VIGLIANESI, Italo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VIGLIANESI, Italo

Myriam Bergamaschi

VIGLIANESI, Italo. – Nacque a Caltagirone (Catania) il 1° gennaio 1916. Il padre Gaetano, professore di musica, avviò nella cittadina siciliana un’attività per la produzione e il commercio della pasta; alla morte precoce del marito (1932) la moglie, Antonietta Gerbino, ne continuò l’attività, oltre a dedicarsi alla famiglia e ai sei figli.

Gli studi di Viglianesi si svolsero a Roma, dove si diplomò ragioniere; si iscrisse quindi alla facoltà di economia e commercio, senza conseguire però la laurea.

Frequentò la Scuola allievi ufficiali di Spoleto dal novembre del 1937 al giugno del 1938; successivamente trovò impiego alla sede di Roma della Montecatini. Richiamato alle armi, con destinazione Barletta presso il comando delle truppe miste Regio esercito Egeo, poté ottenere il congedo in quanto laureando, ma dovette riprendere servizio nel dicembre del 1942 a Boves (Cuneo), al Comando II settore di copertura guardia alla frontiera. Il 15 settembre 1943, a Briga Marittima, fatto prigioniero dalle SS, fu caricato su un treno insieme agli altri commilitoni con destinazione Germania. Riuscì a evadere e a rifugiarsi a Roma presso parenti e amici dove visse nascosto e isolato; non cercò collegamenti con alcun gruppo della Resistenza, pur sentendosi antifascista, diversamente dalla sua famiglia. Da quanto scrive nel diario emerge un mondo circoscritto alla vita privata, al matrimonio con Ivrem Chesi, celebrato il 26 aprile 1943, e alla nascita di una figlia, Stefania. Un secondo figlio, Vittorio, nacque alcuni anni dopo.

Dopo la Liberazione di Roma tornò a lavorare alla Montecatini; qui iniziò la sua esperienza sindacale, costituendo la commissione interna di cui fu nominato segretario. Divenne rapidamente un dirigente sindacale nella Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e a soli trent’anni segretario generale della Federazione italiana lavoratori chimici (FILC). La costruzione della Federazione fu laboriosa e Viglianesi seppe affrontare abilmente le molte difficoltà organizzative e contrattuali derivanti dalla frammentarietà creata dal fascismo. Nel 1947 siglò il primo contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria. Dopo questo inizio positivo i suoi rapporti con la componente comunista all’interno della Federazione divennero via via più tesi. A ciò si aggiunsero le polemiche sul Piano Marshall, all’accettazione dei cui aiuti era favorevole, differenziandosi dalla corrente socialcomunista duramente contraria.

Nel dopoguerra si iscrisse al Partito socialista italiano di unità proletaria, in cui continuò a militare anche dopo la scissione di Palazzo Barberini (11 gennaio 1947) e la fondazione del Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), promossa da Giuseppe Saragat. Convinto sostenitore dell’autonomia dei socialisti rispetto ai comunisti, diede voce al proprio scontento al congresso del Partito socialista italiano (PSI) a Firenze, nel maggio del 1949, con dure accuse contro i vertici per l’acquiescenza verso i comunisti. Il suo conflitto aperto con questi ultimi era emerso durante il rinnovo del contratto nazionale dei chimici del 1949. Con Giuseppe Romita e con l’appoggio di numerosi sindacalisti autonomisti, presentò una mozione per l’autonomia del partito e per l’indipendenza dell’organizzazione sindacale dalle ingerenze dei partiti. La lista ottenne pochi voti e conseguentemente uscì dal partito per fondare con Romita (segretario) il Partito socialista unitario (PSU). Nel 1951 il PSU si fuse con il PSLI, assumendo la denominazione di Partito socialista democratico italiano (PSDI), di cui Viglianesi divenne uno dei maggiori esponenti.

Dalla CGIL uscì nell’ottobre del 1949. L’anno successivo (5 marzo 1950) riunì le componenti saragattiane, repubblicane e autonomiste che diedero vita all’Unione italiana del lavoro (UIL), di cui inizialmente fu coordinatore e poi segretario generale dal 1958 al 1969. La decisione di costituire la terza confederazione, osteggiata dai sindacati statunitensi, fu preceduta da un dibattito assai animato in merito alla fusione tra la Confederazione cattolica (Libera CGIL) e la Federazione italiana del lavoro (FIL), costituita dalle correnti repubblicana e socialdemocratica uscite dalla CGIL unitaria nel 1949. La proposta della fusione provocò la levata di scudi di quanti rifiutavano tanto l’egemonia comunista quanto quella clericale. Nel conciliare tra loro le diverse aspirazioni all’autonomia fu determinante l’opera di Viglianesi, che seppe imprimere alla nascitura UIL il carattere di forza autonoma rispetto alle altre due confederazioni. In questa complessa manovra non entrarono solo i condizionamenti politico-partitici, ma ebbero grande spazio le aspirazioni laiche dei diversi dirigenti locali e della stessa base.

L’autonomia tuttavia andava intesa come dialettica con i partiti perché di fatto la UIL dovette fare i conti con le vicissitudini dell’area laica e socialista. Il ruolo di forza autonoma della Confederazione fu decisivo nel definire il sistema sindacale italiano respingendo i tentativi di costruire un’unica organizzazione sindacale, un sindacato ‘democratico’, di orientamento anticomunista capace di opporsi alla CGIL. Viglianesi e tutto il gruppo dei fondatori della UIL seppero così rompere il disegno originario americano, riflesso della guerra fredda.

Assunto il ruolo di coordinatore nella segreteria della UIL, strinse solidi legami con i sindacati europei (britannici, tedeschi), con il CIO (Congress of Industrial Organizations), e fece balenare agli interlocutori americani la possibilità per la UIL di attrarre sindacalisti socialisti. Deciso a superare in ogni modo l’isolamento della UIL sul piano internazionale (la richiesta di entrare nell’International confederation of free trade unions – ICFTU – era stata respinta) costruì una fitta rete di alleanze. Alla fine del 1951 la UIL fu ammessa nell’ICFTU con l’impegno a realizzare un’organica alleanza con la CISL. L’accordo CISL-UIL fu sottoscritto a Roma nel febbraio del 1953, ma Viglianesi lo interpretò come ‘accordo di buon vicinato’ limitandone la valenza. Con ciò interpretava le composite posizioni presenti nell’Unione che aspiravano a fare di essa la terza forza del sistema sindacale italiano. Da questo orientamento originò la sconfitta del disegno statunitense.

I primi anni del suo mandato li impegnò a contenere le pressioni americane intese a rompere l’unità d’azione con la CGIL, trasformata in ‘unità d’azione occasionale’; in questo quadro fu elaborata una strategia sindacale moderata inserita nella logica delle compatibilità e nel ‘prudente ricorso’ ai conflitti di lavoro. La scelta organizzativa fu rafforzare la UIL nelle elezioni di commissioni interne delle grandi fabbriche del Nord. Ottenne i primi successi alla Montecatini, alla SNIA e in altre fabbriche del settore chimico. Questa opzione fu consolidata nel 1955 con la presentazione di liste UIL - Unità socialista, aperte ai socialisti e a coloro che si muovevano nell’ambito della sinistra. La prima rilevante affermazione fu ottenuta alla FIAT conquistando il 23%; il 1955 fu l’anno in cui la CGIL perse la maggioranza assoluta nella grande fabbrica torinese. La crescita della UIL nelle elezioni di commissione interna continuò negli anni successivi.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta si impegnò ad ampliare i referenti politici della UIL, sollecitando l’ingresso dei socialisti, e promosse iniziative per la riunificazione dei partiti socialisti. Tra le iniziative va ricordata la fondazione (1955) del giornale La strada, che auspicava la nascita in Italia di una forza politica fondata sull’organizzazione sindacale, capace di garantire ai lavoratori la realizzazione delle loro aspirazioni, il rinnovamento del sistema sociale e la vita democratica del Paese. La proposta ‘demo-laburista’ espressa attraverso la testata voleva scuotere l’immobilismo dei partiti e suggerire lo schema per un nuovo partito socialista che non doveva limitarsi alla somma dei due partiti esistenti. L’operazione fu osteggiata dai socialdemocratici con durezza, ma fallì soprattutto perché non era in sintonia con il modello sindacale italiano che era pluralista e che nel dopoguerra si era riassestato su un equilibrio ‘tripolare’, peraltro già presente nel periodo prefascista.

Viglianesi abbandonò l’idea, ma non rinunciò al suo proposito di costruire il sindacato socialista e pochi anni dopo promosse il Movimento unitario di iniziativa socialista (MUIS). L’iniziativa non ebbe il successo auspicato benché fosse sostenuta dai repubblicani e dai socialdemocratici; non riuscì anche perché Pietro Nenni (pur dopo l’incontro di Pralognan con Saragat, nel 1956) non volle isolare la CGIL dal resto della sinistra italiana.

Nemmeno fatti tragici come la repressione sovietica in Ungheria (1956) misero in crisi la presenza socialista nella CGIL, malgrado l’organizzazione sindacale conoscesse un profondo turbamento dei suoi aderenti, di cui Viglianesi tentò di approfittare lanciando un appello per attrarli nella UIL con la proposta di fare un sindacato laico-socialista; tale strategia fu frenata da Fernando Santi, guida della componente socialista nella CGIL. Alcuni socialisti uscirono individualmente, tuttavia l’appello creò i presupposti per la costituzione della corrente socialista nella UIL e un’attenzione maggiore verso le azioni del Partito socialista.

Nelle relazioni internazionali schierò la UIL a sostegno ‘dell’euro-sindacalismo’; già nei primi anni Cinquanta diede il suo appoggio alla realizzazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio e alla costruzione economica e sociale dell’Europa. Dopo la firma dei trattati istitutivi della CEE (1° gennaio 1958) la tematica dell’integrazione europea acquisì ulteriore rilevanza.

Con la nascita del centro-sinistra Viglianesi rinvigorì le pressioni per la costituzione del sindacato socialista; inasprì l’ostilità verso la CGIL, rifiutando anche di unirsi allo sciopero di solidarietà antifascista proclamato dalla stessa Confederazione contro il governo Tambroni nel luglio del 1960. Ciò non impedì che gli iscritti UIL partecipassero in massa allo sciopero.

I fatti di piazza Statuto di Torino nel 1962 con l’assalto alla sede della UIL, avvenuti a seguito della firma di un accordo separato alla FIAT, costrinsero il segretario generale a ripensare alla politica degli accordi separati degli anni Cinquanta. La linea politica e l’assetto contrattuale degli anni Sessanta, pur fondandosi sull’originaria concezione dei rapporti sindacali improntata a una visione collaborativa, non si limitarono da questo punto in poi alle fabbriche e ai luoghi di lavoro, ma fu chiamato in causa anche lo Stato. Con questo passaggio il riformismo della UIL acquistava concretezza, pur continuando a significare in primo luogo autonomia e moderazione, non necessariamente intesa come disponibilità al compromesso.

Dopo l’unificazione socialista (1966) continuò a sostenere l’ipotesi del sindacato di partito, ma un altro tema, che era al centro del dibattito – l’incompatibilità tra cariche sindacali e parlamentari –, la rese non più attuale. Si era aperta una riflessione seria sull’autonomia del sindacato, sul ruolo autonomo dei corpi sociali, sulla distinzione tra azione del sindacato e azione del partito. Espresse il suo netto rifiuto per l’incompatibilità, definita «una iniziativa senza costrutto» e inefficace a superare i contrasti e le profonde divisioni tra i sindacati (Il lavoro italiano. Agenzia d’Informazioni, 7 marzo 1968, p. 4). Si dichiarò contrario anche all’unità sindacale, posizione che tuttavia abbandonò presto, consapevole che la UIL non avrebbe avuto prospettive isolandosi dal dialogo unitario.

Al Congresso della UIL del 1969 si presentò dimissionario: aveva deciso di lasciare il sindacato scegliendo la carica parlamentare. Senatore dal 1963 al 1979, fu vicepresidente del Senato fra il 1968 e il 1970. In questo ultimo anno assunse la carica di ministro dei Trasporti e dell’Aviazione civile (nei governi di Mariano Rumor ed Emilio Colombo) e la conservò fino al 1972. Quando l’unificazione socialista naufragò (1969) optò per il Partito socialista. Si ritirò a vita privata nel 1979.

Morì a Roma il 19 gennaio 1995.

Opere. I sindacati in Italia, saggi di G. Di Vittorio et al., Bari 1955, pp. 195-226; L’indicazione viene dalle fabbriche, in La strada, 13 febbraio 1955, p. 1; Il diario. 1° aprile 1938 - 22 marzo 1944, in G. Benvenuto, Viglianesi e la storia del sindacato riformista, a cura di M. Zeppieri, Roma 2010, pp. 135-210.

Fonti e Bibl.: Milano, Fondazione Anna Kuliscioff, Fondo Viglianesi, ff. 2.17; 2.19; 2.32; 2.33; 3.51; 3.52; 4.58; 4.60; 5.74; 6.83; 6.85; 8.96; 8.97.

R. Vanni, Non può l’azione dei sindacati fermarsi alle soglie di Montecitorio, in La strada, 20 febbraio 1955, p. 1; V. Agostinone, Il ‘politicismo’ della UIL ha una funzione e un significato, ibid., 19 giugno 1955, p. 3; A. Forbice, Scissioni sindacali e origine della UIL, Roma 1981, pp. 78-79, 83 s., 223, 228-230; S. Turone, Storia dell’Unione italiana del lavoro, Milano 1990, ad ind.; La UIL: il sindacato riformista. Colloquio di Piero Craveri con Ruggero Ravenna 1950-1980, Roma 1999, pp. 13-17, 19-24, 33, 37 s.; A. Accornero, La UIL come ‘terza forza’, in Quaderni di Rassegna sindacale, aprile-giugno 2000, pp. 135-150; G. Benvenuto, I. V. Il sindacalista, il politico, il socialista, Roma 2006, pp. 27, 37-42, 50, 51.

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