Kosovo regioni autonome della Serbia ‒ creando, di lì a qualche anno, produzioni indipendenti: Avala Film (Belgrado); Jadran Film (Zagabria); Triglav Film (Lubiana); Vardar (Skopie); Bosna Film (Sarajevo); Lovćen (Podgorica). Ovviamente le produzioni di una Repubblica potevano ambientare storie in altre Repubbliche, favorendo la collaborazione di diverse maestranze iugoslave, ai fini di un prodotto culturalmente iugoslavo nonché della 'fratellanza iugoslava'.In politica estera la I. di Tito, collocatasi dopo la fine della guerra nel blocco sovietico, fu protagonista nel 1948 di una clamorosa rottura con Mosca per seguire una via autonoma verso il socialismo. Intanto, nel 1947 era stata inaugurata a Belgrado la Scuola di cinema; la produzione si riattivò, soprattutto nel genere documentario. Il cortometraggio dovženkiano Mladina gradi (1946, La gioventù costruisce) di France Štiglic fu premiato alla Mostra del cinema di Venezia nel 1947. Nel 1949 si realizzarono 166 documentari, prevalentemente corti. Nel 1950 si passò dalla gestione unica a quella decentralizzata; l'autogestione venne applicata anche al cinema. I lungometraggi salirono a quattro, sempre prodotti a Belgrado. A Zagabria i disegnatori e gli umoristi raccolti intorno alla rivista "Kerempuh" provavano ad animare storie disegnate: fu il nucleo iniziale di quella che sarebbe divenuta la celebre scuola d'animazione di Zagabria. Il cinema, che non superava i cinque lungometraggi di finzione per anno, si concentrò sui documentari e sui cortometraggi, anche animati. L'ironia verso il Komintern è espressa nell'animazione Kako se rodio Kićo (1951, Come è nato Kićo), del poi noto Dušan Vukotić. Nel periodo postbellico, sino alla prima metà degli anni Cinquanta, i pochi lungometraggi di finzione furono dedicati al tema della guerra e della Resistenza. Il filone, inaugurato da Slavica (1947) di Vjekoslav Afrić, storia eroico-tragica di una giovane partigiana, risultava, sul piano dei soggetti, incline al patriottismo e al manicheismo (i buoni e i cattivi che si fronteggiano senza alcuno scavo psicologico). Dal punto di vista formale molti film puntarono sulla soluzione narrativa dell'affresco-epopea e se Paisà (1946) di Roberto Rossellini influenzò il genere resistenziale delle cinematografie dell'Est, queste non poterono esibire la compattezza narrativa e la direzione degli attori del regista italiano. Per porre rimedio ai difetti strutturali si operò un ritorno al personaggio (una sorta di reazione per bilanciare lo sfilacciamento del film corale d'impianto ejzenštejniano), ma anche in tal caso con risultati poco apprezzabili. Fu con Veliki i mali (1956, I grandi e i piccoli) di Vladimir Pogačić, che il film di guerra resistenziale ritrovò un'autonomia estetica, pur mantenendo un indelebile manicheismo etico. Probabilmente i migliori film di finzione dei primi anni Cinquanta furono del ceco, trapiantato a Belgrado (ma lavorava anche a Lubiana), František Čáp: con Vesna (1953), che ottenne il premio del pubblico al nascente Festival di Pola, e Trenutki odločitve (1955, I momenti della decisione) mostrò un mestiere e una capacità di racconto superiori alla media degli autori del periodo. Intanto acquistava sempre più forza il documentario sociale, nel quale esordiva Aleksandar Petrović con Led nad močvarom (1957, Il volo all'altezza delle maree). La Zagreb Film, ormai lanciata nell'animazione, vinse un premio a Venezia con Samac (1958; Solitario) di Vatroslav Mimica e Aleksandar Marks. Vlak bez voznog reda (1959, Treno senza orario) di Veljko Bulajić, premiato al Festival di Pola, una commedia realistica venata di ottimismo sull'emigrazione interna dei contadini, fu il primo lungometraggio di finzione venduto all'estero (in circa 70 Paesi)

La nouvelle vague iugoslava e il 'cinema nero': 1960-1972

Nella prima metà degli anni Sessanta gli autori (sia della vecchia generazione come Štiglic, sia quelli appartenenti alla nuova ondata, come Petrović o Dušan Makavejev) studiarono e fecero proprie le diverse suggestioni europee: dal Neorealismo italiano al 'realismo sospeso' di Fellini, all'esistenzialismo di Antonioni, alla fusione tra realismo e melodramma alla Visconti; dalla Nouvelle vague francese alle 'scuole' dell'Est, per prime la polacca (Andrzej Wajda e Andrzej Munk) e la ceco-slovacca (Štefan Uher, Věra Chytilová, Miloš Forman, Jan Němec). Si stava preparando una 'ondata iugoslava' che avrebbe avuto nell'onda nera il suo centro. Il 1960 portò la prima nomination all'Oscar grazie a Deveti krug (Il nono cerchio) di Štiglic, drammatica vicenda concentrazionaria di due giovani, girata guardando alla severità di A. Munk. Con una storia di solitudine e isolamento, dai dimessi toni olmiani, citazioni attoriali dal Wajda di Popiól i diament (1958; Cenere e diamanti), uso stringente del carrello, esordiva Vuk Babić con Veselica (1960, La festa). Bulajić (che aveva studiato a Roma nel dopoguerra) dopo Vlak bez voznog reda realizzò Rat (1960, La guerra) e Uzavreli grad (1961, Una città ribollente), entrambi premiati a Pola e al Festival di Mosca, dove il tema della guerra usciva finalmente dalle secche del trionfalismo. Petrović inaugurò la nuova stagione del cinema iugoslavo con tre lungometraggi in cinque anni: Dvoje (1961, Due), Dani (1963, Giorni) e Tri (1965, Tre). Dvoje è forse il primo film iugoslavo che tratta il tema della coppia contemporanea con taglio esistenziale e in cui si leggono, in controluce, influenze di Antonioni e Fellini. Con Dani, saggio sulla solitudine femminile, la ricerca psicologica risultò più profonda. In Tri (un giovane partigiano per tre volte davanti alla morte) il tema generale della guerra è riletto sotto nuovi e diversi motivi (non più con la retorica a tesi tipica del socialismo realista): la fuga e l'inseguimento, il bene e il male, il perdono e la vendetta. Con questo film Petrović inaugurò una regia 'contemporanea' in cui si sente l'influenza della Nouvelle vague francese, ma anche quella del teatro dell'assurdo: per es., nell'incipit con il carrello sulla banchina a riprendere i vari volti dei soldati che emergono dai finestrini. Nel 1962, con il film a episodi, caratterizzato dall'uso della camera mobile, Kapi, vode, ratnici…(Gocce, acque, guerrieri), Živojin Pavlović, M. Babac e V. Rakonjac affrontarono episodi storici e contemporanei lavorando sull'ellissi (Kapi, un'immotivata giustizia privata in tempo di guerra), sulla sineddoche (Vode, due soldati in camera d'ospedale, ma uno solo vede parte del mondo dalla finestra) e sulla ricostruzione del racconto volutamente joyciano, con il presente e il passato fusi nel reciproco fluire (Ratnici, storia d'amore raccontata da 'lui'). Si andava sempre più definendo la 'nuova ondata' iugoslava che, a partire dal 1965, avrebbe offerto, nella molteplicità degli stili personali, diverse soluzioni di cinema d'autore con talenti quali quelli di V. Mimica, Bulajić, Mladomir 'Puriša' Djordjević, Makavejev, Pavlović, Matjaž Klopčić, Želimir Žilnik (molti di loro esordirono nel corto negli anni Cinquanta), il citato Petrović, ai quali si sarebbero aggiunti, nei primi anni Settanta, i lungometraggi di B. Čengić e Krsto Papić (attivi nel cortometraggio sin dagli anni Sessanta). Memoria personale e memoria storica si intrecciano in Prometej s otoka Viševice (1964, Prometeo dall'isola di Viševice), cui seguì Ponedjeljak ili utorak (1966, Lunedì o martedì) di Mimica. La dimensione del privato è il tema di Čovek nije tica (1965, L'uomo non è un uccello) di Makavejev, che si apre a soluzioni da 'realismo sospeso'. Sempre del 1965 è Devojka (La ragazzina) di Djordjević, storia d'amore tra due giovani in tempo di guerra, raccontata attraverso i diversi punti di vista dei rispettivi personaggi (rimeditando, sul piano della narrazione, la lezione di Citizen Kane di Orson Welles attraverso L'année dernière à Marienbad di Alain Resnais). Sul versante letteratura-cinema, a partire dal 1965 si fece più consistente la collaborazione tra letterati e cineasti nella scrittura di sceneggiature originali (Antonije Isaković, per es., aveva scritto Tri per Petrović).Iniziava il periodo di maturità nella produzione iugoslava: nel 1965 si realizzarono 181 film (di cui 20 lungometraggi); nel 1966, 188 (di cui 36 lungometraggi); sino al picco nel 1969 di 297 (di cui 29 lungometraggi). L'anno dell'apogeo artistico del cinema iugoslavo e della conseguente diffusione fuori dai confini nazionali fu senza dubbio il 1967: Budenje pacova (Il risveglio dei ratti) di Pavlović; Ljubavni slučaj ili tragedija službenice PTT (Un affare di cuore) di Makavejev; Skupljači perija (Ho incontrato anche zingari felici) di Petrović; Praznik (La festa) di Djordje Kadijević; Breza (La betulla) di Ante Babaja; Jutro (Mattino) di Djordjević; Kaja, ubit ću te! (Kaja, io ti ucciderò!) di Mimica; Na papirnatih avionih (Sulle ali di carta) di M. Klopčić; Mali vojnici (I piccoli soldati) di Bahrudin (Bata) Čengić; Kad budem mrtav i beo (Quando sarò morto e livido) di Pavlović. Si va dal cinema d'avanguardia di Makavejev all'esistenzialismo sartriano di Pavlović; dall'assurdo antropologico e surreale di Petrović (Skupljači perija) al ribellismo giovanile (in un riformatorio), guardando al noir americano, di Jože Pogačnik (Grajski biki, Il castello dei vigliacchi); dall'introspezione psicologica nella vita di una giovane donna dai risvolti bergmaniani (Breza), al vuoto borghese di una vita matrimoniale dagli echi del cinema di Antonioni in Klopčić (Na papirnatih avionih); dalla guerra rivisitata in chiave di assurdo logico kafkiano (Kaja, ubit ću te!), all'assurdo da Nová Vlna (la tavolata dei Cetnici il giorno di Natale cita Leonardo da Vinci ma anche O slavnosti a hostech, Sulla festa e gli invitati, di Nĕmec) e all'iperrealismo mitico del primo Pasolini. Un cinema che guardando al cinéma direct, alla Nouvelle vague francese e al grande cinema italiano seppe rinnovare il racconto. Uso del frammento rimontato seguendo l'alterazione dei tempi (passato/presente) sulla linea Joyce-Resnais-Godard (Makavejev, Antić); ibridazione dei generi cinematografici e delle diverse arti citate (Makavejev); investimento 'filosofico' del piano-sequenza (Petrović) e della camera a spalla (Djordje Kadijević, Makavejev) come superamento del naturalismo in direzione di un realismo cognitivo e/o di un neosurrealismo (Petrović, Boro Drašković); 'aggressività' fotografica negli incipit (Pavlović, Antić, Makavejev); uso di tropi cinematografici (ellissi nel montaggio; metonimia nell'inquadratura, asincronismo tematico tra colonna suoni e immagini ecc.). A ciò vanno aggiunte altre costanti stilistiche che hanno fatto parlare di onda nera, riferita spesso al cinema realizzato da autori serbi. Per la propensione verso storie drammatiche incentrate su delitti oscuri nei film sulla guerra rivisitata (Pavlović, Kadijević) d'ambientazione contemporanea, oppure sulla cronaca nera riletta attraverso un filtro da film assurdo noir (Petrović, Makavejev); per l'uso predominante del nero nella fotografia; per il fatto di scegliere l'explicit in fondu; per il ricorso al termine 'nero' nei titoli dei film. Nero quindi come disagio esistenziale di un cinema che non voleva essere ufficiale, bensì segno di una cifra stilistica balcanica all'interno delle nouvelles vagues europee.

Nel 1968 la rivisitazione della Storia seppe tendere ancor più all'obiettività con il surreale Sveti pesak (Sabbia santa) di Antić e con il tolstojano Uzrok smrti ne pominjati, ni u crkvenim knjigama ni u molitvama (Non ricordate le ragioni della morte, né nei libri di chiesa né nelle preghiere) di Jovan Živanović, i due film rivelazione dell'anno (entrambi scartati all'annuale Festival di Pola): in queste opere aumentano i dubbi sull'esistenza dell'eroe iugoslavo socialista, giusto e puro, fabbricato dall'ideologia titina. Un film stilisticamente innovativo fu Horoskop (1969, Oroscopo), prodotto a Sarajevo, di Drašković. Cinque giovani intorno a un misero chiosco di una fatiscente desertica stazioncina ferroviaria di periferia, durante le vacanze scolastiche, in una torrida estate. Bevono e sognano (quando passa il BalcanExpress); si scontrano con un gruppo rivale; scommettono di sedurre la bella cameriera Milka (giungendo alla violenza). Drašković, ricorrendo a una recitazione alla Ionesco e a un racconto ellittico, racconta un forte viaggio esistenzialista, realizzando il primo film corale e violento dell'Est sullo sbandamento dei ventenni. Nel 1969 il serbo di Vojvodina, Ž. Žilnik, ottenne l'Orso d'oro a Berlino per Rani radovi (I primi lavori) il primo lungometraggio esplicitamente didattico-politico realizzato pensando a B. Brecht e a J.-L. Godard.

La crisi degli anni Settanta

Tra il 1971 e il 1972 le contestazioni studentesche e democratiche e le prime accese proteste nazionaliste, croate in particolare, furono prontamente soffocate da Tito a Belgrado, in Kosovo e a Zagabria. Nel cinema, agli inizi del nuovo decennio, si registrò una consistente riduzione della produzione: nei primi anni, pur proseguendo la ricerca da parte degli autori più ispirati, si ebbe una crisi di soggetti e di forme del racconto. Fecero eccezione alcuni film quali il sorprendente Teroristi (1970) di Krsto Škanata: uno dei primi esempi di docufiction sul terrorismo ustascia della fine degli anni Sessanta (interessante l'abbrivio con la coppia di attentatori che si siede tra il pubblico di un cinema: un'eco di La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo). Giocato sul versante surrealistico è il cortometraggio di Ljubiša Jocić Sneg na usnama (Neve sulle labbra; terminato nel 1969 fu bloccato per due anni): donne che nascono da uova e vagano nude sulla spiaggia (con il motivo dello smembramento dei corpi alternato a ingranaggi di macchine, come nei fotomontaggi di Teige e Švankmajer). Lodevole anche Mirisi, zlato i tamjan (1971, Profumi, oro e incenso) del croato A. Babaja. Una nota positiva è l'esordio, nel lungometraggio, di due marcate personalità: il bosniaco Bato Cengić (Uloga moje porodice u svjetskoj revoluciji, 1971, Il ruolo della mia famiglia nella rivoluzione mondiale) e K. Papić (Lisice, 1971, Le manette; premiato a Pola). Nel 1972 in Sloboda ili strip (Libertà o fumetti), che rimarrà in forma di copia di lavoro perché bloccato dalla censura, Žilnik, unendo spezzoni di reportage di manifestazioni studentesche (gli ecologisti a Lubiana nel 1969) e finzione disincantata (per es., la scena delle ragazze nude, coperte solo dai cappotti, di derivazione dall'Underground newyorkese), si misurava con il disagio politico-sociale dei giovani presi nel dilemma tra emigrazione politica e problemi del rientro. Il cortometraggio Četvrta dimenzija (1972, Quarta dimensione) di Dejan Durković (protagonista lo scrittore Danilo Kiš) è un apologo sulla vita e la morte, con citazioni formali (per es. la ripetizione dell'azione) da Ingmar Bergman e Alain Robbe-Grillet. Sempre nel 1972 due film furono accusati dalle autorità di distorsioni tendenziose dei temi trattati: WR, misterije organizma (1971, WR il mistero dell'organismo) di Makavejev, e Majstor i Margarita (1972; Il maestro e Margherita) di Petrović. Quest'ultimo, pur recuperando una narrazione tradizionale, esprime un netto atto d'accusa, attraverso M. Bulgakov, contro il potere deviato del comunismo; mentre WR (iniziali del filosofo William Reich), una delle massime espressioni europee di contaminazione tra i generi (fiction, intervista, citazioni da testi di Reich, black comedy, soluzioni pop art ecc.), non piacque per il suo avanguardismo. Il giovane Srdjan Karanović (formatosi a Praga) esordiva con Društvena igra (1972, Un gioco di società) ironica storia sulla voglia di fare film ispirata al cinema di François Truffault. Il punto forte della cinematografia iugoslava rimaneva l'animazione (oltre alla scuola di Zagabria si aggiunsero autori di altre repubbliche e province, come la coppia Nikola Radić e Rade Ivanović di Novi Sad) e il corto documentaristico (per es., i primi film di Lordan Zafranović). Va ricordato che il cinema d'autore venne duramente attaccato dalla critica ufficiale. Come sottolineato da Munitić (1986) veniva rimproverato agli autori dell'onda nera (Pavlović, Petrović, Makavejev, Žilnik, Popović, e altri: la definizione 'film nero' pare fosse dovuta a Tito, che trovava tale produzione per niente 'rossa' e ottimistica) il fatto di essere nichilisti e presentare dei valori rivoluzionari distorti. La censura si attivò persino in fase di ideazione. Così accadde l'assurdo: autori i cui primi film erano stati salutati con interesse, quali Žilnik, Dejan Kosanović, Vuk Babić, Zafranović e altri, dovettero attendere la fine del decennio e il relativo cambiamento di atmosfera politica dopo la morte di Tito nel 1980 per tornare a girare; mentre Makavejev e Petrović, i due più noti, lasciarono la Iugoslavia. La forte parodia del potere, nazionale e locale, presente nel citato Majstor i Margarita e in Predstava Hamleta u selu Mrduša Donja (1973, La messa in scena dell'Amleto nel villaggio di Mrduša Donja) di Papić, insieme a Bez (1973, Senza parole) di Miša Radivojević, e al ricordato Društvena igra, furono gli ultimi film irraggianti uno spirito da Nouvelle vague.La seconda metà degli anni Settanta: la 'scuola di Praga' e la rinascita. ‒ Mentre scoppiava la 'primavera di Zagabria' e gli studenti di Belgrado scendevano in piazza, a Praga, ormai 'normalizzata' dopo l'agosto 1968, tra il 1970 e il 1971 si diplomavano presso la FAMU i 'cinque moschettieri iugoslavi': Zafranović, croato, Goran Paskaljević, serbo, Goran Marković, figlio d'arte, serbo, Karanović, serbo, Rajko Grlić, croato, cui si sarebbe aggiunto, dieci anni dopo, Emir Kusturica, regista iugoslavo di Sarajevo, secondo la sua definizione. Autori che non furono insensibili al particolare umorismo e al poetismo tipici della cultura ceca e slovacca, caratterizzati da una tagliente ironia, da un'irriverenza gentile e da una vena surreale calata nel quotidiano (M. Forman, V. Chytilová, Evald Schorm, Juraj Jakubisko ecc.). Temi e stilemi centroeuropei che, innestati sul più drammatico troncone slavo-balcanico, consentirono ai 'praghesi'‒ tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi Ottanta ‒ di rinnovare il cinema iugoslavo. Se alcune opere interessanti come il rammentato Društvena igra di Karanović e Kud puklo da puklo (1974, Costi quel che costi) di Grlić facevano presagire un rinnovamento di stile, fu con il successo, nei vari festival internazionali, di Čuvar plaže u zimskom periodu (1976; Bagnino d'inverno) di Paskaljević, di Specijalno vaspitanje (1977, Educazione speciale) di Marković, di Miris poljskog cveća (1977, Il profumo dei fiori di campo) di Karanović, che avvenne il battesimo del 'gruppo di Praga'. Zafranović rilesse, senza astio, l'occupazione italiana di Dubrovnik con Okupacija u 26 slika (1978, L'occupazione in 26 immagini), mentre Karanović in Petrijin venac (1980, La corona di Petria) offrì una storia minimale di una donna anziana, analfabeta e sola. Il decennio si chiuse con il debito estero quadruplicato. Forse la fine della I. era allegoricamente presentita da Paskaljević in quell'anziano capitano di marina che decide di aspettare la morte in un ospizio: Zemaljski dani teku (1979, I giorni terreni passano). In Majstori, majstori (1980, Maestri, maestri) di Marković, con la festa per l'addio di una bidella (in cui evidenti sono le citazioni da Hoří, ma panenko!, 1967, Al fuoco pompieri., di Forman), vengono affrontati i piccoli eventi della vita scolastica mostrando come etica e formazione fossero allora disattese, elaborando così un gentile ma violento attacco alle istituzioni iugoslave.Il cinema degli anni Ottanta.

Dalla morte di Tito alle prime elezioni libere

Dopo la morte di Tito, tra marzo e aprile del 1980 si riaccese la crisi del Kosovo, la cui maggioranza albanese rivendicava il distacco dalla Serbia. Nell'aprile del 1985 il Fondo Monetario Internazionale negò alla I. la rinegoziazione del debito estero. Nel primo trimestre 1986 l'inflazione crebbe e si volle accelerare la riforma del mercato. Il nuovo cinema iugoslavo veniva simbolicamente annunciato da Sjećaš li se Dolly Bell (1981; Ti ricordi di Dolly Bell?) di Kusturica, inclemente parodia della famiglia marxista degli anni Sessanta. Kusturica, citando Forman, Truffaut e la commedia all'italiana, introduceva la 'formula magica' nel cinema iugoslavo in gran parte ancora pesantemente farraginoso e drammatico (a eccezione di Drašković, Petrović, Makavejev): un film d'autore, tra denuncia e umorismo, apprezzato da pubblico e intellettuali.Il cinema dei primi anni Ottanta offrì storie sempre più interessanti: la rivisitazione dell'occupazione italiana da un punto di vista privato e sentimentale in Pad Italije (1981, La caduta dell'Italia) di Zafranović; l'abbrutimento edilizio della periferia di Zagabria incastonato in una narrazione da giallo in Ritam zločina (1981, Il ritmo del crimine) di Zoran Tadić; la storia di un gruppo di giovani e della loro musica nel dopoguerra tra sogni, morale di partito e una drammatica fuga a Ovest, in Rdeči boogie (1982, Il boogie rosso) dello sloveno d'adozione (nato a Skopje) Karpo Aćimović Godina.Drašković in Život je lep (1985; E… la vita è bella) volle mettere allegoricamente in scena quello che tutti presentivano: la fine di un ciclo politico-sociale. Il film è ambientato nella sperduta campagna in un'osteria che, a causa di un treno in avaria, si riempie di una moltitudine di persone che parlano, gridano, cantano e hanno atteggiamenti bellicosi: ladri, prostitute, membri del partito, 'bianchi-gaggi', zigani, disoccupati, spie, vecchi, giovani, perdigiorno ecc. Una camera a spalla e un montaggio serrato passa di volto in volto, di gesto in gesto, facendo scivolare la narrazione dalla commedia all'inevitabile dramma. Kusturica con Otac na službenom putu (1985; Papà è in viaggio d'affari), da vero allievo di Jiří Menzell a Praga, seppe di nuovo unire tratti poetici e umorismo critico nel ritrarre la vita degli anni Cinquanta denunciando al contempo il culto del partito.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, mentre tornavano ancora una volta a manifestarsi le spinte centrifughe nelle diverse repubbliche e si aggravava la crisi economica, si palesavano le ragioni profonde del processo di disgregazione della Federazione: la politica egemonica della Serbia di S. Milošević e l'aggressiva politica nazionalista della Croazia.La fine degli anni Ottanta, gravida di presentimenti per l'Europa dell'Est, spinse il veterano Ž. Pavlović ad affrontare il tema del viaggio, come probabile metafora del desiderio di altri mondi: Na putu za Katanga (1987, Sulla via del Katanga). Del resto un inno alla libertà anarchica è anche Dom za vešanje (1988; Il tempo dei gitani) di Kusturica. Il successo del film lo confermò autore internazionale di notevole forza propositiva e organizzativa; grazie a lui si avviò una produzione bosniaca nella quale esordirono autori come Miroslav Mandić e Ademir Kenović (interessante la sua commedia amara, d'ambientazione turca, Kuduz, 1989, Rabbia). Il decennio si chiuse con le prime elezioni libere in Slovenia e la vittoria di una coalizione cattolico-liberale; in Croazia il partito nazionalista di F. Tudjman (aprile-maggio 1990) ottenne la maggioranza relativa.

La dissoluzione della Iugoslavia: 1991-2002. La nascita delle cinematografie nazionali

Il 25 giugno 1991 Slovenia e Croazia proclamarono unilateralmente la loro indipendenza. Nel luglio 1991 iniziò la guerra tra la Croazia e la Federazione Iugoslava, chiusa con la firma di un cessate il fuoco nel gennaio 1992. Tra gennaio e aprile 1992 la CEE (in seguito UE) riconobbe le repubbliche di Slovenia, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, ma quest'ultima precipitò nel conflitto proprio a pochi giorni dal riconoscimento europeo. Dall'aprile 1992 al novembre 1995, quando furono firmati gli accordi di Dayton per la pace, sul territorio bosniaco si scontrarono i serbi di Bosnia, appoggiati militarmente dall'esercito della Federazione, e i croati, ora alleati ora aggressori dei musulmani bosniaci, vittime anche di veri e propri massacri da parte delle milizie serbe. Tra il 1997 e il 1998 la crisi investì il Kosovo, dove da circa un decennio il presidente iugoslavo S. Milošević andava fomentando il nazionalismo dei serbi dopo aver cancellato, nel 1990, l'autonomia della regione. Per difendere gli albanesi del Kosovo dalle aggressioni serbe, nel marzo 1999 scattò l'intervento aereo della NATO contro la I. che si protrasse per circa ottanta giorni. Dopo la fine della guerra crebbe l'opposizione interna nei confronti di Milošević che uscì di scena nel settembre 2000 dopo che il risultato elettorale ne aveva proclamato la sconfitta.Si può considerare che il cinema libero della ex I. abbia inizio con un film serbo, scongelato dopo vent'anni (al tempo fu giudicato sovversivo), Plastični Isus (1972, uscito solo nel 1990, Gesù di plastica) di Lazar Stojanović: basato sulla fusione tra documentario di guerra (spezzoni di memoria della Seconda guerra mondiale) e fiction, mostra la vita senza senso del protagonista, trentatreenne, antieroe godardiano, che proclama nell'incipit di non credere nella rivoluzione, mentre altrove dichiara di aver rubato libri e di amare la lettura.In Slovenia nel 1991 si realizzarono, ancora con i fondi della Federazione, Babica gre na jug (La nonna va al Sud) di Vinči Vogue Anžlovar e Srcna dama (La donna di cuori) di Boris Jurjašević. Due esordi: il primo una storia on the road che fa tesoro dell'umorismo e delle strutture narrative del cinema americano; il secondo, tra fiaba e noir, segue il percorso di un giovane padre e marito tra gioco d'azzardo ed ex compagni di carcere. Sebbene la Slovenia fosse la Repubblica più ricca della ex I., a partire dal 1992 subentrò una crisi economica postsecessione. Sino al 1993 si produsse poco, con l'aiuto della televisione e, spesso, in 16 mm, come nel caso di Ko zaprem oči (1993, Quando chiudo gli occhi) di Franci Slak, in cui si rivisitano i temi dell'alienazione contemporanea. Dal 1995 riprese la produzione dei lungometraggi e, sino al 2002, se ne realizzarono circa 20. Radio-Doc (1995) di Miran Županič fu il primo film sloveno sulle storture del regime: nel film una figlia (Nataša Matjašec), dopo anni, indaga sulla morte 'accidentale' del padre giornalista (è anche un viaggio nella storia oscura della ex I.), seguita all'epurazione dei primi anni Settanta dopo la 'primavera di Zagabria'. Nel surreale Ekspres, Ekspres (1997) di Igor Šterk, cui non è estraneo l'umorismo della sophisticated comedy, due giovani, incontratisi in treno, vanno metaforicamente alla scoperta del mondo. Tra i nuovi autori, oltre a Šterk, si segnalano Igor Šmid (Brezno, 1998, La voragine) e il sorprendente film d'esordio V leru (1999, In folle) di Janez Burger, che ha convinto critica e pubblico, delineando la strana vita di un college iugoslavo all'indomani del 1989, tra vuoto esistenziale e dilemmi giovanili, immerso in un humour aspro e assurdo, tra Forman e Lindsay Anderson. Va ricordato anche il film (in Betacam) di Ž. Žilnik, prodotto in Slovenia, Trdnjava Evropa (2000, La fortezza Europa), dove si raccontano tristi vicende di passaggi di confine, in una forma particolare di documentario che, secondo l'estetica dell'autore, si costruisce da solo, grazie al ruolo dello spettatore. Tra le poche donne registe si è messa in luce Hanna Slak, d'origine polacca che ha esordito con Slepa pega (2002, Punto cieco), un film non del tutto risolto.Anche la Croazia dovette affrontare una grave crisi economica, ancora più dura della Slovenia, per il suo coinvolgimento nel conflitto bosniaco. La produzione dei lungometraggi in Croazia, negli anni Ottanta, non aveva mai superato le cinque-sei unità per anno (a cura della Jadran Film). K. Papić, in un film in parte premonitore, rifletteva sul tema dell'odio politico tra due famiglie croate, in una storia, tra poesia e dramma, che va dagli anni Settanta ai Novanta: Priča iz Hrvatske (1991, Storia dalla Croazia). Sempre realizzati nel 1991 vanno segnalati Čaruga di R. Grlić, Djuka Begović di Branko Schmidt e Krhotine (Frammenti) di Zrinko Ogresta. Tre film tra storia del Novecento (Čaruga e Krhotine) e attualità (Djuga Begović) che trattano il tema scottante 'del fare chiarezza' nel proprio passato pubblico e privato, per raggiungere la pace interiore insieme alla giustizia sociale. Finiti i vecchi fondi della Federazione, e con la guerra in atto, la crisi permise di realizzare due soli film nel 1993: Vrijeme za… (Un tempo per…) di Oja Kodar, scultrice, attrice e co-sceneggiatrice (per Orson Welles) e Zlatne godine (Anni d'oro) di Davor Žmegač. Il primo, dal montaggio serrato, sul tema del conflitto (una madre che rincorre il figlio scappato a far la guerra); il secondo sul dilemma della vendetta nei confronti di un poliziotto, trent'anni dopo. Dopo la crisi del biennio 1993-94, la produzione si riprese a partire dal 1995: Prolazi sve (1995, Tutto passa) di Goran Pavletić; Noć za slušanje (1995, Notte in ascolto) di Jelena Rajković; Vidimo se (1995, Ci vediamo) di Ivan Salaj. Tre film uniti da uno stile postmoderno e citazionista, oltre che dai medesimi motivi socio-psicologici: analisi di una guerra assurda (Vidimo se) e dei buchi neri che rimangono quando la morte fisica risparmia il corpo (Vidimo se e Noć za slušanje). Putovanje tamnom polutkom (1995, Viaggio nella parte oscura) di Žmegač, che invece sceglie una regia tradizionale, è un road movie ambientato a est di Zagabria, tra i piccoli paesi attraversati dalla guerra, dove il comico Dingl cerca di far ridere i bambini. Goran Rusinović con Mondo Bobo (1997) ha innestato alcuni stilemi statunitensi nel cinema slavo del Sud realizzando così un originale neo-noir, tra film d'azione, poliziesco metropolitano e road movie d'inseguimento legato da un procedere a flashback.

Nella Repubblica di Bosnia ed Erzegovina va rammentato l'eccellente esordio di Nenad Dizdarević con Magareće godine (1992, L'età ingrata), Palma d'oro nel 1994 alla Mostra del cinema di Valencia. Ambientato a Bihać alla fine del maggio 1914, narra dell'ultimo anno di liceo di una classe: ragazzi e ragazze, cattolici, ortodossi e musulmani, studiano, scherzano, giocano, s'innamorano. Con l'attentato del 28 giugno a Sarajevo tutto finisce. MGM Sarajevo (1994) di Ismet Arnautalić, Mirsad Idrizović, Ademir Kenović, Pjer Žalica, è un film a episodi, in cui vengono raccontate tre storie di comune vita quotidiana sotto assedio, fondendo documentario-reportage e scarna fiction.Nella Repubblica di Macedonia, a parte il caso di Milčo Mančevski ‒ che con Po dežju (1994; Prima della pioggia) si è imposto internazionalmente ‒ va ricordato il nobile tentativo di Erbil Altanay con Samouništuvanje (1996, Autodistruzione).Allo scoppio del conflitto tra Croazia e Repubblica Federale il serbo Z. Pavlović, che sovente aveva riflettuto sul tema della guerra, in Dezerter (1992, Il disertore), su soggetto di Snežana Lukić, affrontò il dilemma della diserzione, in un modo asciutto, da un punto di vista privato ed esistenziale e altamente etico. Il cinema iugoslavo (che conserverà tale definizione sino al 2002), ancora realizzato principalmente negli studi di Belgrado, pur distrutto dalla crisi, continuò a essere ancora il più prolifico. Film 'antigovernativo' è Ubistvo s predumišljajem (1995, Assassinio con premeditazione) di Goran Stojanović, tratto dal romanzo di S. Selenić, montato tra passato (il primo periodo di Tito) e guerra coeva. Si seguono le vicende della studentessa belgradese Bujka, che cerca di non far ripartire per il fronte il soldato Bogdan, serbo di Krajina, convinto che la patria 'ha sempre ragione'. Un grande amore che sarà travolto dalla Storia, secondo la visione sconsolante vichiana di G. Stojanović. In Urnebesna tragedija (1995, Tragedia burlesca) di G. Marković, uno psichiatra, stanco di aspettare le medicine, libera i suoi pazienti e li porta, attraverso una città fatiscente (Belgrado), a casa di un suo amico regista, dove si festeggia e i matti ufficiali si scontrano con i matti non dichiarati. Folgorante il finale con il tram giallo in un campo di papaveri. Di un autore storico come Puriša Djordjević è l'interessante Tango je tužna misao koja se pleše (1997, Il tango è un pensiero triste che si balla), mentre sorprendente risulta il corto di Miloš Radović, Moja Domovina (1997, Il mio Paese), dalla regia ineccepibile (i campi fissi sono di un'eloquenza straordinaria): un superbo apologo surreale sulla ex I., terra di violenza gratuita. In Bure baruta (1998, La polveriera) di G. Paskaljević, tratto da un testo teatrale del giovane macedone D. Dukovski, assunti paradossali sono innestati in una struttura da film d'azione. In Tatin sin (2000, Figlio di papà), Radomir R. Belačević presenta il perenne motivo balcanico che oppone città/provincia, seguendo un giovane in cerca d'identità. Inedita la soluzione tra realtà, fantasia e pazzia in Zemlja istine, ljubavi i slobode (2000, La terra della verità, dell'amore e della libertà) di Milutin Petrović, ambientato in un ospedale psichiatrico belgradese durante i bombardamenti: un paziente, il giovane Boris, ex montatore televisivo fonde presente e passato in un suo montaggio personale. Per far fronte alla crisi economica causata dall'embargo e dai bombardamenti alcuni film sono stati girati anche in Betacam: è il caso di Dorćol-Menhetn (2000, Dorćol-Manhattan) di Isidora Bjelica, una storia umoristico-erotica che unisce in montaggio alternato quartieri di Manhattan e Dorćol (Belgrado), durante i bombardamenti NATO, ironizzando sull'amicizia iugoslavo-americana.Con il documentario Serbie, année zéro (2001), sugli ultimi quindici anni che sconvolsero e distrussero quella che una volta si chiamava 'Iugoslavia', Marković ha chiuso simbolicamente la storia del cinema iugoslavo con una coraggiosa denuncia del potere corrotto di Milošević, dove si coglie il dispiacere per la fine dello Stato multietnico dell'ormai scomparsa Repubblica Popolare Federativa di Iugoslavia.

Nel 2002 il film internazionalmente noto come No man's land (2001; No man's land ‒ Terra di nessuno), forte denuncia dell'assurdità delle guerre del regista bosniaco Danis Tanović, è stato premiato con l'Oscar per il miglior film straniero.

bibliografia

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D. Kosanović, R. Munitić, Le cinéma yougoslave, sous la direction de Z. Tasić, J.-L. Passek, Centre Georges Pompidou, Paris 1986.

Settimana del cinema jugoslavo, a cura di G. de Vincenti, Roma [1986].

A. Percavassi, E. Fornazarić, L'albero del desiderio, Trieste 1989.

S. Grmek Germani, Cinema jugoslavo, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 3° vol., L'Europa. Le cinematografie nazionali, t. 2, Torino 2000, pp. 1327-59.

Per il cinema della ex Iugoslavia: cat. di Alpe Adria Cinema, poi Trieste Film Festival, edizioni III-XII, 1990-2002; per il cinema sloveno: cat. del Monitor Film Festival di Gorizia, 1990-2002.

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